La Nottola di Minerva

“LA NOTTOLA DI MINERVA”
Ex Monastero dei Benedettini






16 Febbraio

PAROLA E LIBERTA’, UNA TESTIMONIANZA VIVENTE

7 Marzo
AL LARGO DI ITACA:LO STEREOTIPO DEL FEMMINILE

13 Aprile
LA SPERANZA: ATTESA  FIDUCIOSA DI UN BENE FUTURO

L’iniziativa culturale è stata promossa dalla prof.ssa Maria Rita Fedele, Consulente del Comune di Monreale e Docente di Storia e Filosofia del Liceo Scientifico “E. Basile” di Monreale.
Sono state scelte tre tematiche sociali importanti, soprattutto per le nuove generazioni, quella della mafia e della libertà, quella dell’identità della donna ed infine quella della speranza, nel senso filosofico, come attesa fiduciosa di un bene futuro.

La proposta culturale è stata ben accolta dall’Amministrazione comunale, dal Sindaco Avv. Piero Capizzi, dall’Assessore ai Beni Culturali e Promozione del Territorio Dott. Ignazio Zuccaro, dall’Assessore alla Cultura e Pubblica Istruzione, Arch. Nadia Olga Granà,
La prima tematica viene ospitata negli spazi dell’ex monastero dei Benedettini negli spazi dell'ex Refettorio dei Benedettini oggi Sala Consiliare del Comune di Monreale.


16 Febbraio
PAROLA E LIBERTA’, UNA TESTIMONIANZA VIVENTE




Il sindaco Avv. Piero Capizzi, saluta i presenti per la partecipazione a questo appuntamento culturale e ringrazia la prof.ssa Fedele per avere realizzato con gli studenti del liceo questo importante progetto che possa, insieme a tanti altri futuri, contribuire per uno sviluppo migliore e civile del nostro paese. 






< L’idea del titolo - spiega la prof.ssa Fedele – unisce classicità e modernità, passato e presente quasi a voler suggerire che per comprendere e affrontare i problemi del del nostro tempo, occorre partire dal passato, esaminare ciò che è stato, trarre dal passato insegnamenti per non incorrere negli errori commessi già una volta. Il legame tra passato e presente è stato reso dalla scelta stilistica non casuale di alcuni elementi come il capitello, simbolo della cornice classica della nostra cultura, la moneta greca, la dracma, in cui nel dritto, è raffigurata la nottola, una specie di civetta, la moneta della lira, in cui è raffigurata Minerva, divinità romana della saggezza>.


L’incontro ha inizio con l’intervento del Redattore Antimafia Duemila Aaron Pettinari che ringrazia l’ Amministrazione Comunale e la Prof.ssa Fedele  del Liceo Scientifico di Monreale per avere organizzato questo appuntamento che permette di trasmettere certe notizie, soprattutto quando si ha una testimonianza vivente come Salvo Vitale, amico di Peppino Impastato e autore del libro che, in questa sede, verrà presentato.
Un ringraziamento lo rivolge agli alunni del Liceo Scientifico di Monreale per la loro fondamentale partecipazione.
< La storia di Peppino Impastato – aggiunge Pettinari -  va oltre l’aspetto giornalistico: è quella del cittadino impegnato, del politico, dell’artista, dal momento che scriveva parecchie e svariate cose. “Cento Passi ancora” richiama il film “Cento passi” di Marco Tullio Giordana e ripercorre, con il saggio, la seconda fase: quella del travaglio che vive la famiglia di Peppino Impastato, del volere cercare ad ogni costo la verità, di lottare per raggiungere una giustizia che purtroppo arriva molto tempo dopo!”
Su Peppino Impastato vi è stato un enorme depistaggio delle indagini… “la controinchiesta dei compagni, le vicende processuali, la vita di Radio Aut, la lunga notte di Felicia e la sua ostinata richiesta di giustizia. Ventidue anni di lotta contro la mafia e uno slogan scritto in uno striscione portato ai funerali, che ha accompagnato, da allora ad oggi, ogni scelta dei suoi compagni: “con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”.
La Prof.ssa Fedele ringrazia il Sindaco, l’Assessore ai Beni Culturali Ignazio Zuccaro per la realizzazione dell’evento, l’Assessore alla Pubblica Istruzione Nadia Olga Granà per avere coinvolto le scuole del territorio e gli alunni del liceo scientifico per avere mostrato un costante e serio impegno per il buon esito finale della loro drammatizzazione.

Gli alunni del Liceo scientifico danno inizio alla loro drammatizzazione ed ognuno fa lettura di alcune pagine del libro di Salvo Vitale in particolare quelle che raccontano la giornata del 9 Maggio 1978: primo giorno (dall’uccisione di Peppino Impastato).








DAL LIBRO di Salvo Vitale <CENTO PASSI ANCORA>


Le sette del mattino. Notte insonne alla ricerca di Peppino. Eravamo scesi dalla radio, eravamo saliti in macchina assieme, mi aveva lasciato poco giù, dove abitavo, <ciao, ci vediamo alle 9>, poi più nulla. Torno a casa in mattinata e aspetto qualche notizia. Puntuale la notizia arriva. Suonano il campanello: dalle sbarrwe della persiana li vedo. Agostino, Vito, con la sua cinquecento scassata, in motorino arriva Fanny sconvolta. Il tempo di aprire e Agostino, gelido:
-Ammazzaru a Pippinu.
E’ il pugnale che entra tra le costole e arriva dritto al cuore. Ma non c’è tempo di sentire il dolore. Indosso in tutta fretta camicia, pantaloni, ho il tempo di dire a Silvana <pensa ai bambini>, esco con le ciabatte:
-Alla radio, senza perder tempo.
La radio è a cento metri da casa mia. Cominciamo a raccogliere tutto quello che c’è da portar via, la carpetta con i notiziari, le cassette con <Onda pazza>, alcune cassette di Radio <Onda Rossa>, qualche libro dal titolo pericoloso che potrebbe stimolare la fervida fantasia degli inquirenti. Prendo con me le cassette, Fanny porta via il resto per nasconderlo a casa di sua madre, poi andiamo sul posto del delitto. Una stradina molto stretta, delimitata da due muretti in pietra rotta, in contrada Feudo Siino-Orsa, una traversa della strada che costeggia il reticolato dell’aeroporto. Peppino, che guidava da cani e non aveva la patente, non avrebbe mai potuto entrare in quella stradina senza urtare con la macchina in qualche parte dei muri. Una sorta di cordone protettivo di carabinieri, con i loro mezzi, ci impedisce di andare avanti. C’è un gran da fare dappertutto. Stanno ricostruendo il binario, divelto per circa mezzo metro e ricoprendo una buca sotto la massicciata. Sui fili della luce, tirati tra un palo e l’altro, si notano brandelli di carne penzolanti: qualche gazza va a beccarli. Il maresciallo di Cinisi si avvicina e ci dice di presentarci in casernma. Arriva Liborio, il necroforo comunale e gli stiamo tutti attorno. E’ sconvolto:
-Picciotti, chiddu chi vittiru l’occhi miei non vi lu pozzu cuntari. Era tuttu pizzuddicchia. Un pezzu di testa, tri ghirita, l’occhiali, i sannali. A na banna attruvai na coscia sana .
Ti abbiamo visto abbassarti verso la macchiona e raccogliere qualcosa.
Erano tri chiavi sparse sul terreno. Poi u maresciallu mi disse: - <Bisogna trovare un’altra chiave, cerca lì>. Pareva chi u sapeva. E circannu in mezzu a li petri e vicino a una zabara truvai una chiave Yale. Truvai puru, vicinu a la stalla, una pietra, un cuculuni, lordu di sangu.
Inutile stare lì a guardare senza poter fare niente. Mi faccio riaccompagnare a casa. Mentre scendo dalla macchina vedo una camionetta dei carabinieri fermarsi davanti a Radio Aut, abito ad un centinaio di metri. Mi avvicino. Sono in due. Stanno armeggiando con una chiave Yale intorno alla serratura.
-Chi via ha dato quella chiave? – chiedo a uno dei due.
-Scusi, lei chi è?
-Sono un redattore della radio.
-La chiave è quella dell’Impastato.
Subito faccio una riflessione: Peppino teneva questa chiave assieme ad altre e in essa non c’era alcun segno di riconoscimento: come potevano i carabinieri sapere che quella che avevano in mano era la chiave della radio? Passa di là, per caso, Vincenzo Puleo, uno del Pci che, qualche anno prima, frequentava il circolo < Musica e Cultura>. Si ferma e urla ai carabinieri:
-Con quale permesso state entrando? Avete un mandato di perquisizione?
Quelli bofonchiano: -Eseguiamo gli ordini: lei chi è? Mi mostri i documenti.
Salgono la scala, buttano per aria le carte rimaste, salgono in terrazzo e scendono trionfanti con una matassa di filo grigio:
E’ uguale a quello che pendeva dai fili della batteria della macchina- sussurra un altro. Trovata la prova se ne vanno soddisfatti.
Torno a casa. Sulla soglia trovo mia madre che mi dice:
-U sintisti? L’amicu tuo satau nall’aria mentri mitteva na bumma pi fari satari u primu trenu. Vuleva fari moriri a tanti cristiani chi si vo vuscanu u pani.
E giù un altro colpo di pugnale: ormai la notizia ha fatto il giro del paese, anzi dei due paesi, Cinisi e Terrasini, proprioo nel modo in cui l’avevano ideata e messa in pratica gli assassini: un attentato fallito. E, per colmo di raffinatezza, non si tratta di un treno qualsiasi, ma di quello che porta i lavoratori e gli studenti a Palermo: così è distrutta non solo la memoria, ma tutta l’attività politica di Peppino, che alla causa dei lavoratori e degli studenti aveva dedicato la vita. Adesso invece si dice che aveva intenzione di farli saltare in aria. Come avrebbe potuto fare, visto che il treno sarebbe passato molte ore dopo l’esplosione, è un problema che non interessa. Sembra che il cerchio ci si chiuda addosso e che, nell’aria nazionale di indignazione e di antiterrorismo, noi, i compagni di Peppino, siamo diventati tutti terroristi o complici di un terrorista. Il paese si affretta subito ad accettare la notizia, quasi con un respiro liberatorio: questo Impastato è un pazzo, un sovversivo, un vagabondo, uno che non vuole lavorare e che gioca a fare il rivoluzionario, uno che vuole cambiare il mondo e che se la prende con persone rispettabili che nulla gli hanno fatto di male: insomma, è uno che, nei confronti del sistema che lo circonda, rispetto all’aria cheta e ipocrita della piccola borghesia di paese, rappresenta un corpo estraneo, una presenza non omogenea né desiderata. Quindi bene così: è saltato in aria e con lui tutte le sue fantasie: <La bomba non è solo un attrezzo, ma il comunismo stesso come ideologia che finisce col distruggere chi lo professa, la forza del male già a priori insita nei contenuti della scelta di rottura, la condanna di un’esperienza non gradita e scomoda>.
Intanto proseguono le indagini. Quattro camionette si presentano davanti alla casa di Peppino: senza troppo cerimonie e senza alcuna delicatezza allontanano con uno spintone la madre di  Peppino che, frastornata, chiede di sapere cosa sta succedendo, e iniziano un’accurata perquisizione, portando via cinque sacchi di materiale, soprattutto libri. Qualcuno ritiene pericolosissimo il libro di Erich Fromm Anatomia della distruttività umana, qualche altro sequestra Stato e rivoluzione di Lenin e un altro libro che circolava quasi di nascosto, In caso di golpe, edito da Savelli, dove sono minuziosamente spiegate e illustrate tutte le tecniche di difesa e di offesa, compresa la preparazione di una bottiglia molotov. Perquisizioni nelle case di sei compagni, con il magro bottino di un coltello da cucina, sequestrato a Vito e, a casa di Giampiero, del numero di <Panorama>, quella settimana in edicola, con la stella delle Brigate Rosse in copertina. Perquisizione anche nella casa della zia di Peppino, dove egli dormiva e dove, un ausiliario di fresca assunzione, tal Carmelo Canale, che in seguito sarà accusato di concorso in associazione mafiosa, in forza alla caserma di Partinico, trova, frugando in un cassetto, una lettera che dà all’indagine una svolta diversa  e, per alcuni aspetti, complementare con la pista dell’attentato: suicidio.
Incominciano gli estenuanti interrogatori alla caserma di Cinisi: Giovanni Impastato è tenuto sotto torchio per circa sei ore: vogliono sapere se c’erano contrasti al nostro interno, che frequentava Peppino e, soprattutto, vogliono una spiegazione su alcune foto, da lui scattate, su richiesta di Peppino, in un recente viaggio a Roma, rinvenute durante la perquisizione: reperti che autorizzano gli inquirenti a ipotizzare fantastiche collusioni con il rapimento di Moro. Non manca qualche attrito con il maggiore dei carabinieri di Palermo Subranni, il quale è ossessionato dall’idea di trovare una bella cellula terroristica in Sicilia, ovvero in una terra dove il terrorismo politico non è mai attecchito, perché il traffico delle armi e il controllo del territorio sono rigidamente sotto la tutela della mafia. All’ipotesi dell’attentato sembra credere poco anche il capitano Emanuele Basile, della compagnia di Monreale, che entra solo di passaggio nell’indagine e che, anno dopo, sarà assassinato dalla mafia.
Caserma di Cinisi:
Lo Duca Vito, si accomodi…Come si chiama?
Vito guarda stranito: - Perché non lo sa?
-Non faccia lo spiritoso e risponda alle domande. Come si chiama?
-Minchia, ora ora mi ha chiamato: Lo Duca Vito, e ora mi chiede come mi chiamo. Mah! Cose da pazzi!
Vito non è un uomo di cultura, è un muratore. Ha conosciuto Peppino qualche anno prima, quando si era interessato ai problemi degli edili, ed è rimasto affascinato dalle sue idee. Da allora è stato sempre la sua ombra, il suo accompagnatore più costante. Crede nella forza della rivoluzione e nella lotta armata come suo momento di sviluppo: non è di quelli che pensano sia arrivato il momento di sparare, ma ritiene che bisogna prepararsi anche a questa evenienza. Le azioni delle Brigate Rosse lo hanno lasciato, ci hanno lasciato perplessi, infastiditi, nella nostra convinzione che la rivoluzione è lotta di massa e non azione estemporanea e velleitaria di alcune avanguardie. Vito racconta della sera prima, allorchè si è visto pedinare, per diverso tempo, dalla macchina di un muratore, noto frequentatore della casa di Gaetano Badalamenti, parla delle ricerche, senza esito, fatte per tutta la notte; ribadisce la sua convinzione che Peppino sia stato ucciso dai mafiosi di Cinisi. Sembra che i carabinieri ce l’abbiano particolarmente con lui, che lo vogliono accusare di essere il partner che ha collaborato con Peppino nella preparazione dell’attentato.
-Che ci faceva questo coltello a casa sua?
Li guarda allibito:
-E che ci può fare un coltello in un cucina?
-Può andare. Bartolotta Andrea, si accomodi.
Andrea comincia subito:
-State sbagliando tutto. Non capisco perché ve la prendete con noi e non andate a interrogare i mafiosi e a perquisire le loro case. E’ là che dovete cercare.
E il tenente Subranni:
-I mafiosi? E che c’entrano i mafiosi?
-C’entrano, c’entrano, sono stati loro a uccidere Peppino.
-Loro chi?
-Gaetano Badalamenti e la sua cosca.
Interviene il maresciallo Travali:
-Come si permette di accusare un onesto cittadino? E con quali prove?
-Onesto? Marescià…!!! Le prove dovete cercarle voi.
-Cavataio Benedetto. Lei è il direttore della radio?
-Sì, ma se lo sa, perché me lo chiede?
-Risponda alle mie domande: conosceva questa lettera?
Gli sbatte sotto il naso la lettera di Peppino. Benedetto ha il tempo solo di leggere qualche riga.
-Sapeva che Impastato meditava il suicidio?
-Ma quando mai, ma che dice? Lo hanno ammazzato.
Travali e Subranni si guardano con aria complice:
-La Fata Giampiero…perché Impastato due mesi fa ha occupato la radio?
-Per protesta contro quelli che avevano organizzato la manifestazione sul nucleare.
-Perche non era d’accordo?
-Era d’accordo, ma non voleva che, in quel momento si disperdessero troppe forze e che si togliessero energie alla radio
-Chi sono i <personalisti>?
-Quelli che dicono: <Il personale è politico>.
-E che vuol dire?
-Che è anche lei una persona e, come tale, sta facendo politica.
Non capisce che lo sta prendendo in giro.
Si continua la trafila con Fanny Vitale, Giosuè, Pino Manzella, Giovanni Riccobono, faro. Stesse domande, stesso tentativo di estorcere una risposta da cui evincere qualche simpatia per il terrorismo, stesso ossessionante principio di volere capire la dinamica dei rapporti del nostro gruppo e gli eventuali dissensi. Faro chiarisce il mistero dei fili elettrici con la punta spellata, che fuoriuscivano dalla macchina e che sono dello stesso tipo della matassa rinvenuta alla radio: egli lavora alla Sip e aveva usato un pezzo del cavo telefonico in dotazione per collegare le trombe utilizzate per i comizi e per bandizzare, con l’amplificatore e questo, con la batteria della macchina di Peppino. A condurre le indagini è il giudice istruttore Domenico Signorino, che passa per un funzionario integerrimo: anni dopo, era stato anche uno dei pm al maxiprocesso, si suiciderà per i presunti debiti di gioco, e per possibili e mai chiarite collusioni con ambienti mafiosi.
Il pentito Mutolo descriverà minuziosamente la sua casa.
Faccio un salto a casa di Peppino:gente che entra ed esce, alcune donne coetanee di Felicia le girano attorno, ultimo residuo delle prefiche romane, e lei sta lì, in fondo alla stanza, vicina al lettino, seduta e immobile, quasi pietrificata nel suo dolore, quasi assente. Mi avvicino, l’abbraccio, scoppia a piangere:
-Non lo potrai più venire a cercare qui: Peppino non c’è più.
E io: - Carogne. Ma non la passeranno liscia.
Mi guarda e, spaventata ma con voce perentoria, mi sussurra:
-Non fate sciocchezze, Salvo. Tu non li conosci. Quelli sono bestie.

Più tardi ci ritroviamo nella sede del Pci di Cinisi. Sulle pareti qualche manifesto d’epoca, uno di Berlinguer, uno con il simbolo del partito. Ci siamo quasi tutti, le due Fanny, Vito, Giovanni R., Benedetto, Giampiero, Piero, Faro Sip, Faro Svetonio, Pino M, Pino Sciupone, Guido, Paolo, Giacomino, Agostino e io. Ci sono pure quelli del Pci, Fantucchio, Masi Chirco, Vincenzo Puleo, Pippo Palazzolo, Franco e Romano maniaci. Molti di essi sono stati oggetto della satira spietata di Peppino, dopo l’ingresso del Pci nella giunta comunale di Cinisi; molti hanno lavorato con Peppino, hanno distribuito con lui volantini e hanno partecipato alle attività del circolo <Musica e Cultura>. La tristezza ci si stringe addosso implacabile. Ho l’incarico di buttar giù il testo di un volantino: ci provo, senza la mia abituale capacità di saperlo fare: soffro troppo. Alla fine leggo:

<Il compagno Giuseppe Impastato è stato assassinato dalla mafia di Cinisi perché ne denunciava i loschi traffici e le sue collusioni con il mondo locale. Chiediamo a tutti gli uomini onesti della Sicilia di mobilitarsi e chiedere giustizia per questo infame delitto. Chiediamo alle forze dell’ordine di indagare su Gaetano Badalamenti e sulla sua cosca […] Abbiamo tutti l’impegno morale di reagire alla violenza che domina in questo schifo di paese…>.

Mi fermo, mi viene da piangere, continuo a leggere.
<…dove non si può parlare senza la paura di essere uccisi>.
Non riusciamo a resistere alla commozione. Improvvisamente arriva qualcuno con una valigetta, scambia qualche parola con Pippo Palazzolo, il segretario, e questo ci dice:
-Compagni, se, per favore, potete aspettarci fuori, dovremmo discutere qualche minuto tra di noi.
Usciamo, aspettiamo fuori per circa mezzora, poi si apre la porta ed esce Franco Maniaci, il vicesindaco, con un pezzetto di carta in mano:
-Compagni, abbiamo concordato di scrivere, come sezione Pci, questo comunicato:

<In relazione alla morte del giovane Giuseppe Impastato, esponente della lista di Democrazia proletaria, il Pci esprime il suo cordoglio per questa tragedia che ha scosso l’intero paese. La vicenda presenta tuttora pezzi oscuri e inquietanti, che impongono indagini rigorose e attente, senza tralasciare alcun indizio, a cominciare dalgli episodi di intimidazione che si erano precedentemente manifestati nei confronti del giovane scomparso. Nessuna ipotesi può essere esclusa, nessuna tesi sembra poter essere sinora scartata dagli investigatori…>.
Mi metto a gridare:
-Fammi capire, quando parli del giovane Giuseppe Impastato, stai parlando di Peppino?
Urlo più forte:
-Peppino non è un compagno? E’ diventato <il giovane?<
Mi segue Giovanni Riccobono:
-Fammi capire, cosa vuol dire <nessuna ipotesi può essere esclusa >? Forse che la mafia non c’entra ed è stato un attentato?
Chiude il discorso Vito:
-Va fa ’nculo, andate a fare tutti in culo. Compagni del cazzo.
Vigliacchi, buffoni.
Ce ne andiamo incazzatissimi.
Decido di passare dalla radio. Tutto è per aria, dopo la perquisizione fatta in mattinata. C’è Guido seduto sulla vecchia poltrona su cui stava stravaccato Peppino.
-Che cazzo ci fai qua?
-Rispondo alle telefonate. Ne sono arrivate tantissime.
Sulla bacheca, dove solitamente appendiamo il palinsesto e qualche comunicazione, è appuntato un biglietto, la calligrafia è la sua:

<Peppino, ti ricordi quando mi hai aiutato a fare la trasmissione su Fausto e Iaio? Tu sapevi usare sempre le parole giuste per ricordare che il potere ha già fatto molti morti. Hai pure voluto ricordare l’anniversario di Pinelli, di Sacco e Vanzetti, hai sempre pensato a Francesco, a Walter, a Giorgiana, a Mauro e a tutti gli altri compagni morti di Stato. Ora ti aspetto per pensare anche a te, perché non è vero che sei vivo, siamo noi che moriamo sempre più dopo le vostre morti>.
 Accendo il trasmettitore, metto sul piatto la mia abituale sigla, Morti di Reggio Emilia, alzo nel mixer il cursore che apre il giradischi, faccio scorrere tutto il brano, poi apro il microfono e comincio:
-Non lo ascolteremo più. Anzi, ve lo faccio ascoltare ancora una volta, mentre pronuncia il nome del suo assassino.
Metto la registrazione di una delle ultime <Onda Pazza>:
-<Lunedì altra riunione della commissione edilizia. C’è ancora tensione. Presiede il grande Capo Tano Seduto>.
La mia voce, provocatoria: -<Bada…bada…>
E Peppino che si lascia andare: <Bada a come ti lamenti, porco cane!!!<
Riprendo in diretta:
-Ma non preoccupatevi. Tano Badalamenti, <u padri nostru>, come lo chiamate voi, non corre nessun rischio. Non ha ucciso nessuno, sono tutte calunnie di quattro vagabondi e straccioni, egli può dormire tranquillo nel suo letto. Peppino è morto da solo, ha voluto morire come un fesso. E’ andato a mettere una bomba sui binari della ferrovia per Palermo: non si sa, forse si voleva suicidare, era stanco di vivere, forse voleva fare un attentato, far morire gente innocente, ma siccome di esplosivi non ne capiva niente, è saltato in aria. E se non si è ammazzato, si è voluto fare ammazzare. Colpa sua. Non si faceva gli affari suoi. Tranquilli, è saltato da solo. Non è rimasto neanche un pezzettino. I carabinieri stanno cercando il complice dell’attentatore, e i complici siamo noi, terroristi come lui. E’ stato usato tritolo. E dove si trova il tritolo? Ma nelle cave!!! E chi è il proprietario di una cava di Cinisi? Ma don Peppino Percialino! Però anche lui può dormire tranquillo. Non ci sono prove. Peppino glielo ha rubato, il tritolo. E poi, ci sono tante altre cave qui vicino! Quella dei D’Anna, parenti di don tano, quella di <u Sinnacheddu>, zio di Peppino. Quindi spegnete questa radio e accendete la televisione, tutto è a posto. Questa volta i carabinieri , i mafiosi e i bravi cittadini la pensano tutti allo stesso modo. Domani arriveranno i suoi poveri resti e ci saranno i funerali, ma chi volete che ci vada? Nessuno vi romperà più le scatole a parlarvi di mafia, di politica, di fascisti, a parlar male di tanti altri santi cristiani che meritano rispetto… e soprattutto nessuno si permetterà più di sfottere quello sporco assassino di tano Badalamenti, che tutti amate e rispettate… Più nessuno. E comunque, bando alle tristezze, assa benerica a tutti, ai longhi e ai curti, ai sicchi e ai grassi, ai surdi ca un vonnu sentiri e all’orbi ca un vonnu viriri, ai nichi e ai granni, a chiddi cu a pelliccia e achiddi senza mutanni…, un saluto a tutti stile <Onda Pazza>.
Parte la canzone di Ombretta Colli, sigla di <Onda Pazza>, Facciamo finta che tutto va ben…
Sfumo…: -Ciao, Peppino!
Continuo con il verso di Guido:
-Siamo noi che moriamo dopo la sua morte.
Con un gesto secco spengo l’interruttore e dò un calcio al trasmettitore. Suonano il campanello e mi affaccio al balcone per vedere: è Gino Scasso, un compagno di Democrazia Proletaria di Partinico. Anche lui è di poche parole:
-Bastardi. Bisogna fare qualcosa. Non possiamo fargliela passare così.
Mi viene un’idea: mi metto a scrivere in due minuti un testo e poi dico a Gino:
-Troviamo chi ci stampa un manifesto, almeno questo dobbiamo farlo, informare la gente su come stanno le cose.
Partiamo subito con la sua macchina. A Partinico, alla tipografia Abi, dopo aver letto il testo, ci dicono che è troppo tardi e che non ce la fanno. Secondo me è una scusa. Andiamo ad Alcamo alla Tipografia Campo e qui abbiamo migliore fortuna: in due ore il manifesto è stampato in duecento copie. Lo paga Gino, perché io sono senza soldi. 20 mila lire, che ancora oggi aspetta di ricevere. Torniamo alla radio, dove c’è un gruppo di compagni: Fanny, Pino, Giovanni, Giampiero, Guido, Giosuè, Srotolo con un po’ di soddisfazione il manifesto:

PEPPINO IMPASTATO E’ STATO ASSASSINATO

Il lungo passato di militante rivoluzionario è stato strumentalizzato dagli assassini e dalle <forze dell’ordine> per partorire l’assurda ipotesi di un attentato terroristico. Non è così. L’omicidio ha un nome chiaro: mafia. Mentre ci stringiamo attorno al corpo straziato di Peppino, formuliamo una sola promessa: continuare la battaglia contro i suoi assassini.
DEMOCRAZIA PROLETARIA
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
L’Assessore Zuccaro si complimenta con i ragazzi dell’istituto, del loro impegno per l’ottimo risultato raggiunto nell’espressività esternata durante la loro drammatizzazione che permette di acquisire maggiormente la problematica sociale, di migliorare il nostro futuro  e potere comunicare agli altri molti aspetti positivi della nostra Sicilia.

Dalle docenti Silvana Vitale e Caterina Brigati del Liceo scientifico Santi Severino di Partinico, viene inoltre affrontato l’aspetto letterario del testo intercalando una performance di letture di alcuni brani più significativi ed emozionanti.








Infine, l’intervento di Salvo Vitale, autore del saggio “Cento passi ancora”  che saluta, ringrazia i presenti ed apprezza la performance appena eseguita.

Racconta degli anni scolastici trascorsi a Monreale, quando la Conca d’oro splendeva con i suoi agrumi e dell’acqua gelida quando ci si lavava, della Messa, della passeggiata, del pranzo, dello studio regolare e assiduo, della rigidità dei superiori e della propria innata ribellione e sete di giustizia.

Riferisce come è nata l’idea della stesura del testo e della volontà di attivarsi con i compagni, dall’indomani dell’omicidio di Peppino, per raccogliere testimonianze e perché quell’infame delitto non venisse impunito. Dopo l’uccisione, gli amici di Peppino furono costretti e obbligati a fare le indagini perché sin dall’inizio si era intuito che si voleva depistare.
I compagni, gli amici di Peppino che avevano condiviso con lui l’esperienza delle lotte politiche, del circolo <Musica e Cultura> di Radio Aut, hanno dovuto lottare per parecchio tempo contro i depistaggi delle prime indagini.
 “Parlare di Peppino Impastato in quei tempi in cui è stato ucciso era impensabile ma dopo la realizzazione del film “ Cento passi” del regista Marco Tullio Giordana, invece le cose sono cambiate e Peppino è diventato il simbolo della lotta alla mafia”.
Racconta della comunicazione con i contadini, del fenomeno culturale sociale e politico  del ’68, della contestazione contro ogni principio di autorità e quindi della carica ideale del sogno e della speranza di un mondo migliore.
“Per Peppino non dovevano esistere disuguaglianze….!”
“La Nottola di Minerva esce però al crepuscolo – sottolinea e conclude ad un certo punto - ed invece qui …bisogna agire!
Il nostro futuro migliore non lo creiamo  attraverso l’attesa ma agendo ognuno di noi, incontrandosi, organizzandosi , uscendo, guardandosi negli occhi, agendo per abbattere le barriere delle ingiustizie sociali.



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