MOSAICO A MONREALE



L'ARTE DEL MOSAICO  A MONREALE
è conosciuta grazie al prezioso rivestimento di tessere musive, raffigurante il racconto del vecchio testamento e la vita di Cristo, all'interno del Duomo. 
Un'arte, tenuta sempre viva dalla presenza, nel territorio monrealese, di un'Istituto Statale d'Arte per il mosaico, dalle maestranze artigianali, da artisti vari e locali.


LA SCUOLA DEL MOSAICO 
NELLA STORIA 

a cura dei Professori Giovanni Alvich e Pantaleo Giannaccari

Monreale è famosa e conosciuta nel mondo per il Duomo caratterizzato dallo splendore e dalla monumentalità del rivestimento dei suoi mosaici.
Edificato nel XII secolo per volontà del Re normanno Guglielmo II
A Monreale, i numerosi interventi di conservazione e restauro dei mosaici del duomo hanno determinato l’esigenza di creare una scuola legata al mosaico. Testimonianze storiche confermano che negli ultimi decenni del 400, restauri di mosaici sono stati condotti, dal mosaicista monrealese Mastro Masi Oddo, anche se lo storico G. Millunzi ipotizza che una scuola di mosaicisti sia precedentemente esistita a Monreale.
La prova sta nel fatto, che la perizia nel restauro, nella creazione di nuovi mosaici e fabbricazione degli smalti (torre fornace) fosse già una realtà presente e consolidata a Monreale.
Nel corso dei secoli numerosi furono i mosaicisti monrealesi che si occuparono di restauro e di creazioni di nuovi mosaici, fra i quali ricordiamo:
Pietro e Angelo Masi figli di Pietro Oddo, Geronimo Di Bartolomeo, Pietro e Vincenzo Nicolosi, insieme ai figli Biagio e Antonio, Cosimo La Piana, Giuseppe De Lapi, Matranga e altri, come Pietro Antonio Novelli, padre del famoso Pietro, al quale fu affidato l’incarico di restaurare i fregi e le decorazioni.
Nel corso dei secoli successivi, altri interventi di restauro musivo sono stati eseguiti da maestranze locali sino ai giorni nostri.


LA SCUOLA DEL MOSAICO 
OGGI

Nel 1955 viene istituito un corso di mosaico che ha avuto come insegnante il mosaicista Vincenzo Romano, che dà impulso alla nascita di una scuola comunale di mosaico, fondata successivamente dal prof. Benedetto Messina nel 1959.
Il prof. Benedetto Messina, raccoglie intorno a sè, per mantenere viva la tradizione del mosaico, i giovani che inizialmente frequentavano la sua “Bottega”, la prima sede della scuola è la stessa casa del prof. Messina.
La scuola è inaugurata da S.E. Rev.ma Monsignor Francesco Carpino, arcivescovo di Monreale e dal Comm. Pietro La Commare, sindaco della città.
Nell’anno scolastico 1961/62, la scuola comunale per il mosaico, viene riconosciuta dal Ministero ed elevata a Istituto Statale d’Arte.
Nel 1964 la scuola si trasferisce, dalla casa del prof. Messina nei prestigiosi locali dell’ex refettorio dei benedettini, adiacente al Duomo, in piazza Guglielmo II.
Dal 1974 ad oggi l’Istituto d’Arte ha sede in via B. Giordano,14
Nell’ anno scolastico 2009-10 L’Istituto Statale d’Arte per il mosaico di Monreale ha compiuto cinquanta anni dalla fondazione. Nel corso dei cinquant'anni l'Istituto, ha mantenuto viva la tradizione, promuovendo una serie di iniziative culturali legate allo studio del mosaico in funzione del restauro e della ricerca di nuove forme espressive, campi di applicazione e destinazione.
Numerosi sono stati gli interventi e le manifestazioni che l’Istituto ha promosso e/o partecipato:
  • mostre didattiche annuali, con manufatti musivi;
  • ideazione e realizzazione di un mosaico di mq 15 per il catino absidale della chiesa della Missione “Speranza e Carità” di Biagio Conte a Palermo;
  • ideazione e realizzazione di un pannello m 2x3 ubicato in via B. Giordano nella parete frontale rispetto all’ingresso della caserma dei carabinieri di Monreale
  • riproduzione dello stemma araldico dei carabinieri di m2x1,5 per la C.C. di Monreale;  
  • ideazione e realizzazione di una colonna in mosaico di m3 di altezza e m0,50 di diametro, donata al Comune di Monreale e ubicata nello spartitraffico di via B. Giordano;
  • partecipazione alla fiera di Berlino con la progettazione e l’allestimento di uno Stand espositivo, per la promozione dell’offerta turistica di Monreale e Cefalù, su incarico dell’assessorato alla cultura del Comune di Monreale;

  • ideazione e realizzazione di un Convegno dal titolo Formazione musiva e rinnovamento scolastico “Il mosaico tra restauro e design”;
  • progettazione e realizzazione di un Monumento, in memoria delle vittime della mafia, ubicato alla sinistra dell’ingresso principale della caserma dei carabinieri di Monreale;
  • partecipazione alla fiera di Verona “Abitare il Tempo” con mosaici legati alla tradizione e alla tradizione rinnovata;
  • partecipazione alla fiera di Milano “La Mia Casa” con produzione di manufatti musivi destinati all’arredo di interni;
  • progettazione e realizzazione di una Stele Commemorativa della strage della circonvallazione del 1982, su incarico dell’arma dei carabinieri di Palermo;
  • organizzazione della Mostra/Convegno “Le Vie del Mosaico” a Chiusa Sclafani, nell’ambito del progetto “Alto Belice Corleonese: divulgazione delle risorse storico-artistiche;
  • partecipazione alla fiera di Pordenone “Tendenza Mosaico” legata alla produzione di oggetti per la casa e convegno sulle scuole del mosaico di Monreale, Ravenna e Spilimbergo;
  • partecipazione alla Biennale Internazionale del mosaico “Prix Picassiette” e relativi convegni sul mosaico a Chartres, Francia.


Numerose altre opere musive prodotte dall’Istituto si trovano presso enti pubblici (caserme, uffici scolastici, comunali, etc.)
L’Istituto d’Arte si è rivelato quindi, come quel tipo di scuola necessaria per risvegliare quella tradizione che a Monreale è forte, antica e persistente.
Oggi il mosaico può assurgere a valori da tempo non più raggiunti, utilizzando i nuovi materiali e i nuovi leganti, per decorare e abbellire strutture architettoniche, arredare giardini e parchi pubblici, per produrre oggetti d’uso quotidiano, dimostrando così che l’arte del mosaico è spendibile nella contemporaneità.
Nel corso degli anni l’Istituto ha formato numerosi artisti/operatori, che si sono affermati nell’arte del mosaico producendo opere mobili e opere applicate in edifici pubblici e strutture architettoniche sia in Italia che all’estero.





MOSAICI DEL DUOMO DI MONREALE

Descrizione e tecnica utilizzata a cura di Salvatore Tumminello - 
Direttore Artistico del Laboratorio "Le Absidi" di Monreale


"Lungo la strada che da Palermo conduce a Monreale, alzando lo sguardo, adagiata su un poggio, noterete la struttura poderosa delle Absidi del Duomo di Monreale. Si ergono maestose mettendosi in bella vista, sovrastando la Conca d'oro e la città di Palermo. Sono state definite la Absidi più belle d'Europa: giochi geometrici, intreccio di archi a sesto acuto, rosoni bicolori dai disegni ad intarsio ed inserzioni di pietra lavica, sono alcune delle caratteristiche salienti che ne abbelliscono la struttura compositiva.
Naturalmente, lungo il percorso non passano inosservate le fontane settecentesche fatte costruire dall'Arcivescovo Mons. Francesco Testa. Queste, distribuite lungo la salita che da Palermo conduce a Monreale, hanno avuto non solo la funzione di abbellire il percorso, ma di rendere più confortevole il viaggio al viandante di allora, che privo di mezzi di locomozione si apprestava ad incamminarsi per tale via...
Spostandoci nella piazza Guglielmo II, inquadrata tra le due Torri gigantesche, la facciata del Duomo presenta un prezioso portale che racchiude le gigantesche imposte divise da pannelli in bronzo che narrano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ai lati una deliziosa cornice presenta delle lesene con disegni floreali a bassorilievo, altri motivi geometrici con inserzioni a mosaico. Opera di Bonanno Pisano (1185) è chiamata la porta del Paradiso. Se avete la fortuna di capitare in visita a Monreale in uno dei tanti momenti solenni in cui all'interno del Duomo viene celebrato un matrimonio, certamente questa sarà l'occasione più propizia per entrarvi, poichè in tale occasione verrà aperta la porta del paradiso. Varcandone la soglia, il turista che attende qualcosa di grandioso non resterà deluso. L'interno del Duomo, si presenterà ai suoi occhi come uno dei più alti e significativi monumenti dell'arte bizantina del periodio normanno in Europa. Le sue pareti adorne di splendidi mosaici narrano le storie dell'Antico e del Nuovo Testamento. L'immensa navata centrale culmina con il grande arco trionfale in un crescendo architettonico che sembra indurre l'osservatore a focalizzare lo sguardo verso il catino absidale, in cui domina la maestosa figura del Cristo Panteocratore. Per dimensioni supera di gran lunga quelli analoghi del Duomo di Cefalù e della Cappella Palatina di Palermo. La decorazione parietale e pavimentale si dispiega per oltre settemila metri quadrati, dando allo spettatore una sensazione di attonita meraviglia. A questo punto mi piace ricordare il giudizio espresso dal Bettini quando descrive l'incanto del visitatore che, affacciandosi sull'amplissima navata centrale e ..."Procedendo verso il lontano e fermo occhio luminoso dell'Abside..., si sente avvolto da ogni parte dell'irradiazione continua dei colori dei mosaici che, sotto l'incrociarsi delle luci irrompenti dalle opposte finestre al sommo delle pareti, tingono il vastissimo, liquido spazio interno della navata della loro palpitazione incessante e si riflettono sul pavimento dalle incrostazioni marmoree ricche e traslucide".
Dopo questa breve presentazione, ritengo interessante data la mia diretta esperienza di mosaicista, far conoscere in estrema sintesi alcuni aspetti della tecnica di esecuzione impiegata nel vastissimo parametro musivo
Fra i metodi di lavorazione ricordiamo il metodo diretto, che è quello che ha interessato i mosaici di Monreale. Secondo la testimonianza dei restauratori e dell'architetto Naselli-Flores, che ha curato la direzione artistica nell'ultima campagna di restauri che va dal 1963 al 1980, gli strati di malta ove venivano allettate le tessere erano generalmente due, ma talvolta tre o uno solo, ed adottavano il seguente metodo.
La parete veniva solcata da profonde scalpellature, al fine di facilitare la stesura del primo strato di malta; dopo la presa, la superficie veniva resa ruvida mediante intaccature eseguite con la cazzuola e vi si applicavano sopra gli strati di allettamento che comprendevano le tessere musive. Sia nel primo che negli altri strati di malta venivano amalgamate pagliuzze tritate e chiodi. L'uso della paglia era espediente assai noto, serviva a dar maggiore tenacità alla malta attaccata al muro. Quanto ai chiodi venivano posti in alcune parti con modanature architettoniche. Sempre secondo la testimonianza dei restauratori, nel corso dei distacchi compiuti negli anni, venivano rinvenute sinopie disegnate direttamente sul parametro murario. Si trattava certamente di schizzi destinati a rappresentare, non tanto una guida per il mosaicista, quanto una prova generale che consentiva di verificare su scala reale ed eventualmente calibrava in modo diverso una serie di aspetti pertinenti, per esempio, ai rapporti decorazione-architettura o ancora decorazione-fruizione. I disegni preparatori risultavano delineati con nitidezza sull'ultimo strato di allettamento. I colori che generalmente venivano identificati erano il rosso, il rosso scuro, il giallo chiaro, il giallo ocra, il nero, il grigio. Secondo una prassi assai consolidata, si riteneva che la gamma cromatica impiegata nei disegni preparatori era piuttosto ricca ma che corrispondeva alle stesure musive secondo raggruppamenti fondamentali. In altri termini, tra disegno preparatorio e mosaico esisteva una corrispondenza cromatica di carattere generale, ma non particolare, in quanto la varietà cromatica dei disegni preparatori risultava meno differenziata rispetto ai mosaici che presentavano un numero maggiore di colori e tonalità. Attualmente nei più prestigiosi laboratori musivi la tecnica che viene adoperata è chiamata metodo con legantwe provvisorio diretto e da riporto. E' il metodo certamente più raffinato di comporre mosaici, è quello correttamente usato dai restauratori di mosaici antichi, quando sono costretti a strapparli dai muri ove si trovano per rimetterli poi sullo stesso muro una volta effettuate le riparazioni.
E' certamente il metodo che io preferisco e che ho sempre utilizzato per comporre i miei lavori. Sinteticamente la tecnica di questo metodo è la seguente: come prima cosa se si vuole ottenere una riproduzione di un mosaico antico o moderno si può procedere in questa maniera: si prende una fotografia del mosaico e si fa un'ingrandimento quanto lo si desidera; vengono riportati i colori dell'originale ottenendo così il cartone. Si appoggia sul cartone una velina da spolvero e vi si riporta il disegno. Si ripassa il segno ad inchiostro copiativo anche sul rovescio della velina, la quale verrà appoggiata sull'impasto di calce. Si fa una malta di calce viva senza sabbia e la si distende amalgamandola su di un supporto precedentemente preparato, (se il supporto deve contenere un mosaico di una certa dimensione essendo che la lavorazione avviene in posizione verticale, per evitare che la calce molle tenda a scivolare, conviene armare con della rete metallica il supporto). In questo impasto si fa aderire la velina che lascia sulla calce fresca la traccia del mosaico che si vuole riprodurre.
Ora, tenendo il disegno accanto al modello, il mosaicista comincia ad applicare le tessere che può rivedere e modificare in un tempo relativamente lungo, mantenendo umida la calce del letto di posa con opportuni accorgimenti.
Ultimata la composizione, si fanno aderire alla superficie le tele per mezzo di colle animali o sintetiche. Questa fase di lavoro deve essere eseguita con la massima attenzione; ad esempio è necessario lasciare la tela lenta in modo da farla penetrare nelle depressioni del mosaico poichè da questo dipende la riuscita del distacco. Quando la colla sarà asciugata, si esegue lo strappo, si toglie il mosaico dal supporto provvisorio operando con apposite leve di metallo.
Si appoggia in piano la superficie del mosaico staccata e si comincia la pulitura del retro tessera togliendo l'impasto di calce. Dopo aver pulito le tessere dall'impasto di calce, tenendo la parte rovesciata rivolta verso il mosaicista, si delimita il mosaico con aste di legno che si fissano al piano con morsetti e si versa sulle tessere un impasto di legante definitivo. Una volta asciutto, il mosaico viene pulito con spugnature, incollato su di un'asticella di legno compensato e così incorniciato.
Se la composizione musiva risulta di una certa dimensione il modo di strappare il mosaico da questo fondo e di riportarlo sul muro è un problema del mestiere, poco comodo e molto delicato. Bisogna operare con la sezionatura. Si incide la tela con un bisturi o una taglierina segnando di volta in volta il pezzo da strappare. Il taglio dovrà essere fatto seguendo possibilmente il disegno sia esso ornato figurato o geometrico e se gli spazi sono grandi seguendo la tessitura.
Segue la numerazione del pezzo e prima dello stacco l'esecuzione dei contrassegni di richiamo utili poi al momento della riapplicazione. Segue la pulitura dei retri del mosaico. A questo punto la fase più delicata del lavoro è stata eseguita. Il mosaico così preparato può essere facilmente trasportato e riapplicato anche in altra sede o addirittura su supporti leggeri e componibili senza peraltro notare le giunture fra un pannello e l'altro."


PREPARAZIONE DELLA MALTA
PER L'ALLETTAMENTO DEL TASELLATO 
 PREPARAZIONE DELLE PARTI STACCATE 
MEDIANTE STESURA SUL RETRO DI MALTA SEMI-LIQUIDA

Tale operazione è necessaria per la perfetta aderenza del pezzo al sostrato. La ricollocazione inizia dal basso verso l'alto così di pezzo in pezzo eseguendo la stessa operazione si otterranno frammenti perfettamente incastrati fra loro formando un unico pezzo e via via fino al completamento finale. Infine dopo una ulteriore pressione delle tessere sulla malta si aspetta che si asciughi. Quando verrà effettuata la pulitura staccando la tela con spugnature di acqua calda, il tutto risulterà uniforme come era nel supporto provvisorio poichè non avendo subìto perdite e dilatazioni, riassume la sua tessitura e spaziatura assorbendo automaticamente le linee di tagli.



Dal Libro: 
<FORMAZIONE MUSIVA E RINNOVAMENTO SCOLASTICO>
Il Mosaico: Restauro e Design
Atti del corso di aggiornamento  Anno 2002



M O S A I C O  Monreale

Dissertazioni

di

BENEDETTO MESSINA e di GIUSEPPE SCHIRO'
    


PROF. BENEDETTO MESSINA:

Quando si parla dell'argomento "laboratori", diciamo che Monreale ha avuto sempre dei laboratori di mosaico, dico sempre. Pensate che ci sono delle cose fatte da mastro Pietro Oddo, monrealese, del Cinquecento. Nel seicento, il padre di Pietro Novelli, il vecchio Pietrantonio. A loro venivano commissionati dei lavori di restauro e di completamento, soprattutto sui mosaici all'interno del Duomo.
Proseguì nell'ottocento una bottega, direi, di ignoranti volenterosi, dico una cosa brutta: ci fu un incendio nel 1811 che rovinò, non soltanto la parte vicino al soffitto, ma anche il pavimento, perchè le travi, cadendo, bruciavano e rovinavano il pavimento, era stata usata la pece greca. Allora non c'era il cemento, non c'erano delle sostanze resistenti, usavano la pece greca: la mettevano riscaldata nelle lastre di lavagna, mettevano lì le tessere a tecnica indiretta, e poi queste lastre le poggiavano, con la malta, nell'incavo che facevano nel marmo dei pavimenti. E vi devo confessare una cosa: che io ce ne ho alcuni pezzi; però vi dico come ce l'ho, perchè ce li ho. Nella sala San Placido, dove nel 1950/1955 abbiamo fatto un corso, anzi due corsi di mosaico, c'era un soppalco che conteneva tutti i resti dei restauri fatti nell'Ottocento con materiale del Cinquecento e dell'Ottocento, che io ho distinto. Ebbene hanno usato quel materiale come se fosse terriccio per alzare il pavimento di un magazzino. Allora io ho detto: non vi sembra un peccato consumare questo materiale prezioso? "Professore, -mi dissero- se lo vuole se lo porti tutto lei". ma io non me lo posso portare tutto, -risposi- non so neanche dove metterlo!? Allora, me ne portai sei sacchetti. E ce l'ho conservato: in parte l'ho dato ad una bottega d'arte che c'è qua a Monreale, quella del professore Cangemi. Sono tutti pezzi del cinquecento e dell'ottocento. Ho conservato anche il modellino metallico che usavano per disegnare nella pietra l'esagono, l'ottagono, il quadrato, quelli che dovevano tagliare. Ed ho quelli già tagliati, smussati e limati; li limavano con la mola ad acqua che io ho, per incoscienza, no, forse per delicatezza, data all'istituto d'arte, perchè mi sembrava un fatto storico.  Queste cose per dire il fatto storico di Monreale: nell'ottocento, vi dicevo, due ignoranti volenterosi (erano due fratelli muratori, sapevano solo mettere le mattonelle, i fratelli Zerbo), guidati da un artista, hanno restaurato la parte superiore. Entrando, specialmente nella navata a sinistra, se voi l'osservate, se avete l'occhio critico, ve ne accorgerete che non sono gli elementi originali, ma sono aggiunti, anche perchè, non essendoci stata la possibilità di ritirare da Venezia il materiale, fecero il materiale qua a Monreale , nella torre, chiamata la vetreria, dove un tempo lavoravano i fratelli Cangemi, (è chiamata vetreria proprio perchè lì facevano il materiale per il mosaico). E da che cosa ci si accorge, da cosa si vede (bisogna essere un tipo curioso come me, che voglio sempre sapere perchè, per come): usavano un pò più sabbia di quanto avrebbero dovuto usarne. Allora questo materiale dell'ottocento si distingue perchè è un pò più sabbioso: chi ha l'occhio clinico e osserva il materiale se ne accorge. Quindi avevamo anche la vetreria. Monreale ha questa tradizione forte. Sto parlando perchè è bello poter parlare di cose del proprio paese. Alcuni pensano che la Cattedrale sia stata allestita in dieci anni, in realtà non lo sanno, sia perchè non sono mosaicisti e non sanno quanto tempo ci vuole per fare le cose, sia perchè non distinguono gli stili. Il Duomo di Monreale non ha un solo stile. Abbiamo delle parti proprio che richiamano l'arte bizantina, abbiamo delle parti dove c'è la prospettiva, e noi sappiamo che la prospettiva fu inventata nel quattrocento, quindi non è possibile essere del XII secolo. C'è il bacio di Giuda che richiama quello di Giotto. Quindi o Giotto ha copiato da qua, o questi si sono rifatti a Giotto. Vi è un susseguirsi di anni e di stili anche nel pavimento. Il pavimento del coro è del cinquecento, prima era di terracotta, alcune parti di terracotta, alcune parti di marmo, poi l'hanno rifatto con questa tecnica, appunto non essendoci il cemento usarono la pece greca. Ho pure dei pezzettini di questa pece greca. Abbiamo avuto poi i fratelli Matranga: le botteghe, ecco, mi riferisco alle botteghe, mi sto orientando sull'argomento "le botteghe". I fratelli Matranga: io ero bambino, andavo in chiesa, e vedevo questi che lavoravano dentro il coro, mi mettevo vicino proprio dove c'è la balaustra. Ma come erano precisi, come erano esatti. Facevano alcune parti delle lesene che voi vedete ripetute in tutta la chiesa; perchè c'era la vandalica usanza che il turista (non restateci male), si portava via, staccandole con il temperino, le tessere come ricordo. E avevano poi "il coraggio", di mettere accanto la firma. Io me lo ricordo, ragazzino, che c'erano tutte queste tessere che mancavano e tutte queste firme messe vicine. Cose barbare, che adesso non avvengono più per fortuna; solo qualcuno, a volte, tenta di portar via una tesserina; ma adesso ci sono i custodi che stanno attenti. E questi fratelli Matranga dovevano fare tutte queste parti geometriche, e mi ricordo, ma potrei fare una fotografia, ci mettevano la carta oleata con il disegno, incollavano queste tesserine limate e precise, poi, per vedere se coincidevano con esattezza, alzavano il vetro e lo guardavano di sotto, perchè da sopra non gli bastava. Già volevano vedere...la precisione. Io ero bambino e mi è rimasta impressa questa cosa. Ed ho alcune cose pure fatte dai fratelli Matranga. Ora questo fatto, naturalmente, dovrebbe incitare Monreale ad avere più laboratori. Noi abbiamo la scuola, mancano i laboratori, o meglio, ce ne sono pochi, perchè dovremmo lavorare per il turista. Il turista che viene e che si vuole portare un ricordo di Monreale, e...mi sta venendo in mente, forse non dovrei dirlo: mi ricordo che quando vedevo nei negozi ceramiche con scritto "Ricordo di Monreale" e poi sapevamo che erano fatte a Sciacca o a Caltagirone : Io mi urtavo e dicevo:" o siamo cretini e incapaci a farli, oppure non abbiamo voglia di lavorare". Mosaici fatti fuori, venduti "Ricordo di Monreale"; voi non ve lo potete ricordare questo, io ero ragazzo. Mi urtai a tal punto che mi dissi: "mi devo mettere io a fare ceramica e mosaico", e siccome non avevo forno, facevo delle ceramiche di terra cruda, dipinte poi, come se fossero ceramica, e ce ne ho ancora qualcuna conservata, e quella non si tocca. E facevo mosaico con le tessere dipinte; ce l'ho ancora conservato. Un giorno mi capitò di salire nei ponti che c'erano perchè stavano facendo dei restauri, allora mi sono persuaso e mi sono fatto lo studio delle filate. Le filate, come si collocano le tessere, come si congiungono, e ce ne ho conservato uno con tutto questo studio delle filate che è tanto bello dal punto di vista didattico. Ricordo che mi capitò una cosa: guardavo da giù e vedevo in un volto di Gesù le labbra, quello superiore rosso scuro, e quello inferiore rosso chiaro, normale, ma quando salii sopra il ponte per osservare le filate, e come erano combinate, restai a bocca aperta. C'era il labbro superiore nero ed il labbro inferiore rosso chiaro. Pensai a Michelangelo il quale, quando faceva gli affreschi, quelli specialmente che erano molto in alto, lavorava con gli occhi socchiusi per vederli a distanza, perchè il colore si fonde con la distanza. Dissi, allora non fu solo Michelangelo, ma anche questi di qua hanno messo il rosso chiaro, che poi l'occhio fonde e si vede rosso, e rosso chiaro. Insomma ho cercato tanto di apprendere. Abbiamo fatto qesti corsi per riparare qualche cosa, poi capitò un altro episodio curioso. Vi sto raccontando queste cose, così tanto per passare il tempo, ma sono delle cose belle, diciamo così, che restano: quello che capita nella vita certe volte non sembra vero. Io, prima di insegnare all'istituto d'arte, insegnavo alla scuola media Antonio Veneziano dove cìoè un mio quadro: il ritratto di Antonio Venziano. Ebbene, avevo una classe, la III F, ieri ho incontrato un ragazzo di quella classe quando siamo andati a Palermo a fare quella conferenza: ce n'era uno impiegato là, e mi ha riconosciuto. Questa III F era, proprio riconosciuta da tutti, la più scarsa. La più scarsa, eppure non avevano tutti i torti: non avevano neanche un'aula fissa, certe volte dovevano fare lezione nel corridoio; questi ragazzi erano un pò sbandati. Si era diffusa la "fama" tra i professori che quella era la classe peggiore: ebbene, ci fu un concorso vicino Enna, un concorso di disegno per scuola media ed elementare, di quella classe ne parteciparono sei, ed è avvenuto un fatto straordinario: tutti e sei premiati. I ragazzi si sentirono valorizzati, e cambiarono tanto in meglio. prima erano sempre disprezzati, maltrattati, sgridati; quando si sono sentiti  premiati, si impegnarono nelle altre materie e furono tutti promossi. Ci fu un cambiamento straordinario: l'arte ebbe questa forza di trasformare questi ragazzi. Bene, io dissi, non c'è che fare, tu devi mettere una bottega d'arte. E metto una bottega d'arte con sei ragazzi. mi metto a lavorare, e fare qualche cosa..., l'anno successivo sedici. Allora impiantammo corsi serali di ceramica, e qui ci sono professori che hanno lavorato in questi corsi di ceramica tra cui il preside Andrea Merlo, il professore Calogero Gambino, il professore Angelo Cangemi. Da sedici, l'anno successivo trentadue, il doppio. Bè allora abbiamo detto: qua bisogna fare una scuola di quella sul serio. Mi avevano consigliato di farla regionale: ma siccome avevo un cugino che insegnava in una scuola regionale e certe volte stavano qualche mese senza stipendio, perchè non avevano fatto la delibera, allora no, ho detto, io la faccio statale e mi impegnai per questo. allora a onor del vero, interessai l'Onorevole Margherita Bontade, la quale si interessò e mi fece ottenere l'Istituto Statale d'Arte per il mosaico, sezione staccata di Palermo, all'inizio. Poi abbiamo avuto anche l'autonomia e fino a centotrenta allievi, sei classi, sono stati nel mio stabile, nella casa mia, che ha quattro piani, e non so quante stanze, fino nel 1964 quando la scuola si trasferisce in Piazza Guglielmo e poi ancora, dopo dieci anni nell'edificio attuale. Pur essendoci questo continuo ingrandimento, questo continuo aumento di numero di allievi, mancano, e su questo dobbiamo insistere, mancano i laboratori. Dobbiamo incrementare il più possibile i laboratori privati, quelli dei singoli: ciascun professore deve avere poi un laboratori privati, quelli dei singoli: ciascun professore deve avere poi un laboratorio per conto suo, avere dei ragazzi collaboratori e potere vendere però. Per potere vendere, vi insegno un segreto, con la mia vecchiaia: bisogna fare concorrenza; perchè se io per un lavoro che gli altri vendono per un milione, ne voglio pure un milione, non lo vendo. Se ne chiedo novecento, lo vendo al posto di quello che ne vuole un milione. Bisogna sapere, specialmente al principio, affrontare questi sacrifici. Mi ricordo, che quando facevo dei lavori, all'inizio, i ragazzi stessi mi dicevano: professore, per così poco? E, dobbiamo lavorare, e per lavorare, dobbiamo far pagare poco. Difatti la cosa si ingrandì e adesso abbiamo un mio laboratorio, collaborato da tanti giovani. Prossimamente ci sarà un'antologica,* nell'antologica cito coloro che mi hanno collaborato nell'esecuzione di tutti questi lavori, perchè mi pare onesto e corretto che questi ragazzi quantomeno abbiano questa soddisfazione di dire: anche noi abbiamo collaborato. E ce ne abbiamo, in tutta la Sicilia; in diversi posti della Sicilia, ci sono mosaici fatti a Monreale, nel laboratorio di Benedetto Messina ed in altri laboratori. Non parliamo adesso che c'è pure nel Giappone  mosaici fatti nel laboratorio dei fratelli Cangemi; dire che in Giappone ci sono nostri lavori è una grande soddisfazione, è un onore per tutta la città. Però ripeto, non bastano questi, bisogna ingrandire ancora di più. Io vi ho riempito un pochettino la testa. Concludo augurando a tutti voi, a ciascuno di voi, di avere la soddisfazione di poter "dare agli altri". E vi dico una cosa, che dando ai ragazzi si riceve. Insegnando, si impara; io contiuno ancora, con i miei settantotto anni, ad imparare dai piccoli. L'anno scorso ho avuto tra classi composte da ragazzi di scuole elementari e di prima media, cinquanta ragazzi divisi in tre classi, ma quanto mi hanno insegnato loro, io non gli ho insegnato, cioè loro hanno insegnato più a me, che io a loro. 


PROF. GIUSEPPE SCHIRO' 

COMPLESSO MONUMENTALE
BIBLIOGRAFIA SUL DUOMO DI MONREALE
I MOSAICI DEL DUOMO DI MONREALE
a cura del prof. Giuseppe Schirò


GIUSEPPE SCHIRO’
...
Il mosaico concepito come scrittura eterna, come scrittura per sempre; differentemente da quello che è la pittura la quale soggiace più facilmente alla distruzione dovuta al tempo. Il mosaico è come pittura per l’eternità.
Io penso allora che è possibile dire che nel Duomo di Monreale architettura e pittura musiva si alleano per trasmettere un messaggio eterno.
Prima di ogni altra cosa vorrei dare uno sguardo ad un aspetto storico legato all’origine di questo bellissimo monumento: il momento storico della costruzione del complesso monumentale e la scelta del sito.

Io dico complesso monumentale perché molto spesso, quando si parla di Monreale, si dice il Duomo, o magari il Duomo ed il Chiostro, però in realtà dovremmo dire il complesso monumentale perché si parte dal monastero dei benedettini, che comprendeva il Chiostro, ed a cui era annessa la Chiesa.
Allora, all’origine, chi ha “creato” questa ricchezza, non ha mirato a costruire una chiesa soltanto, ma ha mirato a costruire un complesso organico e funzionale.
A costruire questo complesso, come sapete, è stato il re Guglielmo II, ultimo, possiamo dire, dei grandi re normanni. Dopo di lui ci fu, è vero, Guglielmo III, ma non riveste alcuna importanza, non emerge neanche nella storia; segue poi il periodo svevo.
Guglielmo II muore nel 1189 all’età di 36 anni.
Prima di lui, i suoi antenati, il padre Guglielmo I ed il nonno Ruggero II, avevano creato delle realizzazioni molto belle: Ruggero II aveva creato il duomo di Cefalù, poi era venuta la Cappella Palatina; Guglielmo II è su questa linea, l’ultimo, nel creare realizzazioni di questo tipo.
Perché egli crea questa realizzazione? Teniamo presente che in questo luogo c’era soltanto il bosco: era un parco reale, ma era il bosco.
Per quale motivo creare un realizzazione così impegnativa, così importante in questo posto qui, su un colle da cui si vede Palermo?
In realtà a me sembra che Guglielmo II avesse un progetto che ha un triplice aspetto; anzitutto (e questo è l’aspetto politico-culturale) egli voleva un centro di diffusione della civiltà latino occidentale era prevalentemente abitata dagli arabi e quindi egli, piuttosto che ricorrere ad una soluzione di forza, ed alle soluzioni di forza non sarà estraneo Federico II, dopo di lui (quando prenderà tutti gli arabi e li porterà a Lucera in Puglia, per spiccarsi e risolvere il problema).
Guglielmo II ricorre ad una soluzione culturale-politica, crea qui un monastero fortificato di grandi proporzioni, e rivolgersi al suo amico l’abate Benincasa di Cava dei Tirreni, fa venire qui ben 100 monaci (l’abate si lamenta che putroppo gliene ha potuto mandare pochi).
Crea quindi questo monastero così grande, con così piccolo numero di abitanti (100 monaci benedettini).
Arricchisce il monastero di quello che è il Chiostro, lo affianca con questa Chiesa.
Ora, che senso avrebbe avuto, in un bosco, andare a creare una chiesa di questo tipo, di questa grandiosità, se non ci fosse stato sotto un intento culturale-politico: quello cioè di creare questo centro di diffusione della civiltà latino occidentale, nella Sicilia occidentale, per continuare in quell’opera latinizzante che i Normanni avevano intrapreso in Sicilia?
Quindi era il primo obiettivo.
C’era poi un altro obiettivo: quello di emulare i suoi stessi antenati, superare Cefalù, superare la Cappella Palatina (quando iniziarono i lavori qui, a Monreale, la Cappella Palatina, aveva 50 anni di età).
E poi un altro obiettivo anche importante era quello di creare per sé e per la sua famiglia, un mausoleo per la sepoltura sua e dei suoi familiari.
Ed a questo i sovrani normanni tenevano moltissimo, tenete presente quello che dispone Ruggero II a Cefalù: egli nel diploma di fondazione del vescovado e della concessione dei privilegi al vescovo, in quel diploma, il documento più importante che emise per Cefalù, dispone che le sue spoglie vengano conservate a Cefalù.
E’ vero che poi questa disposizione non fu più osservata, tant’è che il mausoleo di Ruggero II lo troviamo a Palermo, però credo che lui “frema”là dentro, perché vorrebbe stare a Cefalù (questi sovrani normanni volevano comandare anche dopo la morte, a quanto pare).
Questi erano gli obiettivi che Guglielmo II si prefiggeva, leggiamo questi obiettivi non nei suoi documenti, che sono parecchi, a partire dal 1182/83, con cui si istituisce il vescovado, parla di monastero, perché quella è la sua creazione, quasi una sua figlia (lui non aveva figli).
Quando ne parla, non parla mai dei fini politici, dei fini dinastici, dei fini culturali, non ne parla mai, parla solo di gratitudine a Dio e di devozione alla Madonna alla quale dedica la sua creatura che è il monastero e l’annesso Duomo. 
             

E’ grato a Dio che gli ha concesso tante ricchezze, che gli ha concesso tanto potere che gli ha concesso tanti beni; è grato alla Madonna ed intende mettere nel salvadanaio (il gazofilaceo, lui dice) dei suoi meriti l’aver costruito questo tempio in onore della Madonna, affinchè ne possa essere ricompensato nell’altra vita. Questo è lo scopo che noi leggiamo: egli impiega ricchezze   a profusione per la costruzione soprattutto del tempio, e poi, dopo tutto, al monastero non diede tanta attenzione, perché il Chiostro c’era e fu adornato dopo, però la profusione dei mezzi l’adoperò per costruire questo Duomo.
Su questa realtà nascono e su queste basi poggiano le diverse leggende fiorite attorno al Duomo; ne cito due, quella del sogno  (la ricchezza profusa), e quella dell’operaio che era Gesù Cristo stesso (la meraviglia).
Ce ne sono ancora altre, ma queste sono quelle che maggiormente hanno resistito nella tradizione e cioè, la prima, che Guglielmo II, andando a caccia, in questo parco reale, era stanco e si addormentò sotto un carrubo e lì sognò la Madonna la quale gli apparve  e gli disse: scava qua sotto, troverai un tesoro per costruire un tempio da dedicare a me, e c’è qualche pittore che ha rappresentato questa leggenda in una sua opera.
E poi l’altra leggenda: c’erano degli operai che lavorano  qui e tra questi si vedeva un operaio particolarmente bravo e solerte il quale durante la giornata mostrava tanta maestria, però la sera,ad ora di mangiare, spariva: era Gesù Cristo stesso.
Questo esprime “la meraviglia” che lungo il corso dei secoli ha esercitato questa costruzione.
Il progetto di Guglielmo II, il suo sogno, ben presto naufraga perché egli muore all’età di 36 anni.
Nel 1189 senza aver potuto realizzare in pieno quell’opera di penetrazione cristiana nella Sicilia occidentale, quale avrebbe voluto, ma dopo aver realizzato soltanto quel  complesso monumentale costituito dal monastero, con l’annesso Chiostro ed il Duomo. 
Questo come cenno storico, ed ora un cenno bibliografico. Vediamo quali sono gli autori che hanno parlato di questo complesso monumentale.
E’ chiaro che qui vengono …omesse le opere che parlano di storia dell’arte e quelle degli storici siciliani, gli autori normanni della raccolta di Ludovico Antonio Muratori e i due volumi di G.B. Caruso e altri che sono tanti.
Veniamo ora alle opere che riguardano specificamente il Duomo di Monreale.
La prima è l’opera di Gian Luigi Lello che pubblica in due epoche diverse: nel 1588 la prima edizione a Parigi, e nel 1596, la seconda edizione a Roma.
In realtà il vero autore dell’opera del Lello, intitolata “Descrizione del tempio e del real monastero di santa Maria Nuova in Monreale” è il cardinale Ludovico II Torres, arcivescovo di Monreale (1588-1609), di cui il Lello era il segretario.
Il cardinale Ludovico II Torres è uno degli uomini più colti del suo tempo, bibliotecario di Santa romana Chiesa, legato con il mondo umanistico romano; pensate che il padre era stato padrino di battesimo di Torquato Tasso.
L’autore vero del testo è lui, e si prefigge un intento: cioè dimostrare che come la chiesa romana traeva la sua importanza, la sua dignità dalla successione apostolica, così la chiesa monrealese traeva la sua dignità dalla successione dei vescovi; infatti egli non si contenta di fare la descrizione del Duomo; parla anche della città, là si trovano anche i primi cenni sui quartieri ed alcuni particolari che riguardano la parte urbanistica.
Dopo di lui viene Michele Del Giudice, abbate benedettino, il quale recepisce l’opera del Lello, la aggiorna fino ai suoi tempi, la integra con altri opuscoli ( come la storia di San Martino delle Scale ed anche con un riassunto dei principali documenti e privilegi che riguardano Monreale), ecc.) e, soprattutto, la arricchisce di ben 33 lamine, opera di un incisore famoso, che illustrano, con grande abilità, il tempio, gli interni, gli esterni, con sufficiente precisione, ma soprattutto, sono molto belle.
Noi ritroviamo la riproduzione di tali lamine nelle cartoline che si vendono un po’ ovunque. Tale opera è pubblicata nel 1702.
Nel periodo del romanticismo, l’interesse verso il Duomo si accende ed ecco l’opera di Domenico Lo Faso Pietrasanta, duca di Serradifalco, archeologo e letterato, legato con il WinKelmann, che non è come gli archeologi che in un primo tempo si erano innamorati soltanto delle opere d’arte dell’età classica, ma va anche alle opere siciliane, ed ecco perché lui pubblica un bel lavoro, un volume in folio intitolato “Del Duomo di Monreale e di altre Chiese siculo normanne ragionamenti tre”.
E’ il primo tentativo moderno di descrivere ed apprezzare il Duomo di Monreale.
Però assai importante è l’opera imponente di Domenico Benedetto Gravina, l’ultimo degli abati benedettini prima della soppressione degli ordini monastici del 1866.
Domenico Benedetto Gravina pubblica nel 1859, i due grossi, imponenti volumi in folio su “Il Duomo di Monreale”.
Il primo di questi volumi contiene il testo, dove fa la storia, la descrizione dei restauri, l’esame dei mosaici, l’esame dell’architettura, l’esame dei simboli; è veramente  un opera di grande valore perché il Gravina era un uomo molto colto, faceva parte anche della deputazione dei restauri. Tale testo costituisce una fonte primaria importantissima per la conoscenza del Duomo. Il secondo volume è solo illustrazioni , una serie di tavole, molte delle quali in cromolitografia, cioè a colori, con un procedimento (una vera preziosità per quel tempo!) che per allora (fu stampato a Napoli), rappresentò un progresso tecnico avanzatissimo. Sono tavole molto belle ed anche ora non è facile superarle, hanno il difetto comunque di non rappresentare  esattamente tutti i particolari, cioè non ci si può affidare a queste tavole per dire, per esempio, che nel 1859, quel particolare era “così”, perché qualche cosa è immaginata ed interpretata. L’opera è comunque importantissima.
Vediamo quali sono le teorie e motivazioni esposte in questo testo: le origini del monastero e del Duomo risalirebbero a tempi antecedenti agli Arabi e, precisamente, all’epoca del papa benedettino Gregorio Magno (+604), cioè verso la fine del sec. VI. Guglielmo II avrebbe solo ricostruito il monastero per restituirlo ai benedettini. Ma il Gravina è fortemente influenzato dalla contesa tra i benedettini e clero secolare a Monreale e la sua tesi mira a rendere più solide le pretese dei benedettini fondandole sulla priorità del tempo.
Dopo il testo del Gravina, seguono poi, cronologicamente, altre monografie di minore importanza e dimensioni, come quelle del Tarallo, anche lui priore dei benedettini, del Millunzi, canonico monrealese nato nel 1859 morto nel 1922 che pubblicò una ventina e più di monografie piccole, ma importanti sulla storia di Monreale, e su vari complessi monumentali: il seminario, il Collegio di Maria, Pietro Novelli, Masi Oddo, ecc., interessanti anche perché egli faceva parte dei primi aderenti della Società di Storia Patria ed aveva già recepito la linea critico-storica che si fondava sulla documentazione.
Infatti arricchisce le sue monografie con la pubblicazione di documenti che riguardano quello che lui sta trattando.
Citiamo anche le opere del Garufi, suo contemporaneo, per arrivare, finalmente, alla famosa trilogia pubblicata a Palermo nella prima metà degli anni ’60 dall’editore Flaccovio. Il primo volume riguarda lo studio sui mosaici (1960) del professore Ernst Kitzinger, cui segue l’opera del professore Kroenig, morto recentemente, sull’architettura del Duomo (1965).
Dopo questa data seguono altre monografie di minore importanza, anche se compilate da valenti studiosi quali Bianca Maria Alfieri e l’architetto Lucio Trizzino.

…  Andiamo ora ai mosaici.
…Io credo che, affinchè si possano “leggere” i mosaici comprendendone i veri valori e significati, occorre guardarne tre aspetti, occorre cioè affrontare questa lettura usando tre diverse chiavi: quella teologica, quella più strettamente tecnico iconografica e quella dei simboli.
Sono tre aspetti che, a mio parere, devono essere considerati insieme, perché da sola una chiave non avrebbe nessun significato, non direbbe abbastanza; non possono essere separati i tre modi di leggere i mosaici se non si vuole correre il rischio di analizzare solo la carta, l’inchiostro, i caratteri di un meraviglioso poema , senza gustarne il significato.
Mi sembra si debba iniziare dalla lettura teologica.
…Per cogliere, in una visione di insieme, l’incomparabile bellezza del tempio, basta entrare dalla porta maggiore.
Si è come affascinati da questo spettacolo, da questa grandiosità. La basilica, con i suoi 102 metri di lunghezza e 40 di larghezza si presenta da qui nel suo grandioso e fastoso aspetto architettonico e decorativo.
Pensate che la Palatina è lunga 32 metri, e larga 12 metri; siamo quindi a Monreale in presenza di un monumento che tre volte circa la Cappella Palatina.
Ci si chiede: è più impressionante l’architettura o la decorazione?
I due elementi sono perfettamente armonizzati e l’uno contribuisce ad esaltare l’efficacia dell’altro.
Ma se osservate attentamente non potete non percepire immediatamente, nella decorazione musiva, quella unità che immediatamente si percepisce nell’architettura.
Guardate come tutta la decorazione musiva, questa enorme superficie di oro e di colori (circa 6.500mq) riempie e occupa ogni posto, ogni angolo, è come se fosse un manto che tutto riempie, che trabocca da ogni parte, trabocca all’esterno, vi si proietta unificando tutto, riducendo l’insieme di superfici e volumi ad un unico mero contenitore di sé stesso: è come se tutta quanta l’architettura sia creata in funzione della decorazione.
E’ questa la vera sostanza pregiata del monumento, quella che ha imposto costantemente, ai vari operatori delle trasformazioni della Cattedrale succedutisi nel tempo, l’obbligo di rispettarne la natura, l’essenza di adeguarsi ad essa, senza travolgerne quindi la fisionomia.
Un attento studioso ha rilevato che indubbiamente l’architetto che ideò il disegno tenne conto soprattutto della decorazione.
Recentemente sono stati fatti dei restauri: si è notato che i mosaicisti badarono solo ed esclusivamente alle loro esigenze e che in alcuni punti, dove fu loro utile, pur di realizzare i loro disegni e i loro quadri, non hanno esitato persino a coprire  delle finestre.
Così come avviene nell’arco maggiore dove c’è una finestra che è stata coperta, quella in cima, in alto.
Non esitarono anche ad apportare altre modifiche: arrotondarono degli spigoli, riempirono certi posti perfino con dieci centimetri di intonaco, pur di ottenere quest’armonia decorativa dei mosaici e scalpellarono le mura per favorire la presa dell’intonaco.. Quindi è chiaro che la prevalenza è quella della decorazione musiva che predomina, che trascina tutto. Un’altra osservazione: questa decorazione musiva, non ha subito, nel corso dei secoli sostanziali modifiche, pochissime sono state le modifiche; non solo la struttura architettonica non è stata disturbata da corpi aggiunti, ma la struttura decorativa è rimasta integra, tale e quale è uscita dalle mani degli artisti, dei creatori. Se cose aggiunte ci sono state, sono state totalmente emarginate: ad esempio, là, in fondo a sinistra, abbiamo la Cappella del Crocifisso, che pochissimo incide sulla parte strutturale e decorativa; a destra abbiamo la Cappella di San Benedetto che è al di là di quella porta lì, e credo non dia nessun disturbo all’insieme architettonico e decorativo.
Queste Cappelle sono tutte fuori, emarginate. Inoltre tutti i corpi che sono stati aggiunti, come per esempio l’altare maggiore, pregevole opera del Valadier, aggiunto nella metà del settecento, e persino l’organo, sia quello ricostruito dopo l’incendio del 1811, sia quello che adesso vediamo, non hanno per niente intaccato questa unità fondamentale. Non intendo esprimere alcun giudizio di carattere estetico né sull’organo, né su altro, ma voglio ribadire, come ha detto uno studioso, che qua la struttura architettonica, e soprattutto la struttura decorativa, ha imposto il criterio della “adeguatezza” a tutti quelli che hanno messo mano a fare qualche cosa. Per esempio, un’altra cosa che si è fatta è stato il pavimento; il pavimento all’origine non c’era, è del 1500; anche l’alto zoccolo di marmo nella zona inferiore delle pareti con queste strisce di mosaico, è venuto dopo; ma niente ha turbato quel disegno originario che è la decorazione musiva e la conseguente struttura architettonica. Nell’ideare il suo progetto, l’architetto dovette fare affidamento sull’effetto dei mosaici.
Notate un’altra cosa: l’immagine del Pantocratore.
Osserviamo come abilmente siano stati impiegati e distribuiti profili e modanature lungo l’asse longitudinale della chiesa: si arriva all’immagine del Pantocratore come salendo su dei gradini, come se si ascendesse: considerate il livello di capitelli delle colonne della navata maggiore, poi il livello degli archi successivi (la base dell’arco trionfale), superiore, e poi la base del catino dell’abside, il livello della base del Pantocratore. Sono come tre grandi gradini “ideali” che guidano a passi da gigante verso l’elemento che grandeggia sul gradino più elevato, che portano ascensionalmente verso l’immagine di Cristo Pantocratore. Lo sguardo è diretto verso quell’immagine. Questo dà all’insieme decorativo, all’insieme pittorico, la sensazione della grandiosità, del respiro, della ricchezza, dell’abbondanza, tutto si volle orientare verso questa immagine del Pantocratore.
Non vi può essere dubbio, dice il Kitzinger, che quell’immagine fu prevista dal medesimo artista che ideò l’architettura dell’interno della chiesa Apparentemente la decorazione musiva, quanto alla narrazione espressa, non offre particolare difficoltà, perché le scene in essa raffigurante sono facilmente comprensibili. Si tratta infatti di scene dell’antico e del nuovo Testamento e che si contenta di uno sguardo superficiale può ritenersi soddisfatto dell’abbaglio dell’oro delle pareti e dell’atmosfera di prorompente religiosità che ne scaturisce.
 Ma ciò non basta. Occorre accedere più profondamente nello spirito che ha dato vita ad un così straordinario monumento. E per far questo è necessario entrare nella mentalità e nella cultura degli artisti dell’epoca e dei loro committenti.
Ogni monumento reca un messaggio, ma quale è il messaggio che è un messaggio di fede e di civiltà al quale è necessario sintonizzarsi. Vorrei precisare però che, rintracciare il sentimento religioso nel passato significa non solo rispetto della fede altrui, ma distacco scientifico verso un’opera che è reale ed estrinseca alla valutazione dei posteri; che riconoscerlo questo messaggio, perché se no, non si entra nello spirito dell’opera. Si può anche non credere, ma non si può non conoscere: dobbiamo tenere presente che questo era il messaggio che gli artisti volevano dare, perché questo tempio è un messaggio, ed è il messaggio cristiano della salvezza.

Questo monumento era chiamato “la Bibbia del popolo”. Qui tutta quanta la decorazione musiva tende ad evidenziare la storia della salvezza, secondo la Bibbia, e rappresenta tre fasi della storia della salvezza:
-         La fase del“l’attesa del Messia” (l’antico testamento, dalla creazione, la storia di Noè – Abramo-Isacco-Giacobbe, sino alla lotta di Giacobbe con l’angelo);
-         La fase del“la venuta del cristo” ( a cui tutta quanta la decorazione è orientata, dall’annunzio a Zaccaria sino alla Pentecoste);
-         E la fase successiva, cioè la “vita della chiesa” (il tempo della Chiesa) raffigurata nelle due absidi laterali e mosaici vicini, nella vita dei santi Pietro e Paolo ed anche in episodi degli atti degli apostoli, ed il “ritorno di Cristo fino alla fine del mondo”. Abbiamo perciò questo respiro di fede del quale si deve tenere conto se si vuole comprendere.
Questo schema si sviluppa in cinque cicli principali:
-         l’Antico Testamento
-         la vita del Redentore
-         il Pantocratore
-         Il ciclo dei “mirabilia Dei
-         Il ciclo di San Pietro (nel diaconico) e di San Paolo (nella protesi)

     …La corte di Guglielmo II era agitata dai contrasti tra i suoi ministri e poi dai rappresentanti delle varie etnie, tant’è che lui costruì questo qui come centro di diffusione della cultura, difatti a protezione, c’erano intorno delle torri. Non è vero che le cose erano così semplici e così pacifiche: quando i normanni occuparono la Sicilia, erano una sparuta minoranza, erano pochi guerrieri, non erano molti; gli arabi e gli indigeni erano la maggioranza della popolazione. I normanni ebbero l’avvertenza, la capacità, di non distruggere, di lasciare che “a fianco” alla loro, sopravvivesse tutta una legislazione, tutta una tradizione degli arabi e dei bizantini. Lasciarono quindi tutto così, non senza contrasto, ma non soppressero anche perché non ne avrebbero avuto la forza visto che erano una piccola minoranza. Non è così limpido e così idilliaco questo rapporto, tutt’altro.
La tolleranza avvenne in un secondo momento,  all’inizio le cose non cominciarono bene; comunque i normanni ebbero di certo il grandissimo merito della tolleranza e della comprensione.
...

Per quanto riguarda la chiave dei simboli il Gravina su questo argomento dedica un intero capitolo, il VI, della sua monumentale opera di cui abbiamo parlato, che segue, per altro, il capitolo V, nel quale tratta degli “Usi e costumi sacri e profani”. Ed ecco quello che scrive nel V capitolo: I mosaici del nostro Duomo oltre al fornire una collezione brillantissima di fatti biblici e di sacre leggende, che portano storicamente il fedele dalla creazione al finale giudizio, racchiudono una non piccola quantità di idee archeologiche sugli usi e costumi sacri e profani del medio evo. Nulla in quei secoli fu fatto a caso.
I simboli erano il linguaggio, si parlava con i simboli, la stampa non era stata inventata. Ed ancora; La teologia, la tradizione dei Padri e della Chiesa, le determinazioni dei Sinodi e dei Concili, il patrimonio non incorrotto dell’arte cristiana, ecco ciò che formava il tesoro dell’artista, ciò che ne guidava ed incatenava il pennello, sia nelle composizioni sia nell’introduzione della parte mistico simbolica, sia nel ritrarre le fisionomie dei Beati, sia nell’assegnare ai loro personaggi il vestito o nel regolarne gli accessori. Abbenchè sia difficile tener dietro a tutto quanto in essi si potrebbe cavare di erudizione sì sacra, che profana, tutta volta sarebbe pecco imperdonabile, se questa parte sì ricca in se stessa, e sì attraente per gli studiosi potesse essere tracciata di non curanza.
Quindi secondo il Gravina, non è possibile “leggere” i mosaici e comprenderne in toto il loro significato senza questa chiave. E prosegue così nel capitolo VI: E’ impossibile illustrare un monumento, strettamente cattolico, spettante al medioevo e non trovarsi involto in un labirinto di simboli ed allegorie, e nelle forme architettoniche e nelle sculture e nelle pitture e nei colori ed in ogni cosa, che sfuggirebbe all’occhio del più raffinato analista. Io non oso presentarmi ai miei lettori con l’orgogliosa parola, vi dirò il simbolismo del Duomo di Monreale. E così egli continua a dire, ed una delle frasi che vorrei sottolineare è questa:Tutto era figura, tutto tendeva al grande avvenimento, cioè non c’era nulla che fosse esente da questa necessità di esprimere qualcosa, tutto era rappresentato, cioè il messaggio, di fede, naturalmente, veniva affidato ai simboli.
Ai simboli hanno dedicato degli studi sia autori del passato che autori più recenti.

Nella Sacra Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, il simbolismo risulta essere un linguaggio molto usato, ed è “un simbolismo di amore e di carità”. Inoltre nella sua dotta trattazione lo stesso Gravina dice di avvalersi di autori diversi, ma cita soprattutto un certo monaco Dionisio, autore di una “Guida alla pittura”, ed un certo V. Didron, francese, autore di un manuale di “Iconographie chrétienne. Anche nei tempi recenti la simbologia ha avuto molti cultori. Basta citare il Forstner, autore di un’opera intitolata “Die Welt der Christlichen Symbole”, ed il “Dizionario dei Simboli” di Chevalier – Gheerbrant, edito dalla Rizzoli. Potremmo dare uno sguardo a questo linguaggio figurato, al quale di certo, noi non siamo molto abituati, ma che era assai più chiaro e comprensibile agli uomini del medioevo.

La  chiave iconografica-tecnica è la chiave dove io cerco di ritirarmi dietro le quinte perché non voglio competere con la vostra professionalità, e con la vostra competenza: vi invito soltanto a leggere il capitolo III dell’opera di Kitzinger, intitolata “ I mosaici”.Il Kitzinger dedica a questo argomento uno studio attento. Il capitolo III è intitolato proprio "i prototipi iconografici". Sono ben 38 pagine nelle quali in sostanza dopo aver affermato che ogni opera d'arte medievale è strettamente vincolata dalla tradizione si chiede a quale tradizione è legato il Duomo di Monreale e passa quindi ad analizzare le analogie e le differenze tra i mosaici di Monreale e quelli della Cappella Palatina di Palermo, considerata prototipo di Monreale. Il Duomo di Monreale, e questa è una mia opinione, pare una specie di ingrandimento della Cappella Palatina.  Non voglio parlarvi della Cappella Palatina perchè ve ne parlerà successivamente qualcun altro molto più competente di me, però se non facciamo questo riferimento alla Palatina, dice il Kitzinger, non abbiamo capito nulla neanche di Monreale, perchè i rapporti fra i mosaici di Monreale e quelli della Palatina, vanno molto al di là di quanto generalmente si riscontra anche in casi di monumenti altrettanto prossimi nel tempo e nello spazio. 
< La piena comprensione della decorazione di Monreale -egli dice- dipende non poco dalla giusta valutazione di questi rapporti. E prosegue: Solo uno dei cinque principali gruppi iconografici del programma di Monreale - il ciclo di scene della vita pubblica di Cristo -  non ha un precedente nella Cappella Palatina. Due sono ripetuti quasi alla lettera e cioè a Monreale, dice il Kitzinger, troviamo presenti, in modo identico che alla Platina, dice anzi, tratti dalla Cappella Palatina, gli altri cicli (quello tratto dalla vita dei santi Pietro e Paolo - che troviamo nelle absidi laterali- e l'altro, il gruppo iconografico tratto dalle scene dell'Antico Testamento) e non quello delle scene della vita pubblica di Cristo che sono esclusivi del Duomo di Monreale. Però ci sono alcune cose da notare riguardo gli altri due gruppi iconografici che sono quelli relativi alla vita di Cristo, rappresentati nel presbiterio, nel diaconico e nella protesi, e quelli della corte del Pantocratore. Questi gruppi iconografici presentano delle differenze sensibili dovute a motivi tecnici: il transetto, il presbiterio, presentavano -nella Palatina-, all'esecuzione degli artisti, dei problemi che qui non ci sono. Vediamo quali sono: il problema dell'incrocio tra asse longitudinale e asse verticale. Nella Palatina la prevalenza dell'asse verticale e la minore disponibilità di spazio rende meno lineare la narrazione, mentre a Monreale la prevalenza dell'asse longitudinale e la maggiore disponibilità di spazio rende la lettura più facile. Per il Kitzinger quindi, il Duomo di Monreale appare come un ingrandimento della Palatina, non però eseguito in modo da non presentare, nei confronti della Palatina forti dissomiglianze e notevoli segni di originalità. Tra le dissomiglianze: la mancanza della prospettiva regale. Mentre la posizione del trono reale nella Palatina favoriva la contemplazione di soggetti militari di scene o di personaggi di carattere guerriero, qui invece questa necessità non è avvertita altrettanto intensamente come lì. Lì infatti il re, che scendeva nella Palatina dal lato della Chiesa, dal suo palazzo, come qua, sedeva al trono ed aveva dinanzi personaggi raffiguranti imprese militari, santi,soldati.; qui invece questa presenza non è intesa, anche se ci sono pure qua raffigurati santi soldati. Qui gli artisti ebbero una maggiore disponibilità di spazio, uno spazio molto più grande di quello che la Paltina offriva e, quindi poterono sviluppare, in maniera molto più ampia e con maggiore ricchezza di scene, tutto quello che vollero; il ciclo della vita di Cristo qui è più sviluppato che nella Platina, dove è limitato alla serie delle feste liturgiche. Ritroviamo a Monreale, quindi, una maggiore abbondanza di soggetti: addirittura, dice il Kitzinger, certe volte, in alcuni casi, gli artisti inventarono pure qualcosa pur di riempire lo spazio.
Note di originalità si riscontrano a Monreale soprattutto nel ciclo dei santi Pietro e Paolo, dove affiorano segni ed allusioni a tradizioni locali: ma queste "note di originalità"riguardano anche un altro aspetto, da studiare, e che è quello che maggiormente interessa, cioè lo "studio delle fonti iconografiche vere e proprie". Gli artisti di Monreale, quale modello, quale prototipo iconografico avevano nelle mani? Era lo stesso modello, la stessa guida , che aveva dettato legge per la esecuzione della Cappella Palatina? Non lo sappiamo, ma ad osservare attentamente, dice il Kitzinger, noi troviamo che ci sono molte analogie con le scene della Platina. Indubbiamente la presenza di scene che alla Palatina non ci sono, o di atteggiamenti che alla Palatina non troviamo, o di particolari, nuovi qui, ci fa pensare che gli esecutori dei mosaici di Monreale, non ebbero solo il modello della Palatina, ma attinsero probabilmente, ad altri modelli bizantini ed inserirono anche, con una certa abbondanza, elementi locali. La cosa più importante che egli nota è quella della scena del carnefice di San Paolo. Il carnefice di San Paolo, che è raffigurato là nell'abside laterale, qua è raffigurato non nell'atto di tagliare la testa all'apostolo, ma nell'atto di trattenere la spada, come in atto di riflessione: sembra quasi pentito, meravigliato, sembra sopra pensiero, ma a cosa è dovuto questo? Forse, dice il Kitzinger, è dovuto alla leggenda che dice che la testa di San Paolo, una volta staccata dal busto rotolò per terra e la toccò tre volte saltellando e sgorgarono sorgenti e che quindi lui rimase meravigliato tant'è che questo carnefice e si pentì e divenne cristiano? Questa tradizione, questa leggenda è squisitamente romana, e no si trova nei complessi bizantini. L'esempio che vi ho portato, è per dirvi come elementi locali, elementi italiani, romani, siciliani furono aggiunti a quelli che erano i modelli provenienti dall'arte bizantina. Quindi non è possibile, possiamo dire, formulare una tesi certa sulle fonti iconografiche o sui modelli, ma appare probabile che i mosaicisti si siano avvalsi di diverse guide pittoriche. <Questo spiega perchè anche quei mosaici che in senso iconografico sono vere e proprie copie di mosaici della Palatina, ne differiscono tuttavia profondamente dal punto di vista dello stile, mentre sono perfettamente armonizzati con altri che palesemente derivano da fonti differenti. Dovettero esservi due tipi di modelli, di natura totalmente diversa. Da un lato vi erano le guide iconografiche. Queste evidentemente variavano secondo i cicli, e perfino entro un ciclo singolo-quello della Genesi- abbiamo potuto notare l'uso di guide diverse. Dall'altra parte vi erano delle serie di formule "standardizzate" o campioni per motivi singoli. Queste formule potevano essere utilizzate nel riprodurre il materiale iconografico tratto da tutte le svariate guide e contribuivano a dissimilare ed appianare le incongruenze di stile, che altrimenti sarebbero state inevitabili. Sono queste formule che ci fanno dimenticare le origini varie dell'iconografia e ad esse è dovuta in gran parte la coerenza e l'unità dell'intera decorazione. Altra notazione è che ne presbiterio, le scene raffigurate nelle pareti, che erano oggetto della vista del sovrano, erano legate piuttosto a dei cicli liturgici, alle feste, ad esempio della resurrezione, del natale, quindi la scelta dei soggetti fu legata più a questi avvenimenti liturgici che ad altro. Qui a Monreale, invece no, c'è maggiore libertà, quindi si vede che si sganciarono da questo modello della Platina; ma evidentemente, possiamo pensare ad una guida di fondo: in realtà., e questa è la mia impressione, , non avendo nessun documento in proposito, non possiamo stabilire niente di preciso, tutto quello che possiamo pensare è quello che ci viene dalla diretta osservazione. 
Resterebbe ancora da dire qualcosa sulla tecnica e sui tempi di esecuzione dei mosaici. Un attento esame condotto sui mosaici ha portato gli studiosi a notare certe rassomiglianze e modi di attribuire la stesura del manto musivo a squadre di mosaicisti che operavano simultaneamente e che si influenzavano vicendevolmente sotto un'unica direzione ed unitaria. Gli artigiani, pur proveniendo da officine diverse e pur usando anche tecniche relativamente diverse, dovevano avere però una comune tradizione  stilistica e quindi dovettero  usare obbligatoriamente uno stesso repertorio di formule. Si scopre che c'era un lavoro simultaneo e coordinato , eseguito da molte mani, ma non uno sviluppo o un progresso a cui abbiano potuto contribuire generazioni successivamente di artisti come si nota nella Cappella Palatina. Più che una variazione di stili, le differenze rivelano una variazione di qualità. Ad esempio, le figure del transetto non sono così accurate come quelle dell'abside; nelle zone meno esposte si nota una certa frettolosità nell'esecuzione, ma non si tratta di differenze stilistiche. Non vi appare tra questi mosaicisti una qualche figura di artista particolarmente spiccata. In tutto il complesso musivo si trovano figure con tipi facciali identici, con gli stessi gesti ed atteggiamenti, con gli stessi motivi di panneggio. Questa è una caratteristica propria del Duomo di Monreale, che, se conferisce all'opera una certa monotonia, dà però l'impressione di unità e di omogeneità. Tutta l'opera dovette essere completata in un arco di tempo assai limitato e ultimata non molti anni dopo la morte del Re. Non si conosce con esattezza la tecnica seguita dai mosaicisti di Monreale. Anche qui riporto l'opinione di alcuni studiosi. L'ipotesi più accreditata è che l'opera fosse eseguita in situ, sui ponti. Sulla parete veniva steso un primo strato sul quale veniva tracciato un abbozzo lineare; successivamente veniva dipinto uno schizzo che serviva da guida al mosaicista. La malta, la cui composizione rappresenta ancora un segreto per i mosaicisti ed i restauratori moderni, veniva applicata, a sezioni, su aree relativamente limitate; il suo indurimento era assai lento e consentiva l'incastonatura delle tessere di mosaico. Appare probabile che la composizione degli abbozzi preliminari fosse opera di un piccolo gruppo di artisti la cui attività interessava tutta la superficie da coprire e che lavorava con l'occhio rivolto alla distribuzione complessiva dei mosaici ed all'effetto generale che si voleva raggiungere. Se si considera che tutta la raffigurazione costituisca un messaggio di contenuto eminentemente teologico, si deve ipotizzare la partecipazione di un gruppo di colti ecclesiastici nella scelta e nella disposizione dei soggetti.   

...
     
DOMANDA: C’è una spiegazione di tutti questi mosaici?


GIUSEPPE SCHIRO’: Ma è la creazione del caos, il primo giorno Dio crea la luce, separa le acque dalla terra e dal cielo, crea i pesci, le stelle, gli uccelli, crea Adamo, ed il settimo giorno Dio si riposa. Dio conduce Adamo nel paradiso terrestre, Dio crea Eva, Eva è presentata ad Adamo, Eva è tentata, ecc.; poi nella seconda fascia continua l’Antico Testamento, e poi riprende dall’altra parte: Noè, la costruzione dell’arca, il diluvio universale, l’arcobaleno, Noè che si ubriaca, la torre di Babele, poi la visione di Giacobbe (un presagio della volontà divina), poi la scena degli ospiti, ed ancora altre scene dell’Antico Testamento fino ad arrivare a Sodoma e Gomorra, la distruzione, poi ancora Giacobbe, il sacrificio di Abramo, Giacobbe che fugge, Giacobbe in viaggio; le figurazioni si concludono con Giacobbe che lotta con l’angelo, ne è ferito al femore, e cambia nome, da Giacobbe ad Israel. Poi comincia la Sapientia Dei, la Sapienza di Dio: i due angeli che si inchinano alla sapienza di Dio raffigurata in quell’immagine in alto con il medaglione, questi sono i profeti dell’Antico testamento, gli angeli, e così via. La lettura dell’Antico Testamento è molto facile; anche i miracoli sono facili da leggere.

...

BENEDETTO MESSINA: ...



forse per l'istintivo spirito di osservazione di artista, forse perchè ho avuto anche dei bravi professori di storia dell'arte, forse anche per il fatto che io insegnavo geometria descrittiva e disegno architettonico. C'è una cosa difficile ad osservarsi. Sembra facile, ed è facile dopo che lo si sa, e mi piace trasmettervelo, perchè siamo tutti cristiani e quindi mi piace che il cristiano che viene qua, se ne vada con un concetto completo di chi ha progettato il Duomo, perchè non si sa chi è stato, non si sa perchè allora i lavori erano solo di Dio, l'uomo non doveva essere artefice di alcunchè. Come diceva il professore, il Duomo l'ha fatto Guglielmo. Ma in realtà non l'ha fatto Guglielmo il Duomo, l'ha fatto fare Guglielmo; chi è stato l'architetto? Niente, non si sa. L'architetto doveva essere, come ha osservato il mio professore, così bravo da fare l'architettura per questa decorazione, e questa decorazione per questa architettura. Non c'è proprio niente che sia fuori posto. Una cosa che mi ha sempre appassionato e che mi piace sempre dire, è questa: voi tutti avete studiato architettura, e sapete che ci sono i contrafforti, cioè, quando si deve reggere un elemento verticale, perchè non cada, gli si fa i contrafforte qualche cosa che lo regge; Le navate laterali nell'architettura, per la navata centrale che è più alta, rappresentano i contrafforti; ebbene l'architetto, chi progettò, sapeva ed ha pensato di mettere tutti i miracoli di Gesù nelle navate  laterali, cioè come le navate laterali, architettonicamente, fanno da contrafforte alla navata centrale, così i miracoli di Gesù fanno da contrafforte a quello che è l'espressione della fede, l'espressione della storia di Dio, della storia degli uomini, contenuti nella navata centrale. I mosaici che raffigurano questi miracoli, poi, non sono stati eseguiti, come qualche volta si dice, tutti nello stesso periodo, no, assolutamente, perchè se voi osservate, guardandoli tutti, alcuni addirittura tentano la "prospettiva", ci sono nel contesto pavimenti che si richiamano alla prospettiva, cosa molto importante ed interessante dal punto di vista di noi studiosi, di noi insegnanti di architettura, di pittura, di mosaico, ecc. .Un'altra cosa che faccio osservare è che qui c'è rappresentato il popolo, l'umanità: sopra le lesene che sono poste in giro ci sono dei simboli arabi (agli arabi era vietato rappresentare la figura umana), ed allora, come voi vedete, ci sono delle immagini che sanno di "persona", di gente vestita, con la testa, le braccia, ecc. ; vedete tutte queste figure che girano intorno, sopra la parte postuma: questa parte è araba ( come ci diceva il mio professore), ed in essa sono rappresentate le figure umane, il popolo di Dio, il popolo che sta qui ad osservare, a vedere, a lodare, a benedire il Signore. E la cosa curiosa è che io non sono riuscito a vederne uno uguale all'altro, cioè sono, guardandoli come forma, genericamente, sembrano tutti uguali, poi intimamente nessuno è uguale all'altro, la decorazione è tutta differente, una dall'altra, per dire che gli uomini siamo sì tutti uguali, però intimamente ciascuno è se stesso, con le proprie caratteristiche, il proprio spirito, il proprio modo di vedere, il proprio modo di fare. Guardate che significato profondo hanno espresso questi artisti, non gli esecutori, ma i progettisti! Ciò mi basta per essere contento, nell'animo mio, di aver comunicato a voi cristiani,  questo pensiero cristiano, cioè di vedere i miracoli come contrafforti alla fede; se Gesù non avesse fatto i miracoli, se non fosse resuscitato, che Gesù, che Dio sarebbe? Uno come tutti gli altri. Gesù è il figlio di Dio perchè ha fatto i miracoli, comandava la natura, è resuscitato, come dice San Paolo: se non fosse resuscitato la nostra fede sarebbe vana. Con questo vi auguro di approfondire voi personalmente queste cose, perchè poi, io mi accorgo, come diceva il vescovo "c'è sempre da imparare", ed ogni volta che entro qua trovo che c'è sempre qualche cosa in più che prima non ho visto.
....
La conservazione del mosaico all'esterno, era uno degli argomenti, mi pare, da trattare. Io la lezione l'ho avuta, come dicevo l'altra volta, dagli artisti di tremila, duemila anni fà, perchè quelli passavano sopra il marmo, sopra il mosaico, la cera d'api diluita con acqua ragia. La cera d'api ha un potere da non credersi, perchè poi cristallizza, diventa trasparente, e quindi non fa penetrare l'acqua, ma non è tanto l'acqua che penetra che fa male, perchè l'acqua poi, con il freddo diventa ghiaccio, e quindi dilata e nel dilatare, distrugge. ...

GIUSEPPE SCHIRO': In realtà le cose che ha detto il professore Messina sono molto interessanti e mi hanno fatto pensare che per "gustare" meglio il monumento dovremmo stare qui a guardare, a parlare, chissà quante ore.
... 




MOSAICO ARTE ARTIGIANATO
FARE MOSAICO

Materiali – Attrezzi – Tecniche illustrate da un Mosaicista
a cura di Angelo Cangemi


"Al Prof. Benedetto Messina mio maestro ed ai miei allievi per merito dei quali continuo ad apprendere"


MOSAICO: Cenni storici

Sin dall’antichità l’uomo ha utilizzato il mosaico come segno ottenuto dai due elementi base del linguaggio musivo: tessera e spazio (interstizio).
Questo linguaggio, seguendo il naturale percorso dell’arte, ha fatto sì che dalla disposizione di alcuni sassolini usati dall’uomo primitivo per indicare una direzione o per trasmettere un messaggio, si passasse al loro uso per consolidare pavimentazioni, rivestire ville e cattedrali, e alle moderne espressioni dell’arte musiva.. ..
Uno dei mosaici più antichi può considerarsi il rivestimento con tessere di terracotta a forma conica di colore bianco, rosso e nero delle colonne del tempio di Uruk (Warka) del IV millennio a. C. ….
Nella cultura europea ai Romani spetta il merito dell’uso del mosaico, non come copia di una pittura, ma come espressione artistica autonoma  con un proprio linguaggio.
….L’utilizzo di mastranze appartenenti a scuole diverse e i rifacimenti successivi, anche in età bizantina (VI-VII) se.), consentono di ammirare in questa opera una varietà di stili difficilmente riscontrabili altrove….
I mosaici bizantini ci fanno conoscere un altro aspetto del materiale musivo. ….elemento capace di rendere l’idea del divino, del soprannaturale, del mistico. Le figure tendono alla stilizzazione, i colori di fondo, dorati o di un blu intenso, contribuiscono a renderle irreali.
…Dopo secoli….assistiamo ad un risveglio di quest’arte per opera di grandi artisti contemporanei e di nuove scuole di mosaico istituire appositamente (Ravenna, Monreale, Spilimbergo)…
Oggi il mosaico è stato riscoperto da alcuni architetti che lo inseriscono nelle strutture architettoniche, nell’arredo urbano e nella progettazione di oggetti d’uso comune.. Questo fa sì che il mosaicista, a volte creatore altre solo realizzatore, debba spesso sperimentare nuovi metodi di lavorazione, nuovi materiali e supporti.

….Per chi inizierà a fare mosaico con passione, diventerà un fatto automatico rendersi conto che tanti sono i materiali che offrono la possibilità di diventare tessere musive …naturali: (pezzami di marmo, pezzi di terrecotte e di ceramiche, pietre e ciottoli ecc).
…I materiali artificiali sono stati fabbricati sin dall’antichità per supplire alle carenze coloristiche di marmi e pietre….Per ottenere dei toni più alti, colori più vivaci e brillanti, si è utilizzato il vetro opportunamente colorato e trattato in modo da consentirne il taglio, con gli attrezzi da mosaicista. Questi materiali si chiamano smalti e sono principalmente costituiti da un composto di silice e ossidi metallici, fusi in appositi crogioli ad una temperatura che può arrivare anche a 1500°. La silice è l’elemento base del vetro, gli ossidi metallici, invece, consentono di comporre i vari colori.


DISEGNI CARTONI BOZZETTI
Abbiamo preso conoscenza dei materiali, adesso possiamo passare alla scelta del soggetto da realizzare: una copia dall’antico? Un paesaggio? Un bozzetto moderno?
….Per realizzare una copia fedelissima, si esegue il lucido sull’originale, ricalcando i contorni di ogni tessera e mantenendo il valore degli spazi … Si numera ogni tessera, ad ogni numero dovrà corrispondere un colore di un campionario di tessere musive … Si potrà poi su una copia del lucido dipingere ogni tessera, ottenendo così un cartone dall’antico che può utilizzarsi a fini didattici o professionali per eseguire delle copie a mosaico.
… Un modo più semplice per eseguire la copia di un mosaico antico è il seguente: occorre una riproduzione a colori del mosaico, in modo che siano distinguibili le tessere. Si eseguono delle fotocopie ingrandendole sino ad arrivare alla presunta dimensione reale del mosaico, infine si esegue il lucido ……
Un altro sistema richiede l’uso di un proiettore per diapositive.. Si predispone una parete per la proiezione, collocandovi un foglio di carta bianco, si proietta l’immagine e si sposta il proiettore in avanti o indietro sino ad ottenere la dimensione desiderata. Curare la messa a fuoco e poi con una matita ripassare tutto il disegno.
..La traduzione a mosaico di un dipinto. Non può considerarsi un fatto asettico ed automatico, ma un  atto che lo rende uguale e diverso contemporaneamente.


LE COLLE
..tre tipi di colla che utilizza il mosaicista: la colla da parati, quella di coniglio e la colla di farina. … La colla che si può utilizzare per incollaggi definitivi è il vinavil, che ha qualità di resistenza notevoli.


ATTREZZI PER MOSAICISTA
Gli attrezzi che un mosaicista può utilizzare per il taglio delle tessere sono: martellina e tagliolo, tenaglie giapponesi e tenaglie da carpentiere..
…pinza da mosaico.. I laboratori più attrezzati e le fabbriche di materiali dispongono di particolari attrezzi chiamati tranciatrici che rendono il tagli più agevole..
…spillatrice, ago, tagliavetro, pinzetta da tipografo, stecche di acciaio..forbici per carta e stoffa, rete metallica, taglino…cazzuolino, cazzuola e spatole, …setaccio, caldarella, spruzzatore ed occhiali…spazzola di seta dura, pennelli di setola, pennelli di pelo di bue. La smerigliatrice è un attrezzo utile per molare il tagliolo, senza toglierlo dal ceppo.


LEGANTI  INERTI  SUPPORTI
…Quasi tutti i leganti possono essere modificati nel loro colore con l’aggiunta di coloranti … Il cemento normale è il legante più economico e facilmente reperibile ..
Si usa con un inerte – sabbia argilla espansa – per costruire lastre di diverso spessore e di diversa dimensione… Un altro cemento può essere considerato l’emaco… consente di ottenere lastre più resistenti e più sottili.
L’adesivo per piastrelle più che un cemento è una colla e, come tale, si può utilizzare solo a piccoli spessori…I gessi ..si differenziano soprattutto per la rapidità nell’indurimento…il mastice è un prodotto che ha come amalgamante degli oli che lo mantengono morbido per diverse settimane…La resina è preferibile che non sia utilizzata dal dilettante… La calce è commercializzata sia in povere che già amalgamata con l’acqua… Il das può essere utile in sostituzione del mastice per piccoli pannelli a mosaico … L argilla a volte è utilizzata come supporto provvisorio..
Sabbia di mare… sabbia di fiume .. sabbia di montagna…argilla espansa


TESSERE :  TAGLIO CARATTERISTICHE DISPOSIZIONE
Sapere tagliare il materiale musivo nella forma e nella dimensione adatta al bisogno è una capacità che si acquisisce soprattutto con l’esercizio …
…E’ necessario pure sapere come organizzare le tessere dentro uno spazio: la forma che devono avere, la dimensione, il volume, l’orientamento,lo spazio ottimale tra una tessera e l’altra. Questi sono gli elementi di un linguaggio, quello “musivo”, con il quale il mosaicista trasmette le proprie emozioni. Ad essi vanno sommati gli effetti pittorici propri di ogni tessera ed il loro rapporto con la luce. … Le tessere possono essere ordinate in filate o seguire andamenti: comunque devono essere distribuite in modo che siano in armonia con la forma che le contiene e in accordo con le esigenze estetiche e compositive dell’opera.
…………………………………………………………………………….
 (per gentile concessione dell'Autore)
 





Le BOTTEGHE D'ARTE 
DI MONREALE




Artisti MOSAICISTI:

Nino Renda, Francesco Lo Coco, Benedetto

Messina, Pino Anselmo, 


 NINO RENDA

Nel 1991 sulla rivista edita a Milano, "Keramikos" (n. 21) pubblicavo un articolo dal titolo I colori delriuso (con foto di Giovanni Russo) che trattava di quelle straordinarie pareti rivestite di piastrelle maiolicate ancora visibili nella Palermo antica; ex pavimenti divenuti colorate superfici esterne per la difesa di costruzioni fatiscenti, pachwork divertenti nati da una creatività spontanea e popolare. Qualche tempo fà ho avuto modo di conoscere un altro tipo di riuso di maioliche, più sofisticato, attuato da un appassionato collezionista di tali manufatti della gloriosa tradizione ceramica siciliana, Nino renda.
Artigiano, design, arte applicata, operazione di recupero, come definire il lavoro di 
Nino Renda che approda oggi a risultati così sorprendenti? La sua lunga attività di mosaicista, svolta a Monreale, unita alla passione per il collezionismo di antiche mattonelle decorate (ne possiede una enorme quantità) ha generato questa originale esperienza artistica...
E' facile andare con la memoria a Gaudì, al suo genio decorativo che sfruttava molto spesso frammenti di ceramica colorata per rivestire parti di architetture: pensiamo al Parco Guell o ad altri suoi capolavori presenti nella città di Barcellona. Anche Renda recupera dalle discariche  frammenti di mattonelle di pavimenti dismessi per conservare, salvare dall'oblìo, dalla distruzione, delicati motivi floreali, accordi cromatici insoliti, segni e colori di pavimenti dimenticati, per farli rivivere in modo nuovo, trasformandone il senso. Nascono allora pannelli dalle originali composizioni con equilibri cromatici mai casuali bensì sapientemente calibrati. Si riciclano così vecchi frammenti, pronti per la distruzione estrema, valorizzandone ed esaltandone l'essenza di manufatto pregiato, depositario di una storia ormai segreta ma che affiora con ironia, ammiccando da un fiorito brulichio di colori. renda ama quei materiali e vuole ad ogni costo farli rivivere creando pannelli, oggetti da arredo, sculture, ecc. nei quali la qualità, specifica, particolare della maiolica, non perda il suo valore,non si banalizzi Collage o meglio puzzle di ceramica su fondi di marmo o di cemento, neutro o colorato, propongono simpatiche trovate formali. renda ha provato, con successo, a dar nuova vita a quei piccoli frammenti, quasi sprigionando da essi una carica vitale insospettata, ideando delle immagini inedite nelle quali la novità degli accordi accende un dialogo nuovo tra i frammenti stessi. Alla nostalgia di un passato irrimediabilmente perduto si oppone l'ottimistica visione della possibilità di un recupero creativo. Renda, custode di oggetti altrimenti annientati dall'inesorabile trascorrere del tempo, certo non trattandoli come reliquie, opera facendo scaturire da essi, attraverso un progetto, emozioni nuove, senza porre limiti alla fantasia. Egli ha dimostrato che si possono nobilitare attraverso il suo modo di operare oggetti funzionali, arredi da usare in esterni, come tavoli, basi di ombrelloni, panchine, ecc. , oltre ai pannelli decorativi. Infine speriamo che tale esperienza, questa sorta di gioco creativo, possa allargarsi, proliferare, anche considerando l'attività didattica di Nino Renda rivolta ai giovani.
Maria Antonietta Spadaro

Secondo Plinio, i mosaici nacquero dapprima per far belli i pavimenti (Naturalis Historia, libro V). Serviranno per arricchire di forme e colori smaglianti le stanze più importanti di edifici pubblici e privati e anche per immortalare in materiali solidi e preziosi quadri e decori dei più famosi artisti dell'antichità. Con l'andare del tempo, questi "tappeti di pietra" dai pavimenti si alzarono a conquistare pareti e soffitti, riempiendo case e basiliche, ville e dimore imperiali. Irradiata dal mondo antico, l'arte musiva conosce una fioritura grandissima nelle capitali cristiane. Roma, Venezia, Ravenna, Bisanzio, Palermo, Cefalù e Monreale si ammantano di cicli imponenti, e solo con l'avanzare dell'umanesimo la decorazione a tessere conosce il suo declino. Il mosaico (che in greco vuol dire "opera paziente degna delle Muse") cade in sub-ordine rispetto alla pittura, ma continua ad essere prodotto. I grandi collezionisti ricercano e fanno spesso pesantemente restaurare quelli antichi, mentre su un altro fronte si diffonde la consuetudine di riprodurre nel prezioso mosaico le opere pittoriche più celebri. Nella stagione del Grand Tour, tra Sette e Ottocento, esplode la moda del "mosaico minuto". Piccoli quadri, oggetti da souvenir e persino gioielli ospitano mosaici in miniatura con soggetti alquanto convenzionali ma resi con notevole virtuosismo. Nei primi decenni del Novecento, soprattutto in Italia, l'arte del mosaico conosce una decisa riaffermazione, grazie alle ricerche compiute da artisti quali Gino Severini e Achille Funi. I quali, ben sapendo che scoloriscono i quadri, ingialliscono i libri ma il mosaico "pittura per l'eternità", resiste, rifanno del mosaico un protagonista del dibattito artistico contemporaneo, ridonando vitalità e vigore a scuole d'arte e botteghe che, spesso, nate nei luoghi storici della produzione musiva, continuano a produrre, con tecniche antiche e materiali anche insoliti, le nuove forme del colore. Ed era inevitabile che, in una città come Monreale, questa tradizione continuasse e si rinnovasse. Ne sono testimonianza le opere di artisti come Nino Renda al quale va il merito di non accettare che il destino del mosaico sia soltanto la riproduzione.. Cosi, il vero protagonista delle opere da lui rappresentate... non è il racconto, bensì la materia alla quale egli ispira un linguaggio evocativo. Lo fa, accogliendo quella corale domanda degli uomini che aspirano alla bellezza, riuscendo a saldare arte e artigianato. E con l'adozione di quella singolare espressione d'arte del collage, esempio tipico di immaginazione e di invenzione autonoma che ha trovato uno di suoi migliori interpreti nel celebre artista tedesco Max Ernest (1891-1976), ma anche in Picasso, in Hans Arp ed in Enrico Baj. L'Artista monrealese, alle paste vetrose (troppo lucide e sgarbate) riesce a strappare la congenita durezza, introducendo, con un collage mediterraneo (a cui non è nuovo), una importante nouveauté: quella di ri-crare con frammenti di mattonelle maiolicate del Sei e Settecento recuperate dagli scarti di vecchie e antiche dimore della cittadina normanna, un'immagine "altra", per un'evocazione: complementare e dissociante. Si tratta di un'operazione estetica con cui conferisce alle sue opere caratterizzate dal tipico decoro e dalla varietà cromatica e dal tradizionale disegno geometrico, l'atmosfera di un dipinto prezioso e raffinato.Non più dunque, le solite colombe su sfondo azzurro, realizzate per essere viste alla distanza, nè il gioco degli angeli e madonne ottenuto con minuti tasselli policromi. Se è vero che non c'è futuro senza passato, il coraggio di rinnovarsi sta proprio nel mantenere credibile la tradizione. Un'operazione artistica con cui nino Reda riesce, nello stesso tempo a mantenere, attraverso le filate mosaicate di contorno (o scontornate), un ordine compositivo, e non ricostruttivo. Le tessere( di marmo, bianche lattimuse) in tal modo, continuano a dettare i propri ritmi, e dal cuore della struttura prendono corpo e anima Concerto di Primavera, Composizioni floreali, Geometriche, Alberi, Crocifisso, ottenuti con i decori di splendidi lacerti di mattonelle mediterranee. Delle quali non è difficile ricordare l'evoluzione delle varie tecniche: dal lavoro a mano completamente libera, all'uso della mascherina, della corda secca e dello spolvero. Ma è nei cuori che risiede il potere vero della loro seduzione. Sono colori di lievissima trasparenza, dall'ocra al ròssolo , all'azulene, convenuti a comporre originali citazioni inscritte nello spazio, vaporosi mazzi di fiori , pause e semicrome barocche, delicati bouquets, esili arbusti, smaltate parvenze mistiche che fanno di queste opere autentici oggetti del desiderio. Di tanto in tanto, il mosaicista torna pittore, si arma di spatole e pennelli e facendo tesoro della sua lunga esperienza didattica, prende a modulare con acuta percezione espressiva, toni, urgenze istintive, assonanze linguistiche, con una certa disposizione depisiana. Ma soprattutto con quel commosso stupore che è il sentimento più genuino da cui germina la sua arte che promana dal dialogo intimo e segreto fra mosaico e maioliche e dà corpo, per amorosa contaminazione, ad un moderno espressionismo che ci fa percepire il piacere della creatività.
Pino Giacopelli





IL MOSAICO DELL'ARTISTA

PINO ANSELMO





PINO ANSELMO  

IL FAVOLOSO MONDO DELLA FINZIONE


Pino Anselmo, nasce a Monreale nel 1942. Ha studiato presso l'Istituto Statale d'Arte di Palermo dove ebbe modo di conoscere ed apprezzare il Maestro Alfonso Amorelli. Ha conseguito successivamente il Diploma all'Accademia delle Belle Arti di Palermo. Ha, quindi, insegnato discipline pittoriche presso l'Istituto Statale d'Arte di Monreale. Ha partecipato a numerose collettive sia in ambito nazionale che internazionale. Con il maestro Alfonso Amorelli, di cui divenne l'allievo prediletto e dal quale attinse l'impulso all'astrazione, collaborò alla realizzazione delle scenografiw a Siracusa e Segesta in occasione di varie rappresentazioni classiche. Artista dalla pluralità di interessi, che vanno dalla ceramica al mosaico, dalla scultura alla pittura, ha tenuto nell'arco della sua carriera numerose mostre personali in Italia e all'estero conseguendo svariati riconoscimenti. Il Maestro Pino Anselmo rivolge le sue opere su una moltitudine di accordi, su un caleidoscopio di colori armonico come l'arcobaleno. Cerca l'equilibrio, la simbiosi tra spazio, forma e colore. prende spunto dalla realtà per giungere a composizioni astratte, talora surreali, dove la notevole energia del colore caratterizza le sue espressioni, dall'azzurro, al rosso, al giallo. E' come se, come i mistici orientali, dopo una profonda meditazione, riuscisse a raggiungere una realtà unica, armonica, in cui l'uno è il tutto. E' come se volesse dare sfogo con il suo istinto pittorico a queste intuizioni e a rendere leggibili le sue visioni trascendentali. Nelle ultime sue composizioni traspare chiaramente l'uso della metafora, dell'astrazione geometrica; il gusto del dipingere e di cercare l'equilibrio tra colori è sempre vivo. L'artista descrive il suo tempo con una carica fantastica. Cardinali e preti rubano spesso la scena al paesaggio circostante. Pino Anselmo è capace di evocare liturgie, di far cantare la materia. I suoi colori seguono una via precisa, dettrata dall'illuminazione interiore. per Anselmo il colore è fascino: il mondo senza colori sarebbe impensabile. Il colore a cui si affida, dalle diverse gradualità, dalle varie sfumature generate dallo loro collocazione contestuale nelle sue opere, è sorprendente per il generante carico di luce, per lo spessore materico, per il valore dinamico impresso attraverso i loro accostamenti. Egli fornisce delle descrizioni sempre moderne della realtà che ci circonda, con singolare sagacia compositiva, ma tutto trasfigurando, rompendo gli argini convenzionali della realtà sotto l'impulso di una sperimentazione ricca di esiti sorprendenti, che vanno a lievitare nel favoloso mondo della finzione. La sua ricerca personale spazia dalla figurazione all'astrazione senza soluzione di continuità, lasciandosi guidare dall'intuizione. 
L'impulso all'astrazione gli deriva dall'essere stato allievo del grande Alfonso Amorelli. Al Maestro Pino Anselmo, si è voluto offrire l'opportunità di valorizzare e far conoscere anche all'esterno le sue innumerevoli opere. Monreale nei secoli è stata feconda di personaggi che si sono affermati nei vari campi della cultura. E sarebbe nostro desiderio quello di concorrere ad un nuovo risorgimento culturale della nostra cittadina.

Dr. Girolamo Mirto
Consulente per la Pittura del Comune di Monreale      






  
DALLA FIGURAZIONE ALL'ASTRAZIONE

Apprestandoci a guardare e riguardare le sue opere più recenti, diciamo subito che siamo in presenza di un pittore originale: nel senso che risale alle origini, con il risultato di consegnarci dei manufatti che rispondono a quelle necessità di stupore e talvolta di innocenza che De Chirico rivendicava per ogni opera d'arte vera. Per il Maestro Pino Anselmo, è come se egli operasse per cicli, rinnovandosi di continuo, orchestrando i dipinti su una molteplicità di accordi, avvolgente come una carezza. cercando l'armonia tra spazio, forma e colore. In questi cinquant,anni di attività il suo percorso artistico ha attraversato diversi innamoramenti e tensioni emotive, ora trattenute intenzionalmente nelle cadenze della metafora, ora assecondando esigenze narrative, ora sospinto da contaminazioni di generi. Ma il piacere nervoso del dipingere e di amalgamare paste alte, è sempre rimasto un evento spontaneo, un gioco inedito. Di fatto, il lavoro dell'artista monrealese rappresenta una chiave di volta nell'evoluzione di una visione prospettica tutta interna al quadro. Emerge, allora, la carica fantastica con cui l'artista interpreta il suo tempo, laddove la trama pittorica si fa così avvolgente e densa, al punto che la superficie del dipinto acquista vita propria, indipendentemente da ciò che vi è rappresentato. Egli ama dipingere anche su grandi tele. Lo fa attingendo dalla realtà, per approdare a composizioni allusive, mercuriali, cariche di rimandi e di metafore che talvolta sfiorano l'iperbole a scrittura no semplice a leggersi senza un guizzo di ironia, mentre la squillante energia del colore ne scandisce l'impeto espressivo, nell'azzurrità e nei colori della vita. E qui, cardinali e preti (non come quelli che volano di Nino Caffè), finiscono per rubare la scena pure al verdante paesaggio. Perchè il Maestro Anselmo (un artista laico, direbbe Raffaele De Grada), è capace di evocare liturgie e di far cantare la materia e di farci scoprire l'infinito. Mentre i suoi colori vanno dove devono andare: secondo estro e illuminazione interiore. Giacchè, per questo pittore, niente è così affascinante come il colore. Ma, per lui, senza i colori il mondo sarebbe impensabile e invivibile. Visitando questa mostra, sarà, infatti, difficile resistere alle seduzioni  di quel suo universo tanto luminoso e colorato, da stordire. Al Maestro monrealese, più che il racconto, interessano le immagini, che sono la visualizzazione di un pensiero estetico strutturale e poetico, come nelle opere Sguardo di fanciulla, le sue trecce, Donne, il mistero, Un volto, la sua misteriosità. Spesso, sono le immagini, sospese nella trama della materia, che diventano forme di pura invenzione lirica: che si intrecciano e si sovrappongono secondo il ritmo delle emozioni, creando uno spazio fantastico di cui l'artista si appropria facendolo crescere in un rapporto di germinazione e di complessa elaborazione mimetica, presentandoci delle composizioni dense di risonanze emotive e di una forte carica emblematica che testimonia una realtà umana premuta di significati e di variazioni. Di più: fornendo chiavi di lettura sempre aggiornate per la realtà che ci circonda. Come quando il suo pennello si ferma a contemplare (come fa in una sua mostra precedente) la maestà d'un albero che prende slancio negli arabeschi lineari che ricordano le linee-forza di Giacomo Balla. Il pittore Anselmo, dopo avere espresso il suo interesse per la tragica epopea dei giovani ed onesti servitori dello Stato (Morte della legge) per i quali (nel dipinto) accende una teoria di lumini a perenne memoria, si è sentito attratto da cupole di ascendenza islamica con segni multipli che guizzano come grandi ali nell'azzurro di un cielo senza nuvole e da colori rutilanti che sotto l'impulso di emozioni sempre rinnovate sedimentano in una dimensione onirica rarefatta. Oggi, le pennellate morbide e decise e sempre variate  innervano fantasie di colori tenui caldi cangianti mediterranei, sospesi come se attingessero direttamente dalle passioni degli uomini e dallo spirito eterno dell'universo. E sono spuntati Gelsomini di SiciliaGinestreSpighe di grano e insieme l'Albero dei Cardinali e i Fiori con tanto di cappello. Qui giunti, va ricordato pure, che in lui l'attenzione per la figura non è mai venuta meno: e dove il segno si impenna, si sfuma in dissolvenza o si intenerisce, la sintassi si fa eccitazione fantastica e le forme diventano enigmatiche, sospese in un'aura ambigua. Così da sembrare, senza volerlo, un pittore simbolista: come il borghese gentiluomo di Molière che parlava in prosa senza saperlo. Ed alla fine, realizzando un rapporto che si concretizza nella individuazione di brani di reale, visto in chiave fantastica, dove tutto è segreto e nello stesso tempo allusivo, come I pensieri di una donna pettegolaGiocattoli in soffittaPesci nella reteIl fiore e la libellulaFiori secchi di Gipsofila. L'artista monrealese mette al servizio della sua passione creativa tutti quei suggerimenti che, di volta in volta, affiorano alla sua fantasia, con singolare sagacia compositiva, con piglio liberante, ma tutto trasfigurando, rompendo gli argini convenzionali della realtà sotto l'impulso di una sperimentazione ricca di esiti sorprendenti che vanno a lievitare nel favoloso mondo della finzione, come A passo di cardinaleL'albero gravidoCigno curiosoNel mare, la vita. La sua ricerca personale-sia detto senza pensare che si vuol fare una dichiarazione di poetica- spazia dalla figura (o meglio dalla figurazione) all'astrazione senza porsi limiti se non quelli del piacere  del dipingere, di lasciarsi guidare dagli incanti del segno e della tavolozza, quasi a testimoniare come un paesaggio o un ritratto o un'aria screziata di colore, non siano, in pittura, un periglioso artificio. Opportunamente, un grande pittore siciliano come Gigi Martorelli, ha precisato che "la contrapposizione tra astrattismo e figurativismo è un nonsense", poichè la figura non è che un pretesto formale, cromatico, ritmico, ed è alla forza del segno nello spazio più che alle qualità mimetiche che si devono i rimandi, le allusioni che ogni lettura dell'immagine porta con sè come Sèpali e petali di strelitziaUn volto, la sua misteriositàVespri siciliani
Attenti, perciò anche ai livelli di lettura molteplici che si celano sotto la loro superficie cangiante facendo vibrare le corde più intime di risonanze inaspettate, sublimando il dato naturale in un nuovo modo di intendere la sensazione visiva. Nei pannelli musivi che spesso riproducono anche le sue opere pittoriche, le tessere vetrose, i marmi, le pietre della superficie assorbente, i vetri colorati, lavorati, tagliati in forme e grandezze diverse prendono e danno luce nel contrasto e nella trasparenza mentre lo stato rivelativo dell'immagine vitalizza e ri-crea le linee essenziali del disegno sinopiale con accenti di modernità stupefacenti che troviamo anche, negli sbalzi e, naturalmente nelle incisioni e nelle vetrofusioni nelle quali realizza, attraverso raffinate alchimie, preziosità tattili particolarmente elaborate. 
Sono opere con cui l'artista monrealese, mentre coglie l'amalgama del colore palpitante di vita del Tempio normanno di Guglielmo, continua ad evocare scenari la cui resa si fa percettivamente corposa e il segno architettonico coinvolgente. Restituendoci  la magia della durezza di un'arte strappata alla materia di cui egli continua ad avvertire l'assillo, il pathos, le suggestioni come nelle impareggiabili rappresentazioni musive: Grande portale di una chiesa, Uccelli d'Oriente, I pesci, la loro vita, Mistero negli occhi di una donna. Gli è che siamo di fronte ad una pittura di grande respiro artistico, dove il senso del colore è sovrano; una pittura rapinosa, moderna, originale, forse unica nel suo genere, e ad un autore schivo e solitario che ha capacità di vivere il suo tempo proiettandosi in una dimensione "altra", e che proprio per questo, si è già conquistato un suo ruolo da protagonista nella vicenda dell'arte contemporanea.

Pino Giacopelli     


                                Prof. Pino Giacopelli



















































R.M.





Il mosaico dell'Artista Prof. FRANCESCO LO COCO

Frank.lococo@alice.it





E’ nato a Monreale (Palermo) nel 1951. 

Ha studiato all’ Istituto Statale d’Arte per il Mosaico di Monreale, successivamente diplomato all’Accademia di Belle Arti di Palermo, sezione scultura. Ha insegnato per dieci anni nel corso di incisione all’Accademia di Belle Arti e del restauro “Abadir”.

Attualmente insegna discipline plastiche al liceo artistico “Damiani Almejda”  di Palermo.

Vive e lavora a Monreale/Palermo


IL MONDO STESSO PUò DEFINIRSI MITO, POICHè VI APPAIONO CORPI E COSE, MENTRE LE ANIME E GLI SPIRITI RESTANO NASCOSTI

SALLUSTIO, SUGLI DEI E SUL MONDO 
Un'Isola fragile e instabile dai confini indecifrabili. 
Approdo, ormeggio insicuro come insicuro è ogni tentativo di chiudere la nostra esperienza quotidiana in un qui e ora mentre invece ogni nostro limite è sempre travalicato da quanto conosciamo ma sempre meno ascoltiamo.
Su di essa un Tappeto di argilla, riquadri di creta incisi da segni multiformi, un'enciclopedia del totalmente altro, si inclinano per rivolgersi a tutti gli orizzonti.
Ai margini, piccoli oggetti lasciati da viaggiatori che ci hanno preceduto, Forme della devozione si staccano dal terreno sospese a diverse altezze, infine due Colonne. Non sono i dispersi relitti lasciati dal Tempo o dal mai sazio Oceano, meno che mai dalle tempeste che hanno soffiato fino a farsi scoppiare i polmoni, sono i segni ordinati in un loro particolare ordine, tracce di un rapporto spesso interrotto tra qui e l'altrove.
E' ciò che resta di un luogo che non c'è, un tempio, che non è mai esistito in cui l'homo religiosus osserverà, starà attento, riandrà col pensiero, releget appunto, insomma il luogo dell'incontro con lo straordinario. Tutto ciò può diventare propizio. Oltre, al di là dell'Isola, una Scala con gradini che si allungano si distendono quasi per rimettere in contatto qualcosa che pare separato per sempre o farsi transito per chi volesse dalla Terra giungere al Cielo, o che non sia opposto il percorso?

Avviciniamoci allora, ma usiamo i debiti riguardi nessuna negligenza è consentita. Sull'Isola solo il rumore dei nostri passi attenti su un terreno incerto che cede.

Compaiono altre piccole Isole, luoghi divenuti portatili, monti scoscesi e rupi impervie, Forme depositate in dono e voto che si sollevano dal luogo stesso per offrirsi. Immagini, racconti particolari in cui è però possibile riconoscere qualcosa di ciascuno di noi. Ognuna reca in sè l'impronta dell'artefice su cui brilla la fiamma della devozione. Una devozione che è apertura per accogliere la vita, superare le difficoltà, raggiungere stadi successivi di consapevolezza e comprensione , amare per amore dell'amore.

Subito oltre il tappeto, fatto di quella stessa polvere della terra su cui dicono l'eterno soffiò per infondere la vita al primo uomo, ondeggia coi suoi simboli diversi ma uguali nell'indicare la necessità di uno slancio, il desiderio di essere più di sè stessi, il nostro destino di zoon politikon.
Occasione di contemplazione e meditazione: sentirsi parte di qualcosa di più largo in cui si sciolgono le miserie del sopravvivere quotidiano, tace il rumore di fondo, scompare ciò che non è necessario e si incontra l'altro che è in noi e fuori.
Ed eccoli, un pò più in alto su una piccola base sorgono Urano e Gea, secondo alcuni l'inizio di tutto, secondo altri invece preceduti dal Caos primissimo, ma poco importa sono loro ad essere qui in quello che doveva essere l'andito profondo della cella. Lei Gea è avvolta da un mantello di caldo rame e si apre rigonfia, il ventre gravido di azzurri e verdi fluenti, qualche rosso e oro incastonato a farlo più vivo e palpitante, si spinge arrotondato avanti a contenere la forza del vulcano, l'energia creativa depositaria del segreto originario. Il femminile creativo che rimane inaccessibile e si tiene separato, un'inimicizia quasi. Accanto, Lui Urano figlio e sposo, costretto nel freddo metallo si squarcia reciso da Crono. Aggredito nel momento dell'esplosione amorosa sprigiona insieme e il seme e il sangue. Il rosso zampilla ovunque, da quello caduto sulla terra nasceranno le tremende Aletto. Tisifone e Megera mentre dall'immortale carne gettata nel mare sorgerà l'ancor più furiosa tiranna Afrodite. Stille di sangue, materia vivente pulsante fuoriesce dal corpo divino, coralli pietre oro in tessere inclinate sfalsate, pezzi di ogni forma e misura traducono nel linguaggio delle Muse il dolore del dio.
Tracce d'azzurro in alto ci ricordano ancora della congiunzione con la dea. Feroce separazione tra Cielo e Terra. Con le sue piogge benefiche la feconda ma talvolta la travolge con le sue tempeste inarrestabili.
Il repentino distacco si mostra, contraddizione solo apparente, attraverso la paziente lentezza di un lavoro faticoso. D'altronde non è possibile una risposta rapida e diretta, occorre girare intorno, valutare gli effetti che progrediscono verso quel possibile equilibrio che solo l'arte può concepire tra pietà e terrore. Un ponte non illusorio verso il mistero dell'ancora non conosciuto, non solo la paura della morte o della malattia ma anche la forza e la capacità di riconoscerci come parte limitata ma nello stesso tempo non limitabile.
Un ponte che ci avvicina a eventi che paiono lontani ma che riconosciamo come reali, di una realtà diversa da quella quotidiana.
Una realtà tradotta in simboli forti radicati in uno strato profondo della psiche, e che sono anche espressione dell'immaginario collettivo, il modo stesso in cui ci pensiamo e conteniamo la nostra storia e cultura. Una cultura e un pensiero che si sviluppano non solo attraverso schemi logici ed astratti ma anche per immagini, una cultura di "pensatori per immagini". E l'arte, come il mito e il sogno, "è una narrazione che si sviluppa per immagini, che incide su una dimensione fantastica, che trasmette modelli simbolici profondi". Si nutre del medesimo ambiguo cibo. E poi anche noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno che accoglie la natura amorale e selvaggia del mito.
Concludiamo allora con auspicio: il luogo in cui Crono gettò la falce di Adamante che la madre indignata gli consegnò non ha trovato stabile collocazione, vagando da Patrasso a Ischia per giungere alla più vicina Zancle. A noi piaccia immaginarlo ora qui, nel golfo sabbioso tra capo gallo e punta Célisi, nel mare verso cui guardiamo insieme a Urano e Gea, aspettando chissà di vede sorgere dalle onde, nutrita dalla schiuma rappresa intorno all'immortale carne del dio, Afrodite la geniale, la terribile e irresistibile dea.

  




Nessun commento:

Posta un commento