ATTILIO GUCCIONE





ATTILIO   G U CC I O N E

Attilio Guccione nasce a Palermo il 10/12/1937. 
Pittore, antologista di tradizioni popolari, poeta dialettale e scultore, realizza scene cavalleresche, paesaggi ad olio e a tempera, attendendo con la sua opera di riproduzione in scala del carretto siciliano ed altro, ad una azione di difesa e di divulgazione dell'arte e delle tradizioni siciliane.


...Guccione sente con fierezza, intensità, autenticità  e sofferenza la sua terra che trasporta nei suoi lavori come inno alla Sicilia.
Ancora giovane e autodidatta, filtra sulla tela sentimenti e pochi ricordi. Non ancora appagato dalle sue realizzazioni, comincia una graduale presa di coscienza e si delinea chiaramente il suo amore per la sua Terra e la sua Gente, nel bene e nel male.
Una Terra piena di luce e colori, intristita dall'oppressione.
Ma luce e colori sono racchiusi nell'anima del suo Popolo e Guccione li libera nella tele, tavole, ceramiche, per esortare la sua gente a liberarsi dal male che comprime.
Questo Male lo combatte con i suoi paladini, presi in prestito dalla mitica epopea carolingia.
E' necessario, per Guccione, che tutti possano comprendere un linguaggio comune, accessibile anche e soprattutto agli umili e incolti che conservano forse più degli altri, l'aspirazione a smettere la sottomissione passiva e la conquista della dignità umana.
Guccione inizia allora a fare l'apprendista presso botteghe di artisti "popolari" e a "viaggiare" nella memoria popolare.
I paladini si moltiplicano e moltiplicano le loro battaglie contro innumerevoli nemici che si combattono nel nome della giustizia.
Il paladino è il popolo che combatte una guerra senza tempo contro un nemico non identificato ma che è sempre l'oppressore.
"Contro l'oppressore lotta il popolo-paladino, da solo, perche soli sono sempre gli eroi, come sempre solo è ogni uomo che lotta per la propria dignità, come sempre solo è ogni popolo che si batte per il riscatto e l'affermazione della propria identità".
(da uno scritto di Orio Poerio)























ALLURA...?

U omu         eni guidatu e rettu di manu e fila
                    nvisibili supra a scena du munnu, e 
u pupu,       supra a scena du tiatru:
                    eni nu fattu arcanu ca regula ogni
                    muvimentu e ogni azioni.
                    U pupu sapi essiri
u paladinu, quannu voli:
                     nvincibili purtaturi di giustizia,
                     di cristianisimu e di cavadderia.
                     Siddu ogni Sicilianu si scurdassi d'essiri omu, 
                     e si facissi paladinu, certu sta Sicilia
                     si putissi sarvari di st'omini asitati di putiri, 
                     di sti pupa cà purtaru a essiri terra di 
                     fami e di duluri;
                     sulu accussì a Sicilia fussi anurata e rispittata.
Allura Sicilianu...?

Si' omu..., pupu..., o paladinu?
Attilio Guccione


IL "CIRCOLO ITALIA" di Pino Giacopelli

IL "CIRCOLO DI CULTURA ITALIA"
DI 
MONREALE 

-METAFORA DI UNA COMUNITA'-  
.......Stando in ascolto, con il desiderio e la curiosità di mettere a confronto la realtà con l'immaginazione, questa quasi-storia di un circolo di provincia mi ha portato ad esprimermi come in un racconto, cercando di dare alla parola scritta l'immediatezza e la semplicità della parola parlata e anche l'emozione. Il destro seguitano a darlo i soci del sodalizio sempre pronti ad indagare nella memoria, ad annodare  con cucirini colorati piccole storie del quotidiano, ad arricchire le loro conversazioni di ricordi vicini e lontani:
di  Pino Giacopelli









Municipio e Duomo - piazza Vittorio Emanuele

Municipio

   



... L'attuale denominazione di "Circolo di Cultura Italia" fu preceduta, nel periodo fascista, da quella di "Circolo Savoia", battezzato "Circolo Italia" e nel 1966 l'assemblea accolse la proposta di aggiungere al suddetto titolo la parola "Cultura". 
Non è mutata, invece, l'ubicazione che da cent'anni resta quella del piano terreno del Municipio, lato sinistro: una sala di intrattenimento e di lettura bene illuminata da lampadari e appliques, un arredamento liberty..., divani e poltroncine, una specchiera, un pianoforte, il televisore, tende e quadri alle pareti e tavoli da gioco nella stanza accanto. Mentre all'angolo opposto del palazzetto, all'inizio della Via Arco degli Angeli, ha trovato ospitalità il Circolo dei Combattenti e dei Reduci
L'edificio, costruito nel '400 nella logica della reciproca compenetrazione tra edilizia religiosa e civile, è contiguo al Palazzo Reale già dimora di campagna e riposo di caccia dei re normanni, preesistente alla fabbrica abbaziale. Esso si affaccia sulla Piazza del Senato (l'attuale piazza Vittorio Emanuele) sistemata intorno al 1880 dall'impresa Giovanni Rutelli sotto la direzione dell'architetto Ernesto Basile, lo stesso che, alla morte del padre Giovan Battista Filippo, era sub-entrato alla direzione dei lavori del Teatro Massimo di Palermo. Ed è il palermitano Mario Rutelli (1859-1941 - artefice della Fontana romana delle Naiadi, in piazza Esedra) l'autore della Fontana del Tritone (il Pupo per i monrealesi), sita nel 1881 al centro della piazza Vittorio Emanuele, raffigurante il corpo di un giovane (teso a spirale, emergente dalla vasca circolare che in uno sforzo sovrumano vince la furia bestiale di tre draghi appena sottomessi dei quali lega con una corda le code), simbolo della vittoria dell'uomo sul peccato e sulle forze brute della natura. 




  Foto Archivio storico comunale


           
Ai limiti del quadrilatero bordato di siepi di pittosporo le quali nell'ultimo conflitto mondiale sostituirono l'inferriata ornata di leggiadri puttini sorretti da pilastrini in ghisa marmorei di due insigni monrealesi: il pittore Pietro Novelli e l'Arcivescovo Benedetto D'Acquisto ai quali presto si aggiungeranno quelli del poeta Antonio Veneziano e del filosofo Vincenzo Miceli, realizzati dallo scultore monrealese Giuseppe Sardisco (così come sono raffigurati dal ritrattista dell''800, Salvatore Giaconia).
Nell'enclave, intricata come una medina, fino a qualche decenni fa, a scandire le ore è stato proprio quell'orologio situato nel 1664, al tempo dell'Arcivescovo Luigi Alfonso de Los Cameros, sul fronte settentrionale della torre che fiancheggia il cinquecentesco porticato della Cattedrale la quale ha il suo ingresso principale nell'antico "Cortile del Paradiso" allora abitato dall'edera vigorosa, e profumato di zàgara gelsomini essenze esotiche. Poco distante ha sede, da 108 anni, il Circolo "Guglielmo", una volta frequentato da mastri e viddani, ma da tempo appannaggio del ceto medio cittadino. Dopo un coinvolgente amarcord sull'antica Fonte sottomessa del "Canale" costruita al tempo dell'Arcivescovo Venero (1620-1628), sepolta dall'asfalto per più di cinquant'anni e da poco recuperata "alla vista", sono tornate all'attenzione dei soci del Circolo Italia le grotte sotterranee esplorate la prima volta nel 1873 quando l'architetto Basile progettò la sistemazione della piazza, e successivamente, nel 1955 e nel 1966. Ora, ai soci del Circolo, il geometra Lorenzo spiega e spiega, come attraverso una botola, si accede ad un labirinto di antri e gallerie guarnite di stalattitti e concrezioni stalagmitiche determinate dalla natura geologica del terreno che si diramano verso Monte Caputo, verso Tre Canali e verso il Belvedere, e che si vorrebbero valorizzare per richiamare l'attenzione di speleologi e turisti. 

                                                          LE GROTTE DI MONREALE 
                                                                  (foto archivio storico)




L'occasione porta alcuni dei soci più avanti negli anni a segnalare ai più giovani come fino al dopoguerra, dalle grate delle finestre dell'ex Convento dei Cappuccini al di sotto del giardino vescovile, era visibile una necropoli con file lunghissime di crani umani e di cadaveri mummificati formata con lo stesso sistema dei Cappuccini di Palermo.

Mentre, risalendo in cima alla Via D'Acquisto, affissando gli occhi al di là dei monti della Moarda e della Pizzuta, sul lembo estremo del golfo di Palermo, quando soffia la tramontana, si possono distinguere le sagome delle Isole Alicudi e Filicudi. D'estate e nelle belle giornate i soci, seduti su comode sedie, i piedi sul marciapiede, si spingevano fin sulla strada dove, dopo oltre mezzo secolo, sono riemerse le vaiolose bàsole di selce di Billiemi che alla fine degli anni '50 erano state ricoperte dall'asfalto sordo e inanimato. Rientrarono nello spazio pedonale con l'entrata in esercizio della linea filoviaria inaugurata il 18 novembre del 1941. Fino ad allora la funicolare della tramvia elettrica della Società sicula tranways-omnibus che aveva iniziato la sua prima corsa l'11 febbraio del 1900, concludeva la sua marcia in via D'Acquisto, a poca distanza dall'Albergo Savoia (oggi "Villa Savoia") con cui nel 1938 il Comune introdusse nel tessuto medievale lo stile Liberty, dando avvio ad una modernizzazione che non ebbe futuro. 
Terrazzo (ex)Hotel Savoia (foto archivio storico)



Come non ebbe futuro la linea ferroviaria a scartamento ridotto che avrebbe dovuto congiungere Palermo-Lolli con Monreale, Altofonte, Santa Cristina Gela, Piana degli Albanesi, Sancipirello, Camporeale e collegarsi con la zona del Belice. Fu armato con rotaie solo il tratto Palermo-Monreale, prima che il regime fascista smobilitasse tutto quanto per dirottare le rotaie in Etiopia.


Foto Archivio storico comunale


A Monreale il treno fece la sua comparsa soltanto due o tre volte, ma già il trasporto delle merci aveva cominciato a svolgersi con gli occhi autocarri. E, nel Circolo, sono pochi a pensare che la metropolitana che fra qualche anno arriverà alla Rocca, possa mai raggiungere Monreale. D'altra parte "quale sapore avrebbe la vita umana, direbbe Mario Grasso, senza il sale del pessimismo?"
I soci più giovani, di tanto in tanto si ritrovavano nel vicino Cinema muto... per ammirare le performance di Greta Garbo, di Tarzan e di Charlot che affollavano i loro sogni. Più tardi nell'atmosfera equinoziale della sala da gioco, tra gli sguardi ammiccanti dei più smaliziati e una partita di poker, tressette e zecchinetta, cercavano istintivamente di dissimulare il loro turbamento cambiando discorso e spesso, come se scoprissero soltanto in quel momento tempi di infamie e di rimorsi, ricordavano che agli atti dell'Archivio Generale della Questura di Palermo della fine dell''800, i soliti "anonimi" descrivono i "reazionari monrealesi" come "sottili e vaporosi...plastici con le autorità", pronti a mutare "colore come i camaleonti". Nè si facevano velo di tirare in ballo le malefatte delle sette degli "Stuppagghieri" e degli "Scurmi fitusi" e occorrendo, citavano nomi e cognomi di capi e gregari. Vicende come quelle segnalate e mille altre possono ancora essere evocate da soci di antica e più recente frequentazione...
Il Circolo dei Civili di Monreale, che all'inizio associava anche preti, oggi continua ad aggregare professionisti ed impiegati. Fra i soci ordinari: podestà e sindaci....
C'è da dire che a Monreale il fenomeno associativo, almeno fino all'inizio del secolo scorso, era appannaggio quasi esclusivo del secolare movimento dei sodalizi laico-confraternali, delle numerose congregazioni di categoria e di mutuo, soccorso e delle corporazioni di arti e mestieri nelle quali, insieme ai calori sensibili della religiosità convinta ed ai sapori sapienziali dell'umanità popolare, si sviluppava quel senso dell'interesse comune che contribuì a incanalare le esigenze di vita libera e democratica che hanno cominciato a trovare soddisfazione nella vita politica, nel 1900 dopo l'uccisione del Re Umberto I. In questo senso il discorso riguarda anche i Circoli degli artigiani, degli operai, degli agricoltori.
Di tanto in tanto, nel Circolo capita anche di vedere delle fotografie di gruppo in bitinta e a colori che documentano fatti di cronaca quotidiana e familiare che avvolgono immediatamente in un ronzio di espressioni, ma che registrano eventi eccellenti e pure segni del degrado e della barbarie. E da cui emerge il ritratto di una realtà, di una città segnata nel corpo e nell'anima dalla presenza del Tempio arabo-normanno che ha scandito il cammino di un popolo che, pur guardando dall'alto la capitale dell'Isola, sa che con Palermo deve continuare a fare i conti. E c'è chi come me piuttosto che in rapporto di opposizione, cerca di vivere le due città come una sola. "Il Duomo-annota il grande poeta e romanziere russo Andrej Belyj, ospite nel 1910 per qualche giorno del Ristorante Savoia-riempie completamente  la vita dei monrealesi: è luogo d'incontro, di preghiera, di svago, di riposo, di guadagno: al mondo non esiste più un palazzo del genere; attira il povero: per un centesimo gli danno uno sgabello di vimini e sta seduto per ore all'ombra delle volte fiammeggianti, sotto gli occhi del sagrato, v'è un club: si accende la pipa, si concludono affari, si apprendono le novità, si accede da molte entrate ai variopinti racconti della Cattedrale; in piazza si smerciano cartoline". E, come in un fotogramma, allarga la sua visuale, scrivendo: "qui [a Monreale] tutto s'è arabizzato; tutto confluisce verso il Duomo, dove il borbottio e il picchiettio delle fronti contro il pavimento-all'araba-si confonde al fruscio degli abiti talari". Una scenografia molto vicina a quella immaginata nel 1971 da Franco Zeffirelli quando vi girò alcune scene del film "Fratello sole, sorella luna". In genere la fotografia consente di storicizzare la memoria, di allungare lo sguardo nel passato. Lo stesso Roland Barthes più che il linguaggio, delle fotografie valorizzava il rapporto che esse intrattengono con la memoria. Fotografie come quelle di Robert Capra (fotografo di guerra e fondatore dell'agenzia Magnum) che ricordano l'entrata degli americani a Monreale il 22 luglio del 1943 o delle indimenticabili serate di "campanile sera" ....del 1960, il programma televisivo della Rai condotto da Mike Bongiorno ed Enzo Tortora, o le tradizionali corse dei cavalli dalla "Varanna" (via Ranni) al piano "ru piatusu" (perchè qui avvenivano le esecuzioni capitali), 





o delle rappresentazioni del Teatrino dell'opera dei Pupi dei Fratelli Vincenzo e Vito Munna, 
 Il Puparo Enzo Rossi


TEATRO POPOLARE (foto archivio storico) 

offrono l'opportunità di restituire ai cittadini il loro rapporto con l'ambiente, di scoprirsi parte integrante e non passiva della propria città, di commuoversi e di ridere davanti ad immagini e luoghi dei quali sembra di risentire odori, echi, voci. Financo di distinguere la loro parlata vezzosa e intenerita (di gente di cor) da quella palermitana, rotonda e iattante. 

Non a caso, la mostra allestita dal fotografo Enzo Lo Verso "Monreale com'era, Monreale com'è", resta tra le iniziative indimenticabili promosse nell'autunno del 1997 dalla Civica Amministrazione nell'ambito della prima edizione delle manifestazioni "Invito a Monreale". Giacchè, attraverso emblematiche foto del prezioso archivio dei Lo Verso, si registrano mutamenti antropologici e urbanistici significativi, fatti di cronaca quotidiana e di eventi singolari e si scopre come la città si sia affrancata da una condizione di disagio estremo e sia cresciuta e si sia sviluppata raggiungendo situazioni di benessere e di grande visibilità. Ma pure di disarmonia e di degrado, "restituendoci alla memoria-come ha rilevato lo scrittore Carmelo Pirrera-assieme ad antiche emozioni, immagini smarrite e ritrovate lungo le strade di un tempo irredemibile e momenti che non credevano di farsi storia". 

Sulle impronte lasciate dal grande passato di questa rinomata Città d'arte, c'è chi come me ha imparato a sognare, a sperare. 
Sì, a sperare di non doversi più indignare per i guasti mostruosi consumati sul territorio e per l'onta dei delitti perpetrati  dalla mafia contro la società civile fino ai giorni nostri. ...
Nel circolo, lo sport sollecita da sempre interesse e dibattito. 
Il ciclismo e il calcio, soprattutto...
Fra i più assidui del Circolo (medici, avvocati, magistrati, militari, insegnanti, alti burocrati dello Stato e della Regione, docenti universitari, ufficiali superiori dell'Arma dei carabinieri, politici)... Tutti personaggi che durante i loro brevi soggiorni nella città natale, mentre l'accudiente del Circolo continuava come di consueto a portare caffè e bibite fresche, erano soliti intrattenersi con i soci e con essi perdersi nel piacere di dar conto del tempo trascorso. No, non credono alla sicilitudine ma restano dell'opinione che agli intellettuali, la Sicilia continua a non consentire di partecipare pienamente alla vita nazionale. Mentre è vero che fra gli uomini, i luoghi e il tempo esiste una simbolica e autentica religione e che il passato degli uomini è la tradizione che sta nel quotidiano, la nostra eredità feconda. Di questo e del suo film "Uccellacci e uccellini", si ragionò con Pier Paolo Pasolini (armato di un registratore a tracolla) sostando vicino alle persiane del Circolo, una calda domenica mattina della primavera del 1967 dove, il 15 novembre del 1990 ci fermammo a parlare, all'uscita dalla cattedrale, con il celebre scrittore brasiliano Jorge Amadao, al quale non sfuggì come quel posto, per i soci del Circolo, potesse costituire un punto di osservazione privilegiato, una finestra sulla Piazza Grande (altra denominazione di piazza Vittorio Emanuele), dove financo l'incidere della gente può segnalare eventi e allertare i radar dei più curiosi.

...come al Circolo Italia, si può essere certi di vedersi ad ore precise, pronti a sbriciolare pomeriggi e serate in pungente e affettuosa o rissosa compagnia. Ma anche a distendersi dopo il lavoro o soltanto per starsene davanti al televisore che li colma di immagini senza affetto o a guardare le ragazze che passano, lusingandole di apprezzamenti sulla loro avvenenza (un orecchino d'argento al naso, la vita sottile, i pantaloncini bassi sui fianchi, la coscia opulenta, l'ancheggiare flamenco!). Che le donne di Monreale siano belle tanto da sembrare irraggiungibili, si è tutti d'accordo. Non lo era certamente Andrej Belyj il quale in "Viaggio in Italia" racconta pure che nella città di Guglielmo il normanno "così piccola [che], il sasso scagliato giù da un ragazzino, non la raggiunge", nel 1910, scrive di avere incontrato soltanto qualche "fanciulla pallida, dal viso labbruto". Di diverso avviso il professor Calcedonio: "Più che Castrenza - suoleva ripetere - le donne di Monreale dovrebbero chiamarsi Elena, ovvero il destino della bellezza". 

...Ma se non si prova a riflettere bene, il "Circolo Italia" di Monreale può apparire come un sodalizio senza storia. 
...Monreale una città senza prevalenti immagini esterne e per certi versi, nascosta. Nascosta come quella parete muraria d'epoca normanna ma di fattura differente rispetto agli altri edifici compresi nell'area monumentale del Duomo, venuta alla luce recentemente durante i lavori di restauro della Chiesa degli Agonizzanti e dell'ex Convitto Guglielmo... per cui è opportuno indagare i motivi dell'oblio, recuperare la morfologia dell'area adiacente al complesso monumentale abbaziale, alzare lo sguardo oltre le lunghe chiome delle palme superstiti del baglio quand'anche la violenza della tramontana ne tormentasse il tronco alto e snello, al di là delle grate del Collegio di Maria, entrare nel cuore segreto di questa città e scrivere un nuovo capitolo della sua storia. E indagarne meglio le ragioni del suo essersi sviluppata sulle amene propaggini del monte caputo fra candelieri d'agave, ciuffi d'ampelodèsma e di ginestre ubriache di vento e di luce. E immaginare che la ferita inferta dalla "Cava" in quel paesaggio rupestre dove dal 1843 si staglia in bello stile neoclassico la Chiesa della Madonna delle Croci, possa sanarsi ospitando un grande teatro.

E prendere coscienza dei motivi per cui i normanni incastonarono nell'ipogeo  di questa mirabile dolòmia del quaternario la Basilica di Santa Maria La Nuova. Che come un grande vascello si proietta sul mare dove i potenti Arcivescovi monrealesi, fra i privilegi concessi con il "mero e misto impero", avevano facoltà di tenere cinque saettie nel porto di palermo, con libertà di pescare liberamente in tutti i mari della Sicilia.
Putroppo per Monreale, il suo glorioso passato non si è fatto tradizione vivente, nè la cittadina è riuscita ad uscire dalle strette logiche municipalistiche che ne hanno impedito uno sviluppo degno del suo ruolo europeo...
Gli storici scrivono di Monreale come di una "Civitas" sorta accanto all'Abbazia benedettina probabilmente accessoria al disegno del suo giovane e illuminato fondatore, il re normanno Guglielmo II, ma destinata ad essere una delle Signorie feudali più ricche d'Europa.
La giovane saggista siciliana Amelia Crisantino, in una sua interessante opera - "Della segreta e operosa associazione", Sellerio 2000), ha potuto documentare come, nel tempo, Monreale sia diventata "una città artificiale, nata sotto il segno della violenza, con le radici penetranti in un magma di lotte non risolte che la condizioneranno nei secoli futuri".
Dopo il Concilio di Trento e soprattutto con la "Costituzione siciliana" del 1812 cessarono definitivamente i poteri temporali per cui gli arcivescovi riscuotevano le imposte, provvedevano alle opere di interesse pubblico ed esercitavano poteri civili e giudiziari, e nella Chiesa cominciò a prendere il sopravvento lo spirituale e nella società il senso civico.  Ma già avevano cominciato a prendere corpo "sette o associazioni criminali" che in breve assunsero tutti i caratteri della famiglia mafiosa. 
Una realtà, quella di Monreale, che si rivelerà più complessa di quella prefigurata da Garibaldi, quando, venendo da Calatafimi, raggiunte le prime case di Pioppo (sopra Monreale) nella lettera che porta la data del 10 maggio 1860, aveva scritto a Rosolino Pilo:
< Penso di marciare verso Monreale nelle tarde ore della giornata>. Ma resosi conto della resistenza opposta dai borboni che in forze presidiavano la cittadina, aggirò l'ostacolo entrando, con uno stratagemma, a Palermo dalla parte di Gibilrossa. Circostanza di cui l'Eroe dei Due Mondi ebbe riscontro ventidue anni dopo, nel 1882, quando, -come ricorda lo storico Giuseppe Schirò - in occasione del VI Centenario del Vespro Siciliano, vecchio, infermo e prossimo alla fine, venendo a Monreale trova le porte del Duomo e dell'Arcivescovado chiuse. Non scende neppure dalla carrozza che sosta proprio nei pressi dell'attuale Circolo Italia, gli viene offerto un brodo ristoratore e, con espressione di sdegno, appone la sua firma nell'album d'onore che si custodisce nel Palazzo di Città.
Nel Circolo dei civili queste storie vengono sfiorate appena. Si preferisce evocare il distico latino dettato da Antonio Venziano in occasione della erezione della fonte sottomessa del "Pozzillo", col quale il poeta invitava i passanti a bere di quell'acqua, nonostante i pareri contrari dei medici: "Huc sitiens aeger prospera fontemque salubrem huc tute medico vel  prohibente bibas". 
O chiamare in causa con il caposcuola dell'arte musiva monrealese, Masi Oddo (sec. XVI), il ceramista Andrea Pantaleo (sec. XVII) e la sequela dei mosaicisti operanti nella cittadina, tutti debitori del Maestro di tutti, Benedetto Messina: Pino Anselmo, Roberto Bruno, Angelo e Giosuè Cangemi, Gaetano Ferraro, Nino Renda, Sebastiano Tamburello, Piero Villanti, Giampiero Virga...
In verità - scriveva Sebastiano Addamo nel '94 - i soci dei circoli "parlano di tutto e di niente, del lavoro, dell'annata, dei prezzi; qualche volta della situazione politica, spesso di donne. Parlano, parlano o chiacchierano, consumano il tempo"..."Naturalmente, si parla anche di uomini, naturalmente degli assenti. E' questo il motivo, subdolo e nascosto, per cui gli uomini rimangono così a lungo a chiacchierare". 
E Giuseppe Bosco, in un suo articolo del 1967 pubblicato su " Il pensiero del Sud" sostiene come... i soci dei Circoli dei Civili... sono al di fuori e al di sopra di tutto e di tutti...pronti a dir male di tutto e di tutti, tutto facendo tranne ciò che dovrebbero fare....
Oggi qualcuno tenta di introdurre le maniere del talk-show, prova a citare lo scrittore dell'Oregon, Neale Donald Walsch: " La storia dovrebbe essere un racconto esauriente di ciò che è accaduto. La politica invece è sempre un punto di vista di qualcuno: la storia rivela, la politica giustifica, la storia scopre, la politica copre e racconta soltanto un aspetto degli eventi". E c'è chi soggiunge con sussiego che lo scrittore indiano Salman Rushdie potrebbe obiettare che "ogni descrizione è di per sè un gesto politico".
Un assunto questo, che vien fuori con straordinaria efficacia nelle opere pittoriche e musive fortemente allusive cariche di metafore di Pino Anselmo, allor che i prelati indossano mitrie come bandane; nei cordoni cartacei di Giovanni Leto con i quali esempla la condizione magmatica della società; nella realtà in fieri rappresenta nella tattile spazietà concepita da Franco Panella e da Marcello Egitto; nelle originali risignificazioni archetipiche di Sergio Mammina, nelle strutture invetriate animate da astratte policromie di Mario Lo Coco; nei lecortecol di Piero Sabella; nell'assolutezza degli eventi scultorei di Santo Di Bianca; nelle risoluzioni materico-spaziali di Antonino Nacci, nelle declinazioni segniche e gestuali suggerite dall'alfabeto immaginario di Silvio Guardì.
Nel Circolo, il dibattito non va oltre, per tanti motivi. Non ultimo perchè manca la presenza delle donne: come in Tv, graziose e scosciate. Si preferisce tornare al tavolo da gioco o a leggere uno dei quotidiani o qualcuna delle riviste in abbonamento. O fermarsi a osservare il cameriere che, seduto a gambe larghe, dormiva ad occhi aperti. Non sono pochi, infatti, quelli che osservano come in generale nei Circoli dei Civili, i soci di sè non dicono quasi niente, quando parlano, lo fanno per occuparsi di ciò che accade agli altri. Gli ignoranti - secondo l'adagio "chi sa tace e chi non sa parla" - non sapendo nulla, provano a ripetere ciò che altri hanno finito di dire, spesso ribadendo i concetti di chi ha parlato per ultimo. "Ma nessuno di essi -annota l'indimenticabile autore di "Passi a piedi, passi a memoria", Antonio Castelli - prende l'iniziativa, nessuno ce la fa ad andarsene. Perchè sa che, come capitò ad altri i quali, andati  via imprudentemente, lasciarono che al circolo venisse 'letta' la loro vita da quelli rimasti, con puntuale diligenza fino al giorno precedente, anche a lui, nella sua assenza, toccherà la stessa sorte".
Eppure, vien fatto di riferire che tempo fa un intellettuale prestato alla politica, trovandosi al Circolo, stigmatizzasse come, in assenza di un Presidio Sanitario nel Comune, all'anagrafe, da più di tre lustri, non vengano più registrati bambini "nati a Monreale". Le donne di questo Centro (che oggi conta oltre trentamila abitanti), infatti, sono costrette a partorire a Palermo, magari all'Ospedale Ingrassia di Mezzo Monreale, alla Rocca! E c'è chi, per ovviare a questa incongruenza, insiste senza successo nel chiedere che si rivedano i confini comunali.
E qualcuno ricorda che, in passato, qualche indesiderato neonato veniva lasciato alla ruota dei trovatelli di qualche monastero. Poi il discorso scivola, senza un apparente motivo, nella globalizzazione: si dice che, se accompagnata da un allargamento della democrazia e delle libertà individuali, può diventare un fattore di crescita e di sostanziale benessere. Su uno dei quotidiani abbandonati sul divano c'è scritto che la globalizzazione è il nome nuovo della questione sociale.
Zio Tetè, gli occhi grandi e chiari su una faccia larga e piena di simpatia, un neo sul mento, quando rideva chiudeva un occhio e alzava un sopracciglio, come Vittorini, pochi capelli in testa, di media statura, amava ripetere che non voleva morire ma che gli sarebbe piaciuto andare al suo funerale.
Quella sera d'estate incipiente, seduto su un comodo divano vicino al pianoforte, si era appisolato ascoltando il telegiornale. Quando il Circolo si svuotò, Binirittu, il cameriere-cronista, riordinò le stanze e, dopo aver finto di tossire, alzò di scatto il volume del televisore. Zio Tetè aprì gli occhi ma li richiuse subito. Fu allora che il cameriere, testeggiando e sorridendo fra i baffetti sali e pepe, gli fece la solita domanda: "Don Tetè, cosa ha sognato?", "Ho forse parlato, cosa ho detto?", s'affretto a chiedere, sbagliando. E poi: "No, non andavo al mio funerale. Ero su una nave, tornavo dall'America. Ma poi mi ritrovavo seduto in terrazza nella mia campagna a Strazzasiti, insieme a gente che neppure conoscevo e che parlava una lingua che non capivo. Sotto il noce, tanti ragazzi e ragazze con pochi abiti addosso che ascoltavano musica, cantando. Si mangiava all'aperto: melenzane ripiene, sfincione, salsiccia alla brace...Poco distante si sentiva un dindonìo di remoti campanacci. Arrivò pure l'Arcivescovo. Parlava e parlava stando in piedi, bevendo vino dei vigneti di Grisì. A me chiese notizie del Circolo, quindi, senza aspettare la risposta mi disse di seguirlo nella processione, che in paese s'era cominciata a snodare dalla Badìa, con la Madonna del Popolo. E' a quel punto che mi hai svegliato. Che sogno strano, domani mattina dovrò andare a giocare al lotto: nave, arcivescovo, circolo, processione..., non ti pare?"
Luigi Malerba gli avrebbe raccomandato di considerare che "il sogno è il luogo di tutte le ambiguità, l'anagrafe di tutti i fantasmi che popolano la nostra mente, lo spazio dove s'incontrano persone e cose della vita ma che più spesso esistono solo lì e non  hanno alcun riscontro nella realtà".
Il paese cresce, s'allunga. S'allunga a belvedere sui famosi diaspri del Caputo, citati nell'Enciclopedia Treccani e resi familiari dall'appassionato ricercatore-collezionista monrealese Franco Tusa. La città s'avvolge come una conchiglia dove il suono non muore mai, scivola lentamente dal Castellaccio verso la Favara, si fa chiesa, arte, poesia; si fa tutta paesaggio. Di fatto, fino agli inizi del secolo scorso, a Monreale, per certi aspetti, era ancora prevalente l'immagine che della Sicilia aveva dato il sambucese Emanuele Navarro della Miraglia, l'autore della "Nana" (1879) dove, secondo lo studioso Salvo Zarcone, l'isola "è presentata come luogo delle percezioni, soprattutto visive attraverso gli elementi diversi del paesaggio, ma anche cromatiche e olfattive che vengono collocate spesso in primo piano".
Un paesaggio nel quale, nel ricordo di Renè  Bazin (1891), "ci sono tanti aranci, tanti limoni, tanti alberi dai sentori inebrianti, che gli abitanti di Monreale, nella stagione dei fiori sono costretti in alcune ore a chiudere le loro finestre per non respirare l'aria troppo carica di profumi"; sul quale si è fermata anche l'attenzione di grandi Viaggiatori come Alexandre Dumas, Guy De Maupassant, Dominique Fernandez, di insigni storici e critici d'arte come Wolfgang Kronig, Ernest Kitzinger, Roberto Salvini, Bernhard Berenson, di scrittori come Federico Munter, Bonaventura Tecchi ed Ernest Junger che Tommaso Romano in una sua poesia del 1986, ricorda in uno stupafacente colloquio con un gatto, al Chiostro dei benedettini, che mi ha ricordato il fair play del gatto Raffaele del poeta Lucio Zinna. Episodio che Romano, dieci anni dopo-era il 15 dicembre-raccontò allo scrittore Giuseppe Bonaviri che, distrattamente, invece di entrare nel portone del Municipio, si era trovato fra i soci del Circolo Italia.
Sull'onda dei sentimenti suscitati dalle tracce lasciate dal tempo, si va facendo sempre più forte l'esigenza di tutelare certi luoghi, non solo nelle strutture architettoniche, ma anche nella loro anima e financo di proteggere certi odori, non solo nelle strutture architettoniche, ma anche nella loro anima e financo di proteggere certi odori, certi sapori.
Poi a poco a poco gli orti, i frutteti prosperosi di fichi peri susini ciliegi peschi gelsi cotogni melograni, si allontanano, si allontanano i giardini ricchi di agrume; la Conca d'oro si spegne, annota sconsolato Vincenzo Consolo, si disseccano le belle e artistiche Fontane, il cielo sopra i boschi di Casaboli e di San Martino delle Scale, sfiorano dall'alito del drago si perde in vampe piromani, gli alberi si stringono fra loro come per resistere, cambia, come avverte Guido Ceronetti, l'immagine che della Città del Colle dei Re, ci hanno offerto poeti come Salvatore Di Marco e personalità poliedriche come Benedetto Messina, il patriarca degli artisti monrealesi (come è piaciuto appellarlo allo storico dell'arte Antonina Greco), che, muovendosi  tra naturalismo e realismo, tra perfezione formale e tensione ideale, ci hanno consegnato scorci e paesaggi oggi difficile a identificare.
Sulla stessa lunghezza d'onda, anche se con un sentire diverso, le opere dei pittori Francesco Paolo Bosco, Andrea Terzi, Salvino Spinnato, Giovan Battista Caputo, Benedetto Norcia, dello scultore corleonese Biagio Governali, e dei ceramisti Elisa Messina, Calogero Gambino, Rorò Zuccaro, Nicolò Giuliano, Liliana Vaglica, Cristina Trifirò... In alcune delle loro composizioni, per esempio, si può intuire come di mattina, le discrete umili case incastonate nel fitto ricamo dell'antico quartiere della "Ciambra" rivelino improvvisamente un'anima di luce che contrasta con l'impressione che se ne riceve adesso, percorrendola a piedi, fra pareti ingemmate di capperi, pannocchie di yasmin e lentischi.
Ma può accadere che dall'antica dimora estiva dei Principi di Cutò quasi contigua al palazzo dell'Arcivescovo, si odono le note dolcissime d'un violino agìto con estrema perizia dal Maestro Francesco La Bruna che, insieme al fratello scultore, Giuseppe, ha rilevato il palazzo curandone il restauro. E di ascoltare recitare "O fortunati cigni" del Veneziano, dagli altri fratelli Vannina e Paolo. E che nel "Giardino dei desideri" dei F.lli Di Giovanni, in fondo a via Torres, gruppi di turisti si fermino a consumare fresche granite di gelato al limone e, nelle rinomate pasticcerie del Centro, buccellati spolverati di zucchero a velo, croccanti cannoli abbuffati di ricotta.
Essi sanno bene, infatti, che le città si riconoscono al passo, come gli uomini.
Il bagliore inesauribile intimamente suscitato dagli ottomila metriquadrati di tessere d'oro musive del Tempio più bello del mondo che nessuna città, neppure Costantinopoli possiede, torna a ridosso dell'articolato sistema di costolature germinanti dall'incrocio degli archi ogivali d'ascendenza islamica, si stempera davanti all'intarsio murario policromo della mole absidale in perenne dialogo con il cielo. Parafrasando un detto della tradizione giudaica riferito a Gerusalemme, si potrebbe dire che: " Il mondo è come l'occhio: il mare è il bianco, la terra è l'iride, Monreale è la pupilla e l'immagine in essa riflessa è il tempio".
Ma l'amore per una città non può essere sottomesso soltanto alle emozioni. Deve passare, come ammoniva l'avv. Luigi Zanna, anche attraverso il filtro della ragione.
Deve sostanziarsi in una costante riflessione sull'intero arco della sua storia per uscire dalle secche del cinismo culturale e riconoscersi nelle sue migliori tradizioni.
Ma non si deve dimenticare che gli uomini hanno bisogno di un'occorrenza nella quale riconoscersi. L'evento nel quale i monrealesi riaffermano la loro identità meticcia è legato alla tradizionale Festa del "tre di Maggio", quando la Fratellanza porta a spalla per le strade cittadine il Venerato Crocifisso cinquecentesco della Collegiata, così come l'ha ripresa nelle sue tele il famoso pittore monrealese Saverio Terruso, con impareggiabile vigore e partecipazione.
Mons Regalis, Monreale, Montreal. Un Monte, una Basilica, un Chiostro dove si respira il silenzio, un Crocifisso miracoloso, la Cittadella della metafisica, l'Atene di Sicilia.
Oggi si fa fatica a immaginare che in questa città siano nati straordinari poeti come il celebre cantore di "Celia", di Antonio Veneziano, verso il quale Cervantes si sentiva attratto con la stessa riverenza che l'allievo prova venendo a Monreale propose di istituire una Libera Università di Cultura Siciliana; valenti filosofi come Vincenzo Miceli e Benedetto D'Acquisto, lo storico Canonico prof. Gaetano Millunzi, che per le sue eccezionali qualità intellettuali e culturali Papa Leone XIII avrebbe voluto in Vaticano, morto il 13 settembre del 1920 a 63 anni assassinato dalla mafia, nella sua villetta di Realcelsi.
Così come può apparire inverosimile che in questo Centro siano nati eccellenti pittori come Pietro Novelli e Antonino Leto. 
Di quest'ultimo, come riferisce Nicola Giordano in " Monrealesi illustri" (1964), il Circolo Italia custodisce uno splendido paesaggio del 1864, certamente apprezzato dal famoso critico d'arte della Fiera letteraria, Giuseppe Sciortino (Monreale 1900 - Roma 1971), al quale nel 1974, dietro mia proposta, è stata dedicata la Civica Galleria d'Arte Moderna aperta al pubblico nel 1996, a seguito della donazione comprendente 264 opere, molte delle quali di illustri artisti italiani del Novecento, fatta dalla direttrice della "Galleria del Vantaggio" di Roma, Eleonora Posabella, pittrice e compagna di vita dello scrittore monrealese.
Stando in ascolto, con il desiderio e la curiosità di mettere a confronto la realtà con l'immaginazione, questa quasi-storia di un circolo di provincia mi ha portato ad esprimermi come in un racconto, cercando di dare alla parola scritta l'immediatezza e la semplicità della parola parlata e anche l'emozione. Il destro seguitano a darlo i soci del sodalizio sempre pronti ad indagare nella memoria, ad annodare  con cucirini colorati piccole storie del quotidiano, ad arricchire le loro conversazioni di ricordi vicini e lontani: le riprese del film "Il caso Pisciotta",effettuate nel 1972, protagonista l'attore Angrisano con la regia di Eriprando Visconti (di cui mi hanno riferito Gildo Matera e Salvatore Cangelosi); le occasioni in cui, per iniziativa del Presidente Giovanni La Face, nel Circolo si organizzavano serate danzanti; le burle architettate ad amici buontemponi (e qui, le 'nciurie, le frasi cifrate, i risvolti piccanti di talune situazioni), il racconto dei molti emigranti che hanno fatto fortuna, dei viaggi all'estero, le storie di fuitine, di preti che hanno dismesso l'abito, le pasquette trascorse nelle ville di Aquino, Miccine, Giacalone. le grandi abbuffate; la coerenza di chi mastica le radici amare delle illusioni mancate o di continuare ad impiccarsi sull'altare delle ideologie declinanti in attesa di un segno di riscossa; i severi giudizi su tanti amministratori della città; gli esiti delle partite di calcio, i programmi televisivi...
Con un ossimoro inautentico, potremmo dire che c'è una indifferenza appassionata, la stessa che dovette sorprendere i soci del Circolo Italia, quel sabato pomeriggio del 16 febbraio del 1991, quando al termine di un vibrante intervento, il cuore del professore Antonino  Noto (stimato maitre a penser di molte generazioni di giovani) si fermò improvvisamente accasciandosi sulla poltrona dalla quale lo studioso aveva più volte espresso la convinzione che il problema etico investe e coinvolge tutti i valori e la vita dell'uomo in ogni suo aspetto.
Un assunto che ha fatto sì che non sempre, in ambienti siffatti, si siano trovati a proprio agio i cosiddetti "intellettuali" dei quali grande rimane l'obbligo morale ad essere veri verso se stessi e con ciò che credono essere la verità. Ancora oggi, il problema essenziale è quello di operare perchè un paese democratico sappia trasformare anche gli "estremismi" in risorse culturali per l'arricchimento del confronto.
Argomenti di cui Antonino Noto - "uomo di sinistra che a noi studenti, ricorda Gianni Riotta, già nel lontano 1969, faceva leggere le opere di Karl Popper sulla scienza e la società aperta"-, dà conto in interessanti pubblicazioni come "L'amore e la legge", "Le logiche non classiche" e "Solitudine, angoscia e mito", con uno stile di pensiero personalissimo, espressivo anche letterariamente. Poichè è vero che "la filosofia argomenta, spiega, ragiona, ma non dimostra, semmai - come afferma il noto filosofo, studioso del nichilismo, Sergio Givone - interpreta ed è del tutto naturale, che avendo la filosofia una natura eminentemente linguistica, un (grande) filosofo ricorra alla letteratura". 
Come dovremo convincerci che per opporsi al declino spirituale del genere umano, sarà necessario ritrovare ua nuova passione per l'uomo e immaginare e sognare un nuovo umanesimo che sappia radicarsi nel nostro tempo disorientato e un po crudele. 
 post creato da  R. M.


"
...pagine, di alto valore letterario, 
la vita del Circolo si intreccia con la storia della cittadina normanna che, oltre a custodire una delle più belle Cattedrali del mondo, ha avuto un ruolo significativo nell'arte e nelle vicende culturali e socioeconomiche del paese. ..."

Tommaso Romano
Presidente della FondazioneThuleCultura

Alessio Lo Conti "LE FIGURE DELL'ANIMA"

 Le Figure dell'Anima


Avvicinarsi minimamente alla realtà è già impresa ardua che richiede attenzione, cura e curiosità. 
Avvicinarsi al mondo percepito si presta inoltre a innumerevoli interpretazioni e sfumature. 
Proprio queste ultime sono da cogliere nel lavoro del giovane artista Alessio Lo Conti  approcciandosi nel visionario il suo lavoro il più possibile con nuove chiavi di lettura e cercando di immaginare le lenti usate per visionare la sua realtà. 
Con l'esperta guida del suo maestro Angelo Denaro, l'allievo ha trascritto scorci di esperienze attraverso la sua soggettività portandoci dentro una realtà da osservare ma soprattutto da codificare con avidità e curiosità
GIANLUCA VALENTI