ARTISTI MONREALESI 2^ parte



FRANCO NOCERA


































































































Franco Nocera è nato a Monreale il 29 novembre 1948. 
Ha studiato all'Accademia di Belle Arti Sezione Pittura, sotto la direzione di Alberto Ziveri, Michele Dixit Domino, Totò Bonanno, Lina Gorgone, con Gino Morici per l'affresco, per la calcografia Pippo Gambino. Ha insegnato disegno e storia dell'arte negli Istituti tecnici, assistente di figura al Liceo Artistico di Vicenza, insegna Pitura all'Accademia di Belle Arti di Palermo. Fondatore del Corso sperimentale di Arte Sacra Contemporanea nella stessa Accademia. Ha insegnato Pittura in Argentina nelle seguenti città: Buenos Aires (Escuela de Bellas Artes); Cordoba (Museo Carrafa); Salta (Escuela de Pittura). Lo studio di Franco Nocera è avvolto nella limpida geometria dei vicoli della Monreale vecchia: triangoli picassiani di cielo azzurro tra muri bigi.
A pochi metri c'è la casa di Antonio Veneziano, il poeta. Un pezzo di marmo inchiodato al muro ricorda ai passanti che in quella casa visse un uomo che, nel Cinquecento, tra una lite e l'altra, tra una prigionia nelle carceri di Algeri e una reclusione nelle patrie galere, scrisse dei versi. La lapide non è degna di un Poeta come Veneziano, che fu l'espressione più viva della magnifica turbolenza barocca. Una turbolenza che, come quella di Miguel de Cervantes, suo grande ammiratore ed amico, era lo sfogo della sua irrefrenabile creatività. Accanto la vecchia fontana dove il poeta si dissetava al ritorno dal suo girovagare nei sogni e nell'irrequieto vivere. Ora è una fontana morta. Mentre percorro le stradine della città siculo-normanna, l'amico palermitano che mi accompagna dal pittore, mi parla della sua Sicilia che fa male come una spina nel fianco: "Altri popoli hanno la passione della costruzione-mi dice- noi, invece, quella della distruzione".
Soffriamo di un'inguaribile tendenza al suicidio. Pur di impedire che il nostro compagno di viaggio giunga alla meta, sceglieremmo di essere azzoppati insieme a lui. Alcuni siciliani illustri, come l'autore del Gattopardo, hanno detto che non cambieremo mai perchè crediamo di essere già perfetti; sostengono che solo la nostra vanità è superiore alla nostra miseria". Alzo lo sguardo verso il Duomo di Monreale. Vi fu un'epoca felice durante la quale i siciliani, posposta la presunzione e l'invidia, furono concordi nel creare la più splendida architettura del mondo occidentale. E ci riuscirono. Per circa centocinquant'anni la Sicilia fu maestra di civiltà in Europa.
Penso a Don Quijote de la Mancha, che ebbe la sublime follia di trasformare le pecore in giganti per poter misurarsi con loro da pari a pari e mi duole la sterile folli di un popolo che non sta in pace se non riesce a trasformare i suoi giganti in pecore. La Sicilia ha bisogno di trovare  un suo vero Don Quijote, mi dico. Sul terrazzino bianco con ceramiche, ci attende il pittore. Nello studio un sottofondo di musica classica e poeti, molti poeti raccolti negli scaffali o distesi su un tavolino. I poeti sono gli unici esseri umani che riescono a conservare, inalterato attraverso i millenni, il loro cuore di adolescenti e Franco Nocera, mentre dipinge, ha bisogno di sentirne il battito. Alle pareti dello studio sono appesi i quadri che rappresentano le tappe più significative del suo percorso artistico. I colori preferiti di Franco Nocera sono i colori della terra siciliana. Egli li porta mescolati col suo sangue d'artista come un seme. Il giallo, il rosso, l'azzurro, il bleu, e, qualche volta, il nero, prorompono come esplosioni vulcaniche e si levano verso il cielo per poi ricadere sulla tela in una pioggia di armonia. Il mio occhio di contemplatore si abbandona a questi suoi colori mediterranei come l'acqua dei fiumi verso l'alveo. Quando l'artista mi parla del suo lavoro, dalle sue labbra non parole, ma fiumi di passioni si sospingono con veemenza. Ogni suo dipinto è un frammento di passione. Le sue figure non hanno bisogno di avere lineamenti precisi nè di possedere le tre dimensioni. A volte sono piatte e disarticolate, come gli spasmodici personaggi di Domingo el Greco e, nonostante ciò, sono pregne di vita interiore.
Nell'estetica di Franco Nocera la dimensione barocca s'impone all'artista sempre che i canoni della classicità geometrica non bastano ad esprimere il torrente della sua interiorità. Spesso nei suoi quadri compaiono personaggi acefali che hanno smarrito la testa nella nebbia dei sogni. Le figure degli amanti si fondono con la terra, col  cielo e col mare e il loro profilo si perde nell'infinito del cosmo. Diventano circostanza e momento del drammatico vivere dell'universo. Senza affievolire la loro sensualità, si trasfigurano in metafisico messaggio di vita. L'amore è la gravitazione totale di un essere umano verso il cuore della vita. La pittura di Franco Nocera è un'appassionata dichiarazione d'amore. La donna alla quale va indirizzata, è una metafora della vita. La donna, che appare e scompare nelle sue tele è sempre identica e sempre nuova. Come se non fosse una donna, ma un punto cardinale nel viaggio dell'artista alla ricerca di sè stesso. Dall'incantesimo dell'amore egli trae la sua forza poetica. Nelle cime più alte dell'amore, come sul monte Tavor, avvengono le trasformazioni. La pittura di Nocera nasce da questo suo incontenibile sentimento erotico dell'esistenza e di esso si nutre. Le sue trasfigurazioni si nutrono del mistero del Sole e della Luna, le due divinità primigenie che, sin dall'inizio, guidarono l'eterno pellegrinare dell'uomo alla ricerca dell'immortalità. Tutto il contrario di ciò che, a dire dell'amico palermitano, spinge il siciliano medio ad aspirare alla morte. E' importante ritrovare i veri miti - mi dice il pittore - altrimenti i veri condottieri di popoli continueranno a costringere i discendenti di Agamennone e di Priamo a battersi per una lattina di Coca-Cola, e perderemo per sempre la bellezza di Elena .
Il mondo estetico di Franco Nocera sono i sentimenti semplici e quotidiani che costituiscono la trama di ogni vera vita umana: l'amore per una donna, la malinconia di un'assenza, la speranza e, a volte, la disperazione. Sentimenti elementari ed essenziali attraverso i quali egli ci regala la sua verità interiore ed il suo dramma. Sentimenti che ogni uomo prova, ma che soltanto il vero artista sa mutare in arte. Scorrono davanti ai miei occhi le tele di Franco Nocera e con loro l'eco delle parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e di monsignor Mandralisca, il personaggio del mio ultimo romanzo, il quale, parlando della Siciliani, si rivolge al protagonista, uno spagnolo in procinto di rinascere a quarant'anni, e gli dice: " Noi amiamo questa terra, l'adoriamo. Ma il nostro amore è un intreccio di narcisismo e di sadomasochismo. Soffriamo nei suoi confronti di una sorta di complesso edipico. Non sappiamo vivere lontani da lei, e, al tempo stesso, desideriamo ucciderla, perchè la sua bellezza ci ha castrati, dando al nostro famoso maschlismo rusticano quella nota di patetica incertezza propria dei maschi che nascondono, dietro l'atteggiamento spavaldo, la ferita di un'infanzia trascorsa sotto la protezione incombente di una madre troppo possessiva". Non riesco a distogliere il pensiero dalla amare parole dell'amico palermitano. E mi dico che un giorno o l'altro la necessità di costruire vincerà il bisogno di distruggere e i siciliani smetteranno di passare attraverso la vita con lo sguardo altezzoso di chi si sente nel dovere di disprezzare ciò che ignora e si soffermeranno con sapiente umiltà a contemplarla, come io la contemplo, nei dipinti di Franco Nocera.
Gonzalo Alvarez Garcìa



Alcuni Cataloghi





















































 "LA METAFISICA DEL CORPO"

























































































































































































L’Arte di Nocera è principalmente filosofia ed espressione del pensiero umano che emoziona per il proprio carico emotivo.
Attraverso le sue composizioni, l’Artista riesce a narrare la storia del difficile cammino dell’uomo, fatta di ostacoli, errori, piaceri e sofferenze.
Le sue realizzazioni artistiche, appaiono fitte di mistero, esse celano la conquista di una verità d’amore e raffigurano un percorso catartico alla ricerca di Dio, tanto da voler definire l’Artista l’architetto del cielo!
Nel rapporto intimo uomo-donna, l’Artista vuole rappresentare la pura creazione divina che può essere esclusivamente interpretata dalla predisposizione individuale del fruitore. 

Prof. Salvatore Autovino
Direttore Galleria Civica “Giuseppe Sciortino”
Monreale

r.m.









F R A N C O     LO COCO 
espone al "Charleston"- Mondello





Francesco Lo Coco

E’ nato a Monreale (Palermo) nel 1951. 
Ha studiato all’ Istituto Statale d’Arte per il Mosaico di Monreale, successivamente diplomato all’Accademia di Belle Arti di Palermo, sezione scultura.
Ha insegnato per dieci anni nel corso di incisione all’Accademia di Belle Arti e del restauro “Abadir”.
Attualmente insegna discipline plastiche al liceo artistico “Damiani Almejda”  di Palermo.
Vive e lavora a Monreale.



Mondello è la spiaggia dei palermitani. Molto frequentata d'estate non soltanto per il mare ma anche perchè rappresenta un piccolo villaggio gastronomico pieno di pizzerie, bar, ristoranti, fastfood.
L'antico stabilimento balneare "Charleston" di stile liberty, inaugurato nel 1913 di proprietà del Demanio, dal 1968 rinomato Ristorante sul mare di Mondello, oggi ha una nuova gestione.

Negli spazi interni una collettiva d'arte dal titolo "IL MITO INSEGNA CHE" espone le opere di: 
Franco Lo Coco - Carmelo Lo Curto - Mario Lo Conte - Mariano Brusca -































L'Artista monrealese Franco Lo Coco


Il mondo stesso può definirsi mito, 
poichè vi appaiono corpi e cose, 
mentre le anime e gli spiriti 
restano nascosti.

Salustio, Sugli dèi e sul mondo

Un'Isola fragile e instabile dai confini indecifrabili. 
Approdo, ormeggio insicuro come insicuro è ogni tentativo di chiudere la nostra esperienza quotidiana in un qui e ora mentre invece ogni nostro limite è sempre travalicato da quanto conosciamo ma sempre meno ascoltiamo.
Su di essa un Tappeto di argilla, riquadri di creta incisi da segni multiformi, un'enciclopedia del totalmente altro, si inclinano per rivolgersi a tutti gli orizzonti.
Ai margini, piccoli oggetti lasciati da viaggiatori che ci hanno preceduto, Forme della devozione si staccano dal terreno sospese a diverse altezze, infine due Colonne. Non sono i dispersi relitti lasciati dal Tempo o dal mai sazio Oceano, meno che mai dalle tempeste che hanno soffiato fino a farsi scoppiare i polmoni, sono i segni ordinati in un loro particolare ordine, tracce di un rapporto spesso interrotto tra qui e l'altrove.
E' ciò che resta di un luogo che non c'è, un tempio, che non è mai esistito in cui l'homo religiosus osserverà, starà attento, riandrà col pensiero, releget appunto, insomma il luogo dell'incontro con lo straordinario. Tutto ciò può diventare propizio. Oltre, al di là dell'Isola, una Scala con gradini che si allungano si distendono quasi per rimettere in contatto qualcosa che pare separato per sempre o farsi transito per chi volesse dalla Terra giungere al Cielo, o che non sia opposto il percorso?

Avviciniamoci allora, ma usiamo i debiti riguardi nessuna negligenza è consentita. Sull'Isola solo il rumore dei nostri passi attenti su un terreno incerto che cede.

Compaiono altre piccole Isole, luoghi divenuti portatili, monti scoscesi e rupi impervie, Forme depositate in dono e voto che si sollevano dal luogo stesso per offrirsi. Immagini, racconti particolari in cui è però possibile riconoscere qualcosa di ciascuno di noi. Ognuna reca in sè l'impronta dell'artefice su cui brilla la fiamma della devozione. Una devozione che è apertura per accogliere la vita, superare le difficoltà, raggiungere stadi successivi di consapevolezza e comprensione , amare per amore dell'amore.

Subito oltre il tappeto, fatto di quella stessa polvere della terra su cui dicono l'eterno soffiò per infondere la vita al primo uomo, ondeggia coi suoi simboli diversi ma uguali nell'indicare la necessità di uno slancio, il desiderio di essere più di sè stessi, il nostro destino di zoon politikon.
Occasione di contemplazione e meditazione: sentirsi parte di qualcosa di più largo in cui si sciolgono le miserie del sopravvivere quotidiano, tace il rumore di fondo, scompare ciò che non è necessario e si incontra l'altro che è in noi e fuori.
Ed eccoli, un pò più in alto su una piccola base sorgono Urano e Gea, secondo alcuni l'inizio di tutto, secondo altri invece preceduti dal Caos primissimo, ma poco importa sono loro ad essere qui in quello che doveva essere l'andito profondo della cella. Lei Gea è avvolta da un mantello di caldo rame e si apre rigonfia, il ventre gravido di azzurri e verdi fluenti, qualche rosso e oro incastonato a farlo più vivo e palpitante, si spinge arrotondato avanti a contenere la forza del vulcano, l'energia creativa depositaria del segreto originario. Il femminile creativo che rimane inaccessibile e si tiene separato, un'inimicizia quasi. Accanto, Lui Urano figlio e sposo, costretto nel freddo metallo si squarcia reciso da Crono. Aggredito nel momento dell'esplosione amorosa sprigiona insieme e il seme e il sangue. Il rosso zampilla ovunque, da quello caduto sulla terra nasceranno le tremende Aletto. Tisifone e Megera mentre dall'immortale carne gettata nel mare sorgerà l'ancor più furiosa tiranna Afrodite. Stille di sangue, materia vivente pulsante fuoriesce dal corpo divino, coralli pietre oro in tessere inclinate sfalsate, pezzi di ogni forma e misura traducono nel linguaggio delle Muse il dolore del dio.
Tracce d'azzurro in alto ci ricordano ancora della congiunzione con la dea. Feroce separazione tra Cielo e Terra. Con le sue piogge benefiche la feconda ma talvolta la travolge con le sue tempeste inarrestabili.
Il repentino distacco si mostra, contraddizione solo apparente, attraverso la paziente lentezza di un lavoro faticoso. D'altronde non è possibile una risposta rapida e diretta, occorre girare intorno, valutare gli effetti che progrediscono verso quel possibile equilibrio che solo l'arte può concepire tra pietà e terrore. Un ponte non illusorio verso il mistero dell'ancora non conosciuto, non solo la paura della morte o della malattia ma anche la forza e la capacità di riconoscerci come parte limitata ma nello stesso tempo non limitabile.
Un ponte che ci avvicina a eventi che paiono lontani ma che riconosciamo come reali, di una realtà diversa da quella quotidiana.
Una realtà tradotta in simboli forti radicati in uno strato profondo della psiche, e che sono anche espressione dell'immaginario collettivo, il modo stesso in cui ci pensiamo e conteniamo la nostra storia e cultura. Una cultura e un pensiero che si sviluppano non solo attraverso schemi logici ed astratti ma anche per immagini, una cultura di "pensatori per immagini". E l'arte, come il mito e il sogno, "è una narrazione che si sviluppa per immagini, che incide su una dimensione fantastica, che trasmette modelli simbolici profondi". Si nutre del medesimo ambiguo cibo. E poi anche noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno che accoglie la natura amorale e selvaggia del mito.
Concludiamo allora con auspicio: il luogo in cui Crono gettò la falce di Adamante che la madre indignata gli consegnò non ha trovato stabile collocazione, vagando da Patrasso a Ischia per giungere alla più vicina Zancle. A noi piaccia immaginarlo ora qui, nel golfo sabbioso tra capo gallo e punta Célisi, nel mare verso cui guardiamo insieme a Urano e Gea, aspettando chissà di vede sorgere dalle onde, nutrita dalla schiuma rappresa intorno all'immortale carne del dio, Afrodite la geniale, la terribile e irresistibile dea.


OPERE D'ARTE DEGLI ALTRI ARTISTI


























Mostre personali e collettive 
dell'Artista 
Franco Lo Coco

2012- “Il mito insegna che” antico stabilimento a mare di Mondello
2011-“Il parterre di luce” alla Piramide 38°parallelo della FIUMARA D’ARTE
2007-Concorso di design a cura della Koinè “La luce della fiamma”, candelabro pasquale.
2005-“Ad Arte” Biennale delle arti applicate Palazzo dei Congressi di Darfo Boario Terme, lampada Dafne.
2003-“Come acqua che scorre” installazione musiva nella storica Biblioteca dell’Abbazia di San Martino Delle Scale, a cura dell’Accademia di Belle Arti e del Restauro Abadir.
2000-“Il gioco delle Muse” Palermo, installazione.
1999- Mosaici, arredamenti e oggetti disegnati “Vedovato” Verona
1998-“Archeologie Mediterranee” Spazio Espositivo Castiglioni- arredo contemporaneo, Verona.
1993-“Arte a pezzi…unici” Associazione Mutazioni, Palermo.
1990-“Creattività” Mostra artistica Educativa, scuola media F
ermi.
1990-“Galleria Esca Viva, Palermo, collettiva.
1988-“Dal Duomo ad oggi: il mosaico nel tempo” Sala consiliare, Monreale.
1985-“Mostra di Ceramiche Comune di Malfa Isole Eolie.
1984-“Immagini e Parole” Accademia Sicula Normanna.
1983-“Al Studio” Ceramiche e Grafica, San Felice Circeo.
1982-“9 Artisti per la Disavanguardia” Accademia di Belle Arti, Palermo.
1981-Galleria d’Arte Flaccovio, Palermo.
1980-“Scambio Culturale, mostra di pittura, Accademia Belle Arti, Macerata.

r.m.









B E P P E   LA BRUNA
Scultore


1984 - La Bruna a Venezia - Foto di Mimmo Dabbrescia

         1984 - Mimmo Dabbrescia e Beppe La Bruna a Venezia

Venezia, Gennaio 1984 - La Bruna e Vedova nel suo atelier  (Foto di Mimmo Dabbrescia)


Nato a Monreale (PA) nel marzo del 1953, dopo aver concluso gli studi Accademici nel 1976, nello stesso anno avvia la sua attività espositiva per la  Scultura. 
Dal 1978 inizia  l' insegnamento di  Scultura  all'Accademia di Belle Arti di Palermo e dal 1982, gli viene assegnata  la Cattedra di Scultura all'Accademia di Belle Arti di Carrara; dal 2001 al 2006 si sposta  all'Accademia di Palermo e dal 2007 ad oggi  ha la Cattedra di Scultura presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia.

Ha partecipato e partecipa a numerose  rassegne espositive di carattere Nazionale ed Internazionale fra Personali e Collettive: Palermo,  Milano, Venezia, Zurigo, Parigi, Aarau (Svizzera), Porto Ferraio (Isola D'Elba), Siena, Napoli, Porto Vecchio(Corsica), Carrara, Volterra, Messina, Reggio Emilia, Pietrasant (Lucca), Cento (Ferrara),  Seul (Korea), Montauban (Francia), Bologna, Padova, Forlì, Parma, Ravenna, Ferrara, Torino, Las Vegas, Copenaghen (Danimarca) oltre ad aver partecipato a vari Simposi di Scultura di carattere Internazionale quali:  Ichon (Korea),  Lattakia (Siria), Damme (Germania), Montraker ( Istria).
La produzione artistica degli ultimi anni si è concentrata sulla figura umana ‘rarefatta’ che assurge a simbolo di una pacata riflessione sulla vita, sul Cosmo e sul suo costante ed inesorabile trasformarsi, creando il Tempo e la Storia.  
Una visione cosmogonica dove, come per Lucrezio, la materia è eterna nel suo divenire. 
Così, materiale informe, disseminato negli spazi cosmici, si ammassa, coagula e prende mano a mano forma nel vento della vita che spira prepotente nell’Universo.
Una sorta di vento che è anemos, spirito di autocoscienza. 
La sua scultura attinge e prende coscienza dal rapporto fra memoria storica e contemporaneo,  per esprimere ancora meglio una contemporaneità che è costruita ed espressa attraverso la materia, la luce, il colore in un continuo divenire  tra movimento e  meditazione, ma anche una scultura che è costruita appositamente per essere usata e vissuta dal fruitore, in quanto elemento e presenza attiva nello spazio. 
Egli opera e inventa suggestioni plastiche entro spazi aperti, figure umane dinamiche con  atteggiamenti esteriori di inedita teatralità. 
Sono lavori che si liberano da ogni interferenza ambientale accessoria e si ritrovano in un’autonomia di  valori fluenti con tendenza a una controllata disgregazione espressiva.
Egli, comunque, rimane uno scultore mediterraneo, di luce e vento.


...Nato nella bottega dell'artigiano, la mia formazione nasce proprio dal contatto diretto con la materia. Questo contatto con il legno, con gli strumenti del lavoro, mi ha fatto ad un certo punto anche capire che in fondo la scultura non è soltanto manualità, è importante conoscere il mestiere e utilizzarlo per altri fini, cioè per un discorso che noi portiamo avanti da un punto di vista culturale, sociale. Occorre comprendere i meccanismi che si muovono dentro la materia, prescindendo dalla materia in sè e per sè. Essere in sintonia con i tempi, ma possedere un linguaggio. Per me la scultura ha un linguaggio e non si può prescindere da questo linguaggio, bisogna impadronirsene, e pretendere il massimo da se stessi per portare avanti quello che è dentro di noi. Dentro di noi ci sono meccanismi che portano ad affrontare  il linguaggio in maniera molto personale. 
...La scultura investe tutto quello che è materia, tutto quello che fa parte di queste vibrazioni materiche di cui noi ci impossessiamo esprimendoci in base alla nostra sensibilità. Qui è anche importante, per quanto mi riguarda, essere siciliano, che per un certo verso è anche l'assorbire l'energia che una terra ti offre. Occorre capire cosa c'è dentro questa terra e tirar fuori tutto quello che è stato lasciato come memoria. Come memoria da cui puoi leggere tutta una serie di momenti storici. Ognuno di noi credo che possegga un posto da dove ha attinto e dove si è formato. Per me la Sicilia è stato un luogo di partenza dove ho attinto le energie della cultura classica, della cultura greca e poi della cultura araba, normanna, da quella francese e da quella spagnola. Tutto quello che ci circonda rimane nella nostra memoria e quindi prima o poi viene fuori. Io lavoro direttamente in cera, e la ricerca del particolare è come un rito propiziatorio, così come l'uomo preistorico premeva la mano nella parete della sua caverna per lasciare la sua impronta, alla stessa maniera io vedo il lavoro come un modo per scaricare una sorta anche di repressione, di rabbia. 
La scelta della materia è fondamentale per potersi esprimere. 
E il rapporto tra la materia modellata e la pietra nasce dall'esigenza di mettere a confronto il presente con la memoria del tempo, rappresentata dalla pietra. Dentro la pietra ci sono tutti i sedimenti del passato che non va cancellato, nè calpestato.
Dentro di noi esiste una serie di memorie da tenere sempre presenti e proporle, con la propria abilità, in letture che rispecchiano i problemi del quotidiano.
...Più memorie si trovano, più tracce si hanno da poter mettere in evidenza, da poter elaborare (in base alla propria sensibilità) attraverso il colore, attraverso il volume, attraverso la musica, attraverso il teatro, attraverso tutto ciò che è il mondo della rappresentazione, forse anche propiziatoria dell'uomo. In ogni caso ciascuno di noi è unico nel proprio modo di essere e di fare, questo è importante.  

La mia identità non può essere paragonata ad un'altra, ecco perchè non sento neppure il bisogno di un punto di riferimento ad un maestro, forse perché ho trovato un linguaggio che sento realmente mio.
Per quanto mi riguarda ho passato parecchio tempo a vedere quello che è accaduto, quello che è stata la nostra memoria, ma questo non significa che nel momento in cui mi metto a lavorare nello studio io non sia me stesso.
Il problema può essere vissuto con la propria identità. Per me è fondamentale avere la propria identità di artista.
Io cerco sempre di stimolare i giovani che guardano sempre molto poco attorno a loro, e cerco di tirar fuori non solo quella che è la loro creatività, li spingo ad osservare che ci sono stati altri che hanno faticato, che hanno lavorato, che hanno portato avanti il proprio lavoro e che guardando, “rubando” hanno costruito un loro linguaggio.

(dalla Rivista trimestrale "ARTI VISIVE ", un dibattito a più voci tra gli scultori Balocchi, Bimbi, La Bruna, coordinato da Andrea Volo, Arti Visive aprile-giugno 1991)



LO STUDIO DELL'  ARTISTA


Monreale, quartiere Ciambra














































Scultura in gesso di ENZA DI FEDE (moglie dello scultore La Bruna)













Scultura di ENZA DI FEDE


Scultura di ENZA DI FEDE
































































Ritratto di Salvatore Quasimodo










































Mosaico di  LEO GIANNACCARI
































 Palermo 1976 - CENTRO CULTURALE D'ARTE: "IL PEPLO" 

*RASSEGNA D'ARTE*








...a proposito di URLICHT
luce primordiale

Tutto quanto cerco di esprimere attraverso la materia appartiene al mio passato, lo puntualizzo nel presente lo immagino nel futuro. E' difficile esprimere ciò che si porta dentro e materializzarlo nello spazio: ma la creazione artistica rappresenta il frutto che l'uomo raccoglie quando essa si pone come imprescindibile necessità di manifestare il suo essere. Quando devo realizzare un mio lavoro non avverto alcun dubbio dentro di me, ma le soluzioni sono così infinite, come i miei pensieri, che tutto mi si presenta come una valanga di immagini che a poco a poco si focalizzano nel punto chiave del mio discorso e lì, nelle cose che creo, cerco di racchidere tutto quanto è difficile estrinsecare attraverso gli abituali mezzi espressivi. In questo processo, che è vitale nelle sue fasi essenziali, dal concepimento dell'opera fino alla sua realizzazione, fondamentale è l'apporto della musica, elemento centrale che mantiene un rapporto di equilibrio fra spirito e materia (armonia). L'ascolto partecipe mi sollecita attimi di luce e di ombra che si ripetono alternandosi fino a che la materia comincia a tirar fuori l'anima e tutto mi fa bagliore: le note penetrano, attraverso le mani nella materia, ogni battuta, ogni frase musicale, è una molecola che si aggiunge o si toglie alla scultura...verso la ricerca di una nuova dimensione. Noi viviamo nella materia ed anche nello spirito: il Tempo, inesorabile, corrompe la materia, ma lo spirito, l'essere interiore, il sentimento possono vincere il Tempo e riscattarsi dalla corsa spasmodica verso la morte, se manteniamo integra dentro di noi la Chosun (calma del mattino). Se quanto ci circonda ci avvolge e ci corrode senza che ce ne accorgiamo, resta la speranza o l'illusione che, se vogliamo,possiamo evadere e svincolarci, superando certi schemi e certe falsità, annullando stereotipe e condizionamenti, attraverso la libera espressione di noi stessi e il ritorno ad una naturalità ancestrale. L'autentica abilità dell'essere Uomo dovrebbe consistere nel continuo drammatico interrogarsi, scavando dentro se stesso e dentro gli altri, per liberare la spiritualità che vive nascosta e domina senza apparire. Deve cambiare l'uomo o il mondo va rifatto? Ci vogliono altri dei o nessun dio? (Brecht)
Ritrovare l'uomo e la sua dimensione, questo il primo obiettivo: l'arte-che è vita, luce, sensazione in una società che non ha il tempo di vedere, sentire, parlare anche se vede, sente, parla...testimonia, ci ricorda e ci ammonisce che ci sono ancora gli occhi, le orecchie, la bocca... Il mio discorso vuole essere una constatazione del momento che viviamo: l'uomo non si rende conto (o non vuole?) del dramma cosmico cher lo circonda, spera che altri risolvano trutto. Che valore può avere allora lavorare, produrre, creare,, realizzarsi in un mondo inumano, paurosamente assenteista? Niente è con te, sei solo e come tal resti. Allora tutta la luce che era all'inizio (Urlicht) la vedi affievolire, di volta in volta, quasi senza speranza. Perchè ciò accade? Forse manchiamo di coraggio, abbiamo paura di conoscerci, paura di scoprirci...e fatalmente nasce l'equivoco, l'incomprensione, la violenza, l'infelicità. Tra noi e gli altri resta solo il sogno: il fantastico dell'essere ritorna in noi come acqua, fuoco, pietra, metallo, legno; il fantastico nell'uomo può esprimere odio, amore, passione, dolore e tutto ciò è legato ad  un filo che si chiama Arte, la rappresentazione espressa dall'uomo quando scopre il fantastico. L'uomo ha bisogno del fantastico per esprimere Arte, ne diventa il padrone per vincere l'infinita angoscia esistenziale. Le mie sculture-apparentemente silenziose-gridano quasi ad ammonire quanti con malvagità, pregiudizio e disumanità vietano o impediscono il naturale esprimersi dell'io attraverso l'esigenza di instaurare autentiche relazioni con gli altri; esse, in una dimensione fantastica, appaiono come molecole terrestri, testimonianza di un evento di distruzione e di una volontà di reintegrazione per riprendere un nuovo ciclo vitale. Rappresentano la saggezza che ne gha consentito la sopravvivenza, portano la sofferenza e il dramma e nel ventre rigonfio il seme e la memoria; portano con loro anche la speranza e cercano la luce nell'infinito...il viaggio che dovranno affrontare sarà tanto lungo e difficile quanto è breve la vita stessa, le braccia si tendono spasmodiche ad indicare la voglia di aggrapparsi, alla ricerca di una nuova dimensione, quella vera, e nello stesso tempo drammaticamente si liberano dai legami di un passato malvagio e di morte.
Giuseppe La Bruna


1983





PROFILO DI UN ARTISTA SICILIANO

Ho conosciuto Beppe La Bruna quando all'Accademia di Ravenna, agli inizi degli anni settanta, avevamo stabilito un consorzio tra insegnanti ed allievi, fuori dai canoni frusti della scuola d'arte. C'era non soltanto l'apprendimento del mestiere, ma un pensare insieme alle cose della vita al loro rispecchiamento nell'operare degli artisti. Beppe La Bruna insieme a Floriano Fabbri, partecipava al flusso delle nuove idee che muovevano i giovani più sensibili e la prima di esse era la coscienza in progresso della drammaticità dell'epoca inquieta, turbata che ci toccava di vivere. Tendeva perciò spontaneamente a una cultura artistica più vicina al ripensamento dei classici che agli spunti di una moda quasi giornaliera, rapidamente consumata da un'alba a un crepuscolo che attrasse perdendoli molti altri allievi di quei tempi. A vederlo con il suo fare dolce attratto come quello di un poeta. La Bruna poteva apparire come uno di quei giovani che, di fronte al temporale, rincasano in attesa di eventi migliori. Rincasare per Beppe La Bruna voleva dire ritornare alla sua Sicilia, a Monreale, cittadina dov'è piacevole vivere e indulgente ai ritiri che sarebbero invece impossibili in uno dei grandi centri come Milano. La Bruna ritornò normalmente a Monreale, ma non per ritirarsi. Anzi ben cosciente dei pericoli che incombono sul giovane che vive in provincia, quando è abbandonato al solo esercizio sconfortato dell'arte. La Bruna ha consumato le sue giornate in un difficile mestiere artigianale, di quelli che purtroppo sono quasi scomparsi, il restauro dei mobili e delle opere d'arte e artigianato in legno, in stucco, in materie preziose e friabili. Questa attività ha giovato alla sua attività creativa, non soltanto perchè ha migliorato il suo mestiere d'artista, ma perchè gli ha permesso di essere più libero nella creazione, libero soprattutto di esprimere con la sua arte non il falso ed evasivo ottimismo di chi fugge dai problemi dei contenuti, ma l'eco del danno e spesso della vergogna che dura nella sua Isola (e non solo in essa) e di cui non si intravede la prossima scomparsa. Dobbiamo perciò ritenere che nella scultura di La Bruna si concentri l'allegoria della situazione presente, in modo aperto, diretto? Gli atteggiamenti, il movimento, lo snodo delle esili figurette di La Bruna possono anche essere letti in chiave di allegoria. Il ripetersi di movimenti di danza e ginnastica dei guizzanti nudini sembrano l'affermazione della perdurante presenza della figura umana contro la cancellazione delle forme che il tempo discioglie distruggendo l'azione degli uomini e minando il loro stesso esercizio del pensiero. Come uno scultore classico La Bruna rifiuta gli scheggiamenti, le infrazioni, le polverizzazioni meccanicistiche di troppa scultura contemporanea e, con queste sculture, intona un inno alla vita minacciata ma sostanzialmente vincente.
Ritrovo questi contenuti in un gruppo di poesie inedite che La Bruna mi ha fatto leggere. Una è intitolata alla speranza, un altro è un dialogo col Tempo (Lasciami, tempo, lasciami il tempo di vivere), poi ancora uno scritto sugli sprazzi di luce che il destino mi concede. In quest'ultimo c'è una professione di fede nella forza vitale dell'arte, alla quale l'uomo chiede la forza di vivere: Ritrovare l'uomo e la sua dimensione, questo il primo obiettivo: l'arte - che è la vita, luce, sensazione - in una società che non ha il tempo di vedere, sentire, parlare anche se vede, sente parla... testimonia, ci ricorda e ci ammonisce che ci sono ancora gli occhi, le orecchie, la bocca....
Non esito a dire (e sarebbe sciocco far questioni di livello, addirittura ridicolo) che Beppe La Bruna più che confrontarsi con la cultura contemporanea, pensa a temi michelangioleschi. Sa per esempio che, dopo tutto l'annientamento della figura umana compiuto dall'arte moderna, la scultura deve procedere a una nuova creazione dell'uomo anche come immagine. La figura umana è più facile se affrontata nel volto, dati gli approfondimenti della psicologia moderna ( le teste qui esposte sono infatti le più soddisfacenti), ma bisogna ricrearla anche come corpo, come movimento, come guizzo primordiale di vita. L'ordine, quello che al tempo di Michelangelo si pensava partorito da Dio, e che oggi vediamo sconvolto, verrà con la forza della ricerca che non ha per meta il vuoto (come oggi) bensì quella razionalità che impedisce l'ingiustizia, la persecuzione, la sopraffazione, la guerra. Non si dica che sono temi troppo alti. Un artista che pensa, se li pone, nelle condizioni di una espressività molto compromessa, che induce per fortuna molti giovani a riprendere il discorso dove i Grandi lo hanno lasciato.
Raffaele De Grada    




1984   Mostra alla Mood Gallery - Milano 

Giuseppe La Bruna-"Il grido silenzioso"


Ritrovare l'uomo e la sua dimensione, questo il primo obiettivo: l'arte - che è vita, luce, sensazione-in una società che non ha il tempo di vedere, sentire, parlare anche se vede, sente, parla... testimonia, ci ricorda e ci ammonisce che ci sono ancora gli occhi, le orecchie, la bocca... Tra noi e gli altri resta solo il sogno: il fantastico dell'essere ritorna in noi come acqua, fuoco, pietra, metallo, legno; il fantastico nell'uomo può esprimere odio, amore, passione, dolore e tutto ciò è legato ad un filo che si chiama arte, la rappresentazione espressa dall'uomo quando scopre il fantastico. L'uomo ha bisogno del fantastico per esprimere arte; ne diventa il padrone per vincere l'infinita angoscia esistenziale. Il "grido silenzioso" che vorrei si percepisse dalle mie opere sta ad indicare un ammonimento a quanti con malvagità, pregiudizio e disumanità ostacolano il naturale esprimersi dell'io che si traduce nell'esigenza di instaurare autentiche relazioni con se stessi e con gli altri. Esse, in una dimensione per me <fantastica>, appaiono come<molecole terrestri>, testimonianza di un evento di distruzione e di una volontà di reintegrazione per riprendere un nuovo ciclo vitale. Rappresentano la saggezza che ne ha consentito la sopravvivenza, portano la sofferenza e il dramma e nel ventre rigonfio il seme e la memoria; portano con loro anche la speranza e cercano la luce nell'infinito...le braccia si tendono spasmodiche ad indicare la voglia di aggrapparsi, alla ricerca di una nuova dimensione, quella vera, e nello stesso tempo drammaticamente si liberano dai legami di un passato malvagio.
Giuseppe La Bruna





1984





1985


La Bruna - "L'Attesa" 1984 bronzo a cera persa 40x15cm


"...La Bruna conduce con crescente impegno interessanti ricerche di dinamica parziale riducendo la figura umana ad esili forme che si muovono in agili giochi pluridirezionali ma ritrovano sempre audaci equilibri".
Franco Grasso


                                             



1987 da "CONTROCLASSE"

Periodico trimestrale didattico-culturale-informativo della comunità scolastica del liceo classico "Emanuele Basile" di Monreale - 
Ottobre-Novembre-Dicembre 1987






"GLI AEREI BRONZETTI DI GIUSEPPE LA BRUNA"
a cura di Maria Antonietta Spadaro

In uno dei quartieri più antichi di Monreale, la Ciambra, dietro le grandi absidi, a strapiombo sulla valle, sono ammucchiate secondo una morfologia medievale alcune case e, tra queste, domina uno slargo un palazzetto al cui interno un suggestivo piccolo atrio dà accesso ad ambienti che si affacciano su un terrazzo proiettato su un panorama splendido: è il Palazzo Cutò, oggi sede di un'associazione culturale. Animatori degli incontri i fratelli La Bruna, proprietari del palazzo. Tra loro c'è un musicista ed uno scultore, il quale prepara i suoi bronzetti a cera perduta in uno studio attiguo al palazzo, con luminosi ambienti carichi di fascino. In questi vasti locali ha operato per alcuni decenni la ditta La Bruna con un laboratorio di ebanisteria tra i più rinomati nel campo degli arredi sacri e del mobile in stile. Una tradizione che risale alla fine del secolo scorso con una produzione vastissima nella provincia di Palermo (ricordiamo gli arredi lignei delle cattedrali di Palermo e Monreale tra gli altri). Da giovane Giuseppe La Bruna, aggirandosi nel laboratorio del padre, è rimasto sicuramente contagiato da quella tecnica che traeva dal legno infinite possibilità formali. Ha iniziato allora a scolpire il legno muovendosi tuttavia in un universo di forme lontano dall'attività paterna di mobiliere, traendo da un tronco forme totemiche con gusto primitivo o elaborando volumi astratti. Dopo la morte del padre, per qualche anno Giuseppe La Bruna ha continuato l'attività di ebanista fino al 1985, per abbandonarla ad un certo momento in cui la scelta a favore di una attività artistica più vicina alla sua personalità si fa urgente e lo porta a dedicarsi esclusivamente alla scultura. Ed ecco che il laboratorio subisce una metamorfosi e pur rimanendo ancor oggi presenti tanti degli attrezzi usati da varie generazioni per lavorare il legno, lo spazio si popola di piedistalli sui quali sculturine in bronzo sembrano costruite da un soffio d'aria, con la loro estrema leggerezza e mobilità alla luce. Lo studio della figura umana è al centro dell'interesse di La Bruna, che ha frequentato le Accademie di Belle Arti di Palermo e Ravenna ed ora insegna Figura modellata al I Liceo artistico di Palermo. Negli anni '70 le sue esili figure si muovevano nello spazio come abilissimi ginnasti e, seppure l'esilità delle forme può far pensare alle filiformi figure di Alberto Giacometti, nulla dell'angosciante dramma esistenziale presente nell'opera di quel maestro si ritrova nei bronzi di La Bruna, i quali esprimono all'opposto un sentimento liberatorio attraverso il moto della figura nello spazio. Ciò è ancora meglio esplicitato nelle ricerche degli anni '80, dove le figure si aprono alla luce con ricche modulazioni chiaroscurali date da panneggi svolazzanti e vibranti. E' un modo di plasmare la materia, quello di La Bruna, quasi da orefice: egli non ricerca l'effetto plastico forte, il modellato ampio in volumi che si offrono alla luce con pienezza di forme, semmai il tocco lieve riecheggia modi impressionisti nel pittoricismo di certe immagini. Gli spessori sono esilissimi, il tema è la danza: la figura è colta in movimento mentre vive completamente l'impatto con lo spazio e ciò sconvolge ogni parte del corpo e la pone in un totale estraneamento dalla fisicità delle cose. Nelle ultime ricerche le figure si fondono in gruppi, il movimento degli uni si trasmette agli altri. La Bruna filtra le esperienze figurative di Pericle Fazzini (il grande scultore marchigiano da poco scomparso, anche lui formatosi nella bottega del padre, artigiano del legno), Francesco MessinaHenry Moore, che evidentemente sono artisti lontanissimi tra loro, ma egli non fa riferimenti espliciti, sono suggestioni lievissime appena evocate. Altro tentativo recente e nuovo, quello di unire, accostare le forme bronzee delle figure con pietre di varia natura in una simbiosi problematica e carica di emozioni, è certamente suscettibile di ulteriori sviluppi. Dal volume chiuso del masso litico sembrano librarsi nello spazio le forme umane abbozzate prima nella cera e poi tradotte in bronzo. Sono movimenti fermati in un istante, i piani sembrano sfaldarsi, perdere consistenza e liberarsi nell'atmosfera. Poi l'immagine, la cui labilità è solo apparente, ritrova unità nella forma sicura del bronzo. Nei prossimi mesi Giuseppe La Bruna ha in programma mostre a Zurigo e a Milano. 



1988  Calendario Attività espositive  
ZURIGO













Beppe La Bruna - "Riflessioni su Sofocle e la sua tragedia"




1988






INDISSOLUBILI LEGAMI TRA PASSATO E FUTURO
di Romano Piccichè


Il bronzo, innanzitutto, un materiale conosciuto da tempo immemorabile che si rivela di estrema importanza per il lavoro di Giuseppe La Bruna. E' infatti attraverso questa lega di rame e stagno che si realizza in gran parte della sua attività di scultore. Non che la carta, il legno, la pietra siano esclusi dal novero dei mezzi utilizzati, ma è che tutti sembrano da lui quasi relegati ad una dimensione bozzettistica, questa della modellatura preliminare in attesa della versione definitiva, in bronzo, appunto. Una questione questa della scelta di un determinato mezzo a scapito di altri che non ha nulla di strumentale, rivelandosi invece ricca di implicazioni con il linguaggio e quindi con la poetica di La Bruna, infatti il bronzo, uno dei materiali più "tradizionali" rifiutato per i suoi trascorsi figurati dalle avanguardie storiche succedutisi nel corso di questo secolo, viene scelto dallo scultore siciliano perchè da "sempre" usato per raffigurare l'uomo, visto anche nella sua dimensione storica che suscita l'interesse dell'artista. Ma a ben guardare, in tempi come i nostri, in cui l'uso in scultura dei materiali più svariati, i cosiddetti materiali poveri, ha perso ogni valenza provocatoria ammantandosi ogni giorno di più di banale normalità, l'approdo al bronzo da parte di La Bruna si arricchisce di significati che sembrano avere un'intonazione garbatamente polemica come se lo scultore ci invitasse a non valutare questo materiale con il metro di un ideologismo preconcetto e a non pensare di poterlo relegare nel dimenticatoio per il suo tradizionalismo, quello tramandato da certa statuaria, il materiale in sè non può essere considerato il vessillo di vecchie o nuove idee. Tutt'al più può essere rilevante il modo in cui viene utilizzato. Ed è qui che allora la bravura anche artigianale di Giuseppe La Bruna che riesce a coniugare in modo misurato e composto manualità ed estro creativo. Le sue opere - ci riferiamo soprattutto a questi ultimi lavori di La Bruna, esposte alla Galleria Carini, fusioni eseguite con l'antico metodo di lavorazione del bronzo detto "a cera persa" portato a livelli eccelsi dai classici e dai maestri del Rinascimento- mantengono intatta una espressività estremamente suggestiva, quelle superficie corrose e smangiate, quella materia che, pur dando l'impressione di disgregarsi, sembra crearsi attorno uno spazio enorme reclamante il silenzio si imprimono saldamente nella memoria di chi le osserva. E le sculture e lo spazio quasi dialogano non tanto per evidenziare una loro sempre possibile relazione decorativa quanto per la ricerca di un superamento dei vincoli della materia in modo da far slargare le aspirazioni creative dell'artista fino a comprendervi la ricerca dell'Assoluto. Disgregazione della materia, dicevamo: un'affermazione valida anche al di fuori del suo significato metaforico perchè le sculture di La Bruna, viste sotto l'aspetto tecnico, sono una sorta di miracolo (cui non è estraneo Lillo Calcagno, titolare di una fonderia siciliana, l'unica a "cera persa" che si trovi da Napoli in giù): spessori sottili come carta velina, che con il gioco di vuoti e di pieni porosi come la pernice, danno vita ad un duplice percorso sculturale e quindi ad una duplice lettura, quella condotta sugli spazi interni, e quell'altra più appariscente ma non per questo prevaricante sugli spazi esterni. Percorsi che quasi risuonano delle cadenze musicali che di solito accompagnano le varie fasi della creazione delle sculture di La Bruna. Sì perchè l'Artista, oltre ad una spiccata propensione per una cultura del passato - non una cultura passatista - dimostra una notevole inclinazione per la letteratura e la musica. Tutti elementi questi che gli consentono di muoversi agevolmente in spazi intellettuali che altrimenti gli sarebbero rimasti preclusi. Nei quali confluiscono, integrandosi, i concetti di tempo e spazio, il cui divenire, ma anche la coscienza di questo divenire, crea indissolubili legami tra passato e futuro, inframmezzati dall'inevitabile tappa costituita dal tempo che stiamo vivendo ora, il presente. Una pluralità di elementi, certo, però suscettibili di una coordinazione che sa dar vita a momenti espressivi unitari: sia nel caso del riferimento a momenti sicuramente trascorsi (uno di questi può essere considerato come punto culminante della vita culturale ed intellettuale ellenica, ossia la tragedia greca, richiamo costante per La Bruna); sia nel caso del riferimento all'attualità. Ne scaturiscono sculture emblematiche, non solo per l'energia espansiva e costruttiva che le pervade, ma soprattutto perchè sanno come evidenziare la conflittualità insita nel reale; come far trapelare un contenuto psicologico che si invera in una atmosfera meditativa: come sottolineare la meraviglia per l'accavallarsi di ricordi reali con mondi solo immaginati; come far trasparire sentimenti effimeri che assumono la parvenza di valori destinati a durare con ciò suscitando dolci inganni...Insomma immagini problematiche queste di La Bruna, anche per quella sorta di contaminazione, che pone su un piano di equivalenza momenti reali e momenti fantastici; che attualizza episodi relegati nelle pieghe più lontane della Storia che amalgama passato presente e futuro, realtà e surrealtà, evocandoli sempre attraverso spezzoni psicologici collettivi e suggestioni individuali. Spezzoni sì ma sempre riferiti ad argomenti umani a carattere universale.
Romano Piccichè



1989 

dal Giornale di Sicilia 3 gennaio 1989


di Giuseppe Quatriglio





1990



1990

Articolo del 20/11/1990 di  M. Walti 
Mostra in Svizzera 1990





1991




G. La Bruna - "Immersi nello spazio", 1991


7 . "FARE SCULTURA OGGI" - Dibattito tra Balocchi, Bimbi, La Bruna, Volo




1992  Orts Museum Kloten Zurigo




1993
dal Giornale di Sicilia 
Articolo di Giuseppe Quatriglio



I bronzi di un artista solitario impegnato nella ricerca delle forme primordiali


Dodici sculture in bronzo su basi di pietra grezza di Beppe La Bruna esposte nella Galleria d'Arte "Ai fiori Chiari", propongono una riflessione sul modo di esprimersi di un artista solitario che rifiuta i riferimenti a scuole e maestri ed il cui linguaggio, quindi, ha una forte individualità.
Nato a Monreale poco meno di quarant'anni fà, La Bruna si è formato a Palermo sotto la guida di Silvestro Cuffaro e poi, a Ravenna, ha proseguito gli studi con Giò Pomodoro, Gino Cortellazzo e Raffaele De Grada per concluderli nella capitale dell'Isola con Carmelo Cappello. Nomi illustri, questi, che hanno consentito all'artista monrealese di raffinare la sua tecnica, di guardare con un'attenzione sempre più acuta all'Europa, di immettersi con le carte in regola nel mondo dell'arte plastica. Parlando di La Bruna -oggi titolare della cattedra di scultura all'Accademia di Carrara- e guardando la sua produzione più recente, bisogna tuttavia prima di ogni cosa porre attenzione al concetto che dà vita alla forma da lui plasmata e quindi fusa in bronzo, non è un caso, con il tradizionale sistema della cera persa. Occorre individuare la molla che crea la tensione artistica, capire le spinte e le emozioni dell'artista. La Bruna è affascinato dai fenomeni cosmici, dalla continua trasformazione della materia, dalle esplosioni che proiettano espandono questa materia. Egli vuole cogliere il momento della deflagrazione, l'attimo che non è di distruzione ma di creazione. Impegnato in una ricerca che tenta di sfiorare l'assoluto, è consapevole della forza del pensiero, del pensiero che è energia, forma primordiale, elemento-guida di ogni azione umana. Un'architettura concettuale complessa ma lineare, la sua, che non si può trascurare se si vuole cogliere il significato più profondo e più misterioso delle sculture di La Bruna. Ed ecco i suoi bronzi contorti, le sue composizioni travagliate, una materia sofferta che pare voglia infrangere la solidità della forma ormai fredda per invadere gli spazi limitrofi. Ed è da notare che questo scultore tendenzialmente astratto rasenta nei suoi lavori il figurativo per rappresentare l'uomo. Perchè è l'uomo che più interessa l'artista; l'uomo e la sua continua provocazione, l'uomo e la sua persistente presenza. In Dopo Cernobyl del 1987, la carica dirompente della materia sconvolta è evidente nel bronzo e tuttavia la forza incontrollata in sculture come questa si placa nei ritmi musicali di Gymnopedies 2 nei due pezzi dell'Omaggio a Ludovico Ariosto, che rappresentano Bradamante alla ricerca del senno, ed anche in Le sacre du printemps le cui figure attaccate alla pietra viva hanno una non nascosta armonia.
Beppe La Bruna sente la materia con una sensibilità a fior di pelle e per precisa scelta-lo ha ammesso recentemente-egli fa tutto derivare dal contatto diretto con la materia. Ha anche dichiarato che preferisce utilizzare la cera perchè con la cera può imprimere il momento creativo che deve essere generato in quel determinato momento. E' la traduzione con parole di una particolare sensitività per cui un'artista come La Bruna può sintonizzarsi, perfettamente, con la propria creazione artistica.
 Giuseppe Quatriglio       
  



1994








1995

CENTRO CULTURALE <TOBAGI>





1995          Mostra Personale Isola D'Elba Porto Ferraio






1996                                                          Personale a Siena






















Sono immagini di bronzo, forme in divenire, delicate e tuttavia potenti composte da piani frammentati e da superfici disuguali, spesse e a tratti sottili, che nella piccola e media dimensione mantengono l'impronta monumentale con cui sono state ideate e in quella misura possono venire tradotte. La Bruna modella i volumi nella cera con curata sapienza di gesti, che risapecchia il suo essere cresciuto in un'antica famiglia di maestri ebanisti, dove alla perfezione rituale del mestiere erano stati adattati i tempi e il sapore del vivere. Asseconda il progredire della forma immerso in appassionati percorsi interiori, che, mi racconta, attingono da memorie di una grecità vista nell'infanzia, e sognata fra i cespugli di asfodeli e le pietre assolate di teatri diruti che si aprono sul mare: così a Eraclea Minoa, dove è solito tornare, e sedere appartato, mentre lascia che riaffiorino quieti pensieri d'eterno poi trafusi nei moti e nei ritmi delle sculture. Nell'aspetto materico, che lascia scorgere rimandi alla scultura artistica degli anni Cinquanta, si pensa alle strutture grumose di Umberto Milani e di Luigi Grosso, spunti di emozioni addensate sono subito ricondotte all'urgenza espressiva del tema che s'impone sulla ricerca della forma. E se una prima lettura avvicina queste opere a idoli corrosi e ritagliati dal tempo, a sostarvi davanti, ci si apre ad altra materia simile ad energia originaria che componga e dissolva i volumi appena creati, tesi a rincorrere la propria struttura. Si immaginano stagliate contro una linea tersa d'orizzonte, palcoscenico ideale per il loro formarsi, volte a incontrare l'impeto dell'aria a comporre così, un suono universo che nasce dal medesimo vuoto verso cui si proiettano. In questi ultimi lavori, La Bruna conferma il suo indagare sui valori del tempo e del divenire: si interroga sul fluire della vita e il comporsi degli elementi, osserva i ritmi delle stagioni con i loro equilibri che ricongiungono gli individui al mondo. Già nel 1982, Le sacre du printemps affrontava il movimento della crescita e della rinascita all'immobilità minerale, dal cui contrasto sembra trarre origine: la pietra diventa una soglia, un passaggio che segna i due stati dell'esistenza. Nel 1986 realizza Dopo Chernobyl: in essa la vita risorge da una dolorosa forza di opposizione che a stento si lascia alla spalle, e la spinta è un avviarsi forzato e incerto. Questo suo interiore disporsi, riporta alla mente lo straordinario indagare di Eraclito, che nella discordanza fra il temporaneo e l'eterno indicò il prodursi dell'armonia, quale l'Uomo aspira a ricomporre in sè; ma per riconoscere l'essenza propria e del mondo, ricorda il grande di Efeso, occorre seguire i principi di quanto è manifesto. Vicino a una simile consapevolezza, interpretata in senso attuale, La Bruna cerca e raccoglie pietre e sassi modellati dalla inarrestabile fantasia del tempo e degli elementi, su cui talvolta interviene e spesso ha usato come supporto funzionale e ontologico per gli agili bronzi. Attraverso quelle impronte, secondo un'umanistica memoria considerate riflessi di traiettorie stellari, egli va riaccostando gli alfabeti di antichissime civiltà mediterranee e orientali, segni che conservano l'eco del legame d'origine con al lettera, il cui suono remoto, si ricordò, designava la sostanza intima degli esseri e delle cose. Nelle opere di questo anno, la pietra scelta, il calco di essa riportato nel bronzo, sono posti accanto alle immagini, a rinnovare il dialogo interno: le forme sottili attendono immobili in un silenzio d'ascolto, quasi partecipi delle stesse qualità del minerale, tese verso una ulteriore  materia di meditazione. La Bruna si trova ora ad osservare il mondo con sguardo affettuoso ma più contemplativo rispetto al decennio passato e nel 1995 esegue Trilogia di un evento. I cinque, isolati elementi di cui l'opera è composta, seguono un ritmo calligrafico risultante in un equilibrio che origina dal divenire e dalla quiete significante insita nei fatti; la richiesta, a chi vi si ponga davanti, è di vivere e al contempo di osservare, in uno scindersi di forze e di istanti interiori, secondo una cosciente volontà di conoscere l'essenza dell'evento, annunciata con l'impeto inesorabile del naturale percepire. Nella scelta della massima agostiniana In te anima mia, misuro i tempi, egli continua l'aspetto meditativo della ricerca. Il vuoto evocato dalla scultura invita ciascuno a iscrivervi le proprie azioni, e la forma unica, e stante che lascia dietro a sè, quale riconosciuta memoria, carattere di un paesaggio originario, accenni di alberi o di nuvole, che nel loro ergersi separati ci appaiono come ombre dello scisso albero della Vita e della Conoscenza, in un tempo remoto fuso in un unico tronco. Anche nei titoli con semplicità e chiarezza, La Bruna testimonia i suoi itinerari di pensiero: in Verso memorie ancestrali, le componenti maschioel e femminile della vita si mostrano estatiche a considerare, l'idea di unità ritrovabile; un accordo che aiuti a vivere e a comprendere la catena degli istanti,. potendone cogliere la necessità e la bellezza. Ma lo svolgimento di questa tensione poetica non intende indicare escatologiche illusioni, nè abbaglianti ideali di assoluto; al contrario nella loro informe e chiaroscurata mobilità, i bronzi di La Bruna sono proposte individuali e lievi che cedono alla  vicenda biografica dell'uomo, tuttavia pronte a confrontarsi con il mondo, intuito oltre il manifestarsi sensibile dei fenomeni. In questa fine millennio, superate le apparenti e pratiche certezze degli ultimi anni, disperso ogni modello estetico, parcellizzati i linguaggi e le scienze, aperte operative ampiezze telematiche, per molti, l'intento comunicativo delle opere con il pubblico, non può essere rimandato, in quanto misura di una disposizione sincera e limpida con la personale materia di ricerca. La rara capacità di Giuseppe La Bruna, è di saper accompagnare i visitatori delle sue sculture in un percorso di quiete e di fiducia, dove a ciascuno è dato di poter riprendere il dialogo con il proprio temporaneo e inconosciuto presente.
maggio-giugno 1996   Cristina Frulli  





Appartengono alla terra e aspirano al cielo, le sculture di Giuseppe La Bruna. Vivono, nella luce che le rivela, la loro estrema stagione di reliquie corporali, etrusche ombre cangianti della sera. Paiono nate per ergersi sui crinali delle colline, certo a dominare le praterie sconfinate, prigioniere della loro maestà totemica, ma potrebbero egualmente librarsi nell'aria, lievi come aquiloni. La loro pelle ha l'asperità delle rocce erose dagli elementi, pagine del libro geologico che reca nella fitta tessitura dei segni graffiati, delle abrasioni, delle impronte fossili, l'arcana scrittura del tempo. Tuttavia sono agite dal vento, il quale le investe e le attraversa, gonfiandole a mò di vele pronte a salpare. Ricordano le polene-madallo sguardo cieco affissato sull'infinito-i corpi muliebri che La Bruna modella con speciale sensibilità ai valori materici della superficie, quasi epidermide reattiva a ogni stimolazione. Sembrano statue corrose e sfrangiate da un'usura plurimillenaria. Per lento, progressivo assottigliamento della massa plastica, hanno assunto consistenza di foglie accartocciate, di cortecce frantumate, di involucri lacerati. La loro dichiarata fragilità non impedisce, tuttavia, di indovinare la struttura sottesa alla labilità della forma plastica, hanno assunto consistenza di foglie accartocciate, di cortecce frantumate, di involucri lacerati. La loro dichiarata fragilità, non impedisce tuttavia, di indovinare la struttura sottesa alla labilità della forma plastica, di percepirne la portata monumentale. In effetti La Bruna ha una visione delle forma ampia e solenne, molto evocativa, per quanto l'organismo scultoreo si lasci invadere dallo spazio e i volumi chiusi e tettonici si permutino in volumi lamellari che docilmente modulano l'anatomia e dispiegano le vesti morbide delle figure. Si coglie in queste opere la spiccata propensione dell'artista ad aprire la scultura allo spazio, a qualificarla come luogo da percorrere fisicamente. Egli fa in modo che lo spazio irrompa nel corpo plastico e che contribuisca a plasmarlo secondo il suo capriccio (beninteso formalmente guidato), determinando il profilo e l'estensione dei vuoti e dei pieni, delle superfici concave e di quelle convesse. Inoltre lo assume lo spazio, come interlocutore esterno; entità concreta con cui instaura un colloquio affabulante, nutrito di contenuti intimi non mai riducibili alla cronaca personale e quotidiana, anzi di indefinita  suscitazione memoriale e lirica. Non a caso sono molte le opere in cui l'incontro tra la figura e l'ambiente,- e per esso magari una palma solitaria o una stele- compongono situazioni che fanno scattare meccanismi evocativi. Tanto più quando la scultura è connotata in termini archeologici e paleografici, e alludo alle opere nelle quali La Bruna utilizza pietre vulcaniche o di altra natura mineralogica, svegliandone ad arte frammenti dalle superfici incise che sembrano arcane tavole sapienziali, vergate di una scultura ieratica nella quale è intuibile, in definitiva, la storia del mondo. Poste in rapporto a queste presenze totemiche, a queste macchine della memoria geologica, nelle quali si condensano anche gli archetipi della cultura, le figure in bronzo divengono parte di un paesaggio spoglio e prosciugato, ossia severo e quasi sospeso, propriamente un tempio ove dimorano gli dei che da tempo immemorabile presiedono i luoghi e i cui simulacri hanno aspetto antropomorfo. Per tale intrinseca vocazione a tradurre la scultura in ribalta di accadimenti, bisogna conferire che le potenzialità di suggestione del linguaggio di La Bruna si esprimerebbero in modo adeguato e con compiutezza negli allestimenti a scala scenografica. Sul piano del coinvolgimento che direi drammaturgico, le opere di piccolo e medio formato paiono quasi bozzetti, idee da sviluppare nella dimensione confacente alla loro potenzialità strutturali e al respiro poetico del tema metafisico. Peraltro le opere di piccolo formato trovano una compensazione che rende godibile e anche ricca di suggestione la partitura, nelle qualità formali di un modellato alquanto aereo e molto reattivo alla luce. La Bruna sa toccare con leggerezza la materia e imprimervi segni lievi cui affida la delicata trascrizione dei più sommessi moti dell'animo. Altro elemento distintivo, sul piano formale, è l'agile eleganza delle figure. Dico delle fanciulle astanti, le quali si accampano come menhir nella vastità del paesaggio, ma soprattutto di quelle che incedono come accennando un passo di danza, una carola in cui i movimenti si sciolgono e diventano fluidi e la scena appare dominata da un fervore musicale che si direbbe orfico e da un edonismo pagano perfettamente in clima con la comunione rinnovata tra uomo e natura, nel luogo dell'arte ove si eleva a verità la simulazione. Come si vede siamo nell'ambito di una cultura figurativa ancora intrisa di sensi mediterranea, ispirata a una simbologia di ampia comprensione, più che a specifici miti o leggende. Non meravigliano tali sopravvivenze. La Bruna no è siciliano solo per ragioni anagrafiche. Intendo dire che l'eleganza fluente delle figure e l'animazione linearistica del corpo plastico, rivelano un retroterra ellenistico su cui si innestano suggestioni antiche e moderne, gotiche e impressioniste. La contaminazione è condotta con stile e gusto sicuri, e in più con quella già ricordata vena fabulatoria che sposta il fuoco dello sguardo dalla contemplazione museale del passato al rispecchiamento, come metafora, nella sensibilità del presente. Le sculture che abbiamo detto totemiche e ieratiche, ideate ed eseguite tra lo scorcio dello scorso e il presente anno, appaiono orientate in una direzione squisitamente evocativa e mitografica che orfica. La valutazione si basa, per ora, solo su poche anticipazioni di piccolo formato, più che su un ciclo articolato e formalmente maturo. Peraltro, da quel che si vede, mi sembra che il materiale proposto a questa mostra sia sufficiente a farci intendere l'idea centrale su cui si impernia la ricerca recente: ossia di accentuazione dell'idea della sacralità della scultura come luogo della memoria, recinto sacro in cui si perpetuano segni che travalicano i limiti spaziali e temporali delle culture e diventano testimonianze dell'uomo. La Bruna ha pensato di utilizzare, per il suo discorso sul sentimento del tempo ritrovato, pietre di recupero dai depositi di rocce vulcaniche o tufacee o di altra natura, la cui struttura mineralogica e la cui forma acquisita per erosione o rotolamento o altre azioni chimiche e meccaniche, sia tale da costituire di per sè una scultura. E' direi meglio, una stele chè per tale la propone lo scultore assegnandole un ruolo sacrale di tavola della scrittura e dei simboli universali per quanto indecifrabili. La scelta oculata del resto geologico da elevare sulla collina della conoscenza ermetica, è già un atto estetico e comunicativo fondamentale, poichè nella pietra incisa si depositano le voci del tempo, dei cui echi si riempiono le valli d'intorno e che l'uomo saprà raccogliere non già per tentarne la decodificazione in chiaro, ad uso filologico, ma come messaggio di presenza e di continuità della cultura nel susseguirsi dei millenni. 
Nicola Micieli










Beppe La Bruna trasferisce la sua straordinaria capacità di lavorare il legno nel bronzo, materiale nobile della scultura che predilige agli altri. 
Le sue sculture scolpite nel vento sono ben lontane dalla fissità e dall'imponenza che il bronzo presuppone.
Sono aeree, instabili, fragili,quasi pronte a spiccare un balzo dalla scena in cui il maestro le ha immaginate.
Emozioni metalliche diafane e pregnanti di silenzi.
Foglie/sfoglie erette su piedistalli che sanno di canne di bambù; involucri di crisalidi altere che attendono silenti il respiro dell'anima. Veli sollevati da una brezza marina che il tempo ha fossilizzato nel calore straziante del calore a cera persa.
Carlo Bordoni
Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Carrara












1997   PROSPECTIVA '97                            Invito Mostra




              Testimonianza di Vittoria Palazzo per  Mostra Spazio Prospettive Milano 1997


1997

G. La Bruna - "Donna al camino" - bronzo,  cm 24x12x40


1997

1) G. La Bruna - "Spinte cosmiche", 1995 cm 40x15x30


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...Spazio Prospettive ospita la sua seconda edizione di Prospective, una mostra fuori dal comune in quanto composta da ben 10 personali: 8 pittori (Mario Bionda, Giovan Battista De Andreis, Franco Ferlenga, Giovanfrancesco Gonzaga, Ugo Nespolo, Amato Patriarca, Saverio Terruso e Ernesto Treccani) e 2 scultori (Beppe La Bruna e Gianni Bucher SchenKer) per un totale di oltre 200 opere. Abbiamo chiesto al dott. Paolo Dabbrescia, curatore della mostra, qual'è iol trait d'union di questa insolita esposizione.
"Nessun trait d'union. Sono artisti che la nostra Galleria, da anni ormai, propone a prescindere dalle correnti di appartenenza. Non abbiamo mai voluto legarci a una corrente precisa ma al contrario abbiamo preferito proporre ai collezionisti stili anche totalmente diversi tra loro perchè validi e portati avanti da artisti seri e determinati, quegli artisti in cui crediamo". 
Potremmo dire allora che questa "Prospectiva '97 è una specifica finestra aperta...
"Esattamente. Una grande finestra su questa primavera artistica. L'unica novità vera, se mi consente l'espressione, sono i due scultori... Giuseppe La Bruna, uno scultore insolito che riesce a trasmettere leggerezza alla sue figure che risultano quasi eteree nonostante siano fuse nel bronzo; figurativo ma che in alcune opere in particolare rasenta l'astrazione.
Aoristias


  Reportage del TG3 Francese sulla Corsica “Territoires” Febbraio 97;


1998

Articolo giornalistico pubblicato anche su "OGGI SICILIA" martedì 3 febbraio 1998
"VOTO" CONTRO LE DUE SCULTURE DINANZI IL DUOMO DI MONREALE
Con questa lettera vorrei esprimere il mio parere legato a una fede professionale, che non riesce più a trattenere il proprio silenzio in merito a quelle due "sculture" ubicate nel porticato d'ingresso del Duomo di Monreale. Sono mesi che passo continuamente davanti al monumento e ogni volta provo rammarico guardandole; più le osservo e più scopro difetti e bruttezze insostenibili sul piano artistico. Incontro amici e conoscenti che continuano a chiedermi che cosa ne penso. Ho sempre lasciato tacere, ma adesso ritengo doveroso, anche da parte di tutti i "dissidenti", e me ne prendo la piena responsabilità, denunciare pubblicamente, quantomeno sul piano "professionale" coloro i quali avrebbero dovuto impedire tale vergogna. Vorrei  ricordare che ogni giorno, in media, dal Duomo di Monreale passano numerosissimi turisti di varie etnie. 
S.E. Mons. Cassisa, ex Arcivescovo di Monreale, al quale ho avuto modo di comunicare il mio parere artistico sui lavori, mi ha risposto che si trattava di opere donate dallo "scultore", e che dunque non si è neppure posto il problema estetico. La Sovrintendenza, che non fa altro che bloccare lavori di restauro pe runa gronda o un intervento che non rientra in modo appropriato nello stile, perchè non è intervenuta quando è stato bucato il pavimento del portico per collocare la "scultura"? Giornalisti di ogni luogo, presenti qui talvolta anche con sottile opportunismo per denunciare o scrivere solo della mafia in Sicilia, senza occuparsi di quei giovani e meno giovani che dimostrano di lavorare con impegno e talento in un progetto di rinascita culturale. Critici d'arte che tanto sentenziano sui giornali in merito ad effimeri progetti. Tutti questi hanno avuto modo di vedere, di sapere dove sono le brutture davanti al Duomo di Monreale? Ma forse c'è da pensare che a volte è preferibile introdurre le nostre "colte" teste sotto la sabbia come struzzi impauriti e privi di pathos. Vergogniamoci se nulla è stato fatto per questa ed altre cose che accadono nel panorama nazionale a tutela della nostra immagine e del nostro patrimonio artistico. Abituiamoci almeno all'idea che ogni intervento estetico possa essere realizzato solo in seguito a bando pubblico nazionale, del cui esito la commissione si assuma tutte le responsabilità della scelta. 
Giuseppe La Bruna 
Docente di Scultura all'Accademia di Belle Arti di Carrara





R E G I O N E   C A M P A N I A

MITO POESIA
Museo Possibile 
presenta




UN SILENZIO IMMANENTE
Giuseppe La Bruna, scultore siciliano che vive tra Monreale e Carrara dove insegna all'Accademia di Belle Arti lo incontro per la prima volta nel mese di Gennaio di quest'anno in casa di Peppe Capasso Scisciano. La Bruna non è un novellino della materia  plastica, anzi ne conosce con cognizione di causa i tragitti interni  e le più segrete e inaccessibili scansioni. Accade che il suo pensiero scultoreo, sia come compresso o racchiuso in due polarità linguistiche spesso operanti simultaneamente e, precisamente, tra il versante figurativo con forti accentuazioni surreali-metafisico e quelle onirico-mitologico espressione forte della terrestrità della terra e grande madre. Nell'intimo del suo essere La Bruna ci appare come dominato da un forte sentimento della totalità cosmica e naturalistica-una forza travolgente e primordiale da ricondurre, forse, alle origini del Romanticismo tedesco che esaltava le forze oscure e irrazionale dell'animo umano non disgiunte dalla personalità del sentimento. Questi elementi mi pare di scorgere più vivi e magmatici, in mezzo agli altri. La Bruna modella con perizia, con senso allusivo e metaforico, dà corpo alle sue intuizioni, particolarmente quando accenna a corpi che giustapponendosi, evocano liricità e sentimento della natura. Il lavoro da egli svolto nell'arco degli anni 94 e 95, apre inseguire questo immaginario, alimentato da forme concave e leggere, trasudando levità e musicalità, pur nell'impianto talvolta estraniante del dato metafisico. Nei lavori del 96 e 97 mi pare che il suo interesse si concentri quasi essenzialmente verso un opzione linguistica intesa a recuperare un rapporto con la natura e con i suoi elementi (pietre, fossili, vari minerali) che egli aggrega in un bilanciato rapporto che talvolta appare osmotico, con le fusioni di bronzo che assumono le sembianze di pagine di una scultura millenaria, strappate all'oblio della memoria, come in "monoliti tempo-scrittura"e "riflessioni sul tempo". In queste opere domina un silenzio immanente, il dialogo degli elementi naturali che è avvenuto in un tempo metaforico, si ripete nelle opere di La Bruna che ripercorre il tempo delle origini fino all'incontro tra creatività della natura e spiritualità dell'umano. Emblemi fortemente allusivi sono certi alberi ricurvi che La Bruna, forse memore di quanto affermava Checov nel 1988-"Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l'uno e l'altro sono creati da leggi egualmente logiche e semplici"-và modellando sotto la spinta del suo impeto creativo quasi esso fosse un gesto della natura di forza cosmica e ancestrale. Ciò sembra avvalorare la particolare latitudine dello sguardo di La Bruna, che concepisce il paesaggio nel suo essere indissociabile dal viaggio, figura questa particolarmente inserita nella modernità-e nello stesso tempo, con le fenomenologie del nomadismo contemporaneo che si decreta la sua stessa crisi, poichè la dilatazione è l'accorciarsi repentino degli orizzonti temporali, deformano e problematizzano anche la nozione stessa di paesaggio che diventa altro, misura dell'alterità nella soggettività della percezione. Sappiamo che alla fine del settecento il grand tour, celebre quello di Goethe-celebra molti luoghi mediterranei e pieni di rovine con l'euforia dei viaggiatori in cerca di "aure" molte incisioni del piranesi documentano questa atmosfera, a volte anche oscura e misterica, questa voluta disgressione dal tema della ricerca di La Bruna non è casuale, essa serve a contestualizzare l'ampia problematica insita in un discorso che tocchi il paesaggio e la sua rappresentazione mentale, fortemente influenzata dalla latitudine dello sguardo che diventa viaggio, sembiante. Questo a dire che nulla togliendo alla ricerca di La Bruna, che segue un suo viatico attraverso i momenti concettualizzanti che ho indicato all'inizio, è bene ricordarsi, in un certo senso, che nessuna classicità è dunque riproponibile e la natura, come afferma M. Scotini "Nella sua perfezione rivela una inquietudine di cui si può prendere atto".

Ottaviano, Aprile 1998
Gaetano Romano



Giornali della Corsica 
per 
Mostra del 1998









Scritto per Porto Vecchio 1998

Carrara, lì 17/06/1998
Frammenti di scritti, pensieri ed emozioni; questi elementi potranno dare l'avvio a uno scritto olografo, come momento di riflessione e di sincera valutazione del mio lavoro. La mia vita è indubbiamente legata ad alcuni momenti portanti per la mia crescita artistica, che inizia nella Bottega di mio Padre, con l'acquisizione di un mestiere che attraverso il fare mi riconduceva al sapere ed al vivere; alla Scuola, grazie a quei pochi ma buoni Docenti preparati che mi hanno insegnato a vedere con i miei occhi, ed alla mia voglia continua di conoscere, osservare, leggere, incontrare, vivere il mondo, sempre pensando che molti hanno qualcosa da insegnarti; a questo presente momento, nel quale sto raccogliendo i dati per capire valutare , nei limiti del possibile certezze, verità, bugie, dissonanze, sonorità ed impressioni che si ricollegano all'inizio del discorso. Tralasciando il periodo di Sculture che va dal 1969 al 1985; nelle Sculture che vanno dal 1986 al 1996 il mio interesse era legato al rapporto fra pieno e vuoto, materia che occupa spazio e spazio che invade la materia: "Il vuoto è onnipotente perchè può contenere tutto. Solo nel vuoto ci può essere movimento. Chi riuscirà a fare di se stesso un vuoto, in cui gli altri potranno liberamente penetrare, diventerà padrone di ogni situazione; il tutto domina sempre il parziale" (pensiero Tao). L'uomo è l'elemento portante e presente, anche se come ombra o frammento, ma comunque presente in un suo esistere che lo distingue tra il bene e il male, tra anima e corpo, tra vento cosmico, silenzi profondi, in altri termini, una Scultura che è concepita per spazi esterni ove tutti gli eventi atmosferici e cosmico incidono nel far sì che essa viva in osmosi con il tempo con gli Uomini che possono toccarla, possederla, viverla, per pensarci anche dentro; una Scultura che raccoglie tutti gli umori del cielo e che possa riflettere nel Cosmo sentimenti silenti di un certo animo umano.
...con gli uomini ci sono anche gli alberi, e con "In te, anima mia, misuro i tempi", tratta da alcune mie letture dedicate a S. Agostino, o in "Verso memorie ancestrale" cerco valori del tempo e del divenire, il fluire della vita e tutto ciò che ricongiunge gli individui al mondo.
...Ma ecco che prima la pietra era base di una scultura la quale ne traeva appoggio, spinta, dopo diventa scultura essa stessa come contenitore di memorie che ci riconducono nel passato per estrapolarne energia e memorie vitali per il futuro. Ecco "Monolito tempo scrittura 1 e 2". La riflessione a volte ti coglie impreparato dall'idea, ma nulla è casuale, segno cuneiforme, la scrittura con tutto il suo evolversi. Ma cosa è più importante di un libro contenitore di memorie? E la pietra, non è anch'essa un contenitore? Credo allora importante occuparmi di questo già dal 1994. Così le pietre si aprono, "Larva cosmica" 1995, cambiano connotati, si conficcano nel legno, "Libro cosmico" 1996, "Memorie fossili" 1996, per autoproclamarsi materia che viene dal fuoco degli abissi viscerali e consegnati solidi, pietrificati rarefatti da un vento che ha tentato di cancellarne le origini, si presentano lì pronte a essere codificate per aprire nuovi orizzonti agli uomini che impareranno a leggere la propria storia.
...Il presente per me è legato al computer, ai suoi circuiti nei quali un universo di notizie può essere contenuto in pochissimo spazio.
...il mio grande sogno, ancora, non si è realizzato, ma ho sempre pensato che il sogno è importante per propiziarne l'evento; il sogno è quello di poter realizzare le mie sculture in grandi dimensioni...sulle dune del deserto, a pelo del mare, su di una scogliera irlandese, su un monte dove i Greci hanno costruito il loro teatro che serviva a comunicare con tutto il resto del Cosmo. Io sono felice di essere nato in un'isola come la Sicilia, che trasuda ed emana ancora fetori di morte, ma che da ciò ne ha sempre ricavato energia vitale; popoli che hanno costruito, calpestato, distrutto, ricostruito e così fino ad oggi la storia mi appartiene. Ma l'isola è sinonimo di conoscenza. L'uomo isolano è curioso di conoscere, assetato (oltre che di acqua) di sapere cosa c'è al di là del mare, e quindi a guardare sempre più lontano, nei profondi blu del mare che si fondono con gli azzurri rosati del cielo o i rossi violacei dei tramonti fino alla luce nera della notte. La luce è forte ...e tutto mi appartiene.
...Tutto quanto ci circonda è pensiero, ed il pensiero è movimento. Un movimento vive di spazio. La Scultura invade, si muove, vive e viene occupata da questo spazio. Io cerco di evidenziare il rapporto fra pensiero, movimento, spazio attraverso la presenza costante della materia, del segno, anche digitale impresso in essa...
Questo pensiero persiste in me così come è evidente osservando una delle mie ultime sculture in legno, "Il viaggio di Ulisse" 1997, dedicata a Roland Barthes. Il libro è il pianeta, la crisalide è il monolito di "2001 Odissea nello spazio". Ma in fin dei conti non è la nostra immagine che vediamo nell'Universo? Però vorrei puntualizzare che nonostante tutto, Narciso ci ha insegnato a vedere ciò che lui non vuole mai vedere all'infuori di se stesso.
Giuseppe la Bruna














1     Servizio del TG3 Francese sulla Corsica  per mostra ai Bastioni di Francia a  Porto Vecchio, Settembre 1998;



1998 MI ART

Artisti in permanenza: ...Giuseppe la Bruna...





1999                             SCRITTO di Toni Toniato 


















 2000




G. La Bruna -  "Cebele", opera del 2000





Anno 2000 
X Biennale Città di Carrara






Giuseppe la Bruna muove i primi passi nella bottega del padre, valente ebanista. La sua formazione artistica inizia all'Accademia di Ravenna dove è allievo di Giò Pomodoro e di Gino Cortellazzo, mentre studia incisione con Tono Zancanaro e storia dell'arte con Raffaele De Grada...nel 1976 La Bruna ha intanto esordito in una mostra collettiva nella Galleria il Peplo di Palermo, Nel 1980 scolpisce una stele monumentale in bronzo dedicata alla memoria dei subacquei scomparse nelle acque dell'Isola di Ustica. Nel 1982 tiene la prima personale. Nel 1982 tiene la prima personale a Palermo nella Galleria Prati. Da questo momento in poi espone regolarmente in Italia e all'estero. In Svizzera intrattiene un rapporto privilegiato con alcune gallerie come la Rà  di Zurigo (1986), e tiene una personale nel Orts museum di Kloten. Prende anche parte a numerosi concorsi e simposi nazionali. Nel 1996 espone un'ampia selezione della produzione plastica degli ultimi due anni  a Siena a Palazzo Patrizi. Quest'anno in Corea è stato invitato a partecipare al Third International Sculpture Symposium della città di Ichon. In una prima fase la sua scultura è caratterizzata da nudi filiformi che si allungano cercando nelle loro torsioni un sicuro rapporto con lo spazio.Combinando il suo interesse con le filosofie orientali alle problematiche connesse alla Gestalt,  La Bruna lavora negli anni seguenti su forme che esplicano il "rapporto tra pieno e vuoto, materia che occupa spazio che invade la materia" (G. La Bruna, intervista, 2000). Dalla metà degli anni ottanta le forme figurative si uniscono a frammenti di materia che mima le strutture geologiche dei minerali e gli amntichi alfabeti."La Bruna inserisce in questi nuovi lavori accenni di paesaggio, alberi ospuntio di nuvole, elementi compositivi con le quali le figure si misurano o dialogano prima di incontrare la natura circostante. palcoscenico unico del loro fermarsi (C.Frulli 1995 pp. 5-7). Molto importante è la cura dedicata alla scelta e alla lavorazione di materie diverse, dal legno al bronzo, dalla terracotta al marmo e alla pietra, portati dallo scultore al limite di quello che definisce "spessore indispensabile", appiglio minimo alla presenza vivificante dell'idea. Nel lavoro realizzato appositamente per la Biennale di Scultura, queste riflessioni ed esperienze, trovano uno sviluppo in una forma unica che raccoglie i principi di movimento, spazio e pensiero.
F. R. M.
Francesca Morelli




XXXV EDIZIONE 
VITA E PAESAGGIO DI CAPO D'ORLANDO


Scultura a Carrara in Viaggio
11 Marzo 29 Aprile 2000
Pinacoteca comunale  
"Tono Zancanaro"

"...Questa sorte di gemellaggio con la prestigiosa Accademia di Belle Arti di Carrara, oltre a far crescere la qualità culturale della nostra città, ci riempie di orgoglio. Essere vicini ad una città come Carrara che ha fatto la storia della scuola della scultura in Italia, è motivo di vanto per Capo d'Orlando, la accomuna a grandi centri culturali nazionali, è un indizio sulla giustizia della strada intrapresa".
Enzo Sindoni
Sindaco di Capo d'Orlando

"...E' perciò tanto importante oggi, (per Carrara) essere accoglienti, ospitali, ma soprattutto aprirsi alla conoscenza dell'altro, delle culture e tradizioni degli altri, scambiare esperienze e non rimanere immobili, ma capire ed apprezzare il cambiamento, la diversità. 
Gli artisti che espongono in questa mostra hanno un filo tenue e tenace che li lega alla loro terra e a Carrara; le loro opere dimostrano che la costruzione dell'identità artistica passa attraverso il confronto con la tradizione e la ricercadella libertà.

Andrea Zanetti
Assessore alla Cultura del Comune di Carrara


"IL VIAGGIO"

Questo evento espositivo, dedicato e rivolto agli allievi dei Corsi di Scultura dell'Accademia delle Belle Arti di Carrara, è legato alla prestigiosa manifestazione che da trentacinque anni il Comune di Capo d'Orlando dedica al "mondo dell'Arte"- XXXV mostra d'arte-"Vita e paesaggio di Capo d'Orlando" 
Le precedenti edizioni hanno avuto lo scopo di far conoscere ad artisti di ogni luogo, più o meno noti, una realtà isolana e, nello specifico, locale, per esaltarne, attraverso i colori (la pittura), la bellezza di un luogo dove il mare e la luce predominanao con forza e determinazione. Validissimi artisti, pittori, hanno avuto modo di realizzare qui le loro opere, oggi conservate nella bella Pinacoteca Comunale "Tono Zancanaro", luogo dove si terrà la 1^ mostra di scultura. Bisogna comunque riconoscere ampio merito a chi ha dedicato la propria fiducia negli anni precedenti, fin dall'inizio, all'edizione "Vita e paesaggio", augurandoci che l'evento possa proseguire nel tempo la sua strada. Oggi, grazie anche al benestare del Sindaco, Enzo Sindoni, dell'Assessore alla Cultura, R. Antonio Librizzi, ed alla indubbia sensibilità della Giunta, questa manifestazione aggiunge un nuovo tassello ed apre le porte ad una disciplina un pò più complessa della Pittura: la Scultura. E' importante iniziare proprio dagli allievi di un'Accademia nota nel panorama nazionale ed internazionale per la sua specificità nel merito; così come è importante che due amministrazioni, distanti fra loro, possano collaborare per conoscersi e dar vita a fertili sviluppi. Ma quello che mi urge, di più, evidenziare, in qualità di Titolare di una delle tre Cattedre di Scultura e di Direttore Artistico di questa manifestazione, è il piacere di unire insieme allievi italiani, e tra questi siciliani, a confronto con studenti tedeschi, franceschi, svizzeri, cinesi, coreani... . E' ovvio che le sculture qui esposte non evidenziano tutte le presenze operanti in Accademia ma, sicuramente, testimoniano che essi esistono e lavorano; così come esistono i Docenti che credono nel lavoro svolto dagli allievi e sono fieri di esporre al loro fianco. Tutto questo è, o si spera che sia, l'avvio di un'intesa di lavoro proficuo e duraturo nel tempo e che, attraverso questo primo espediente, si possano serenamente valutare errori o problemi che servano a crescere ed a far migliorare nel tempo quanto avviato con fatica oggi. Organizzare una mostra di scultura è fatica. E' ovvio che più le sculture sono grosse e pesanti e più aumentano le difficoltà, quindi ci siamo limitati ad esporre opere che testimoniano, oltre alla diversità dei materiali, la presenza e l'avvio di un dialogo fra due paesi distanti fra loro. Ecco che questa distanza ci riconduce al tema portante di questa mostra che è dedicata a "Il viaggio" che tanti allievi del Sud, ma anche tanti allievi del lontano Nord-Europa, così come di tanti altri paesi, affrontano per confrontarsi con una realtà accademica che è luogo di incontro fra varie culture. Gli allievi, i rappresentanti dell'Accademia e dell'Amministrazione di Carrara, per raggiungere Capo d'Orlando, affronteranno "il viaggio", per partecipare ad una manifestazione che, a mio avviso, deve essere momento di gioia, di festa, di incontro, con l'auspicio di aprire nuovi orizzonti, sia a chi non è mai venuto in Sicilia, sia a chi in questo luogo è rimasto troppo dentro. L'Arte è comunicazione, confronto, dialogo, apertura, crescita. L'arte è la linfa di un popolo. La nostra memoria storica in Sicilia è pregna d'Arte, ma occorre anche trascinare fuori, e con forza, l'esperienza passata per avviare aspetti nuovi di un oggi che deve evidenziare non sempre gli stessi stereotipi di un'isola lontana e fuori da una realtà quotidiana, ma, grazie alle forze nuove di giovani attenti e sensibili, salpare l'ancora di un vascello pronto a viaggiare ed a confrontarsi con il resto del mondo. Il viaggio è da sempre la metafora sublime di un percorso che è tanto spazio-temporale quanto interiore; è la risorsa e la speranza per un isolano, un iter periglioso, pieno di trappole: viaggi per terra e per mare , dove non mi stupirebbe di sentire ancora, e per sempre, cantare le celebri "Sirene" di Ulisse, portatrici di seduzione e di morte. Il viaggio è forse la dimensione più complessa che l'uomo attraversa durante la sua crescita culturale ed umana, ma certamente la più affascinante. Attraverso il viaggio ogni uomo costruisce la propria storia. I giovani devono conoscere per costruire ,ma bisogna anche aiutarli a costruire, insieme. Il dovere degli adulti e dei politici, primi responsabili, nel bene e nel male, di quanto sopra ho scritto, è di essere esempio per chi si affaccia alla complessità della vita, perchè solo "l'esempio" è autenticamente politico. 
Auguriamoci che nei nostri occhi regni sempre la luce: palpito dell'anima e generatrice della vita.

Giuseppe La Bruna 
Titolare di scultura all'Accademia di Belle Arti di Carrara






Gennaio   2000


                     Programma “Miscellania” 1  Condotto da Cettina Ventimiglia   

 2001





G. La Bruna - "In te, anima mia, misuro i tempi " - Scultura in bronzo anno 1995



Giuseppe La Bruna vive e lavora fra Carrara e Monreale dove è nato. I volumi modellati nella cera con curata sapienza di gesti, rispecchiano il suo essere cresciuto in una famiglia di maestri ebanisti, dove alla perfezione rituale del mestiere erano stati adottati i tempi e il sapore del vivere. L'Artista raccoglie pietre e sassi modellati dalla inarrestabile fantasia del tempo e degli elementi su cui talvolta interviene e che spesso ha usato come supporto funzionale per gli agili bronzi. Attraverso quelle impronte, egli va raccontando gli alfabeti di antichissime civiltà mediterranee e orientali, segni che conservano l'eco del legame d'origine con la lettera, il cui suono remoto, si ricordò, designava la sostanza intima degli esseri e delle cose.
    Cristina Frulli


2001




..."Io cerco i valori del tempo e del divenire, l'eterno fluire della vita e tutto ciò che ricongiunge gli individui al mondo" 
G. La Bruna



 2003 
PERSONALE 

P I E T R A S A N T A (Lucca)

"VIAGGIO A SEUL"






G. La Bruna -  "Verso memorie ancestrali" anno 1995









SEUL

Metafisica di un ricordo appeso ad un filo di piombo
di Francesco Gallo


Seul è un nome suadente, somiglia al sole, al suo essere oriente, al nascere, squarciando tenebre, sogni, incubi, sta anche per solo, solitudine, intimità (emarginazione?) ma anche silenzio riflessione, memoria. Seul è un inseguimento a Marco Polo, alla parte del mistero, alla folla degli odori e dei sapori fatti di crisantemo e carta di riso. Seul è la punta del mondo che guarda l'oceano e agogna la steppa, in groppa al destino che trancia la luna, conversa con stelle e pianeti. I suoi piedi sono con noi, toccano la stessa terra, ma la testa è altrove, nell'universo fantastico d'un canto sofferto, di una musica arpata, graffiata nell'aria di un dolce thè e petalo di rosa. Come il carro d'Aurora è veloce, trascinato da bianchi cavalli, Seul appare e scompare, in intermittenza di giorni e notti, grigi perlati e rossi cotti dal fuoco, a grandi contrasti, infiniti altezze e graziose nicchie, umana molto umana, ma anche molto siderale, astratta. E' un grande incrocio, una contaminata regione della fantasia, da un mitico fuori dal tempo e dallo spazio ad un magico dove tutto può accadere e forse accade davvero, ma sembra una grande fiction, un'onda magnetica tutta virtuale, leggera d'ogni suo peso, di notte quando da noi è giorno, viceversa quando dormiamo, si gioca la vita. Seul si può scomporre come un quadro di Mondrian, come una scultura di Moore, come un gesto di Duchamp, tanto non la scalfisce il vento, non la tocca il mare; tocca al cielo blu, azzurro, ceruleo, lunare, nero, tenerla sempre per mano.
Palermo, 2003 




La Bruna (Ichon , Seul - KOREA) - opera: Scrutando l'Universo, 2000

La Bruna (Ichon, Seul), lavorazione base in granito, 2000



PLASTICITA' E LEGGEREZZA di Francesco Gallo


La scultura è sempre una sfida che l'artista lancia alle coordinate spaziali del proprio tempo, al fine di metterle alla prova di resistibilità e di vivacità. Perchè la scultura non si accontenta della virtualità della rappresentazione, ma vuole essere protagonista di un segmento dell'infinitezza, dandole nome e forma. 
Giuseppe La Bruna vive questa situazione in una dimensione di ricchezza, di possibilità, di attualità, lavorando sia il marmo, che il legno, che il bronzo, in modo da tirarne fuori l'anima, anche a costo di affrontare le leggi della dinamica e della statica forzandole, con l'arditezza di una lamellarità che a volte rasenta la trasparenza, per minuziosità di trattamento a cui è sottoposta nelle varie fasi di lavorazione. E' questo un modo per entrare nel cuore storico della scultura, attualizzarlo con l'ardimentosa enigmaticità di una forma che è in continua ricerca d'equilibrio, pur portandoselo sempre dentro, come corredo interiore che deve solo essere messo in atto, ma non è cosa da poco o cosa che riesce a tutti. Ricorre alle supreme vette di Brancusi, Moore, Arp, Viani, così come all'atlantica potenza evocatrice di Arturo Martini, che porta in dote la sfida infinita dell'ultimo Michelangelo e la dilatata poeticità di Canova, serve a delineare una genealogia della discontinuità, che diventa fondante per l'originale identità di uno stile che viene da lontano, dalle molteplici inclinazioni della classicità e giunge fino a noi, alle soglie dell'uscita stessa dalla condizione stilistica. E' questa la condizione artistica dell'originalità, tesa alla continua ricerca del nuovo, dell'orizzonte futuro che non si è presentato ma non è stato percepito, manifestandosi come spreco, dissipazione, dispersione. In questo senso La Bruna si presenta come un artista di solida impostazione tecnica, capace di dominare i materiali, condurli agli esiti immaginati e tenacemente perseguiti, con sottigliezza di trattamento, capace di contenere in sè il massimo della vigoria e della dolcezza. Nello scrivere questo ho in mente due fasi da me constatate personalmente, nel suo studio di Monreale, di una scultura lignea che continua ad espandersi, perdendo materia, spessore, acquistando in aerea volatilità, in dimensione spaziale. Il tutto è ottenuto con un metodico lavoro di sottrazione, di scarnificazione, che s'intende come eliminazione della sordità, dell'insensibilità, che fa parte del corpus di ogni grezzo originario e via via si trasforma alchemicamente in preziosità plastica capace di acquistare calore, organicità, nell'alveo dei valori tattili, il cui senso esteso, rispetto alla definizione di Berenson, si presta alla qualità di quel filone della scultura che è ancora fatta con i materiali tradizionali, nel bel mezzo di tanta sperimentazione di materiali e forme che hanno avuto il testimone dalle avanguardie di un secolo fa. Questo perchè l'arte contemporanea si conferma un arcipelago di molteplicità di linguaggi e di tendenze, tutte in qualche modo in grado di rispondere allo spirito del tempo, che è fatto di tanti modi e di tante maniere. La Bruna non sta dalla parte della tradizione contro l'innovazione, ma neanche viceversa, vive pienamente lo spirito della cultura di crisi che è l'opposto dalla crisi della cultura, manifestandosi come un grande spirito di libertà, avvolgente forza di seduzione, spregiudicato anelito ad una diversità sottile dove la forza della qualità è paradossalmente più preziosa in quanto riduce l'assetto della quantità, ma la estende in quanto forza dell'immateriale, dello spirituale, del fantastico.
Palermo, 2000




Nuove forme nel classico 
di Toni Toniato


(...) Nel corso degli anni La Bruna ha continuato a rinnovare le possibilità intrinseche in questo rapporto, sperimentando, non di meno, con coerente svolgimento formale, una progressiva evoluzione stilistica fino a comporre delle forme di primaria ed essenziale strutturazione plastica con le quali proporre l'idea di assoluta organicità e di assoluto mito in un'immagine di arcane risonanze della natura e della storia. In queste opere viene a stabilirsi tra la concezione plastica dell'artista e al materia della pietra, mezzo da sempre privilegiato dalla scultura-da Fidia a Michelangelo, da Brancusi a Moore, da Arp a Viani, una sorprendente corrispondenza, per il fatto forse che egli non si serve di tale materiale per ricavarvi soltanto o immettervi dei corpi figurali-che pure egli intravede nelle forme che infine realizza-, ma perchè egli ne ascolta le vene più segrete dalle quali raccoglie le voci di luoghi e di tempi che vi hanno impresso il loro intangibile sigillo. Lo scultore ascolta i suoni sepolti nella pietra, li fa riecheggiare nella facoltà di una scrittura da lui piegata a trasmettere altre misteriose risonanze. La Bruna infatti trasforma, modifica, anzi completa questi segni che così divengono degli alfabeti di civiltà e memorie ancestrali e che egli trae da lontananze obliate, da stadi della materia primordiale, rivitalizzando quei ossili per trasfondervi un ritmo diversamente originario. Si può capire dunque il motivo per cui lo scultore riesca a modellare e a modulare-come su uno spartito naturale- le stesse inafferrabili sonorità dell'aria e della luce, incarnate qui entro vocaboli di un linguaggio di remote, attualissime pronunce plastiche. In effetti sono tali energie suscitate dai graffiti, dai cifrari da lui rintracciati e ritrovati su cui si coniuga prepotentemente l'impulso quale segno di un'origine, ugualmente primeva, che ora riemerge a trasmettere forme e simboli d'inizi d'altri mondi. Questo spiega altresì le ragioni in lui di un ineludibile richiamo al sacro di religioni primitive. Infatti altrettanto misteriose appaiono le forme in pietra da lui scolpite che proprio a quelle referenze si rivolgono per ritrovare i significati di energie cosmogoniche, tradotte, non solo simbolicamente, nella proprietà costitutive dell'aria e della luce. Sono, peraltro, questi elementi che lo scultore viene a configurare nella struttura morfologica delle sue immagini caratterizzate, per l'appunto, da termini formali di estrema trasparenza e di aerea leggerezza, i quali perfettamente assecondano e si accordano a quelle eteree energie, a miti ultraterreni, a scritture celesti. Dopo i giovanili esordi, in ambito di un rinnovamento classico plastico, La Bruna ha concepito la scultura non soltanto come un far spazio alla forma, o come l'evoluzione della forma a farsi spazio, ma come qualcosa di più e d'altro e della forma e dello spazio. Del resto il linguaggio di La Bruna tende a costruire in sostanza quel profilo del vuoto che sta prima della forma e dello spazio e per questo egli chiama a definirlo quegli elementi più immateriali come la luce e l'aria che allora qui prendono corpo e volume, riuscendo egli a far trasparire dai loro movimenti la forma di figure inesplicabili, votate ad abitare territori puramente immaginativi. Il suo linguaggio esula perciò dalle convenzioni fin troppo abusate riguardo al concetto di "Figurazione" e "astrazione" e sarebbe del tutto improprio riferire la sua opera ad una di queste categorie in quanto la sua visione plastica rifonde simili postulati e ne trascende i limiti. La stessa tradizionale verticalità della scultura, quella sua innata tensione verso l'alto, presenta qui una versione arrischiata, in quanto le forme di La Bruna si ergono in una ascensionabilità più tipica del volo, anzi assumono il passo di un volteggio acrobatico nell'aria, quello di un movimento incorporeo. Parimenti il motivo, sebbene arcaico, della "stele" da lui costruite ed innalzate con potenza un'altra volta massiva - celebrando quasi il tempo in cui gli dei abitavano ancora la terra - si dispiega invero in un orizzonte plastico di assoluti profili eterei, di puri contrappunti di pieno e vuoto arricchendosi di geroglifici non sempre decifrabili, meglio, alimentandosi con vorticosa pulsazione di ornati che iscrivono una bellezza ermetica. La Bruna, richiamandosi a quel motivo della stele, d'icastica sovranità formale, edifica di fatto una struttura che rimmemora non solo una dimensione del sacro o un suo rivisitato archetipo, ma ricompone un blocco tramato di vuoti e pieni con cui egli mostra di rimediare una lingua inesplicabile, forse quella originariamente scolpita dagli dei e trasmessa a noi attraverso la sua storia geologica, con la quale sia possibile riallacciare il nostro legame con l'universo.(...)
Venezia, 1999


2003


TENDENZE: Metti l'arte in giardino



Giuseppe La Bruna - Uno stile figurativo peculiare, con silhoutte stilizzate che fronteggiano blocchi di materia incisi con segni arcani, distingue il palermitano La Bruna - "Eppure non mi configuro nella Transavanguardia", dice, "mi sento legato alla tradizione, benchè con temi forti, tratti dalla contemporaneità". I suoi bronzi onirici dai titoli intriganti (come Frammenti di scrittura cosmica, Memorie del Tempo, Monolito tempo-scrittura, esprimono il rapporto tra uomo e cosmo uomo e tempo, uomo e segno punto d'inizio della civiltà mediterranea. Un lavoro il suo alla ricerca di una nuova immagine cosmica ma sempre riconducibile alla figura a una fragilità espressa da spessori sottili da forme nervose come di materia in movimento.




Beppe La Bruna - "Memorie del Tempo", bronzo




2003 ORTO BOTANICO - Restauro bronzi
Presentazione








































                                2004 - Simposio Lattakia Siria  (OMAGGIO ALLA SIRIA)




2004








Ricordo di un artista a cura di Salvatore Autovino






2005                 GLI INTELLETTUALI  del Novecento


La mostra permanente La vita non è sogno dedicata al poeta Salvatore Quasimodo...




LA PAROLA, GLI INTELLETTUALI, LA SCULTURA di Aldo Gerbino
La scultura è il volto. E se è vero che dal volto traspaiono i segni dell'anima, è proprio quest'aurea forma ad essere proiettata e plasmata dalle figure, dagli sguardi, dalle pupille, dalla stessa morfologia della mimica, dalla fisiognomica. Una polifonia di segnali accolti, qui, nello spazio spirituale dei volti dei poeti, degli scrittori e di quanti hanno percepito la cultura e gli altri del fare artistico quale elaborato altissimo di comunicazione, sollecitante diorama di poetiche. Impatto metonimico potremmo definire tale percorso, in quanto si viene a svolgere, grazie ad una "parte" del lavoro creativo, il grande ventaglio che spira sui problemi del mondo, sulla geografia dell'esistenza stesa, sul conflitto e su quel rapporto sinergico posto tra anime e quanto esse stesse possano essere in grado di rappresentare o hanno già mirabilmente rappresentare (soltanto così, continueranno ad esistere, a convivere). E' il primo Novecento a costituire sostrato e tetto di un discorso che traccia, lungo le figure plastiche (con una mediazione privilegiata verso la terracotta), la molteplicità delle visioni del reale, soprattutto in rapporto alla scrittura, e, quasi in un percorso metalinguistico, con l'icona della scultura, con quel sostegno plastico, facitore di masse corporali, di mappe interiori. Certo, molteplicità di esigenze estetiche si accorpano in questi plurimi itinerari: ora assorti in esigenze cromatiche sempre rivolte al fare scultoreo, o pervasi da una sorta di stupore naturalistico, o accolti in solchi pronti ad attraversare sensibilmente effigi e corpi, oppure sospinti verso l'emblema dell'occhio reso algido dal tempo, oppure immersi nel filo diretto di una continua interlocuzione esistenziale. In tal modo si articolano le impronte plastiche di matrice espressionista; altre volte, in modo probante, i sensi persistenti e stanchi dell'accademia, altre volte ancora - ricalcando motori che furono delle avanguardie storiche - solleciti dinamismi, oppure, per alcuni di essi, un rastremarsi in gusti materici o grotteschi, o uno sfociare in essenze metafisiche , in insinuanti ed epidermiche tangenze. I nomi dei "ritratti" appaiono immersi nei luoghi immaginifici, sin dalla prima collocazione a villa Piccolo di Calanovella : l'ampia regione di ombre dilatate dalla "poesia" di Lucio Piccolo (l'interpretazione plastica è di Pasquale Marino). Poi su tali ombre, su tali sciroccali filamenti barocchi, corrono sguardi che appartennero a Saba (Carmelo Barillà), a Tomasi (Sergio Capellini), a Ungaretti (Antonio Esposito). E la corsa continua in un affanno ideale teso a restituire la vertigine della parola: Deledda (M. Cristina Crespo), Luzi (Andrea Granchi), Levi (Ilaria Caputo), Pirandello (Alba Gonzales), Pasolini (Alberto Inglesi), Quasimodo (Giuseppe La Bruna)....... 

Aldo Gerbino


2006







                                              


"Introspezione", 1996                                                                   "Divenire", 2002




Giuseppe La Bruna - 
Il viaggio di Ulisse Omaggio a Roland Barthes, 
1998 legno e bronzo 120x90x35


2007


G. La Bruna - "La nave delle donne", 2007







Arte come fecondo vento cosmico 
di Giampaolo Trotta


Un catalogo di una mostra di scultura è sempre molto stimolante anche perchè, a differenza delle esposizioni di pittura, quelle di manufatti scultorei sono maggiormente rare e, nell'immaginario collettivo, ritenute più elitarie. Forse questo è vero se per elitario intendiamo una maggio selezione dovuta alla profondità del messaggio e alla difficoltà delle tecniche che vi sono sottese.
Sempre nel luogo comune la scultura è veduta come un qualcosa di monumentale, realizzato per grandi spazi aperti, in materiale duraturi come il marmo o il bronzo. a tale visione gli scultori contemporanei, a partire dal secondo dopoguerra, hanno contrapposto una eterogeneità di materiali (bronzo, legno, marmo) (fusione a cera persa) antichi. La Bruna scolpisce con gli strumenti della tradizione che egli stesso insegna anche quale docente all'Accademia di Palermo. Ciò nonostante, le sue opere- figurative, sì, ma non oleograficamente veriste- sono estremamente moderne e affascinanti. Spesso si è erroneamente ritenuto che un'arte concettuale dovesse esprimere un'idea senza ancorarsi alla bellezza della figurazione: le sculture di La Bruna rivelano una profonda meditazione simbolica ed allegorica sull'esistenza attraverso forme magistralmente ricche di pathos e di eleganza formale. La produzione degli ultimi anni si è concentrata sulla figura umana "rarefatta"che assurge a simbolo di una pacata riflessione sulla vita, sul Cosmo e sul suo costante ed inesorabile trasformarsi, creando il Tempo e la Storia. Le sue figure, per lo più asessuate, rappresentano l'umanità o meglio, forse, l'essere vivente creato che, in un silenzio siderale, assiste alla creazione di se stesso e dell'Universo. Una sorta di vento che è anemos, spirito di autocoscienza. Le sue messe materiche, per lo più di bronzo ma anche di marmo e di legno, prendono gradualmente la forma nel riconoscersi come esistenti e pensanti e si ergono maestosamente ed epicamente come figure antiche sulla riva di un mare. I personaggi, astrattamente modernissimi, si ricollegano, non a caso, proprio alla scultura antica, come reperti archeologici, corrosi dalla salsedine e scuriti dalla terra, con quelle cromie e quelle patine impresse ai suoi bronzi un uso sapiente degli ossidi. Ci tornano in mente sculture preistoriche ma anche etrusche e italiche, in queste opere di La Bruna dove la materia stessa pare plasmata con il tempo e con lo spazio. Frammenti ripescati da un simbolico mare e proiettati nel vento cosmico: modellati con profondo senso della terra (le ditate impresse nella cera e riconoscibili nelle scaglie di bronzo; i colpi di scalpello nel legno), rivelano cicatrici e ferite, solchi e scabrosità simboliche che si annullano nei lisci volti contemplanti l'infinito con atarassia, metafisicamente senza connotati. Segni degli strumenti e delle dita dell'artista che, come un dio, forgia la materia primordiale, gli imprime segni e significati, creando la Storia. segni che possono divenire misteriosi alfabeti, nei quali sta racchiuso il significato e il segreto dell'Universo, ricoprendo lamine come in tavolette sumeriche, ma si ricollegano direttamente alla Natura, che ha impresso linee e segmenti misteriosi nel magma poi solidificatosi in roccia. I suoi frammenti di scrittura cosmica assommano gli alfabeti alle solitarie figure e agli alberi di una natura anch'essa in formazione, così che le chiome si materializzano come da fluttuanti nubi pregne di vita. Nel turbinio di questa materia eterna si coglie e si perde l'attimo fuggente, l'incontro di amanti, in un continuo fluire dove gli esseri viventi si gonfiano e sgonfiano come vele, respirano sotto la spinta di quel vento rammentato. Nelle sculture di La Bruna è racchiuso il metro che misura il tempo e lo spazio alla ricerca di una catarsi finale, scrutando-cercando di penetrare cioè-la realtà futura attraverso una pausata riflessione ed una memoria ancestrale. Simbolici monoliti di questo viaggio umano attraverso il Tempo mediante la Storia codificata dalla scrittura che assumono il tono di un seducente 2001 Odissea nello spazio.
Da queste meteoriti piovute sulla Terra, da queste pietre di luna che recano codici alfabetici astrali, si sprigiona, come da crisalidi, si pensi appunto, a Crisalide, del 1998), la vita, da quegli archetipi dai quali deriva la molteplicità della natura e degli esseri viventi (Astro alfabetico del 1996, Scritto ancestrale del 1997). Una plasticità ed una permeabilità che libera i materiali dal proprio pondus. Quanto detto trova una puntuale conferma attraverso l'analisi di alcune tra sue più paradigmatiche opere.  Immersi nello spazio del 1985, è una fusione quasi informale di figure che si creano nell'Universo e la base, costituita da una pietra levigata e smussata, diviene come una meteora che, attraversando lo spazio, porta la vita, plasmati da venti astrali. Anche in Le sacre du printemps, parmenti del 1985 ed il cui titolo è ispirato al capolavoro di Igor Stravinskij, ci raffigura un monolite dal cui taglio verticale, origine della vita, sorge la figura della Primavera e il dinamico groviglio danzante di nuovi esseri sul palcoscenico del mondo. La grande statua ignea di Cibele (1998/2000) è una meditazione e una contemplazione di quel rammentato divenire cosmico e la materia con la quale è fattala dea frigia, la Gran Madre degli Dei, Personificazione della potenza della Natura, ha l'imponenza di un tronco che si forma uscendo dalla terra: in quell'assemblarsi di masse ritroviamo la rugosità di una corteccia d'albero e il profumo di boschi galattici che rimandano al significato originario e fecondatore di Cibele-Rea, figlia di Urano e sposa di Crono. Il viaggio di Ulisse (anch'esso del 1998) è metafora del viaggio dell'umanità in perenne ricerca di nuovi orizzonti e di nuove terre interiori: il libro, ancora una volta in legno,è quello della storia dell'uomo e il tocco lieve della farfalla in bronzo rimanda a voli in cristallini cieli surreali. Il tema della scrittura è presente anche in Libro cosmico (1998) nel quali il segreto dell'Universo sono incisi nella grande pietra di fronte alla quale medita una figura in tutta la sua "piccolezza"e anche la molteplicità di materiali (basalto, bronzo, legno) rinvia alla complessità della Natura e l'inclinazione del grande libro sotto il cuneo libro vuole quasi essere una raffigurazione dell'uomo che con il proprio intelletto penetra e dischiude i misteri del Creato. Similmente, Memoria del tempo, opera antecedente di tre anni (1995), è la pagina scritta dalla Natura nel libro della roccia e l'immagine sulla destra si richiama a quella già ricordata di Cibele. Nella Coppia (2005) le due figure stanti in terracotta rimandano anch'esse ad un simbolico mondo antico assumendo il fascino segreto ed enigmatico del manufatto archeologico: nella piccola dimensione hanno la valenza quasi di un bozzetto per la realizzazione di una più grande scultura dove le maggiori dimensioni inviterebbero l'osservatore a sedersi sulla parte inferiore, destinata ad accogliere e a fondersi con il fruitore, quasi come un manufatto, uscito da una grande necropoli o da uno scavo di un tempio, dove l'offerta alla divinità, diviene una fusione con l'Universo. E-venti cosmici, è quasi il bozzetto per un'istallazione, con le due figure in formazione, poste staticamente in verticale a serrare la scena ed il groviglio turbinoso delle altre che definiscono dinamicamente in orizzontale la "lingua" di terra dove l'evento si svolge (il vento fecondatore spira). Un significato diverso, più storico è riscontrabile ne Il muro del 1983, dove la figura trascinante l'altra, al di là del diaframma, è un richiamo specifico al muro di Berlino e, attraverso la simbologia di primo livello riferita all'anelito di libertà delle popolazioni allora ancora immerse nell'incubo plumbeo della dittatura, rimanda ad un significato ancora più profondo di liberazione dell'essere umano da ogni condizionamento e "fune" che lo tiene legato, impedendogli di volare. Elegantissimo il suo Omaggio a Gabriel Faurè 1983, il noto compositore francese vissuto fra l'Otto e Novecento (1845-1924). Isolato e schivo, sia come artista sia come uomo, Faurè è stato un protagonista della rinascita strumentale francese e si proietta nel nuovo secolo con l'economia del mezzo espressivo, con una semplicità di atteggiamento profonda e meditata, che mano a mano si spogliava della componente manieristica e sentimentale, dal "romanticismo emotivo", mirando sempre maggiormente a un'ideale essenzialità, tendente a trasformarsi in messaggio morale ed etico. Così, similmente, l'opera di La Bruna, risalente al 1983, sulla base marmorea del palcoscenico della vita, ci rappresenta tre figure femminili in bronzo, una ancora legata dai propri condizionamenti e dal passato, la seconda che si sta liberando, e l'ultima, libera, che con passo danzante si proietta al di fuori della base. Presentando analogie con un'altra scultura di quegli anni (Crocifissione-Resurrezione del 1981), i vincoli, però, non si riescono mai a cancellare completamente e nel corpo come nell'anima rimangono le cicatrici e i "legacci" del passato anche dopo la liberazione-resurrezione. Opera emblematica di La Bruna che vi esprime un pensiero artistico estremamente sofisticato, in una dimensione dominata dalle illusioni, dall'aristocratica e dinamica contemplazione, da un lirismo spesso tenue, arioso, mai decorativo. Colma di simbologie è anche la scultura realizzata come Omaggio a Ludovico Ariosto (Angelica e Bradamante) del 1988. Su un ampio macigno che presenta levigate affossature riempite di ghiaia marina e di acqua, come un  terreno di battaglia con pozze, vi sono i resti di lance e di armi di bronzo spezzate, dal cavallo impennato, dai tratti movimentati novecentisti alla Marino Marini, cade all'indietro Bradamante, in un convulso attimo di dinamismo bloccato nella scultura come in un'istantanea; di lato in alto e separata, si erge la figura stante di Angelica che medita sul campo dopo la battaglia. Attraverso l'omaggio delle due eroine della Gerusalemme Liberata La Bruna ci ripropone una riflessione di Ariosto che diviene visceralmente sua ed espressione della sua filosofia cosmica. Bradamante cavalca vestita della propria armatura di bronzo e sconfigge cavalieri e maghi, mentre Angelica, figura in "formazione" attraverso il magma che si connota e cioè diventa autocosciente, pensa, riflette. Sono contrasti pensati per mostrare a chi guarda più facce della realtà, contrasti di concetti implicitamente legati tra loro, una volta ancora come metafora della vita. Così, la femminilità di Angelica e la mascolinità di Bradamante, non sono altro che il "bianco" e il "nero" che si compenetrano e si fondono "necessariamente" nell'ambito della figura femminile in generale: ogni donna è un pò Angelica e un pò Bradamante, può usare la forza o la dolcezza può lottare strenuamente o scomparire. Tutto, nelle sculture di La Bruna, converge magicamente in un unicum armonico ed escatologico finale, pur nella variegata poliedricità di forme e di materiali (sempre naturali) come emble-maticamente pare suggerire il cerchio di figure danzanti attorno al grande ombelico -monolite solare di Verso il Dio universale (2003), che come un cuore immanente e trascendente ad un tempo, batte e palpita nel Cosmo, in un Cosmo fatto di luci ed ombre, dove l'ombra non può esistere senza la Luce, ma neppure la Luce può sussistere senza le sue "ombre". In tal senso, già Trilogia di un evento del 1995, con le due figure delle quali, una è "doppia"(nascendo una in seno all'altra come Eva dalla costola di Adamo), possiamo leggerla attraverso le parole stesse dell'autore: "ogni cosa ha una sua verità entro la quale è nascosta una bugia, ma nella bugia spesso, è intrappolata la Verità che tanto fa male a chi usa con arroganza la bugia". E proprio con le parole disincantatamente esistenzialiste di La Bruna ma non prive di un ultima aurorale speranze, ci piace concludere queste brevi considerazioni-impressioni come colpi di luce nel buio della notte siderale-sulla sua arte e sul "vento" magico che imprime il suo creatore.










2008



GIAMPAOLO TROTTA

DIECI per CENTO
Dieci artisti contemporanei per due mostre a Cento






















2008 
CENTO DI FERRARA

Mostra Personale 
di 
Giuseppe La Bruna 
al 
Palazzo del Governatore (Comune di Cento)










 Dibattito Mostra "Cento di Ferrara": L'Artista Beppe La Bruna 


2008 


G. La Bruna-Coppia, 1992 bronzo e pietra 65x45x20cm
                      Contemplazioni di amanti 1995 bronzo 100x50x35 cm
                      Contemplazioni 2002 bronzo 45x35x20cm




SUGGESTIONI TATTILI di Paolo Levi 
La ricerca plastica di Giuseppe La Bruna si rivela, fin dagli inizi, per la decisa carica espressiva, dove il pathos della forma si coniuga alla poesia. Egli non ripete mai se stesso. Ogni composizione pare l'inizio di un ciclo, di un mondo di eventi arcani. Si tratta di uno scultore che opera all'interno di certezze creative e conclusive, con una tensione intellettuale nel rinnovare forme e materiali. Le sue immagini sono figlie anche di suggestioni interiori. Dagli inizi della sua carriera a oggi, i temi si sono via via arricchiti e caratterizzati entro simboli linguistici, tendendo sempre più a una narrazione libera e aperta. Ci sono lavori  come "Trilogia di un evento" del 1995 dove l'impianto formale è quanto mai vigoroso e si sviluppa, in chiave misterica entro lo spazio creato dalla luce. C'è in poeticità tattile ne "Il viaggio di Ulisse" del 1998, dove una farfalla sulla pagina di un libro aperto, fa pensare a una intimismo privato. Egli opera e inventa suggestioni plastiche entro spazi aperti, figure: umane dinamiche con atteggiamenti esteriori di inedita teatralità. Sono lavori che si liberano da ogni interferenza ambientale accessoria e si ritrovano in un'autonomia di valori fluenti con tendenza a una controllata disgregazione espressiva. Il suo "espressionismo" supera in contenutismo esistenziale i maestri che lo hanno preceduto, costruendo al contrario strutture ermetiche dal simbolismo formalmente elegante, tutto da decodificare, come quello dei lavori di datazione più recente, come "Omaggio alla Siria" del 2004 che preclude, rispetto alla ricerca del passato, a un esito dove il cosatutto ha una sua solare asetticità. Questo lavoro interrompe in parte l'arcaismo del passato, quasi un avvicinarsi a un minimalismo purista. Egli, comunque, rimane uno scultore mediterraneo, di luce e vento con una sua moderna classicità.
Paolo Levi 



2008 BIENNALE INTERNAZIONALE D'ARTE CONTEMPORANEA - FERRARA









Germania 2009 - Damme















2010                                                        MONTRAKER - ISTRIA





2010




TORINO 2011


2012




2013

MOSTRA DI PITTURA E SCULTURA
C A T A N I A
Espongono: 
Maria Mantegna - Giuseppe La Bruna - Stefano Sichel







































OPERE di GIUSEPPE LA BRUNA
1968 G. La Bruna - Testa h 23x20 x15 Arenaria


Amanti 1974 legno h cm 40


Chosun 1976 terracotta trattata a cera h cm 30


1978 Terracotta "Ulna"

Tensioni d'Amore -  bronzo 1981

Verso una meta - bronzo 1981

Crocifissione 1982, bronzo a cera persa h cm 75


Donna e albero 1982 bronzo a cera persa e legno h cm 60

Giocoliere 1982 bronzo a cera persa h cm 35

Tensione 1 - 1982 bronzo a cera persa h cm 30

Coppia 1982 bronzo a cera persa h cm 35

Illusione 1982 bronzo a cera persa  h cm 35

L'uomo e il tempo 1982 terracotta trattat a cera cm 90x60

Tensione 2 - 1982 bronzo a cera persa h cm 45

Donna in corso 1982 bronzo a cera persa h cm 35

Verso una meta 1982 bronzo a cera persa h cm 38

Frammento di Urlicht 1982 terracotta tratta a cera cm 80x40

Uomo con albero - 1982 bronzo a cera persa e legno h cm 50

Due figure 1982 bronzo a cera persa h cm 35


Il MURO di Berlino 1983 bronzo a c.p. h35x50x25

Omaggio a...1983 partic. bronzo a c.p.h30x60x35


Rittatto di Cinzia 1983 bronzo a c.p. h45x20x30

Bozzetto del monumento al fante 1984


Figura seduta bronzo a c.p. su pietra dell'Etna 1985 h70x60x45


1985 Dafne e Cloe - bronzo pietra

Dafne e Cloe - bronzo pietra 2

1986 Abraxsas Beppe La Bruna bronzo-pietra fossile

1986 Abraxsas Beppe La Bruna bronzo-pietra fossile 2

Le sacre du printemps 1986 bronzo a c.p. e travertino h70x50x35

Le sacre du printemps 1986 frontale bronzo a c.p. h70x50x35


Fuga dal Tempio 1986 bronzo e pietra 

Fuga dal Tempio 1986 bronzo e pietra 2

La coppia 1987 bronzo a c.p. pietra h.35x25x15


Fuga dal tempio 1987 laterale


Fuga dal Tempio 1987 bronzo a c.p. e travertino h45x60x35

Figura seduta 1987 h50x50x40 bronzo a c.p.e pietra

Figura seduta 1987 h 50x50x40 bronzo a c. p. e pietra

Riflessione su Sofocle e le sue tragedie 1988 bronzo a c.p. h50x70





L'isola 1988  bronzo a c.p.h60x40x40



Spazio infinito 1988 bronzo a c.p. e travertino h30x80x45


1989 Progetto per Sacro e Profano

Staffato 1990 bronzo a c.p.e pietra h 40x65x40


Antigone - 1990 bronzo cm70x60


1991 Scrutando l'Universo - bronzo pietra  cm 70x45

1993 E-Venti cosmici h 410x20x190 bronzo G.La Bruna



 Coppia e Universo 1993  bronzo su pietra lavica 1997 bronzo a c.p. h70x50x40

L'istante 1994 bronzo a c.p.h60x35x30





Introspezione 1995 bronzo a c.p. h.100x50x45



Trilogia di un evento 1995 bronzo a c.p. con base h170x160x35

Spinte cosmiche 1995 bronzo a c.p. h.40x50x30


Scrutando l'Universo 1995 bronzo a c.p.h45x20x30


Contemplazioni di coppia 1995 h cm 100x 50x40

Bozzetto monumento Libertà 1995 cera h 50x30x20

Figura con albero 1996 bronzo a c.p. e pietra h60x45x25

Riflessioni sul tempo 1996 bronzo a c.p. h.45x75x30


Monolito tempo-scrittura 2 1996 bronzo a c.p. e basalto h60x70x35


Monolito tempo-scrittura 1996

L'antro delle Ninfe 1996 Porfirio bronzo a c.p. h 35x50x30



L'antro delle Ninfe 1996 bronzo a c.p.h35x75x35



 Eterno fluire 1996 bronzo a cera h cm60x35x30


 Catarsi 1996 h25x45x20 bronzo a c. p.

1997 - Libro cosmico (basalto, legno, bronzo) h 60x90x35


1998 Il viaggio di Ulisse 120x90xh140 legno e bronzo

1998 Il viaggio di Ulisse 120x90xh140 legno e bronzo laterale





 Simposio internazionale in Korea anno 2000

Beppe La Bruna Korea 2000



Struttura scultura Korea 2000



Scrutando l'Universo in coppia 2000 Korea h 260x160x80 ferro e rame battuto su granito




Dafne e Cloe 2000

Dafne e Cloe marmo Carrara h140x90x50

Coppia 2002 Bronzo h 35x20x12


 Coppia bronzo su pietra lavica h 50x35x20

 Divenire 2002 bronzo a cera persa h60x30x35

2002 Verso il Dio Universale h 40x40x25 bronzo



Ritratto in marmo Monsignor Bacile Chiesa Madre Bisacquino 2003


2004 OMAGGIO ALLA SIRIA



Simposio internazionale Lattakia Siria Omaggio alla Siria h360x120x80






2004 Omaggio alla Siria - marmo greco h 360x120x80








La nave delle donne 2007 bronzo a c.p. e legno di rovere h con base h 170x320x60

2007 Palpito d'amore marmo di Carrara h170x90x50

Mostra Museo Diocesano Firenze 2007 Comune di Firenze


2007 Palpito d'amore, partic. h.170x100x60 marmo di Carrara

Mostra Comune di Firenze 2007

Mostra a Piraino (Capo d'Orlando) 2007 Il viaggio di Ulise legno e bronzo a c.p.

Mostra Museo Diocesano Firenze 2007









De anima et eius origine - La Bruna 2010






2010 Vrsar - Montraker - Istria Croazia
La Bruna all'opera

La Bruna in opera










La Bruna con i ragazzi della scuola in visita


PROGETTO PER UNA PISCINA COMUNALE 2013

















ATTIVITA' DIDATTICHE NELLE ACCADEMIE (CARRARA-PALERMO-VENEZIA)




"LA VOCE DELLE ACCADEMIE"

Intervista 
al 
Docente Giuseppe La Bruna
Titolare di Cattedra di Scultura 
all'Accademia di Venezia







Professore, qual'è la situazione delle Accademie in Italia?
La situazione delle Accademie ancora oggi soffre dell'abbandono da parte di una classe politica assolutamente lontana dal comprendere l'importanza ed il valore culturale che (se continua così, ancora per poco) gran parte delle Accademie Italiane posseggono, come contenitori di alta cultura, soprattutto per quelle discipline che continuano ad essere richieste dalle nuove generazioni quali Pittura, Cultura, Scenografia, Decorazione, Grafica e Nuove Tecnologie, nonostante un programma esterno fatto di molta "arte" virtuale. Il grande problema, a proposito di una classe politica cieca e sorda, è principalmente il non riconoscimento di quella equipollenza richiesta da anni agli addetti ai lavori. La necessaria ed urgente approvazione del DdL. 4822 riconoscerebbe a pieno titolo sia la messa in ordinamento dei dei bienni da anni già avviati, che quella equipollenza giuridica necessaria alla spendibilità del nostro titolo accademico pari a quello delle Accademie europee. Al contempo, i docenti italiani non hanno un riconoscimento economico adeguato al lavoro che svolgono (circa la metà del corrispettivo europeo) nonostante la firma del trattato di Lisbona del 2007 preveda un'uniformità do ordinamento e di riconoscimento dei titoli di pari livello universitario in tutti i Paesi Europei. Se teniamo conto di quanti Allievi stranieri vengono a frequentare i nostri corsi per apprendere quella professionalità specifica che è il frutto di centinaia di anni di esperienza artistica italiana, c'è solo da prenderne atto e in silenzio proseguire quel percorsi didattico, comprendendo con una certa punta di amarezza che tutto ciò è annualmente usufruito gratuitamente dai tanti e vari allievi stranieri provenienti da tutti quei paesi  (vedi Cina, Australia, America e molti altri) che, a differenza dei politici e legislatori italiani, ci riconoscono un grande valore di patrimonio culturale".

L'Accademia di Venezia mantiene intatto il suo prestigio nonostante la crisi che ha colpito anche i beni culturali? Quali sono i problemi principali?

"Ovviamente non si può far finta di ammettere che la crisi non esista e non si faccia sentire, anche se parliamo di una realtà operativa di un luogo abbstanza ricco anche di eventi culturali rispondenti ai più svariati settori dei Beni Culturali, ma nonostante ciò, oggi l'Accademia di venezia dimostra attraverso un'intensa attività artistica espositiva e culturale di essere all'avanguardia per le nuove tecnologie, ma soprattutto dimostra di possedere decenti che operano su materie e discipline tradizionali, con una più che riconosciuta professionalità, evidenziabile attraverso la realizzazione di eventi perpetuati nell'arco di ogni Anno Accademico. Le problematiche da risolvere in un' Accademia sarebbero parecchie,  innanzi tutto un carente o quasi inesistente supporto economico dello Stato, un mancato ordinamente autonomo che, diversamente dall'università che ha fondi eccellenti, non consente di organizzarsi sia come ampliamento di spazi operativi, che per tutte quelle attrezzature di laboratorio fondamentali per confrontarsi con le altre realtà accademiche europee. Molta didattica nei laboratori è affidata alla buona volontà di ogni docente".

Talento e studio: ingredienti fondamentali per l'artista. Come vede i giovani della Sua Accademia?

Nella norma, un docente di una materia come la Scultura (ma questo vale per tutte quelle materie cosìdette di laboratorio) deve avere un notevole bagaglio di conoscenze di gran parte dei materiali da usare, antichi, moderni e contemporanei, conoscerne le peculiarità e legarle anche ad una loro poetica, conoscere bene il modo di usare al meglio le tecniche, l'uso attento e corretto degli strumenti di lavoro, spesso pericolosi da maneggiare o nocivi alla salute se non usati correttamente. Deve possedere una più che buona conoscenza della Storia dell'Arte, dell'Estetica, della Filosofia, del Teatro, della Storia delle Religioni, aggiornandosi sugli eventi artistici contemporanei per far sì che ogni singolo allievo, attraverso il fare, possa manifestare tutto il suo apprendimento trovando il modo di esprimere al meglio poetiche e linguaggi artistici personali, sviluppando un sapere confacente alla sua personalità di artista, ma soprattutto di uomo libero e padrone delle sue idee il docente deve anche trasmettere il suo sapere e il suo e il suo pensiero di artista, ma sempre rispettando i bisogni e le idee dell'allievo, per favorire al meglio lo sviluppo artistico personale dell'allievo.

Come è cambiato l'approccio allo studio nelle Accademie?

"Potrei rispondere e spesso a sfavore degli insegnamenti di base e soprattutto per quegli allievi che vi si iscrivono per specializzarsi in una materia così detta (erroneamente) di Laboratorio. In una fase di cambiamento degli anni '80, le finalità non erano così cattive, anzi l'aggiunta di un certo numero di materie teoriche aveva dato un buon riscontro nel rapporto fra il percorso espletato in laboratorio e un numero maggiore di materie di carattere teorico. Poi, l'ossessione di molti è stata quella di confrontarsi con le Università (sempre per l'annosa vicenda del titolo di studio) cercando di aggiungere troppe materie che disorientano gli allievi dal corso principale di indirizzo, rendendo quasi impossibile una frequenza regolare e finalizzabile al raggiungimento dei propri interessi, riducendo da quattro a tre anni il percorso di formazione di base e aggiungendo i due anni per i bienni di indirizzo. La verità è che le Accademie Italiane non dovrebbero confrontarsi con le Università solo in virtù dei crediti formativi e di un numero elevato di  materie, ma, fermo restando che sia Accademie che Università debbano avere dignità di pari rango, nessun ruolo di subordine deve esistere, ma solo di grande collaborazione.... Queste intese, non facili da trovare in altri luoghi, hanno messo in moto una sinergia di fiducia e collaborazione che ha consentito e consentono armonia fondamentale per la realizzazione di tanti progetti, come le mostre di fine anno ai Magazzini del Sale e in Gallerie private. Concorsi, Simposi e tanti altri eventi che aiutano gli Allievi a crescere, maturare e lavorare con molta più grinta determinazione."

La scultura: un mondo antico e sempre moderno. Quando ha capito che la sua vita sarebbe stata dedicata all'arte e a questa disciplina?

"Comincio a respirare aria di lavoro nella bottega artigiana di mio padre Pietro e dello zio Francesco, luogo in cui sono stati realizzati gran parte degli arredi lignei delle varie chiese importanti della Palermo dell'immediato dopo guerra e di gran parte di varie province siciliane, oltre alla realizzazione di tantissimi arredi nel settore del mobile in stile ed arredi lignei per varie chiese di rito greco ortodosso, anch'esse sparse nel territorio isolano. Inizio quindi da ragazzo, con le sgorbie, ad abbassare i fondi per i pannelli in legno dei cosidetti mobili Rinascimento fiorentino, che poi venivano intagliati dall'intagliatore, mentre io dovevo guardare come operava nell'uso corretto degli strumenti da lavoro. Ciò che ho appreso fin dall'inizio era quindi quella filosofia applicata al mondo del lavoro, che ti doveva far prendere atto del rigore morale ed etico applicato all'esigenza di costruire sempre e principalmente in nome della perfetta regola d'arte, partendo dalla scelta del tronco di legno ancora da tagliare nel giusto periodo, fino al suo lungo percorso di stagionatura e mettendo sempre in evidenza tutte le fasi di costruzione, dagli stili di appartenenza fino alla giusta verniciatura o laccatura da attare.  Al di là dell'esistenza dei ruoli, padroni, capi operai, operai specializzati, operai semplici, ragazzi di bottega...tutti si ponevano in un piano di collaborazione e di forza che li accomunava con orgoglio, anteponendo prima di tutto la riuscita del lavoro rispetto al tempo da impiegare e alle ore in più di lavoro, anche non pagate, da fare. Mi creda, vivere e crescere in un luogo di questo tipo, nel tempo mi ha dato tantissime energie per la mia formazione di uomo, il mio lavoro di scultore e soprattutto di Docente che ha dedicato e condiviso ad oggi circa 35 anni di esperienza continua con gli Allievi. Aver frequentato "La Scuola" ed aver avuto la fortuna, di trovarmi di fronte, in alcuni casi al mio fianco, docenti preparati e colti, ha contribuito fermamente a farmi scegliere fin da ragazzo la strada della scultura, comprendendo ben presto che la bottega mi aveva fornito enormi elementi tecnici che si riconducevano al "fare", mentre lo studio della Storia dell'Arte, della Musica, del Teatro, della Filosofia, dell'Estetica mi ha dato l'opportunità di avere una visione del mondo talmente ampia da capire quanto, per la mia scultura, sia stato importante unire al "Fare" il "Pensare"e il "Sapere". L'Arte è la forza che un uomo impiega per il raggiungimento di un grande obiettivo: la libertà di scegliere con intelligenza, la libertà di poter essere antichi o moderni, senza la paura di sbagliare o di confrontarti con tanti altri migliori di te, cercando di essere comunque sempre te stesso, con l'intento di portare avanti il tuo progetto di vita, la libertà di essere liberi. Ai miei allievi dico sempre che la libertà ha un costo da pagare, implica di essere ben preparati e consapevoli di come nasce e si crea un lavoro ben fatto. Tanti anni fa scrissi un pensiero sulla mia scultura:"...cerco i valori del tempo e del suo divenire,l'eterno fluire della vita, e tutto ciò che riconduce gli individui al mondo...Una scultura che si offra al soffio del vento, alla brezza del mare, ad un paesaggio circostante ed alla continua presenza dell'uomo che possa toccarla e viverla come propria, per sedersi dentro, per riposare, meditare ed impossessarsene, anche per un momento, in condivisione con lo spazio circostante. Una scultura che dia la voglia di essere guardata ed ammirata, per prendere sempre più coscienza da essa che la vita, nonostante tutto, vale sempre la pena di essere vissuta e amata."  




Accademia di Belle Arti di Carrara
ANNO ACCADEMICO 1994 - 1995

"In fieri"

Mostra annuale degli allievi dell'Accademia






Felice di poter scrivere qualcosa che possa perorare la causa di manifestazioni artistiche all'interno di questa scuola, credo che l'impegno di tutti noi docenti, hic et nuc, debba evolversi verso un unico fine: rendersi disponibili in tutto e per tutto per quegli allievi che, nonostante i tempi (confusi ed oscuri) dimostrino volontà e inclinazione verso l'arte. Gli studenti, che si iscrivono al primo anno di scultura, si trovano con una preparazione di base inadeguata per affrontare il loro percorso accademico. Per questo motivo il primo anno è dedicato a un corso propedeutico, finalizzato allo studio e all'apprendimento di un linguaggio di base: far comprendere le dinamiche e le strutture portanti dei piani da tradurre in terza dimensione, un uso degli strumenti di lavoro per trovare con più facilità la soluzione ai problemi che, progressivamente, si incontrano nell'evolversi dello studio plastico. In base alla risposta di ogni singolo allievo sul tema dato, cerco di indirizzarlo, facendolo crescere, verso quello che per lui è più sconosciuto. Ritengo utile anche indicare la lettura di un libro, o di un argomento storico, o un percorso legato alla storia dell'arte. o parlare di musica, di spettacolo, di filosofia, di religioni. Gli allievi devono essere aggiornati e aperti verso l'arte di oggi, ma anche attenti al passato, a quelle memorie di appartenenza, per "trovarsi" nell'evoluzione del percorso formativo di artisti, ma soprattutto di uomini. Noi docenti siamo quasi obbligati a far sì che ciò avvenga, trovando in noi la forza di accettare un diverso modo di intendersi. La mia scultura entra in scena solo quando lo ritengo necessario. Perchè prima e innanzi tutto esiste il rispetto per l'allievo, su un piano di conoscenza e di collaborazione. Il suo impegno sarà quindi quello di capire cosa accade intorno a sè, con una dinamica di apprendimento simile simile all'uso del boomerang, che viene lanciato verso una meta e lungo il percorso raccoglie eventi, suoni, umori dell'intero universo. Rodin scrisse: "l'importante è essere commossi, amare, sperare, tremare, vivere. Sii un uomo prima di essere un artista". Credo che dovremmo ritrovare le nostre identità e prendere coscienza delle esigenze del presente per riacquistare la libertà. Dobbiamo apprendere ma, al contempo, stravolgere. per concludere credo che in questo anno accademico i miei lallievi abbiano lavorato bene, ma soprattutto abbiano compreso quanto dovranno continuare a "faticare" per essere sempre presenti con sè stessi e con il tempo. Ho scritto: "la strada della scultura, per fortuna, è infinita. Noi non ci stancheremo mai di percorrerla"
Prof. Giuseppe La Bruna 



CARRARA

 in fieri '97 

Accademia di Belle Arti 

(25 luglio 20 settembre)







Cercherò di esprimere un pensiero di consapevolezza che racconti, attraverso queste poche righe di scrittura, quanto sia profondo ed incognito il percorso della Scultura. E che cosa in una realtà come l'Accademia oggi, può aiutare il "fare" per renderlo meno impervio. Ribadire continuamente questo principio con fede implica uno sforzo non indifferente, da parte di chi, attraverso questa disciplina (nel tempo, nella sua proiezione, nella sua memoria, nella sua pratica) percorre con fatica la strada dell'arte. In questa Accademia esistono (grazie a quei docenti ancora disposti ad offrire la loro disponibilità tecnica) possibilità di conoscenza che, nel merito riescono a dare un valore al percorso didattico, perpetuando una volontà del verbo che, nell'esercizio quotidiano, conduce l'allievo ad un apprendimento di formazione e ad un mestiere. Ma l'Accademia deve soprattutto essere, a mio avviso, luogo di crescita e di confronto che lega insieme: innovazione e memoria storica, tecnologia e linguaggio, mestiere e poetica...oserei dire un luogo di meditazione e di ricerca che aiuti a ripristinare (quindi a dare un valore) una dignità nell'essere. Cito due nomi: Platone e Socrate. "Far nascere il desiderio di ricercare dentro di sè e ritrovare, a lume del logos, la via della conoscenza usando ogni esperienza per un severo esame interiore"
Prof. Giuseppe La Bruna





Scuole d'Arte

Gli allievi dell'Accademia di Belle Arti di Carrara all'Istituto d'Arte di Pisa

MOSTRA DI SCULTURA

12 Giugno - 12 Luglio 1998


 Corso del Prof. Giuseppe la Bruna
 Michela Cinelli-Comunicazione
 Marie-Ange Despras-Pensieri
 Ashenafi Frassinelli BirKu- Tae- Gyung

Giovanna Garbini-Senza Titolo


Caterina Grimaldi-Senza Titolo

 Seung Woo Hwang-Senza Titolo

 Enrica Legname-Ritratto
 Alberto Mariani- Senza Titolo


 Elisa Nicolaci -Autoritratto con me in braccio il gioco del cavallino

Jessica Presciani -Senza Titolo
 Giuseppe Priola-Baccante

Elena Roncoli-L'attesa

Consuelo Zatta-Senza Titolo







ACCADEMIA DI BELLE ARTI 
DI 
CARRARA 1998


"Convitati di pietra alla Biennale di Carrara"

















"PENSO, DUNQUE CLONO" si tiene in occasione dell'inaugurazione della IX edizione della Biennale Internazionale di Scultura che si apre a Carrara il 25 Luglio 1998 e che ha un'inattesa appendice, non prevista dal programma ufficiale approntato da Enrico Crispolti e soci. 
Una vera e propria "performance" che vede le sculture a tutto tondo dei professori dell'Accademia di Belle Arti di Carrara sistemate su reali autobus di linea, utilizzati per il trasporto urbano delle persone, in servizio nella provincia di Massa-Carrara. A dire il vero l'autobus con il suo prezioso carico di installazioni artistiche staziona davanti all'ingresso dell'Accademia dal 25 luglio, in occasione dell'inaugurazione della IX Biennale e per tutto il tempo della kermesse carrarese. Un autobus particolare su cui gli ignari viaggiatori salgono accanto a compassati signori in gesso, bianchi e impenetrabili, veri convitati di pietra, che non si alzano per cedere il posto alle signore durante le ore di punta, ma in compenso sono compagni di viaggio discreti e silenziosi. L'èquipe che sta curando la performance, diretta da Domenico Annicchiarico, docente di Tecniche della Scultura, esperto di calchi in alginato, comprende studenti, assistenti e professori, come Giuseppe Agnello, entusiasti di esprimere un gesto artistico così insolito e per niente effimero. Oltre alle registrazioni video e fotografiche del "work in progress", al termine della Biennale le sculture troveranno posto in un vecchio autobus in disarmo, perfettamente bianco come i rigidi professori che trasporta. Diventeranno pezzi da museo. "E' un idea brillante, ma anche provocatoria - spiega Giuseppe La Bruna, palermitano, docente di scultura a Carrara - La nostra presenza in "effigie", ma non con le nostre opere d'arte individuali, vuole sottolineare la presenza stessa dell'Accademia di Belle Arti di Carrara, l'importanza del suo patrimonio, la sua capacità di ricerca artistica e di nuove forme espressive". 
..."Certo non essere una sorta di anti-Biennale - risponde Carlo Bordoni, direttore dell'Istituto Carrarese - ora che è in discussione al Senato la riforma delle Accademie e si punta al riconoscimento universitario, la nostra iniziativa può contribuire a far conoscere al grande pubblico quanta sete di cambiamento e di novità, quanta fantasia, quanta intelligenza c'è nella vecchia Accademia. Doti spesso misconosciute, ignorate, sottovalutate. Questo può farci conoscere la stupenda sede storica della nostra Accademia, il Palazzo Cybo malaspina, che la gran parte dei cittadini di Carrara non ha mai visitato. Questa volta siamo noi ad uscire fuori, sia pure come alias in gesso. Ma speriamo che la gente ci renda la visita. In carne ed ossa."
...Partecipano un pò tutti i professori e un gruppo di studenti volenterosi. Dal Direttore, Carlo Bordoni, autore del Progetto di "Penso, dunque clono", ai docenti Domenico Annicchiarico e Giuseppe Agnello, che hanno realizzato le opere nel laboratorio di Scultura dell'Accademia di Belle Arti di Carrara.



2000 - MOSTRA NELLA PINACOTECA 
DI 
CAPO D'ORLANDO 

RASSEGNA CURATA DA GIUSEPPE LA BRUNA. DELEGAZIONE INTERNAZIONALE



ACCADEMIA DI BELLE ARTI 
DI 

CARRARA 2001

"In fieri 2001"
IV Biennale degli studenti

- L'Arte in città - 
14 luglio-30 settembre

Forse questo mio scritto sarà l'ultimo, per una scuola dalla quale mi congedo dopo dodici anni per trasferirmi in un altro luogo; una scuola per la quale mi sono sempre battuto a favore della sua crescita culturale  e artistica e dalla quale credo di aver ricevuto e per la quale credo di aver dato. Ho sempre cercato di far capire ai miei allievi quanto occorra credere nel "fare" e quanto sia importante la conoscenza della memoria storica. Come siciliano, come artista, come insegnante, ma soprattutto come uomo ho sempre ritenuto che l'arte è comunicazione, è confronto, è dialogo, apertura, crescita. L'arte è la linfa di un popolo. L'Accademia è come un vascello con dentro uomini e cose in eterno viaggio. Ho già scritto (ma forse è il caso di ricordarlo) che attraverso il viaggio ogni uomo costruisce la propria storia. Il viaggio è la metafora sublime di un percorso che è tanto spazio-temporale quanto interiore; è la dimensione più complessa che l'uomo attraversa durante la sua crescita culturale e umana, ma certamente la più affascinante. I giovani devono conoscere per costruire ma bisogna aiutarli a costruire insieme. Ma i giovani devono anche essere disponibili a capire e soprattutto ad ascoltare. Anche in questa biennale degli allievi ci saranno sculture molto apprezzabili ed altre un pò meno, ma c'è tanto lavoro e, pertanto, credo sia doveroso da parte mia apprezzarne lo sforzo e la fatica. Per concludere vorrei donare a chi ne voglia usufruire e a chi crede nel "vascello" Accademia una frase di un autore a me caro che è Dylan Thomas: "Voi soltanto potete udire e vedere dietro gli occhi dei dormienti, i moti e i paesi e i labirinti e i colori e gli sgomenti e gli arcobaleni e le melodie e i desideri e i mari in tempesta dei loro sogni. Dal luogo dove siete potete udire i loro sogni".

Giuseppe La Bruna

 S C U L T U R A  Titolare: Prof. Giuseppe La Bruna - Prof. Alessandra Porfidia -
                               Assistente: Prof. Piero Marchetti







LABORATORIO DEL RITRATTO a cura di Giuseppe la Bruna e Piero Marchetti




ACCADEMIA DI PALERMO 2005
Aula 
di 
Beppe La Bruna 
Allieva: Stefania Palumbo














2011



Mostra di fine anno
ACCADEMIA VENEZIA





























PARTICOLARI








Mostra Allievi La Bruna Accademia Venezia 2013




CURRICULUM VITAE 
dell'Artista



Cenni biografici

            Nato a Monreale il 21 marzo 1953.
            Nel 1972 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Palermo.
            Nel 1974 si trasferisce all’Accademia di Belle Arti di Ravenna.
            Nel 1976 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Palermo.
            Dal 1978 al 1981 insegna scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo.
            Dal 1981 al 1986 svolge libera professione ed attività didattica.
            Nel 1986 gli viene assegnata la Cattedra di Figura ed Ornato modellato presso il I° Liceo        Artistico Statale di Palermo.
            Dal 1989 al 2001 Titolare della Cattedra di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara.
            Dal 2001  Titolare della cattedra  di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo.
            Dal 2007  Titolare della Cattedra di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia.


Mostre collettive

1976         “Galleria Il Peplo”, Palermo
1978         Rassegna di Grafica Internazionale, Città di Lecce, Lecce
1979-80   Omaggio a Mario Tozzi, “Poggibonsi Arte”, Siena
1981         Omaggio a Santo Di Bianca, Monreale (Palermo)
1982         Incontro di Scultura, Galleria “Il Paladino”, Palermo
1982         Rassegna Arti Plastiche Artisti Monrealesi, Monreale (Palermo)
1984         VI Biennale d’Arte Contemporanea Accademia Siculo Normanna, Monreale (Palermo)
1984         XIX Mostra Internazionale di Scultura all’Aperto, “Fondazione Pagani”, Museo d’Arte Moderna, Legnano-Castellanza (Milano)
1986         Premio d’Arte Contemporanea, Città di Campobello di Mazara (Trapani)
1986         Mostra di Scultura Contemporanea - Giacomo Serpotta, Alcamo (Trapani)
1987         Premio della Cultura: riconoscimento per la scultura a Giuseppe La Bruna, Giacalone di Monreale (Palermo)
1988         Mostra di Scultura Contemporanea - Giacomo Serpotta, Alcamo (Trapani)
1988         Mostra Nazionale Concorso - Omaggio a Ludovico Ariosto e la sua opera, Reggio Emilia
1988         Asta Mercato German Auktienen, Zurigo (Svizzera)
1989         Mostra di scultura Natale ’89, “Galleria Ai Fiori Chiari”, Palermo
1990         Arte Fiera, Bologna
1995         Omaggio a Walter Tobagi - “Protagonista la Scultura, Castiglioncello (Livorno)
1995         Mostra Storicizzata di Scultura - Attorno al Monumento, Petralia Soprana (Palermo)
1995         Iª Fiera del Mediterraneo, Palermo
1996         Arte Fiera, Padova
1996         Cultura/Scultura, Palazzo Osterio Magno, Cefalù (Palermo)
1996         IIª Fiera del Mediterraneo, Palermo
1996         Mostra di Scultura “Galleria Civica d’Arte Moderna”, Monreale (Palermo)
1997         MIART, Milano
1997         Mostra di scultura Omaggio a Roland Barthes, Petralia Soprana (Palermo)
1997         Incontro di culture, “Centro Profilo in Rosso”, Roma
1997         “Chiesa dello Spasimo”, Palermo
1998         “Museo del Louvre”, Parigi
1998         IIIª Fiera del Mediterraneo, Palermo
1998         MIART, Milano
1998         Mostra di Scultura - “Palazzo delle Logge”, Volterra (Siena)
1998/99    Mostra di Scultura De Statua e dintorni, “Palazzo Osterio Magno”, Cefalù (Palermo)
1999         Mostra di Scultura Forme dal Bianco, ex Banca d’Italia, Carrara (Massa)
1999         Internazionale Marmi e Macchine, Giorni d’Arte, Marina di Carrara (Massa)
1999         “Andiamo al Piazzo”, Città di Biella, Assessorato alla Cultura
2000         XXXV Edizione “Vita e paesaggio di Capo d’Orlando”,  Scultura a Carrara in viaggio, Pinacoteca Comunale “Tono Zancanaro”, Capo d’Orlando (Messina)
2000         Direzione Artistica XXXV Edizione “Vita e paesaggio di Capo d’Orlando”,  Scultura a Carrara in viaggio, Pinacoteca Comunale “Tono Zancanaro”, Capo d’Orlando (Messina)
2000         “Giorni d’Arte 2000”, Fiera Mercato d’Arte Contemporanea, Marina di Carrara (Massa)
2000         Open Studios, ASART, Carrara-Seravezza-Pietrasanta-Camaiore
2000         X Biennale Internazionale di Scultura a Carrara, Comune di Carrara (Massa)
2000         III Simposio Internazionale di Scultura in Ichon, Città di Ichon (Seul), Korea
2000         Mostra di scultura - “Gallery Seojong”, Korea
2001         Recontre européenne de sculture, Montauban, Francia
2001         Carrara, XIV Simposio Scultura 2001, Studi Aperti, 30 luglio - 13 agosto
2001         Itinerario Biennale di Venezia, Chiesa San Zaccaria, Venezia
2001         Expo Fiera d’Arte, Padova
2001         Expo Fiera d’Arte, Parma
2002         Mostra di scultura Le acacie si muovono appena..., Palazzo Pottino, Petralia Soprana (Palermo)
2002         Contemporanea  Forlì Fiera, Forlì
2003         XIV Biennale Internazionale Dantesca “Dante europeo”, Ravenna
2004          I° Simposio Internazionale di scultura “Jeem” Lattakia Siria;
2007         Gli Intellettuali del Novecento a Villa Piccolo, Capo D’Orlando (ME);
                 Gli Intellettuali del Novecento, Castello di Castelbuono  (PA);
                 Arteincontro / Monreale 2007 Fondazione Artistico Culturale Greco Carlino, Monreale (PA);
                 Ariaart  Gallery- Pietrasanta (LU);
                 La Donna e il Mare – 2° edizione – Omaggio a Piero Gauli Comune di Piraino (ME);
2008         Mostra dei Ritratti dei Poeti – Omaggio a Quasimodo – Palazzo della Provincia di Messina
2010         Italia Arte Villa Gualino, Internazionale Torino;
                 Italian Arte Collection Capri;
                 Simposio Internazionale di Scultura a Vrsar-Montraker – Istria;
2011         Italia Arte Torino, Circolo degli Artisti “Casa di Dante” Firenze;
                 Italia Arte Torino, Villa Gualino “Arte Metropolitana” Torino;
     Galleria Italian Art Collection Napoli “World Market Center” Las Vegas (USA);
     Italia Arte Torino, Villa Gualino “Arte Alchemica” Torino;
     Italia Arte Torino, Sala delle Colonne Castello Reale del Valentino – Torino;
     Italia Arte Torino, Istituto Italiano di Cultura a Copenaghen (Danimarca);
     Città di Catania, galleria d’Arte Moderna Le Ciminiere – Catania a cura di Nicolò D’Alessandro;
     Italia Arte Torino, 33 Contemporay Gallery Network from Turin to Chicago and vice-versa – Chicago;
     Italia Arte Torino, Istituto Italiano di Cultura, Praga;
2012         Italia Arte Torino, Istituto Italiano di Cultura, Sofia;
                 Italia Arte Torino, Istituto Italiano di Cultura, Colonia;

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2
Mostre personali

1982         “Galleria Prati”, Palermo
1984         “Mood Gallery”, Milano
1986         “Galleria Rà”, Zurigo (Svizzera)
1988         “Galleria Carini”, Milano
1990         “Galleria 6”, Aarau (Svizzera)
1992         “Orts Museum”, Kloten (Svizzera)
1993         “Galleria Ai Fiori Chiari”, Palermo
1995         “Galleria Centro Arti Visive T. Signorini”. Porto Ferraio, Isola d’Elba (Livorno)
1996         Comune di Siena “Palazzo Patrizi”, Siena
1997         “Galleria Spazio Prospettive”, Milano
1998         Regione Campania - Museo Possibile, “Chiesa di San Giovanni Battista”, Scisciano (Napoli)
1998         Comune di Porto Vecchio, “Ai Bastioni di Francia”, Porto Vecchio (Corsica)
2002         “Riflessioni sul tempo”, Sala Mostre CEPU, Palermo
2003         Comune di Pietrasanta  “Lucca” Estate Pietrasantina Sala delle Grasce;
2007         Comune di Firenze - Museo Diocesano d’Arte Sacra di Firenze;
2008         Comune di Cento “Dieci per Cento” Galleria d’Arte Moderna, Palazzo del Governatore – Cento   (Ferrara) ;
2008         IV Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea – Ferrara;
2009         Lagart Art Projects – Fiera del Lusso – Vicenza;
2013         Comune di Catania Palazzo della Borsa Sala delle Grida – Tecniche a Confronto
                 Camera di Commercio – Catania;

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                                                            Giuseppe La Bruna





album


RAI 3 Nella bottega dei fratelli La Bruna - Monreale 1971 
in fondo Vito Di Gesù-Pietro La Bruna-Natale Parisi





La Bruna 1982



1983: AURELIO PES - BEPPE LA BRUNA - BEPPE VESCOVO - LEO GIANNACCARI


1986 La Bruna e Modella allo Studio di Monreale




La Bruna con Pablo Volo a Roma


1998 Portovecchio - Corsica: sopra da sinistra, Enza Di Fede, Pierre Claverie, La Bruna 






La Bruna con lo scultore americano Tim Curtis Korea 2000


 Mostra a Seul - Scultori del Simposio internazionale di scultura 


Enza Di Fede moglie dello scultore La Bruna - Korea 2000

La Bruna e la scultrice Ckoi a Seul 2000

 La Bruna con Fabio Norcini Firenze 2007

Il Maestro Picchi alla Personale di La Bruna Firenze 2007

Il Maestro Picchi e la figlia Beatrice

Firenze 2007 - da destra, Falchini, La Bruna, Di Cesare

Firenze 2007 - La Bruna col figlio Pietro


Firenze 2007 da destra Falchini -Trotta -La Bruna -Di Cesare

Dibattito Mostra Cento di Ferrara con  Giampaolo Trotta 2008

e con Valerio Ballotta


Muller, La Bruna, Romeo a Brera 2009

Damme- Gemania 2009


2009 Mare del Nord: Da sinistra, Jorge, Romeo, Carlos Monge Kenji Takahashi Hang, Muller e moglie, La Bruna - Gemania del Nord

La Bruna a Damme  2009

La Bruna, Muller, Romeo a Damme 2009

La Bruna e Jorge Romeo a Damme 2009

La Bruna a Kengy a Damme 

Damme

Damme



La Bruna ad Arcevia Premio Ed. Mannucci per le Accademie 2010

La Bruna con i suoi  Allievi cortile interno Accademia 2011

 La Bruna a Venezia con Geng Zongqi e Usam

 Accademia Venezia : La Bruna in relax, osserva e riflette

ALLESTIMENTO Mostra Accademia Venezia 
Montaggio Mostra allievi 2011con Chiara Angelini















 Mostra Allievi La Bruna - Accademia di Belle Arti di Venezia 2011 


Accademia di Venezia 2011: Prof. Roberto Pozzobon - Prof. La Bruna - Presidente Accademia 
Dott. Luigino Rossi
Accademia di Venezia 2011 - Mostra allievi dell'artista La Bruna, qui col Presidente dell'Accademia 
Dott. Luigino Rossi


La Bruna a Pozzobon in Accademia 2011


2003 - Foto di Giuseppe D'Angelo

La Bruna allo specchio nel suo studio di Monreale 

Mostra Recycle a Milano - La Bruna Lepore - Perini 2012

Foto di Pietro Polizzi  - Firenze 2007 -


Studio LA BRUNA: "Posacenere, CICCHE dal 1989"








Piero Costa 








"Ci parli del proprio se stesso, a Monreale, il 15 marzo 2005.
Benchè contrassegnato dall'etichetta Teme l'umidità (e, per uno della mia età, sono dolori) potrei conoscere i 55 anni entrando nel prossimo Acquario. Abito a Monreale e da lì ordisco. Ho dovuto pensare, e fare, sempre, troppo sempre, da autodidatta. (In corso d'opera qualcuno punzecchia dandomi dell'autarchico. Mi va bene, tanto non ho rispetto di me. Ma stima, sì: mi ritengo altamente dotato di ricettività). Musicista, compositore pianista. Autore, interprete di teatro. Ebanista, restauratore.
Appassionato di ornitologia, etologia e natura integrale (quella dell'aria pregna di mentastro, con rovi onnipresenti, popolati da mille tremoli, squittiti e guizzi sospetti). 
La mia musica è contemporanea, simultanea, il suo contrario, la voce che si testimonia come suono intimo dell'esistere, metafora solo e perfino di sè. Si esprime e si dipana su un terreno di variazioni tematiche, sovrapposizioni ritmiche, improvvisazioni in sentieri interpretativi del concetto che sostanzia il brano. Sono stato presente in rassegne e meeting nazionali e internazionali e in programmi radiofonici di Rai2/3 nazionali e regionali. Ultima esperienza con Rai3 radio: quattro puntate di Invenzioni a due voci.
Ho usato la finzione per rappresentare, e viceversa; dal teatro al non-teatro; dal falso radiofonico al vero burocratese; piece sul palcoscenico e in campo da tennis. Con scena, e scrittura, (popolata da satiri, vanagloriosi, vincitori del nulla, ignavi) vorrei aprire crisi sull'uso della falsa e asettica comunicazione (oggi dissociata dal bisogno da cui dovrebbe scaturire), muovere attacco a indolenza e sicumera, suggerire che l'antropocentrismo vorticante si rivela sintomo di latitanza dell'identità. 
Ultimamente mi ha appassionato proporre letture di miei testi avvicendate a improvvisazioni con fisarmonica e dialogazioni col pubblico.
Attualmente tengo un laboratorio di improvvisazione teatrale per E.R.S.U. (Ente Regionale per il diritto alla Studio Universitario, già Opera Universitaria) di Palermo.
Non ho saputo, non so essere attore o suonatore da uff. di coll..
Mosso da propensione alla sperimentazione, all'esplorazione, ma non meno rapito dall'ancestrale, dal saputo, ho finito col lasciar convivere (finalmente in pace!) la spontaneità dell'emozionale con quel razionale che pure mi appartiene e che in modo ideologico mi sono tanto negato (ma servendomene per farlo).
Dai primi anni '70, con certa intermittenza  - c'è quando non mi propongo, ma c'è pure quando mi trovano difficile da collocare o non leggero quanto serve - calco le scene in varie vesti. Alternandomi, anche provando ad agire una loro frammistione, tra la sfera musicale e quella teatrale (più estesamente scenica), per giungere negli ultimi tempi ad una loro organica e necessaria sintesi, forse oggi metafora con gambe proprie, ciascuna del suono e del gesto, e di entrambi, e, chissà se, di altro a me ignoto, completamente sfuggitami di mano, decentrata.
Volto all'interazione con la platea, mi sono sempre servito dei miei modi complicitari, ludici, raramente programmati, per ridurre ogni senso di distanza (sono avvezzo a comunicare agli animali), in cerca di incremento di rispondenze dove lo spettatore/visitatore non possa sottrarsi a modi attivi e partecipativi (pertinenze oggi quasi estinte nelle varietà umane affette da post-civiltà).
Il rapporto con i legni si è sempre trovato incastrato fra queste dimensioni. E non si può certo dire che gli sia toccato un ruolo minore. Sicuramente non è assurto al palcoscenico, non è stato esaltato dai riflettori. Ma ha costituito una funzione di contatto biologicamente essenziale per riconoscermi e vivermi come appartenente alla parte terrena-umana del pianeta; foriero di accattivante verifica del percepire e visualizzare la collocabilità della materia nello spazio, quasi la scansione fisica del trascorrere; non da ultimo, esempio esemplare della duttilità. Credo sia stato di nutrimento, linfa, il carburante per volare. Solo: non sceglievo di utilizzarlo su una via concettuale. Lasciavo che rimanesse in tanica. L'ho sempre considerato di stretta attinenza al sostentamento, la copertura economica che mi permetteva di non soggiacere a ciò che mi sono sembrati condizionamenti annichilenti del mondo della musica e del teatro. 
Mio padre faceva l'ebanista. Come avrei potuto non essere attratto   in tenera età (coi miei fratelli) da quel luogo di intervento, a misura d'uomo, sulla fibra vegetale (fai-da-te primordiale), e non campeggiare in un laboratorio, da cimento con la trasformazione lignea in forma creativa, per poi lasciare evolvere quell'innocente approccio verso una attività professionale. Una ventina d'anni fà, su un biglietto senape, associato con spago a ciascuno di quella infinita serie di camioncini da me pensati e prodotti con la collaborazione di mio fratello Peppo (ne scrisse Ida Ricci C. su Brava casa), accoratamente condensavo: <Il legno, antico amico dell'uomo, è in grado di suscitare evocazioni, emozioni tra le più intense. Quest'oggetto, realizzato in castagno e trattato con cera naturale, nasce nel sogno di ritrovare il giocattolo dell'infanzia lontana, così come l'immaginazione può permettere oggi di ricomporlo, grazie alla preziosa materia trasformabile vivente.
Ad oggi queste parole rimangono indicative della ragione del mio rapporto con i legni. La dipendenza olfattiva ne avrà pervaso e suggellato ogni parte.
Resterebbe da chiarire qualcosa su: compatibilità legno/musica.
Sull'argomento sono state fatte parecchie interviste. Intorno agli anni '70/'80 su un quotidiano di Palermo a firma G. Razete si leggeva di mia indecisione fra la vocazione musicale e quella di artista del legno, che mi definivo semplicemente falegname, e che [forse per questo]non finivo di stupire. Appresso l'esplicazione dello stupore:...di giorno nella sua piccola bottega a ridosso della cattedrale di Monreale si dedica con umiltà e passione a lavori di falegnameria, esponendo continuamente le sue mani a pratiche pesantissime. La sera, con le stesse mani spesso gonfie e martoriate, Costa riesce a trarre dalla tastiera con grande vigore, ma anche con straordinaria delicatezza, incredibili suggestioni sonore...
Dubbio di scelta  fra legno e musica: una scelta mai pensata. E la sua omissione, per me, mai di sofferenza(se non per qualche sfortunata falangetta).
Non sono ancora così maturo da saper scegliere di scegliere e poter rinunciare a non rinunciare. Questo, preferisco lasciarlo fare ai grandi, con il loro senno pure nel sonno sanno scegliere come meglio far carriera, produrre per consumare, quale conflitto individuale e collettivo di turno e di epoca. Mi sono care due righe di presentazione di un circolo culturale palermitano dell''88 che all'epoca mi parvero cogliermi: <...Sempre pronto a dissacrare con sottile ironia ogni impalcatura di modello, ogni concetto di schema, ogni pregiudizio perbenista....
Tanto per intendersi, alla domanda - che musica ascolti -, esclusi schiamazzi di ciarlatani e contraffazioni sonore di provincia (che le orecchie talvolta devono patire) rispondo che amo ascoltare con frenesia: crepitio di fogliame segnato dai passi; uccelli tutti; carezze e schiaffi del vento; acqua allegra e volubile; cose imprendibili come le nuvole; fragranza delle zolle richiamate in vita dall'acqua di cielo; silenzio d'incubazione, complessità operosa.
Alla domanda- come fai -, ecco come: pigio i tasti del piano per scrollare le dita di quelle note ad esse appese come nottole ai capelli; dilanio la fisarmonica per farla schiantare; tengo la scema perchè non scemi; infliggo fendenti e martellate nell'ambito legnistico solo per agevolare la cosiddetta energia a guadagnare la libertà, indipendentemente dallo stato di coscienza del titolare. 
C'è dell'autarchia? Non dovrebbe essere la ricettività dell'autodidatta a fare la differenza tra questi e l'autarchico? Nondimeno, punzecchiato, il ricettivo incassa. 
Che stress. Basta così.

P.S. Le cornici dovevano essere 18; non 12. Ma, nel costruire la 13^, la piallatrice ha approfittato di una mia distrazione per assaporare qualcosa di una falangetta. 
Mi sono dovuto fermare e, perciò, ho dovuto fermarmi.







Piero Costa
Legni in cornice
a cura di Silvana Montera
Galleria San Saverio
via G. Di Cristina 39
Ente Regionale Studi Universitari Palermo
Antonio Bono Presidente
Aldo de Franchis Direttore
Michele Catanzaro, Vincenzo David, Salvatore Mirabile, Paria Pia Paternostro, Antonio Sala, Salvatore Vernuccio.

Legni in cornice
Coordinatrice del progetto: Silvana Montera
Il Progetto e la grafica di questo volume sono di Rodolfo Loffredo che ne ha diretto l'esecuzione in tipografia.
Fotografia: Silvio Governali e Ettore Magno, ideazione Silvio Governali.
In redazione: Giovanni Greco, Vito Stassi.

Allestimento: Michele Lacagnina

Ufficio Stampa: Dario Matranga
Stampa Grafiche Renna

Coyright 2004 by ERSU Palermo

Ufficio Attività culturali - Galleria della Residenza Universitaria San Saverio








A ciascuno la sua cornice. 
La parola cornice in Diplomatica


di Silvana Montera
A ciascuno la sua cornice. La parola cornice in Diplomatica è sinonimo di protocollo. La Diplomatica è una disciplina che studia, insieme alla Paleografia, il documento medievale. Ha lo scopo di accertare la veridicità, l'autenticità del diploma e la sua efficacia giuridica. In questo ambito dunque protocollo è la cornice in cui si inscrive un testo. La cornice, o protocollo, di un testo la si indaga attraverso una serie di formule dai nomi arcaici quali intitulatio (quello che oggi è costituito dall'intestazione del documento, ossia dell'ufficio che l'ha emesso), inscriptio (nome del destinatario); nell'escatocollo o protocollo finale, si trova la datatio cronica e topica (semplicemente la data e il luogo) e la subscriptio (la firma) o signum tabellionis o rota nel caso del documento notarile o della cancelleria pontificia,i cui eredi sono oggi timbri. La dispositio, che esprime il contenuto giuridico vero e proprio dell'atto, fa parte del testo, ma potrebbe non avere alcuna efficacia se la cornice del protocollo mostrasse smagliature o incongruenze. In nessun altro ambito la parola e il concetto di cornice prendono tanta ricchezza di significato. Per gli artisti la cornice sembra esistere a mala pena, qualcosa che sta al quadro come il piatto di portata alla pietanza di uno chef, appartiene al dominio della forma in opposizione al contenuto costituito dai colori della tela, è inerte rispetto alla fragranza e al gusto di una preparazione culinaria. Può guastare la percezione di un'opera se inappropriata, ma non potrebbe aggiungervi niente qualora fosse quella giusta.
Ma non per Piero Costa. Per lui le cose stanno in altro modo. Sin dai tempi del Bureau, un ufficio da lui creato, il protocollo era la parte più funambulesca degli atti amministrativi prodotti. Le Bureau nasceva per l'esigenza di svolgere un'indagine sul drammatico incidente occorso al lampadario di casa ad opera di un gruppo di ragazzi che trascorreva il sabato sera a Monreale in assenza dei genitori Costa. La richiesta di chiarimenti da parte dei familiari forniva l'occasione per dare origine ad un vero e proprio ufficio che conducesse un'inchiesta. Ovviamente il tutto prendeva le forme corrette a condizione che si producessero documenti e atti conseguenti, la cui veridicità, autenticità ed efficacia fossero comprovate dai giusti requisiti di protocollo. Ed ecco prodursi carte intestate e timbri di ogni genere. Il primo timbro sembra un pò improvvisato. 
ORAMA si legge sui primi documenti perchè tale era l'impronta del tappo dell'amaro Averna inchiostrato, con un bel cerchio regolare intorno che ne faceva comunque un signor timbro. Ma le Bureau e le sue competenze crescevano. E un bel giorno ebbe inizio la produzione di moduli prestampati. Servivano ad emettere autenticazioni. Al di là di ogni considerazione di valore, le Bureau si impegnava al rilascio  di veri e propri certificati di autenticità. Infine nacque il prestampato più impegnativo: la recenzione del critico d'arte. Bastava cambiare il nome e il genere artistico praticato, ed ecco pronta la recensione polivalente, si sarebbe risparmiata la fatica e soprattutto la fantasia necessarie alla presentazione di ogni possibile artista.
Ed eccoci vicino al detto: chi non produce cornici scagli la prima pietra. A ben vedere che cosa fa un gallerista quando espone l'opera di un artista? La propone in una delle possibili cornici.
La estrae dal suo privato laboratorio, l'opera non è più solo nata, adesso è registrata all'anagrafe , la puoi datare almeno con il terminus ante quam, è dato anche il luogo di origine, ne deriva una certificazione ed una autentica. Si capisce con questo che la cornice in questione , come quella diplomatica e burocratica, serve a dare connotati di realtà al prodotto. Le coordinate spazio temporali sono quelle che per prime certificano la realtà, al di là della sua esistenza, di qualsiasi cosa. Resta da chiedersi di che cosa amerebbe attestare l'esistenza le sghembe cornici di Piero Costa. Ancora però non è stata detta una cosa fondamentale: Piero è un musicista. Di un genere che fai fatica a definire: jazz, musica contemporanea o simultanea, come lui qualche volta ha dichiarato. A me piace pensare che le cornici non sono vuote, contengono musica, per questo non si vede. Cercano di definire i contorni, e con questo l'esistenza, di qualcosa di cui non si conosce la forma, forse di qualcosa che deve ancora nascere, forse di qualcosa che sfugge alla foram, e non per questo non esiste. ma loro sono pronte ad accoglierlo.







PSICOLOGIA DELL'ASTIGMATICO

Psicologia dell'astigmatico. Nel maggio del '96 il mio amico oculista Carlo Bruno riscontra un difettuccio nel mio occhio, e proprio ad esso attribuisce la causa del mio disagio (o intolleranza) di sempre, sin da fanciullo, di fronte a qualsiasi rappresentazione simmetrica.
Nel '97 affronto casualmente l'argomento col mio amico, pittore, Giovannino Valenza. Questi afferma di soffrire dello stesso problema: è portato a ricusare la simmetria o, al meglio, a doverla deformare (interpretarla liberandone la forma  dell'impianto matematico). A darle, cioè, proporzioni gradite o accette per la propria facoltà visiva, in pratica personalizzando uno sbilanciamento della dimensionalità duale. La cosa mi indusse a una riflessione non poco preoccupante. Avevo sempre pensato che il mio rifiuto critico per la figura costituita da due sezioni speculari divise da una bisettrice derivasse da un campo di concezioni della mente alto e complesso (!).
Il ritenere che l'uso dei sensi (e del Gusto) dipenda dall'orientamento del presidio culturale, dal pensiero-regia, è sempre stato un caposaldo della mia esistenza psicologica, quasi la giustificazione del respiro. E' pur vero - d'altra parte, come ben si sa - che la relazione (e l'esperienza ad essa relativa) è costituita e poggia completamente sulle facoltà di percezione. Tuttavia acquisire a 45 anni che pregi o difetti dei sensi, anche (clinicamente) irrisori, abbiano la responsabilità di influenzare l'indirizzo dell'emozione, del pensiero e delle concezioni mi spaesa, mi espugna, mi priva. 
Che l'inclinazione (parola che indulge all'a-simmetria) sentimentale, l'evoluzione culturale che porta ad una visione personalizzata delle cose del mondo, dipenda dalla anomalia di un occhio, è cosa che spinge a sofferenza più del difettuccio stesso.
In sostanza - quale semplicioneria - ho attribuito un'anima alla forma, identificando il suo aspetto col leale manifestarsi (rendersi visibile) del contenuto.
Allora: l'a-simmetria come sinonimo di negazione dell'esistenza di un centro nello smistamento dei volumi e delle proporzioni; il contrapposto dell'ostentazione di un asse di demarcazione che avoca a sè ciò che ha reso periferie divise, rivolte al centro, due metà in convergenza condizionata (non dal tendere al vertice attestato dalla bisettrice, che gratuitamente lì è incuneata, ma dalla necessità naturale di riunificarsi). 
D'improvviso mi è chiara la ragione - quale tenerezza sono disposto a farmi - che ha fatto del triangolo scaleno l'idea geometrica da me prediletta, il visibile per la mia stabilità.
Solida figura piana (capace, per l'irregolarità  che la denota, di ispirare l'immaginazione di un volume espresso dalla dinamica sobrietà della forma). Nella sua elementare austerità e impraticabilità, nella sua varietà, rigorosa offerta di libera interpretazione, autentico contraltare del triangolo isoscele (quale logora sintesi visiva, facilitazione prospettica della piramide, con la sua retorica e surrettizia simbologia). Sopravvissuto allo choc, accetto la condizione e maturo la mia reazione: decido che la sagoma dello specchio, rinfacciatore privato che mi vede guardarmi, dev'essere modificata. Dovrà subire acconciature perimetrali tali da renderlo elastico come un sornione alterego e guardabile come qualsiasi interlocuore vivente.
Trovo allora che la assolutezza simmetrica, questo perfetto spaccato in due facce gemelle, altro non sia che una estrema forzatura della matematica artificiale, una accanita manipolazione che imbocca la via più facile per sottrarsi alla responsabilità dinamica: l'affidamento al calcolo duale, alla doppiezza, all'autarchia binaria. E che la stessa si renda ostica (a me) per il fatto non secondario di detenere l'assegnazione di una cifra di immobilità, di staticità improba, che rimanda all'assenza di respiro, di vita.
P. C.

Nota tecnica
Per dovizia di resa e per risparmiare stress al mastro vetraio - cui riconosco liceità di non riconoscersi astigmatico, nè, tanto meno, dall'argomento molestato - faccio presente che, in tutti quegli oggetti il cui dato proporzionale/costruttivo ne ha consentito fattibilità, gli angoli della battuta da tergo per alloggiamento di eventuale contenuto (consigliabilmente: specchio, e null'altro) sono retti, dunque danno luogo a quadrilateri regolari.



Titolo - FALSOPIANO
Essenza - Cipresso
Dimensioni - 65x55
Verticalità profili - Angolo più spesso basso dx








Titolo PIANO CHE FUGGE
Essenza - Castagno
Dimensioni 80x45
Posizionamento - Orizzontale
Orizzontalità profili - Parte spessa dx
Verticalità profili - Esterni




Titolo - TABU' IN FRANTUMI
Essenza - Noce ital.
Dimensioni 65x65
Posizionamento - Parte scura in basso a dx




Titolo - CANONE SOSPESO
Essenza - Mogano
Dimensioni - 150x85
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Esterno alto
Verticalità profili - Esterno dx




Titolo - L'ANGOLO DI RIFRAZIONE SI LUSSA
Essenza - Frassino
Dimensioni - 75x65
Orizzontalità profili - Esterno/int. basso




Titolo PERDITA DI SOSTANZA
Essenza - Pinop Cembro
Dimensioni - 120x60
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Interni
Verticalità profili - Interni






Titolo SVISTA SULLO SCEMARIO
Essenza - Douglas
Dimensioni 85x45
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Esterno alto
Verticalità profili - Esterno dx






Titolo - BILICO 
Dimensioni - 75x 50
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Esterno basso
Verticalità profili Esterni


Titolo - E IO MI DEFILO
Dimensioni - 155x 85
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Esterni alto/basso






Titolo - ORTOGONI ALLA MITE RICOTTA
Essenza - Obece
Dimensioni - 120x60
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Interni




Titolo - RIPIEGO
Essenza - Castagno
Dimensioni - 85x65
Posizionamento -Verticale
Orizzontalità profili Esterni
Verticalità profili - Esterni


Titolo - UN RESPIRO AL QUADRATO
Essenza - Frassino
Dimensioni - 60x60
Posizionamento - ........................
Orizzontalità profili - Esterni
Verticalità profili - Esterni


LE MACCHINE
Quello di costruire ingenui ed innocui macchinari da guerra, lavorando ed elaborando a partire da un legno, un ramo, un ciocco così come li ha trovati, è un altro campo esplorato dall'autore.






















r.m.
          






L’Artista
Giuseppa D’Agostino
Fotografia di Giuseppe Fell

BIOGRAFIA

Giuseppa D'Agostino nasce a Palermo nel 1958. Sposata, due figlie, vive ed opera a Monreale.
Ancora bambina, dimostra una spiccata tendenza per diverse forme artistiche, favorita da un ambiente familiare particolarmente creativo e dagli insegnamenti ed incoraggiamenti paterni. Frequenta l'Istituto d'Arte per il Mosaico di Monreale, dove si diploma "maestro d'arte". Ma il più profondo interesse e la dimistichezza con gli "strumenti" della pittura la spingono naturalmente verso questa disciplina, di cui è sostanzialmente autodidatta. La scoperta della spatola e della bellezza materica del colore fanno esplodere in lei ancora ventenne, l'urgenza di esprimere, attraverso la produzione pittorica, l'incontenibile carica d'emozioni, passioni, sentimenti di cui la sua anima trabocca.
L'irrequieta vitalità e la gioia di vivere della D'Agostino si scontrano via via con la drammaticità degli episodi che costellano nel dolore e nella sofferenza i momenti della sua vita operativa e del suo ambiente di lavoro. Da qui un trasporto ed un'attenzione verso le problematiche esistenziali, che fanno della vita, della morte e di tutti i perchè del quotidiano il perno dell'agire e del vivere dell'uomo. Una prolifica produzione (olii su tela, su faisite e carta) evidenzia - in circa vent'anni di attività - queste tematiche, inframmezzate  da squarci di serenità in cui la luce prende il sopravvento nel suo linguaggio cromatico e formale prevalentemente duro, amaro ed a tratti "oscuro": paesaggi urbani spettrali, misteriosi "figure" vaganti o immerse in "gironi" dalle atmosfere rabbrividenti, fiori materici, maternità drammatiche ed improvvise esplosioni di colori e di luce in fiori giganteschi di anelati paradisi...  
Il "diario" spirituale della D'Agostino - una vera e propria autoanalisi psichica - trova il punto di contatto supremo nel rapporto estetico col fruitore, che fa propri i dilemmi esistenziali della pittrice, di per sè universali, comunque.
Ed è la compartecipazione ed il coinvolgimento dei visitatori delle sue mostre che determina ancor più il successo del lavoro dell'artista palermitana, a giudicare dalle numerosissime frasi che cittadini di varia estrazione e nazionalità lasciano volentieri sui registri di sala: " Le nouveau monde est en Sicile, probablement: un grand merci", oppure; "Una pittura sofferta, che colpisce profondamente il cuore e la mente"...
Pina D'Agostino raggiunge così, soprattutto in questi ultimi tre anni, un altissimo risultato espressivo, attenzionato ed apprezzato dunque dal pubblico e dalla critica, e suggellato dal conseguimento dei primi premi, dalle inequivocabili ed eloquenti motivazioni, quale quella, ad es., del premio Liolà del luglio 2001: "Capace di donare un senso aurorale a uno dei topoi più usati, ed abusati, della pittura d'ogni tempo: la natura morta".
...Vasta e variegata, quanto possono custodire, e tanto contenere ancora, le profonde e capienti "cantine dell'anima" di questa sensibile  e "sensitiva" artista.


Dal catalogo  SUSSURRI E GRIDA
Opere 1999-2001
(Città di Caltanissetta)


 " LA VIOLENZA COSTRUTTIVA DEL TERRORE"
di Pino Schifano

"Verrà per tutti la luce...ma io sarò sola nella mia notte?"
La sconcertante analogia-più rimarchevole in quanto inconsapevolmente ed involontaria-tra la problematica (pittorica, musicale, teatrale) espressionista e questa sorta di via crucis laica ch'è la confessione per quadri di Giuseppa D'Agostino, acquista, di tappa in tappa, maggiore spessore e più rilevante valore artistico.
Nè valgono a smorzare la forza drammaturgica delle sue "visioni" il più frequente incidere verso le aurorali (o vespertine?) luminescenze dei suoi più recenti paesaggi o l'esplosione cromatica dei suoi fiori, restituiti ad una prorompente vitalità, mal frenata dai centrimetrati limiti della tela o della carta.
Resta il dramma, dunque, nella narratio d'una sempre latente crisi  esistenziale della D'Agostino - che pur tutti ci attanaglia, nel comun denominatore del'insicurezza - per cui la spettrale sequela dei suoi incubi pittorici, le zone d'ombra della sua anima (lacerata dal presagio del possibile ancor più che dall'angoscia dell'imprevedibile), paradigma della sua coscienza individuale, si fanno specchio d'una inconscia Angst collettiva, mentre i suoi sentimenti, le paure, le speranze trovano nei cupi colori della notte il senso della verità, che tristanianamente vacilla nell'ambiguità ingannevole del giorno.
E' un percorso ad ostacoli, quello che la sensibile artista palermitana compie attraverso la sua ricerca espressiva, in cui gl'impulsi interiori, le scelte cromatiche e l'ansia di Luce s'incanalano in soluzioni formali tutte e singolarmente coinvolgenti; in cui armonia visibile ed armonia invisibile combaciano, in forte connotazione identificativa.
Un "dramma a stazioni", si direbbe con Strindberg, la produzione pittorica di Pina D'Agostino: sovente dai concetti oscuri e terribili, talora dai temi gioiosi e malinconici, tanti, comunque, e diversi, quanti i suoi altalenanti stati d'animo. E come nella struttura drammaturgica strindberghiana, un percorso che parte dall'Io, che si sviluppa nella ricerca del "Cammino", verso città e paesaggi finalmente fuor dalle brume, dove il nascere di una nuova creatura o lo sbocciare di un fiore siano segni solari veri di rassicuranti orizzonti di vita.

 EVOCAZIONE E LIRISMO
di Aldo Gerbino

I percorsi di Giuseppa D'Agostino, come avemmo a rilevare per altre espressioni dell'arte figurativa siciliana, conferiscono una loro peculiarità all'esistenza visiva, al cordolo ampio e sinuoso della natura, appena costruito sul nodo solingo della percezione. A questa funzione dello spirito, essa assolve fin dagli inizi del suo controverso  percorso, imprimendo sempre più il collante della coerenza alla ascesi e al ritorno nel tempo privilegiato della mediterraneità. Una condizione vissuta dall'Autrice come categoria interiore, assunta quale necessità di esplorare se stessa nel mondo e ricrearlo attraverso il piano d'intersecazione tra realtà e fantasia.
Le sue percorrenze figurative, mosse su quel diorama di città e nature morte, figure femminili, materne e sensuali, e icone floreali, mostrano una sorta di esasperata angoscia, restituita ad una disforica passionalità. Una tensiva dimensione nella quale emblema e realtà si raccordano, si amalgamano e si depositano sul piano della ricognizione e della analisi. L'essenza di una palpabile umanità che vive e agita il mondo non è certo condizione pronta a limitare quel versante del discorso naturalistico alimentato dalla emotività della D'Agostino; nè tantomeno pone limiti sulla responsabilitàlirica che la pittrice impone al racconto della dissipazione naturalistica, pur con qualche concessione alla retorica. Dimostra, comunque, l'impossibilità di un sogno, mostrando, con semplicità, lo iato tra desiderio, contesto naturale e realtà. Ma i temi cari alla D'Agostino, sempre malinconicamente avvolti da una lieve tensione creativa, la coinvolgono nella embrionaria enunciazione poetica per quel disporre le utopie col marchio della natura, soffuso di contrastanti passionalità mosse tra meditazione e accensione lirica, condotte lungo le tracce floreali, le aurore incipienti, lo scavo del corpo. Una vocazione - questa - adatta a colpire l'oggetto di riflessione nel suo stato interiore, per poi manipolarlo in virtù della sua maggiore densità. Ciò particolarmente viene sostenuto dal lavoro operato sul paesaggio dell'anima, variazioni di luce, asseramenti, alberi, giochi in controluce. Ogni cosa sepimenta il suo spazio visivo in una sorta di lirico e contenuto espressionismo. Nel suo perimentro vi affiorano fuggevoli sensazioni informali tendenti ad un impercettibile chiarismo, il tutto sganciato da quella "angustia"  e da quelle " angosce della pittura moderna" denunciate da Raffaele De Grada (per altri artisti isolani) tanto da evidenziare, anche in questa pittrice, lo scrigno  di una recuperabile "serenità". Il tutto pervaso da un'altra vocazione: parlare con se stessa, riaprire il dialogo con certi interni struggimenti, riappropriarsi del senso della solitudine, dal quale ambito affiorano i più recenti lavori pittorici. Nel tentativo di superare ogni conflitto le cifre della "flora", della umanità femminile, della natura si sforzano di diventare fremiti del pigmento, interrogazioni, in quanto vi è la spontanea consapevolezza che la "forza evocativa", come suggerisce Salvo Ferlito, possa essere capace, da sola, a suffragare qualunque forma d'anima e la sua inestinguibile ansia.

Lachesi, olio su carta, 2001cm 100x70


Speranza negata, olio su carta, 2000 cm100x70

Resti di città, olio su tela, 2000 cm70x50

Corteo, olio su tela, 2001 cm 70x40

Passaggio, olio su carta, 2001 cm 100x70



Dal catalogo "VISIONI" Opere 2000 - 2004
Città di Bagheria



Crepuscoloolio su carta, 2003 cm 50x70



I NUCLEI OSCURI DELL'ANIMA di Pino Schifano

C'è una domanda, al cospetto del complesso scenario-onirico, visionario, metaforico, poetico - della vasta produzione artistica di Giuseppa D'Agostino, che mi torno a porre ogni volta che m'accade di dire o di scrivere di lei: quanto, di ciò che dipinge, è il prodotto d'un transfert medianico? Quanto è causale e quanto  intenzionale?
La coerente linea evolutiva della sua creatività, nella sostanziale costanza tematica e stilistica, mentre legittima l'interrogativo, ne delegittima al contempo, di fatto, l'urgenza e la necessità. Perchè questa artista, che torna sempre a colpire pubblico e critica - nazionale e d'oltralpe - con la forza dirompente dei suoi raggelanti soggetti, così come li seduce con le fantasmagorie dei suoi fiori o le sfumate atmosfere di rarefatti paesaggi, t'imbriglia in un coacervo di emozioni e di sensazioni dalle molteplici valenze estetiche, ma in primo luogo etiche. Giuseppa D'Agostino, da circa un ventennio e soprattutto da un lustro, realizza insomma quel che Franz Kafka riteneva fosse lo scopo - e l'effetto - del lavoro di un artista (lo pensava per i libri, ma il concetto vale anche per la pittura come per qualsiasi altra forma d'arte): "Un libro deve essere una piccozza, per rompere il mare gelato che è dentro di noi. Se il libro che abbiamo per le mani non ci sveglia, come un colpo di maglio sulla testa, allora non è degno di essere letto". E' l'estetica fondamentale dell'Espressionismo, di cui Pina D'Agostino sarebbe stata certamente rappresentante di spicco, allora, come lo è oggi, incarnandone modernamente - in modo istintivo, originale e personalissimo, e con tutte le più intense pulsioni tardo -romantiche- i postulati, gli stilemi, tutta la forza "rivelatrice" dei suoi messaggi. 
Quelli, però, nel suo caso, che nel conflitto tra reazioni esistenziali e psichiche tentano di risolvere la fenomenologia del negativo per l'affermazione del "coraggio di essere". Tutto nell'opera complessiva della D'Agostino trae forza espressiva, formale e poetica da tale conflittualità, che trova aperto e smisurato campo d'azione nella sua anima in perenne bilico fra luci e tenebre, tra l'ardente e passionale desiderio di vita, il presagio dell'imprevedibile e l'angoscia annientatrice della morte. Ed è qui che l'assunto kafkiano diviene pregno di effetti. Perchè l'Einfuhlung che si determina tra la pittrice ed il pubblico fa sì che il dilemma esistenziale personale, il dialogo con sè stessa che l'artista compie sul lettino psicanalitico della sua tavolozza, la sua coscienza individuale, si fa segno interpretativo dell'inconscio collettivo, di un'angoscia e di un vuoto che è respiro affannoso del tempo in cui viviamo, di quell'ombra minacciosa dei nuovi incubi che macchiano di sangue, di fuoco e di fumo le pagine orrende della Storia che l'umanità sta scrivendo: pagine che hanno per l'appunto i colori chiave delle opere della D'Agostino, i rossi, i neri, i grigi - ma che sanno anche illuminarsi dell'intesa luce della speranza, nelle calde tonalità del giallo e dell'arancio, nelle sfumate velature dei violetti, azzurri, turchese fino alla radiosa rarefazione del bianco. Si diceva di coerenza e di linea evolutiva. Non c'è contraddizione nei termini perchè l'urgenza del messaggio - o, più propriamente, delle premonizioni - si consolida, nella più recente produzione, nella formazione, anche quantitativa, di veri e propri cicli, per cui le problematiche esistenziali della pittrice - i fondamentali "perchè" - si esplicitano in "figurazioni" che aprono un ampio squarcio visionario e metaforico sui temi eterni della vita, della morte, della natura. Quattro opere della D?Agostino, in particolare rappresentano la sua più drammatica "visione" della vita: la Maternità, connotate rispettivamente dai predominanti nero, grigio e rosso. Molto di più di un colpo di piccozza...Soprattutto la seconda, in cui l'artista scava più nel profondo della sofferenza del parto che non nella gioia della nascita di una nuova creatura. La morte suggerisce alla pittrice dolorosi interrogativi. In Lacerazione la luce d'intenso giallo di una emblematica sagoma antopomorfa viene spezzata da oscure linee trasversali  (lance, frecce, spade...?), mentre vari Cammini sono percorsi da Cortei di misteriose, pietose figure (anime, fantasmi, penitenti...?). Das Klagende Lied pittorico. Evocazioni di Parche rimandono a classici simbolismi mentre lancinanti Crocifissioni squarciano orizzonti di luce e di fede. E' tuttavia la realtà del quotidiano che si offre alla rappresentazione, ed i suopi tragici echi (Vanitas, Thanatos) sfociano in Fosse comuni o nella recentissima Sala settoria (2004) che come per la Maternità, sembra scaturire dai più iperattivi lobi cerebrali della D'Agostino: un'esplosione di rosso sangue prorompe da un corpo (adulto, adolescente, uomo, donna...?) disteso sul tavolo operatorio, la cui marmorea linea scompone in due piani  separati la tela, dalla stesura astratto-informale, attraversata nella parte superiore da inquietanti sagome umane (medici, aguzzini, terroristi...?) Siamo oltre la premonizione, stiamo dentro la cronaca... Anche la Natura è raramente madre generosa e suggerisce alla pittrice visioni di allucinati paesaggi urbani, intricate foreste, infiorescenze materiche quando non addirittura conturbanti (I Fiori del male), indipendentemente dai casuali o coincidenti riferimenti letterari... E' tuttavia sovente, ora, affiorano squarci di solarità dilagante; incantati, evanescenti effetti coloristici in Paesaggi fantastici, riverbero di quell'anelito, di quella ricerca d'una felicità perduta, ama ancora possibile, d'un paradiso perduto, ma ancora rintracciabile e tutto, ancora, da vivere...  Ecco: la tecnica di Pina D'Agostino è conseguenza diretta del suo transfert, segue le istintuali evocazioni con al forza e il dinamismo che lei ha sempre impresso nell'applicazione della materia pittorica (sulla tela, sulla carta, su faesite); una tecnica gestuale, ampia, che dà sfogo alla spatola e libera energie cromatiche dense e cupe, come accese e trionfanti di luce. Tra esaltazione ed abbandoni, la sua anima naviga con ondulate Vele verso Paesaggi di mezzo e Terre di confine, con incursioni sempre più frequenti nei misteri dell'Altrove. Oskar Kokoschka riteneva che Eduard Munch fosse stato il primo uomo ad entrare nell' "Inferno moderno" e a ritornare per descriverlo. Con le debite proporzioni, penso che Giuseppa D'Agostino sia la prima donna a tentare di fare altrettanto.


Città, olio su tela 2001 cm70x100

Paesaggio, olio su carta 2000 cm 100x70

Casualmente fiori, olio su carta, 2000 cm 100x70

Les fleurs du mal, olio su carta  2001 cm 100x70

Segreti, olio su tela, 2000 cm 100x70

Echi del bosco, olio su carta 2001 cm 75x55


Maternità 4, olio su carta, 2001 cm 100x70

Maternità 3, olio su tela, 2000 cm 120x100

Lacerazione, olio su tela cm 100x80

Metempsicosi, olio su carta,  2001

Fossa comune 1, olio su carta 2001 cm 100x70

Sala settoria, olio su carta 2001 cm 100x70

Corteo 2, olio su carta 2001 cm100x70

Corteo 3, olio su carta, 2001 cm100x70

Approdo, olio su carta 2001 cm 75x55




Dal Catalogo "FRAMMENTI D'ANIMA" 
Comune di Capo d'Orlando-anno 2005



VIAGGIO SULLE VIE DELL'INFINITO di Pino Schifano


L' "imago della fatal quiete" si popola di nuovi fantasmi, mentre l'alba della vita si carica di più cupi presagi, di laceranti dilemmi. la galleria psichica di Giuseppa D'Agostino espone i frammenti della sua anima, tenebre e bagliori, oscure premonizioni e folgoranti speranze. la stessa titolazione di queste sue più recenti opere sembra obbedire ad una esigenza d'ordine catalogico nel già ridondante archivio della sua coscienza; una sorta di riflessione, partecipata e distaccata a un tempo, su un arco produttivo in cui la spontanea germinazione dei suoi "cicli" pittorici ha via assunto la dimensione del "poema"; e quindi foscolianamente definibile quale alta, lirica meditazione sul mistero del grande "passaggio", sull'eterno processo della vita e della morte, ma con un più pressante bisogno, fra contemplazione ed anelito, di ormeggiare verso lidi in cui lievemente soffia il sospiro della malinconia più che l'onda agitata del pessimismo. Perchè, alla fine, tanta effusione epitimbica (Il giardino della memoria, Memorie, Inhumatio) della più drammatica pittura della D'Agostino non è mai stata, nè tanto più lo è ora, un mero "memento mori". L'espressionistica verità premonitrice di questa ardente e visionaria pittrice ha saputo sì cogliere il senso dolente, se non addirittura tragico, dell'esistenza umana, ma facendosi soprattutto interprete di un'angoscia collettiva, oggi sempre più alimentata dal dramma dell'insicurezza. Un grido d'angoscia sale nel nostro tempo, avvertiva Hermann Bahr agli albori dell'Espressionismo storico. Anche l'arte urla nelle tenebre, chiama al soccorso, invoca lo spirito. Ecco il senso della preveggenza per gli artisti, ecco la loro capacità - che Giuseppa D'Agostino possiede in sommo grado - di analizzare il "possibile assurdo". C'è chi ha immaginato tale facoltà come un vero servizio, che l'artista è capace di offrire all'umanità. Penetrare nei problemi del tempo e documentarli. Ma con l'occhio dell'anima che sa farsi linguaggio artistico. Pina D'Agostino ha accentuato, con le sue vigorose marcature cromatiche (sempre più intense le vibrazioni dei grigi, dei neri, dei rossi) ed un uso discorsivo del polittico (Resurgerunt, Omaggio a un bambino mai nato) pensosi momenti ideativi che assumono di per sè anche una fortissima connotazione e valenza simbolista. E come per tutte le opere simboliste, accade che "l'artista vede meglio di quanto egli stesso non possa pensare" (Medea tra noi"). Pina D'Agostino affronta la tela candida nella nudità della sua anima. Ed è come se la spatola fosse dominio d'una forza sovrumana "altra", che via via imprime "quelle" immagini del terrore (L'ombra, Lacerazione, Sala settoria). Nel mondo, intanto, impera il dominio della paura, l'angoscia dell'imprevedibile. Nell'immenso palcoscenico della nostra vita è in corso - senza intervalli - lo "spettacolo della fine" (Ground Zero). Non nasce per caso, oggi, la popolarità di artisti come Munch, o come Max Beckmann capaci di far intuire e "prevedere", con la loro forza descrittiva, situazioni e sviluppi della società e della storia. C'è il caso che le tele di Giuseppa D'Agostino si portino..."cattive notizie" (Mietitura). Soccorre John Russell: Ma cosa accade se i simboli che l'arte ci offre sono vitali per la comprensione del mondo e non possono essere trovati altrove?
Di fronte a tanta pseudo arte "consolatoria" e ripetitiva, quella di Pina D'Agostino sa farci immergere nella realtà per meditarla e guardare al futuro con la consapevolezza del nostro disagio. Ma nache offrendoci un messaggio di grande fiducia, di irrinunciabile speranza (Il giorno dopo, Il primo giorno). Indicandoci la strada, entrando nel suo luminoso paesaggio "globale" (Paesaggio, V'è un angolo di luce). Al di là della semplificazione simbolica della titolazione, i suoi paesaggi non hanno infatti identificazione alcuna. Sono luce universale. Una inner light (luce interiore) che R. W. Emerson preconizzava quale forza modellatrice delle leggi naturali. Una pittura senza confini concettuali, senza limiti di comprensibilità ed empatia; che guarda ad una natura che sia finalmente promessa di una nuova, sfolgorante primavera (Raccolto di primavera). I "frammenti d'anima" di Pina D'Agostino non riflettono più, allora, quelli di un mondo che va alla deriva. Non più fantasmi di morte o di disgregazione, ma nostalgia di una unità perduta e luce che ne illumina la ricomposizione (Teorie di luce). La storia vissuta come incubo (Cellule di storia), grazia all'arte rivela la verità della condizione umana e ne traccia il cammino salvifico.
Giuseppa D'Agostino vive con tutta se stessa il Menscheidammerung (il crepuscolo dell'umanità) ma ne sa dipingere l'alba in questo suo eloquente e contemplativo viaggio sulle vie della vita. E dell'infinito.

Inhumatio, olio su carta, 2005 cm46x38

L'ombra, olio su masonite, cm95x58, 2005

Mietitura, olio su tela, cm46x38, 2005

Omaggio ad un bambino mai nato, olio su tela, polittico, cm 180x180, 2004

Il muro-ricostruzione, olio su carta, cm 46x38, 2005

Raccolto di primavera, olio su carta, cm 72x52, 2005

Raccolto di primavera II, olio su carta, cm77x58, 2005




GIUSEPPA D'AGOSTINO
Il felice tormento dei sensi
di Maria Antonietta Spadaro

I paesaggi, opere su carta, di Giuseppa D'Agostino ci investono come un respiro d'aria: natura, nuvole, vento, vengono proposti attraverso un'appassionata semplicità e una sicurezza quasi ingenua, ma capace d'imbrigliare la luce con i ritmi a volte convulsi dell'informale. Una gestualità filtrata dall'emozione, certo, che sconfina in dimensioni profonde della coscienza, trovando sintesi acute, a volte lievi a volte sofferte. La "Pittura Pittura" della D'Agostino, dalla tela alla carta non muta registro espressivo, soltanto la perdita della consistente matericità delle tele, nelle carte, lascia liquefarsi l'emozione, di forme evocate, in velature la cui lucidità si carica di vibranti suggestioni. La pittura, intesa come processo liberatorio di pulsioni interiori non reprimibili (ora che l'arte della guerriglia" - quella che rifiutava la pittura stessa, la figurazione, ecc. - costituisce un fenomeno storicizzato), ritorna a farsi prepotentemente vitale, così l'opera riconquista la sua eloquente presenza per aiutarci a comprendere meglio il mondo, la natura, noi stessi, e ci permette di accedere alle regioni sconfinate dell'irrazionale. Della Sicilia, della Monreale in cui vive, dei luoghi diversi visitati nei viaggi, ma mai resi in maniera didascalica, ci parlano le composizioni quasi astratte - se non fosse per la presenza costante dell'orizzonte - della D'Agostino, le cui forme, determinate da segni e stesure cromatiche giocate con maestria, scaturiscono da inquiete memorie, stratificate nel vissuto e mobili come un vetro incandescente, che trova infine la sua forma. Così come il tema della figura, ciclo anch'esso molto trattato dall'artista, ci mostra esseri scarnificati ridotti ad ombre o addirittura a scheletri, anche i suoi paesaggi si esprimono attraverso una marcata essenzialità di motivi: sia che la luce accenda paesaggi naturali o alluda a  luoghi urbanizzati, sempre svelati da una modulata tavolozza, questi hanno talvolta il sapore acre dell'abbandono, ma anche della speranza e della rinascita. E allora il destino, non più ineluttabile, si fa progetto, attraverso l'esaltazione dei sensi, l'ebbrezza del sogno e persino la vertigine della solitudine. Il percorso pittorico scelto da Giuseppa D'Agostino è arduo, tuttavia non le mancano l'umiltà e la grinta necessari per tradurre nel suo lavoro d'artista la propria visione del mondo, in quel difficile equilibrio, che mi piace definire con un ossimoro: felice tormento dei sensi, in cui ci conduce una pittura ricca di umori inquieti e contrastanti.






Giuseppa D'Agostino
"MEDEA TRA NOI"


Medea tra noi  2005 olio su carta cm 46x38


Scheda critica a cura di Maria Antonietta Spadaro


E' inevitabile che il vissuto riaffiori nelle nostre opere, nel nostro impegno: per vie insospettate e nei modi più strani: Nel lavoro di un artista tutte le esperienze, persino quellE apparentemente più lontane dall'arte, finiscono col fare parte di un bagaglio di emozioni private, che nutrono e sostanziano il messaggio estetico. Inevitabilmente l'urgenza di trovare un mezzo espressivo, comunicativo, rivela e porta con sè esigenze profonde di valori da esplicitare.
Giuseppina D'Agostino, che ha scelto il mezzo dell'arte come più consono al proprio essere, conosce, per lavoro, le sofferenze fisiche dell'uomo e ne coglie il tragico, riconducendolo al dramma dei miti classici e ri-attualizzandolo nella dimensione contemporanea che, proprio in questi ultimi tempi  ci pone davanti a fatti tragicamente inquietanti sia nella dimensione del privato che in quella di intere popolazioni straziate da assurdi conflitti.
Il dramma di Medea rinasce nei casi irrisolti di uccisione di piccole creature appena nate, ma anche nella problematica dell'aborto: così la tragedia sublimaat nel mito diventa inquietante tematica d'attualità. Euripide ci ha posto enigmi di enorme portata, le sue vicende continuano ad affascinarsi e angosciarci. Medea dice: <Tutto è deciso. Ucciderò i miei figli, subito, e me ne andrò da questa terra; non voglio abbandonarli in altre mani, ben più nemiche delle mie. E' inevitabile che muoiano, e se così dev'essere, io li ucciderò, io che li ho messi al mondo... ".
E Medea, nipote di Circe, una maga, non ricorre in questo caso a opere di stregoneria ma, soffrendo atrocemente, si riprende la vita che aveva dato ai figli. 
Si rimane atterriti quando solo si pensa alle profondità del nulla. Ecco, le opere della D'Agostino ci conducono a volte a sfiorare certe soglie segrete dello spirito. Noi separiamo e spesso chiudiamo, in modo precauzionale (per sopravvivere), in blindati compartimenti i misteri della vita: l'incompiutezza dell'esistenza, il limite del vuoto, l'angoscia del nulla, l'inconcepibile vastità dell'universo...
E' l'anima prigioniera del tempo fugace dell'esistenza umana? Cosa troviamo al di fuori della vita? Solo sordi lamenti mitigati da sconcertanti menzogne? 
La nostra lotta per sconfiggere la negatività è immane: il male in conflitto precario e perenne con il bene. E allora si scava nelle dissonanze alla ricerca di verità nascoste o crudelmente inesistenti, interrogandosi sul passato e sul futuro, perchè il presente fluttua sempre tra l'origine e la fine di tutto.
L'origine di tutto e l'incognita del nulla, mistero della vita e infinito dolore, sono temi ardui da affrontare, che nelle tele della D'Agostino trovano una forte espressività, nel senso che le angosce esistenziali, la sofferenza, la soglia della vita oltre la quale il mistero, la lotta della razionalità sull'irrazionale, divengono forme che lacerano con coraggio le reticenze. Si ritrovano accordi, echi lontani, formali e tematici, con le opere del periodo più inquietante di Goya, quello della serie dipinta nella Quinta del Sordo (1819-1823), dove, tra mitologia classica e miti popolari, si snoda una narrazione visionaria dai toni cupi e sinistri. In particolare, in Saturno che divora un figlio (Museo del Prado), la disumana violenza distruttiva dell'uomo si esprime nei modi forse più agghiaccianti della storia della pittura.
La tragedia sublime dei miti, come la mititca follia di Medea, rivela l'incognita del nostro non comprendere del tutto la realtà e le cose. L'inquieto disagio delle scelte, anche se obbligate, rende l'esistenza prossima ad un baratro continuo.
Il ciclo dei dipinti su Medea elabora tematiche legate alla maternità, tema del resto trattato autonomamente dalla D'Agostino in altre opere, sempre inquietanti nel rendere il tema della nascita dell'individuo nel mondo, come sofferenza ancestrale. privare l'uomo della sofferenza, dell'ispirazione di colpe ataviche, provocherebbe forse un vuoto ancora più tragico? Il cammino verso la fine è un continuo filtrare le esperienze, avvolgendole con cura nei meandri misteriosi della memoria, poi scoppiano i traumi e si genera il caos. Queste terribili angoscianti vicende danno dell'uomo un'immagine che la D'Agostino riesce a rendere senza mai cadere nel patetico. Entrare nel nucleo delle sofferenze è come rischiare di contaminarsi, per questo si è spesso riluttanti e per questo si apprezza il coraggio di un'artista, che non rifiutadi gettarsi a scavare nel torbido elemento fatto dai dolori dell'umanità. E' un corpo a corpo vissuto con lucida determinazione che raramente si trova in una donna, ma quando ciò avviene nulla può frenare quella furia istintiva di sincera denuncia dei mali del mondo.
L'orrore infinito della guerra, il furore distruttivo dell'uomo, esplodono in alcune tele dove la difficile scelta  di mostrare i drammi collettivi, effetti della crudele ferocia bellica, trovano ancora una volta, con coraggio, esiti compiuti.
Quando l'immagine riesce a divenire vera, assoluta, nell'opera, si è compiuto il miracolo dell'arte.
Le figure-ombra, scarnificate e dolenti, sembrano prefigurare dimensioni inaccessibili eppure vicine. Esse, le figure, non vogliono arrenderi al nulla: la loro fragile essenza, quasi di vetro, si oppone nonostante tutto alla decomposizione delle forma in una eternità senza sostanza. Attraverso il grido sordo di colori sbiaditi o neri e rossi violenti, abissali silenzi ci opprimono e l'uomo trascolora nell'indistinto.
E' scomparso l'individuo, la follia ha preso il sopravvento, ogni cosa  inanimata espriem sconcertante angoscia: scolora la gioia di essere nel mondo. Le figure sono visibili ma inafferrabili, perchè istintive nebulose repulsioni frenano l'istinto di toccarle. 



Alle piccole vittime innocenti...
è un'opera in cui l'orrore ci attanaglia e vorremmo fuggire. 
Le variazioni cromatiche del paesaggio seguono armonie precise che condensano, nel rosso della figura, un grido trattenuto di rabbia. La verità dell'opera è assoluta e ciò la rende compiuta nell'espressione di una realtà,che in questo caso rivela esiti di crimine. Chi ha avuto l'ardire di trasmettere con l'arte il tragico, spesso ha rischiato di non trovare le giuste note per esprimere l'urlo più acuto e straziante: la D'Agostino è riuscita a  trovarle. Emozioni forti, rivissute spesso nel sogno, rielaborate cioè dall'inconscio e tradotte infine nell'opera, sono davanti a noi. 
Ecco, riprodurre attravero un'immagine lo strazio prodotto da un atto violento: non si tratta di una foto-documento della polizia criminale. Si tratta di concepire trame sottili in cui si cattura l'angoscia, l'infinita pena per un delitto avvenuto.
L'intrigo narrativo, superando lo sguardo abituale, come un'ombra, offre una diversa percezione della realtà.
Non troviamo dei simboli, il discorso è diretto: l'immagine è lì, senza altra ambiguità, che se stessa e il suo senso profondo. Il transito terreno di noi uomini è un respiro: molte opere della D'Agostino hanno titoli quali: Ombre ovvero Segreti o Vanitas o Memorie, Respiro: dieci secondi, in cui le figure rappresentate hanno ben poco di normalmente umano. E ancora, più esplicitamente Cellule di storia, Caino, Il giardino della memoria, Pezzi di guerra, Striscia di Gaza 1 e 2, Lacerazioni, Thanatos in Thalassa, sono opere che scavano nel cuore  delle violenze perpetrate dall'uomo.
Un'oscura luce rivela corpi, ormai scheletrici, la cui sostanza immateriale è l'estremo dell'essere, sublimazione e rinunzia, demoniaca ambiguità del non essere.
le lievi sostanze dello spazio coagulare nei paesaggi, privi dell'essenza del tragico dlle opere di cui si è detto, nella modulazione di grigi, azzurri, ecc. trasfigurano le forme in inquiete armonie.Rima la nebbia, quella che ci impedisce di comprendere le essenze più nascoste della natura, ma nel contempo ci traduce tutto il fascino dell'ignoto e del mistero delle forme. La natura è lo spazio su cui il tempo deposita le azioni dell'uomo, ma anche le metamorfosi  provocate dai suoi stessi incontrollabili processi.
Vogliamo lasciarci stupire dai fenomeni della natura, con quella romantica ingenuità che ci sorprende ogni volta davanti a certi scenari che essa ci offre? Senza ricorrere a banali effetti luministici, così la D'Agostino ci conduce verso esiti formali e cromatici che suggestionano e rimandano a luoghi remoti e sconosciuti, ma pur sempre possibili. 

Il dissidio è in noi? Le armonie sono effimere come le gioie.  
Segreti  2003 olio su tela cm 80x70

Maternità in rosso  2007 olio su tela cm 150x50

Medea 2006 olio su tela cm 150x50

Medea tra noi 2006 olio su tela cm 150x50

La dimora di Medea 2007 olio su tela cm 150x50

Arcane voci 2007 olio su tela cm 150x50

Il cuore e il volto di Medea 2007 olio su tela cm 150x50

Le voci di Medea 2006 olio su tela cm 120x80 

Premonizioni 2007 olio su tela cm 120x100

L'ombra di Medea 2007 olio su tela cm120x100

Il furore di Medea 2007 olio su tela cm 120x100 

Respiro: dieci secondi  (da un'opera di S. BecKett) trittico, 2005  olio su tela cm 120x210

Striscia di Gaza 2007 olio su tela cm 100x80

Striscia di Gaza 2 - 2007 olio su tela cm 80x80

Lacerazioni  2006 olio su tela cm 100x60

Caino  2005 olio su tela cm 120x100

... Alle piccole vittime innocenti... (particolare) 2007 polimaterico cm 100x80


"Vivere vorrei d'altre cose 
il cuore colmo di piombo
 ha reso pesante il fardello
 l'anima tace 
riprende il viaggio a ritroso
 nasconde il sospiro
 silenziosa aspetta
 che giunga il confine."

Giuseppa D'Agostino









Personale dell'artista monrealese

M A R I O   LO COCO
La Terra e i colori

ex Monastero dei Benedettini

                                                           Progetto grafico Rocco Micale





Una sintesi perfetta di volume e di colore. E' questo il connotato saliente e distintivo delle raffinate ceramiche plastiche di Mario Lo Coco, artista di notevole inventiva e non comune manualità, capace di trasformare l'informe materia argillosa in opere di indiscusso pregio estetico. Arte antica, quella ceramica, da annoverare senza dubbio (al pari della pittura e della scultura) fra le prime manifestazioni artistiche dell'umanità; e tuttavia troppo spesso negletta e ancor oggi sottovalutata, sì da venir relegata, con una certa sufficienza, nell'ambito (a torto ritenuto subalterno e ancilare) delle arti cosiddette minori o decorative. Una distinzione, quella fra arti maggiori (grafica, pittura e scultura) ed arti minori (tutte le altre genericamente classificate fra le discipline dell'artigianato artistico), assolutamente fittizia e inappropriata, come del resto dimostrano i tanti movimenti (uno per tutti l'arts and Crafts influenzato dalle teorie di William Morris) che della loro piena equiparazione si sono fatti programmaticamente artefici e promotori. A quale categoria, infatti, ascrivere assoluti capolavori quali i vasi ellenici di Eufronio o le splendide statue ceramiche cinesi della dinastia Tang (per non parlare dell'incredibile esercito di terracotta sepolto a Xi'an) oppure gli spettacolari manufatti italiani d'epoca rinascimentale (primi fra tutti quelli dei Della Robbia), a quella delle grandi (e vere proprie) opere d'arte o semplicemente a quella del pur qualitatitvo artigianato artistico? E ancora, per venire ai nostri giorni, come inquadrare le performances ceramiche di Picasso e soprattutto di Fontana e di Leoncillo? Come piene espressioni della loro migliore e più rappresentativa produzione artistica o come meri  (e meno significativi) divertissement all'interno di un più rilevante percorso di protagonisti delle arti visuali?
Domande retoriche, ovviamente, cui però è in grado di rispondere con congrua pertinenza proprio Mario Lo Coco, il quale ha per l'appunto posto la modellazione e la cottura dell'argilla colorata al centro dei personali orizzonti ideativi e gestuali, pervenendo ad esiti plastico-pittorici di non comune rilevanza visuale. Quello di Mario, infatti, è un itinerario che, pur muovendo dalle determinanti premesse della tradizione figulina isolana (si pensi ai manufatti sei-settecenteschi di Burgio, Sciacca, Trapani o Caltagirone o, più recentemente, all'operato del palermitano De Simone), tende tuttavia a snodarsi lungo direttrici di forte e marcata innovazione, caratterizzate da un continuo ed inesausto anelito alla ricerca ed alla sperimentazione tecnico-linguistiche.
Non pago di un lessico visivo di tipo più classicamente figurale, il nostro Mario ha voluto, non a caso, esplorare i territori linguistici dell'astrazione, optando, da qualche anno a questa parte, per soluzioni più caratteristicamente informali, in cui il libero fluire del colore (vivacizzato da sapienti misture di pigmenti vetrosi ed inserti di metallo fra loro ben amalgamati da adeguate tecniche di cottura) si fa pienamente carico della esplicitazione di profondi contenuti emozionali ed affettivi. E tutto ciò, ovviamente, sempre nell'ambito d'una accurata e sapiente manipolazione della materia prima (l'argilla), sì da poter pervenire, come già detto, ad un armonico equilibrio fra forma e colore, fra sviluppo volumetrico nello spazio e caleidoscopico inceder delle cromie. Gli azzurri acquosi, i rossi incandescenti, i neri tratteggiati, i gialli solari si compongono così sulle superfici invetriate, interagendo al contempo con parti scabre e non dipinte (ove a padroneggiare è il tipico rossore spento della terracotta), in un gioco articolato di squilli e di silenzi, di oggetti e di incavi, di rientranze e fratture della struttura cretacea, che allude a una visione simbolica del mondo naturale, in cui l'elemento ctonio e quello aereo paiono contendersi lo spazio in una sorta di continuo (ma equilibrato) confronto-scontro di forze primordiali. Non è un caso, quindi, che nelle opere di Mario ricorra di frequente la forma sferica, quasi a voler alludere all'orbe terracqueo e a quell'insieme di dinamismi naturali, sui quali proiettare  intensamente i più riposti sussulti della psiche. Un dato, quello del riferimento allegorico al mondo fisico, che affiora in maniera sistematica anche nelle ceramiche dal caratteristico andamento spaziale più lineare (le recenti composizioni di elementi ipercromici che tendono a snodarsi in lunghezza su lastre diafane di plexigass), le quali paiono portare a pieno compimento la completa integrazione delle varie discipline artistiche (disegno, pittura e scultura) in un unicum sintetico e omogeneo di forte e penetrante visuale. E' dunque questo il grande merito artistico di Mario Lo Coco, l'aver raggiunto l'equilibrata interazione fra le arti "maggiori" nei perimetri elettivi d'una disciplina erroneamente considerata "minore" e "subalterna". A inoppugnabile dimostrazione dell'infondatezza di qualsiasi gerarchia di valore fra le varie e ad ulteriore conferma della sola preminenza della vis del pensiero immaginifico sotteso al gesto artistico.
SALVO FERLITO



INAUGURAZIONE  11 MAGGIO  2013  ORE 17,30



 Rocco Micale
al centro, SALVO FERLITO-critico d'arte
Il Sindaco Filippo Di Matteo, l'Artista, l'Assessore alla cultura Sig.ra Lia Giangreco






























































































Notizia Biografica

Mario Lo Coco nasce a Monreale l’8/9/1954 dove vive, opera e prepara, da oltre un decennio mostre personali.
Si è diplomato all’Istituto d’Arte per il Mosaico "M. D'Aleo" di Monreale ed ha avuto esperienze didattiche sulla progettazione del vetro. Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro creativo, è stata sempre messa in evidenza la sinergia tra azione creativa e duttilità della materia e, nello stesso tempo, come la materia  sia proiezione di una particolare esigenza emotiva. Vive e lavora a Monreale.
Hanno scritto per lui: Francesco Carbone, Giovanni Cappuzzo, Aldo Gerbino, Piero Longo, Franca Alaimo, Antonina Greco Di Bianca, Adriano Peritore, Jean Fracchiolla, Pino Giacopelli,
Gianni Amodio ,Maria Cerami, Maria Teresa Galletti, Salvo Ferlito, Elina Chianetta, Gilda Cefariello Grosso.




ANTOLOGIA CRITICA




La forma e l’organicità nella “ceramica evolutiva” di Mario Lo Coco

I ritrovamenti archeologici ci dicono che l’uomo ha sempre convissuto con una certa quantità di oggetti fittili (di argilla impastata e cotta al forno) per contenere bevande e cibo, ma anche per conservare o immagazzinare scorte; essi ci testimoniano, pure che la ceramica d’uso è la prima e vera produzione di massa con processi produttivi simili a quelli utilizzati dall’industria moderna. Infatti, la ripetitività dell’oggetto e di alcuni temi decorativi, la pratica della divisione del lavoro, che dava origine alle prime specializzazioni, ci suggeriscono che la produzione era certamente preceduta da un progetto per la serie; inoltre la sua resistenza al tempo e al trasporto, hanno reso l’argilla cotta materiale ideale per gli scambi economici. La circolazione poi della ceramica nelle regioni del mondo antico, ha determinato la diffusione dei linguaggi artistici classici, che sono stati una ricchezza culturale perpetuata nei secoli a venire. I temi della ceramica siciliana, infatti, sono strettamente legati a temi importanti dalla Grecia, poi dai Romani e successivamente dagli Arabi e costituiscono la ricchezza della forma siciliana, crocevia di tutte le culture.
La ceramica ha così trascritto il linguaggio dell’arte; si pensi che le più alte espressioni dell’esistenza, materiale e spirituale, ci sono pervenute su questo supporto materico naturale ancora leggibili fin dalla preistoria.
Mario Lo Coco conosce tutti i passaggi storici, l’evoluzione delle forme, le tecniche di lavorazione, la validità degli smalti, le reazioni chimiche originate dalle alte temperature. Dotato di rara sensibilità, egli non si sottrae alla verifica dei risultati della sperimentazione che via via mette in campo. Animo inquieto e mai soddisfatto delle sue creazioni, da apprezzato artigiano, egli prima sconvolge i canoni tradizionali del fare ceramica, compiendo una severa sperimentazione che lo porta ad affrontare e risolvere problematiche nuove e rischiose.
Inizialmente lo spettacolo delle opere di Lo Coco provoca in noi uno choc: il visitatore viene trascinato da un turbine vertiginoso di colori, di trasparenze, di estraneamento e di profondità voluta dagli smalti sapientemente fusi con vetro e con fili di rame.
Ben presto si rende conto che l’arte qualificata astratta o informale, manca di quei riferimenti culturali (per lui essenziali) che rendono evidente il suo appartenere alla Sicilia, al Mediterraneo; così intraprende un cammini, e sembra che egli sia il solo ancora oggi, che lo conduce ad affrontare il tema dell’organico così come lo concepiamo.
Ora, l’organicità è in effetti un “contenuto” certamente evolutivo dove il “contenente” non è che l’apparenza in movimento ed incessantemente rinnovata. Piatti, finestre, porte, vetri ed altro, infatti, si trasformano in supporti, ma sono essenzialmente delle “forme” che possono fissarsi, analizzarsi, anche se non possono pretendere di esprimere l’evoluzione e le continue sintesi di ciò che nasce artisticamente, si sviluppa, vive, si sclerotizza e si rinnova, integrandosi per adattamento. La nozione, la realtà stessa dell’organicità, in verità, non ha niente in comune con le classificazioni artificiali basate sulle apparenze è qui (nelle opere di Lo Coco) siamo lontani dalle abituali distinzioni tra la pittura espressionistica, l’arte astratta (o geometrica) e l’arte informale che mette curiosamente l’accento su una forma che essa vuole negare.
L’opera di Lo Coco si sviluppa attraverso una serie di elementi che sono le tracce dei diversi materiali usati, degli smalti, di quell’alchimia rigorosa così caratterizzante e personale dell’artista. Questi elementi sono degli insieme dove forma-materia-colore-spazio sono legati indissociabilmente ed appaiono essere la conseguenza dei fenomeni fisico-chimici che accompagnano l’intervento del fuoco, del calore, delle altissime temperature. La forma non si situa più ai livelli abituali: è l’organizzazione che primeggia e che conta. Quindi, è l’organicità che s’impone ed è compito di ogni spettatore farla vivere secondo la propria esperienza umana.
ADRIANO PERITORE






Il linguaggio artistico ha una tale varietà di espressioni da riaffermare, qualora ce ne fosse bisogno, l’ampiezza e la libertà come suoi precipui connotati distintivi. Si tratta oggi di una sorta di dialettica dalle infinite coloriture, sintatticamente in bilico tra figurazione ed astrazione, quasi a rintracciare modulazioni espressive che si raccordino ad esigenze variamente atteggiate ed enucleate.
Mario Lo Coco opera nel settore della ceramica con una pronunciata esplorazione innovatrice, tesa alla conquista di una cadenza e di una cifra stilisticamente bilanciata tra l’esibizione di una struttura a flussi emotivi, regolati in ogni caso da una mano sensibile e saggiamente esperta. La tecnica adottata consente di raggiungere effetti estranianti per cui sulla superficie della ceramica vengono a crescere modulazioni e segmentazioni cromatiche, affidate ad una esplicità, costante sperimentazione, i cui esiti visivi sono rivolti verso una progettualità avveniristica. Perciò il suo moto esplorativo mentre da un lato sembra annunciare riflessi luminosi, finisce con l’assorbire il cangiante delle apparenze, favorendo imprevedibili distanze di tipo riflessivo, capaci in ogni caso di fondare spazialità nuove.
Siamo di fronte ad una pagina inedita di astrazione cromatica che sa sensazioni diverse, pencolanti tra forma e colore, tra segni e cifre di un universo tutto da scoprire, in un flusso ininterrotto di momenti e di percezioni singolari.
Lo Coco fa quindi della sua arte uno strumento di fascino sensoriale dei materiali cromatici utilizzati – i più strani ed inusuali – lungo l’arco di un’operazione spesso per nulla prevedibile, anzi piuttosto aperta all’avventura formale del colore. E il colore porta quasi il segno e il senso di una sorta di angoscia magica, addirittura inafferrabile affidata al fluido divenire della superficie, virtualmente protesa a cercare configurazioni morfologiche nuove, per cui pigmenti, tracce e gocciature di colore si vengono a collocare, situare, crescere e disporre in una spazialità pittorica sempre aperta ad imprevedibili chiavi di lettura.
La superficie della ceramica è come sopraffatta dalla informalità del colore in una varietà di effetti.
Allora i gorghi del colore-materia, i suoi estranea menti addensamenti e le sue lievi irritazioni, le sue levigatezze o le leggere schiume, le sue sfumature di indaco, di rosa o di inchiostro, le sue screziature brune o impure suggeriscono apparizioni indecifrabili, involontarie, che sembrano destinate ai respiri più brevi. Ma è un territorio nel contempo reale ed immaginario, reale nella dimensione materica del suo supporto tecnico, cioè la ceramica; immaginario nella sua valenza espressiva, nella tensione del flusso che la suggerisce con una struttura portante ed interna che è tale per cui la coniugazione del modulo cromatico avviene sempre dentro un codice genetico di ampia rifrazione.
GIOVANNI CAPPUZZO





Meret Oppenheim, in uno dei suoi ready made del 1936, rivestiva un cucchiaio  e una tazza da brodo di morbida pelliccia. Era, apparentemente, una provocazione minore rispetto alla “Fontana” che tanto scandalo aveva suscitato, ma in realtà una simile operazione era molto più sottilmente scardinate perché  metteva in atto una sconvolgente ingerenza nella banale vita quotidiana di ognuno. Una funzione, quella della tazza, così nettamente riconoscibile nella semplicità delle sue forme che si colmava di ambiguità attraverso il programmato disorientamento. Il disorientamento che coglie lo spettatore, al cospetto di un siffatto oggetto, non riguarda solo la percezione visiva, ma coinvolge anche la “figurabilità dell’esperienza tattile e gustativa: la capacità di contenere, caratteristica della tazza, diviene risibile e anche l’idea di portare alla bocca un simile cucchiaio provoca sconcerto.
Le regole della percezione sono sconvolte ad un grado anche superiore rispetto alle prospettive impossibili di Escher, perché riguardano la sfera simbolica, segnica e funzionale dell’oggetto d’uso. Ma la funzione ed il segno non vengono negati bensì resi impossibili, sino ad una risemantizzazione del simbolo che assume il gusto dell’amara risata sardonica, tipica dell’arte Dada.
Pur rimanendo nella forma la memoria della funzione, anche nei piatti di Mario Lo Coco c’è la rinuncia alla “funzionalità”; le sue ceramiche appartengono infatti al campo della pura espressione artistica. Ma, al contrario degli artisti DADA, tale rinuncia non è frutto di una dolosa frattura tra percezione ed esperienza, bensì nasce da un percorso che trae origine dalla pratica del fare: quella dell’artigiano.
Nella tradizione di ogni luogo, il ceramista è l’ultimo epigone di una teoria lunga quanto la storia dell’uomo: l’artigiano, riferendosi nettamente vernacolare si limita a riprodurre la regola classicista e a cimentarsi in una variazione manierista.
Lo Coco inizia la sua esperienza artigianale inserendosi in questo solco: realizza terrecotte che hanno la forma della quotidianità, ceramiche destinate ad accompagnare la vita di tutti i giorni, oggetti quasi inosservati perché profondamente interiorizzati. Un vaso per i fiori sulla tavola; dei piatti per ingentilire il convivio di un giorno di festa; delle tazze e una teiera con gli smalti caldi della nostra tradizione. Presenze discrete ed utili che l’artigiano produce con alacre costanza. Ma lentamente, giorno dopo giorno, mentre il fuoco cuoce sempre uguale la creta, mentre gli smalti al calore diventano brillanti, qualcosa cambia.
Forse quella che a noi appare come sapiente manualità artigianale, per l’artigiano diventa, nel ripetersi dei gesti, il salmodiare di una litania: nei polpastrelli che sempre uguali affondano nella creta, nel calore, che sempre uguale brucia il viso quando si apre il forno, vi è il senso dello sgranarsi del rosario, una litania manuale che possiede la virtuosa vibrazione dell’Om.
E così come la meditazione del Saniasi apre le frontiere del sapere trascendentale, la “meditazione manuale” dell’artigiano porta all’espressione di nuove necessità. L’artigiano si chiede: cosa resterà di me in questi spazi concavi, in questi sacelli uterini, in questi cerchi celesti, in questi punti estesi?
Posso espandere lo spazio concavo di questi crateri sino a contenere il futuro dell’esistenza quotidiana?
Quali scorie il pèuro fuoco che rende sonora la creta può ammettere se non quelle dell’anima?
E per questo bisogno di espressione che l’artigiano Mario Lo Coco si trasforma in artista; un artista che usa la propria esperienza manuale per provarsi in nuove metamorfosi in cui l’elemento creativo alchemico è ancora il fuoco. I cerchi, gli ovali, i poligoni con le superfici affondate, oltre alle cristalline e agli smalti, adesso accolgono bottiglie, fili metallici, sabbie e polveri, scorie della vita quotidiana, memorie della funzione alla ricerca di un iperrealismo forgiato nella fucina di Vulcano. Le superfici assumono luminosità febbricitanti: il turchese violento lacera il latte freddo di luna; chiodi ruggine e piombo; bianchi e gialli organici. Ma poi le trasparenze fredde e siderali vengono ad un tratto interrotte: spaventevoli eretti lacerano il tessuto di un rosa carnale; spiagge di sassi violenti indicano  itinerari dolorosi. Immagini, quelle di Lo Coco, scaturite dalla pratica del fare a cui programmaticamente rinunciò Duchamp; immagini che risalgono ad una qualità pittorica ottenuta con tecniche non pittoriche. 
Nelle ceramiche di Lo Coco l'ornamentazione, in origine subordinata alla funzione, diventa strumento necessario per dispiegare le matrici del percorso creativo. La valenza segnica così non subisce cesure, così come il valore simbolico che si accende di toni intimisti e personali. Eppure Duchamp, con il suo approccio eminentemente intellettuale al processo creativo così lontano dalla pratica artigianale, può condividere qualcosa con l'artista-artigianato Lo Coco: il gusto della metamorfosi è fondante in entrambi, dall'uno vissuto come elaborazione concettuale dell'Opus  alchemico; dall'altro vissuto empiricamente come pratica manuale.

Renato Alessi






Parlare o scrivere di Mario Lo Coco vuol dire automaticamente parlare o scrivere anche di ceramica, e viceversa. Questo artista è ceramista per antonomasia.
Della ceramica conosce tutti i segreti ed ha percorso tutte le vie: dalle più tradizionali e ovvie alle più innovative e creative. Nella sua produzione che inizia nella seconda metà degli anni  settanta, incontriamo in effetti le prime ceramiche, le cui forme – piatti, vassoi di ogni foggia e di ogni colore – s’ispirano alla più pura tradizione classica, ma in cui già appare la volontà dell’artista di allontanarsi, scostarsi dagli schemi più ovvi per affrontare, con grande estrosità e un gusto sicuro e maturo, il campo dell’astrattismo non meramente formale ma un astrattismo che si adopera a penetrare i segreti stessi della materia. Compaiono sugli splendidi piatti cromaticamente affascinanti, fratture, spaccature, frammentazioni, materiali insoliti come chiodi, sabbie, metalli vari, vetrificazioni colorate che si avvicinano, si penetrano, si frammischiano in mille variegature e sfumature in cui i toni raggiungono la massima vivacità e lucentezza oppure si smorzano inquieti, pacati e sobri accostamenti di grigi, gialli, verdi evanescenti e rosa pallidi e corallini.
Ogni piatto diventa così una vera e propria opera d’arte, come un quadro informale, ma con una compattezza, una durezza, un amalgama tattile e voluttuoso della materia impossibile da realizzare su una tela, un legno o una carta.
In un secondo tempo Mario Lo Coco non si accontenta più dei limiti imposti da queste forme e fogge tradizionali ed assistiamo allora nel contempo, ad una espansione ed esplosione della materia in veri pezzi scultorei, in cui l’artista può dare sfogo alla sua vena creativa più intima e adoperare le sostanze più insolite utilizzate nei modi più inconsueti ed originali. Le fusioni di vetro, di plastiche colorate mescolate con la ceramica e con il legno producono opere strane e stralunate, come un mondo nuovo, un po’ apocalittico, appena nato da uno sconvolgimento tettonico misterioso e profondo.
Buchi, bruciature, lacerazioni, attorcigliamenti filamentosi, inclusioni, fragili trasparenze, sottili venature di strabilianti colori che giocano su tutta la gamma dei rossi, dei verdi e degli azzurri, si susseguono o si sovrappongono su queste superfici contenute in cornici costituite da vecchie imposte recuperate dall’artista, e lavorate e rielaborate in modo da offrire un limite saldo ed elegante ad una materia che potrebbe colare ed espandersi all’infinito.
Ecco quindi le ceramiche trasformarsi quasi in una nuova specie di vetrate che giocano con tutte le trasparenze e le metamorfosi della luce.
E’ come se la ceramica si dimenticasse di essere ceramica… Le forme ora si avvicinano alla più pura geometria, i colori si spengono in variazioni cromatiche a volte quasi impercettibili senza l’apporto diretto della luce, le superfici si riempiono di segni che evocano arcane ed essenziali scritture in cui il mondo cerca di esprimere alcuni dei suoi più fitti misteri, tutto diventa più spoglio e scarno come nello sforzo di ritrovare un’unità perduta attraverso le precedenti lacerazioni.
Tutto si smorza come alla fine di un lungo e faticoso percorso e sembra sospeso in labili e brevi segni esattamente come in un Haiku giapponese, poesia dell’imponderabile, dell’effimero e dell’inafferrabile.
Jean Fracchiolla







Da molti anni ormai Mario Lo Coco opera nell’ambito della ceramica d’arte e produce manufatti non seriali nei quali è facile rintracciare un duplice aspetto: la pratica del fare che riporta alla tecnica del mestiere antico, ancora legata a sistemi primordiali nella semplicità della manipolazione.
E l’invenzione sempre nuova che trova il suo spazio soprattutto nell’elemento decorativo e nel linguaggio delle ornamentazioni.
Un incontro di materia di memoria che insieme si espandono e si intrecciano.
E nella dualità di oggetto – soggetto che essi sottendono si definiscono reciprocamente nell’immagine di un organismo estetico vivente capace di restituire l’idea creativa originaria nella concretezza di una sorta di oggetto segnato da quell’immediatezza che non appartiene certo ad altre tipologie della produzione artistica; di ieri e di oggi.
Le terrecotte di Mario Lo Coco pur conservando l’impronta del primo plasticare appaiono cariche di energia e si abbandonano talvolta alle tensioni della materia: come nei vasi che Lo Coco fa crescere mediante l’antica tecnica a lucignolo in forme irregolari ed inconsuete. Morbidamente e senza asperità.
Altre volte, soprattutto nella decorazione dei piatti, l’artista interviene con più determinata presenza ed opera palesi trasgressioni sull’usuale ricorrente: colori nelle possibili gradualità e densità, mescolanze di toni e di materia esitano in superfici che prendono una vita propria.
Si incontrano negli smalti intrusioni materiche diverse: sabbia e terre colorate, ma anche cucchiai, fili elettrici, molle, specchi piombati che nel processo di fusione ad elevata temperatura subiscono imprevedibili trasformazioni. E rendono soluzioni sempre nuove che fanno di ogni piatto un pezzo unico.
Antiche e nuove simbologie, scherzi d’artista e divagazioni improbabili si spandono liberamente sui fondi circoscritti dalle sagome ovali o poligonali di quei piatti pre-costruiti nella loro qualità di oggetti d’uso veri e propri. In questa fase essi subiscono un processo di decodificazione semantica per divenire in maniera pretestuale lo spazio di proiezione di un momento creativo dove si liberano energie e pulsioni inesaurite.
Riverberi e guizzi di una condizione forse inconscia e a lungo latente che ora finalmente ha osato attraversare il campo della coscienza e porsi, solida e concreta, nella sua duplice essenza: di unità oggettuale ed estetica.
A. Greco Titone Di Bianca








MOSTRE PERSONALI E COLLETTIVE

·         Associazione culturale “Andrea Pantaleo”- Monreale – 1992.
·         Associazione culturale “Kaos” -  Terrasini  - 1992.
·         Lloyd’s Baia Hotel - Vietri sul Mare (SA) – 1993.
·         Associazione Culturale “Andrea Pantaleo” -  Monreale – 1994.
·         “ Le metamorfosi del quotidiano” Provincia Regionale di Palermo.
·         Palazzo  Comitini “Sala R. Guttuso” -  1994 Palermo.
·         “Palermo Amara” Villa  Niscemi  Palermo -1994.
·         “Metamorfosi esue trasparenze” Comune di  Mussomeli – 1995..
·         “Ceramiche e vetri” Centro d’arte e cultura Belmonte  Mezzano -  1995.
·         “Le metamorfosi dell’esistenza” Centro attività culturali – Palermo – 1995.
·         Laboratorio “Sicilia” - Palermo  - 1995.
·         “Accademia Siculo Normanna” Monreale – 1995.
·         Centro Culturale “P. Français de Paterne et de Sicile” – Palermo – 1995.
·         Bibl. Comunale “Palazzo dei Benedettini” Comune di Cinisi – 1996.
·         “Invito a Monreale” Circolo di cultura “Italia” Città di Monreale -1996.
·         Galleria Civica- Monreale – 1997.
·         Kantiere Culturale”Il Centauro” Bari -1997.
·         “Ceramiche Raku” Chiostro ex Convento S. Domenico  Trapani – 1997.
·         “Identità multiple tra modernità e contemporaneità” Terrasini – 1997.
·         “Cultura Scultura i miei libri e Oggetto Soggetto il mio spazio”Galleria Falcone Petraia Soprana – 1997.
·         “Rassegna d’Arte contemporanea” Complesso monumentale San Pietro  Marsala 1998.
·         La Parola, la luce del raggio “Ceramiche Raku opere recenti”- Santa Maria allo Spasimo- Palermo -1998.
·         “I colori dell’Angelo”- Comune di Vallecorsa  Frosinone – 1999.
·         “Arte sugli spalti” - Comune di Taranto – 1999.
·         “Emersioni segni per un’arte solitaria” - Opera Universitaria   Palermo – 1999.
·         “Scrittura probabile” - Delia  (Caltanissetta) – 1999.
·         “Natura e mito”Complesso monumentale S. Pietro - Marsala – 1999.
·         “Nel mito di Valentino” Le immagini pittoriche incontrano il cinema – Castellaneta (Taranto) – 1999.
·         “Rassegna di pittura ,ceramica e scultura” – A.P.T. Comune di Rionero in Vulture  Basilicata – 1999.
·         “Sull’Asina non sui Cherubini” Galleria Studio 71 Palermo – 1999.
·         “L’Universo fittile e astrale”Ass. Culturale C.R.D.D. - Palermo – 2000.
·         “Sedia d’autore” Corimbo Loft  Palermo – 2000.
·         “Oltre la ceramica “ Associazione “Le Nuvole”  Sciacca  - 2000.
·         “Parole in vista. Momenti della scrittura visiva e del libro d’artista in Italia” Comune di Montedoro  (Caltanissetta) – 2001.
·         Mostra Internazionale d’arte”Associazione Culturale Sintesi Ventunesimo secolo Complesso Monumentale S. Pietro  Marsala – 2001.
·         Akkuaria “un ponte sulla cultura”–Akkuaria Circolo unificato Ufficiali di Catania -2001.
·         “Omaggio a Giacomo Puccini”Circolo unificato Ufficiali di Catania, 2001.
·         “Terrarum Varietates”-Galleria civica d’arte moderna e contemporanea
       Ospedale delle donne-Corte dei Capitani - Palazzo Libertini San Marco-Caltagirone, 2001.
·         Il Libro in…. Edito” Catania, 2001.
·         1° Concorso di arti figurative – Centro storico – Altofonte,  2002.
·         Incontro dibattito-“I percorsi riabilitativi del disagio psichico”Le Nuvole Sciacca, 2002.
·         “Il Manifesto -La Ceramica”3° Biennale della ceramica il–Chiostro del S.Antonio Cerreto Sannita (BN), 2002.
·         Rassegna di pittura e scultura -Estate al centro storico “L’arte incontra il cinema nel nome di Valentino ”-Comune di Castellaneta (TA), 2002.
·         “Ceramica Raku” –Libreria Internazionale “Idiomi” Palermo, 2003.
·         “I segni della memoria ”- Istallazione portale, per ricordare i caduti per mano della mafia, trovasi presso la scuola elementare Francesca Morvillo di Monreale, 2003.
·         “Sedia d’autore” Corimbo Loft  Palermo – 2000.
·         “Oltre la ceramica “ Associazione “Le Nuvole”  Sciacca  - 2000.
·         “Parole in vista. Momenti della scrittura visiva e del libro d’artista in Italia” Comune di Montedoro  (Caltanissetta) – 2001.
·          “Scrigno del filo” arte tessile, ornati e legami –Assessorato Cooperazione Commercio, Artigianato e Pesca- Palermo, 2003.
·         “Concorso per la realizzazione di una copertina di un menù”- Accademia Italiana della cucina delegazione di Caltagirone (CT), 2003.
·         “Ceramica delle due Sicilie” Lascari (PA), 2003.
·         “Vernice art-fair” Forlì, 2004.
·         “Arte religiosa” - Dìart: biblioteca diocesana “G.D.Amico” Seminario Vescovile di Trapani, 2004.
·         “Formalibro” Comune di San Giovanni al Natisone (UD), 2004.
·         “OTIUM prego si accomodi” contemporanea, Forlì, 2004.
·         “Un’etichetta per la solidarietà” Studio 71 Palermo, 2004.
·         Sharjah Art Museum “la cartolina d’artista” 2004.
·         “Educazione alla legalità Direzione Didattica“Francesca Morvillo”Monreale-06-2005.
·         “Ceramiche liberty” Libreria Internazionale Idiomi, Palermo, 2005.
·         “Alcamo microcosmo di cultura “16 – 05 -2005.
·         “Concorso d’arte” Altofonte “PA” 24-07-2005.
·         “Arte Musica Cultura” alla tonnara Cinisi “PA” 01-08-2005.
·         “Libertando” Omaggio alla libertà, evento internazionale di arte postale
      Palazzo del Carmine Art-Gallery  Caltanissetta Ottobre 2005.
·         “Contemporanea”9° mostra mercato d’arte contemporanea Forlì 2005.
·         La terra cotta nell’arte del presepe in Sicilia 9° edizione “ Fondazione Marzullo”  palazzo S. Stefano Taormina 17 Dic.. 2005 – 6 gen. 2006.
·         “Carte con l’anima” opere su “carta a mano”centro Biotos Cultura Palermo dal 14 al 31 gennaio 2006.
·         “Carta bianca” Complesso Guglielmo II Monreale 01- 04- 2006.
·         “I libri di Mario Lo Coco : dalla ceramica alla carta” giornata mondiale del libro e del diritto d’autore Palermo “libreria Idiomi” 22 –o4 -2006.
·         “DiAstrazione di maggio”Rassegna nazionale d’arte visiva a cura di Gianni Amodio 06 -05 al 18-05-2006 Taranto.
·         “La terracotta nell’arte del presepe in Sicilia” XII edizione Fondazione Giuseppe Marzullo Palazzo Duchi S. Stefano, Taormina 16 Dicembre 2006.
·         “Progetto P.O.N. “Legalità-lavoro e gioco: esperienze a confronto” LA PORTA realizzata in collaborazione degli alunni della scuola “Guglielmo II” Monreale A.S. 2006-2007.
·         “I luoghi dell’oblio” Mostra di arti visive –  Marzo-Giugno 2007 San Paolo Palace Hotel Palermo.
·         “La terre en heritage” terracotta et maiolica de Sicile –Maison de l’Artisanat et des Metiers d’Art 12 aprile-23 maggio 2007 Marseille (Francia).
·         “Copertina per un libro” Omaggio a Franca Alaimo  -Novembre 2007.
·         “Fatti ad arte” oggetti d’artista  30 Novembre – 15 Dicembre  2007 Corimbo  Palermo.
·         “Festival dei giovani” dal 03 al 07 Dicembre 2007 Palaoreto , Palermo.
·         “La terracotta nell’arte del presepe in Sicilia” dal 15 Dicembre al 6 Gennaio 2007 Fondazione Giuseppe Marzullo Palazzo Duchi di S. Stefano , Taormina.
·         “Arti e mestieri Expo 2007” dal 13 al 16 Dicembre, Roma.
·         “Fatti ad arte” dal 16 Febraio al 30 Aprile, Millennium Arredamenti ,Bagheria.
·         “Dante in scena” Segni, immagini e voci (10 maioliche per Dante) Istituto d’arte per il                                                               mosaico “Mario D’Aleo” Monreale anno scolastico 2007-2008.
·         “Parva Naturalia” Mostra di libri d’arte dal 01 al 09  2008 Polizzi Generosa.
·         Parva Naturalia” annotazioni da Aristotele dal 20 dicembre2008 al 20  gennaio2009Petralia Sottana.
·         Materie set Imago dal 11 al 17 ottobre 2008 Palazzo Cutò, Bagheria (Pa).
·         “Parva Naturalia “annotazioni da Aristotele”  14 Novembre 2008 Longo Joy Palermo.
·         ” Ganci  Arredamenti con la collaborazione della Busnelli Museum” le ceramiche di                                                               Lo Coco dal 12 dicembre 2008 al 06 gennaio 2009.
·         “La Baronessa di Carini” Pinacoteca Castello di Carini 2008.
·         “Fatti ad arte” Oggetti d’artista,dal 26 febbraio 2009 “Spazio B quadro” Palermo.
·         “Sulle ali di un angelo”perlustrazione del sentimento del divino
                                                   Dicembre 2008 Gennaio 2009 Montedoro (Cl)
                                             Gennaio-febraio 2009 Palermo
                                             Marzo-aprile      2009 Caltanissetta.
·         “Esprimersi con l’argilla”dalla continuità alla beneficienza i nostri manufatti per l’Abruzzo
26 maggio 2009 scuola elementare “Francesca Morvillo” in collaborazione con la scuola media “Mario D’aleo”Monreale.
·         “Prime di copertina”per un museo in progress di arti applicate collezione D’A Gallery 23 giugno 2009.
·         “Contenitore Contenuto” Millenium Bagheria 13 dicembre 2008.
·         “Cultura ,Legalità,Ambiente, all’ombra della montagna sacra”Graffiti Day 09 Maggio 2009.
·         “Darwin Evolution” prova d’autore 14 giugno al 14 settembre 2009 Museo d’Arte contemporanea Caltagirone.
·         “Memorie dell’acqua” 19 dicembre 2009 -06 gennaio 2010 Collegio di Maria “Fondazione Carlino” Monreale
·         “Parva Naturalia –annotazioni da Aristotele Bibliothèque de Caen 16 dicembre 2009-09 gennaio 2010 Francia
·         “Parva Naturalia   -annotazione da Aristotele giornata mondiale del libro e della manifestazione una marina di libri organizzata dal Centro commerciale naturale Piazza Marina e dintorni Galleria L’altro arte contemporanea 23 aprile 2010-06-09                                                                              
·         “IMAGINARIE – LETTURE VISUALI –Loggiato San Bartolomeo Palermo 14 maggio   2010
  • “Blu?Il mare come non lo avete mai visto” - Addaura Hotel 09 Luglio 2010
  • “incontrarte” Lions club Agrigento Chiaramonte 7 novembre 2010
             Libreria Kàlos “librononlibro”dal 18dicembre al22 dicembre 2010 Palermo
  • “Dialettica” Generazioni a confronto Centro Culturale Biotoç-Spazio Bquadro
  • Via XII gennaio dal 20 gennaio al 7 febbraio 2011
  • Operazione Arte a Monreale dal 26 febbraio al 12 marzo Collegio di Maria
  • Monreale
  • “EX LIBRIS”piccola collezione enciclopedica di memorie e di attualità Biblioteca Comunale in Casa Professa 22 febbraio 2011 al 22 marzo Palermo
  • Dialettica “Generazioni a confronto”Base logistico-Addestrativa Piazza Cristoforo Colombo -Cefalù (PA) dal 04 al 18 giugno 2011
  • 5 giugno 2011 Monreale giornata mondiale dell’ambiente 2Sei Artisti in discarica
  • Made in Sicily 16 luglio/18 settembre Galleria d’Arte Moderna “Le Ciminiere” Catania            
  • ALCANTARA una bottiglia d’arte per un vino poetico “lu veru piaciri” Randazzo (Catania) 10   Ottobre 2011
·         Biblioteca comunale santa Maria La Nuova sezione Fondo Antico dal 18 novembre al 20 dicembre 2011 Monreale
  • Made in Sicily-Albergo dei Poveri Palermo 14 Novembre -23 Dicembre 2011
  • Singolare-Prurale 16 Giugno/8 luglio2012 Galleria d'Arte Moderna “Le Ciminiere di Catania Piazza Asia Catania
  • A proposito di Donne Centro Culturale Biotos via XII Gennaio2 Palermo
  • Castello di Carini “omaggio alla baronessa di Carini”Agosto 2012
OPERE PRESSO GALLERIE CIVICHE

·         Galleria Civica del Comune di Monreale.
·         Galleria Civica del Comune di Caltagirone.
·         Galleria Civica del Comune di Montedoro (Caltanissetta).
·         Museo Vescovile, collezione Diocesana di Arte Religiosa, Seminario di Trapani.
·         D’A Gallery Point, Taormina.
·         Istituto d’Arte per il mosaico (10 tavole maiolicate sul cammino di Dante).
·         Pinacoteca del castello di Carini.

SAGGI E RECENSIONI

·         Rivista “Palermo” Mensile della Provincia.
·         Mensile “Sikania”.
·         Mensile “Issimo”.
·         Rivista “Salpare”.
·         Rivista “Stilos”.
·         Quotidiano “Taranto Sera”.
·         “Oggi Sicilia”.
·         Arte e Critica rivista di cultura figurativa.
·         “D’A” Rivista D’Artigianato e di arti applicate decorative.
·         Gd’A il Giornale dell’Arredamento.
·         Red Magazine bimestrale d'arte moderna e contemporanea
           
ESPERIENZE COME DOCENTE

·         Progettazione del vetro nel Corso professionale per Maestro vetraio organizzato dal   Liceo Scientifico “Einstein” di Palermo.
·         Corso di ceramica per  alunni presso la Scuola elementare “Pietro Novelli” di Monreale Anno scolastico 1998 -1999.
·         Corso di ceramica per alunni presso la Scuola elementare“Francesca Morvillo” di Monreale -Anno scolastico 2001-2002.
·         Corso di ceramica per insegnanti presso la Scuola elementare “Francesca Morvillo”di Monreale -Anno scolastico 2001-2002.
·         Corso di ceramica per alunni presso la Scuola elementare “Francesca Morvillo”di Monreale –Anno scolastico 2002 -2003.
·         “Educazione all’Immagine” Corso di pittura murale presso la Scuola elementare “FrancescaMorvillo”di Monreale Anno scolastico 2002-2003.
·         Corso di ceramica per professori presso la Scuola media “Guglielmo II°”di Monreale Anno scolastico 2002 -2003.
·         “Genitori in classe” progetto Pollicino (Ceramica per disadattati) presso la Scuola “Guglielmo II°”di Monreale anno scolastico 2002-2003.
·         Pannello decorativo“Omaggio a Mondrian” Istituto D’Arte per il mosaico Monreale.
·         Realizzazione di una scultura in carta pesta “Don Chisciotte” Scuola elementare “Francesca Morvillo” Monreale.
·         Realizzazione di una maiolica 5 x 4 “Un albero per la legalità” Scuola elementare “Francesca Morvillo” Monreale.
·         Corso di ceramica presso l’Istituto d’Arte di Monreale “Mario D’Aleo” realizzazione di 3 pannelli in ceramica 2x1,20
·         Progetto continuitàA.S.210\2011 Istituto Statale d’Arte “M. D’Aleo Monreale “La maschera e le sue espressioni”19 Maggio 2011
·          





























TUNISIA 2013










































roro’

Artista monrealese

  le terrecotte di rorò                                  
                                                                                               tradizione
colore
solarità                       
                                                                              
                                                                      









Nel dicembre 1993 Rorò
entra per la prima volta
in un laboratorio di ceramica e
 ne esce entusiasta.
Frequenta presso
 l’Accademia delle Belle Arti di
San Martino delle Scale “Abadir”,
un corso dio ceramica.
Il suo entusiasmo cresce e
nascono le terrecotte di rorò
intrise di radiosa solarità e
cariche di cadenze geometriche e
suggestioni legate
all’antica tradizione del mosaico e
ai motivi arabo-normanni
del Duomo di Monreale.







Collezione cattedrale
L’originale collezione, carica di cadenze e suggestioni arabo-normanne, riproduce fedelmente le decorazioni delle absidi del Duomo di Monreale.
Nel ritmo geometrico del mondo islamico, nella laboriosa ricerca di temi simbolici e nell’armoniosa alternanza dei materiali eseguita da esperte maestranze, Rorò trova ispirazione.










Collezione intreccio
Affascinata dalla particolare trama di un tessuto e dalle laboriose e creative mani di un vecchio cestaio… Rorò “tesse” il suo smalto e ne fa tessuto per le sue terrecotte, veste così lampade, vasi e oggetti di arredamento.
Rorò, giovane architetto, riscopre in un laboratorio artistico la sua profonda passione per la pittura; riprende così tra le mani un vecchio sogno: Con pennelli e colori comincia la sua avventura nel mondo della ceramica: rompe canoni, regole e tradizioni.











Collezione paesaggio
Adesso Rorò viaggia nell’affascinante mondo mediterraneo sulla scia di Paul Klee, piccole architetture trovano spazio tra cielo e terra, la luminosità è grande protagonista. I colori trasbordano e, caratterizzando le forme, danno vita a un villaggio… una città.










Collezione mosaico
Dal “tempio d’oro” trova ispirazione l’esclusiva tecnica che Rorò definisce a mosaico e che le consente una vasta  produzione di oggetti. Come un vero mosaico, riveste con grande maestria ogni oggetto: tessere gialle o blu, tessere bianche ove il colore dalle tenue e pacate trasmette calore e solarità.














Osservando le terrecotte di Rorò, viene in mente il poetico brano di Vincenzo Consolo “Nottetempo casa per casa”.
Dalla terra nasce ogni terraglia, dal fuoco, dall’aria, dall’acqua, nasce ogni forma dell’informe, dal miscuglio l'ordine, la bellezza, l'armonia dal necessario.
Amore e pazienza muovono il mondo, muovono mano, intelligenza, creano il pieno e il vuoto, il concavo e il convesso".
Tutte caratteristiche che ritroviamo nell'operare di Rorò: l'ordine, il miscuglio, la bellezza, l'armonia, l'autore, la pazienza, l'intelligenza.
Tutti sanno che a Monreale, dal XII secolo si ammira una cattedrale arabo-normanna, rivestita di oltre 7.000 metri quadrati di paste vitree che hanno fatto di questa città la Capitale del Mosaico. Ma pochi ricordano che nel cuore della Conca D'Oro, nella vicina montagna della Moharda, hanno affondato le mani i primi figuli dando inizio all'arte di plasmare la terra con la cultura dell'argilla.
Ma, mentre la tradizione si è interrotta, le vie misteriose del dna dei monrealesi, ogni tanto, scoprono ascendenze, attitudini che sembrano sogni. Si spiegano così alcune presenze antiche e contemporanee e soprattutto, questo approccio nuovo a questa materia povera ed informe, come l'argilla.
La ceramica di Rorò, infatti, - per le ascendenze che ho richiamato e per gli studi da lei compiuti e per la passione che la anima - ha assunto una caratterizzazione particolare: attraverso la "tecnica al mosaico" e quel "sentire" assimilato da uno dei più grandi pittori di questo nostro secolo, come Paul Klee, realizza oggetti e composizioni di grande originalità.
Rorò, come Klee, prende dall'arte (e questo è naturale), perché l'arte nasce dall'arte come il figlio dalla madre, ma prende dalla vita, da quella vissuta realmente e da quella immaginata come possibile.
Di certo il suo linguaggio non può prescindere dai colori della solarità. Ma di una solarità mai arrogante. Eppure calda e vibrante di emozioni.
Nelle sue ultime opere, i colori (che precedentemente avevano caratterizzato una linea, un ciclo: quello del bianco, del giallo, del blu, per l'appunto, con l'aggiunta del rosso), hanno preso a convivere realizzando un accordo cromatico che dà al design una armonia, un anelito nuovo. Una fase nuova, che distingue e fa sintesi, dove la morbida pressione delle dita sulla creta e la sobria mistura degli smalti celebrano la metamorfosi d'una implacabile inclinazione febbrile che esalta l'intuizione e l'ingegno e dà sfogo all'immaginazione.
E' difficile pensare che da una materia così povera come l'argilla, che pure è una materia primordiale e perenne (dello stesso impasto dell'uomo), dopo il suo farsi e il suo comporsi con i colori e la sua cattura nel forno che avvampa, possano ottenersi simili alchimie.
Si sappia però che il mistero si compie perché la mente ha elaborato un progetto per trarne forme di rara bellezza.
Quella bellezza che Rorò sa plasmare con vero talento di artista e dalla quale è lecito aspettarsi esperienze sempre più impegnative.


Pino Giacopelli.