L'ARTE DEL MOSAICO A MONREALE
è conosciuta grazie al prezioso rivestimento di tessere musive, raffigurante il racconto del vecchio testamento e la vita di Cristo, all'interno del Duomo.
Un'arte, tenuta sempre viva dalla presenza, nel territorio monrealese, di un'Istituto Statale d'Arte per il mosaico, dalle maestranze artigianali, da artisti vari e locali.
LA SCUOLA DEL MOSAICO
NELLA STORIA
NELLA STORIA
a cura dei Professori Giovanni Alvich e Pantaleo Giannaccari
Monreale
è famosa e conosciuta nel mondo per il Duomo caratterizzato dallo splendore e
dalla monumentalità del rivestimento dei suoi mosaici.
Edificato
nel XII secolo per volontà del Re normanno Guglielmo II
A
Monreale, i numerosi interventi di conservazione e restauro dei mosaici del
duomo hanno determinato l’esigenza di creare una scuola legata al mosaico.
Testimonianze storiche confermano che negli ultimi decenni del 400, restauri di
mosaici sono stati condotti, dal mosaicista monrealese Mastro Masi Oddo, anche
se lo storico G. Millunzi ipotizza che una scuola di mosaicisti sia
precedentemente esistita a Monreale.
La
prova sta nel fatto, che la perizia nel restauro, nella creazione di nuovi
mosaici e fabbricazione degli smalti (torre fornace) fosse già una realtà
presente e consolidata a Monreale.
Nel
corso dei secoli numerosi furono i mosaicisti monrealesi che si occuparono di
restauro e di creazioni di nuovi mosaici, fra i quali ricordiamo:
Pietro
e Angelo Masi figli di Pietro Oddo, Geronimo Di Bartolomeo, Pietro e Vincenzo
Nicolosi, insieme ai figli Biagio e Antonio, Cosimo La Piana, Giuseppe De Lapi,
Matranga e altri, come Pietro Antonio Novelli, padre del famoso Pietro, al
quale fu affidato l’incarico di restaurare i fregi e le decorazioni.
Nel
corso dei secoli successivi, altri interventi di restauro musivo sono stati
eseguiti da maestranze locali sino ai giorni nostri.
LA SCUOLA DEL MOSAICO
OGGI
OGGI
Nel 1955 viene istituito un corso di mosaico che ha avuto come insegnante il mosaicista Vincenzo Romano, che dà impulso alla nascita di una scuola comunale di mosaico, fondata successivamente dal prof. Benedetto Messina nel 1959.
Il
prof. Benedetto Messina, raccoglie intorno a sè, per mantenere viva la
tradizione del mosaico, i giovani che inizialmente frequentavano la sua
“Bottega”, la prima sede della scuola è la stessa casa del prof. Messina.
La
scuola è inaugurata da S.E. Rev.ma Monsignor Francesco Carpino, arcivescovo di
Monreale e dal Comm. Pietro La Commare, sindaco della città.
Nell’anno
scolastico 1961/62, la scuola comunale per il mosaico, viene riconosciuta dal
Ministero ed elevata a Istituto Statale d’Arte.
Nel
1964 la scuola si trasferisce, dalla casa del prof. Messina nei prestigiosi
locali dell’ex refettorio dei benedettini, adiacente al Duomo, in piazza
Guglielmo II.
Dal
1974 ad oggi l’Istituto d’Arte ha sede in via B. Giordano,14
Nell’
anno scolastico 2009-10 L’Istituto Statale d’Arte per il mosaico di Monreale ha
compiuto cinquanta anni dalla fondazione. Nel corso dei cinquant'anni l'Istituto, ha mantenuto viva la tradizione, promuovendo una serie di iniziative culturali legate allo studio del mosaico in funzione del restauro e della ricerca di nuove forme espressive, campi di applicazione e destinazione.
Numerosi
sono stati gli interventi e le manifestazioni che l’Istituto ha promosso e/o
partecipato:
- mostre didattiche annuali, con manufatti musivi;
- ideazione e realizzazione di un mosaico di mq 15 per il catino absidale della chiesa della Missione “Speranza e Carità” di Biagio Conte a Palermo;
- ideazione e realizzazione di un pannello m 2x3 ubicato in via B. Giordano nella parete frontale rispetto all’ingresso della caserma dei carabinieri di Monreale
- riproduzione dello stemma araldico dei carabinieri di m2x1,5 per la C.C. di Monreale;
- ideazione e realizzazione di una colonna in mosaico di m3 di altezza e m0,50 di diametro, donata al Comune di Monreale e ubicata nello spartitraffico di via B. Giordano;
- partecipazione alla fiera di Berlino con la progettazione e l’allestimento di uno Stand espositivo, per la promozione dell’offerta turistica di Monreale e Cefalù, su incarico dell’assessorato alla cultura del Comune di Monreale;
- ideazione e realizzazione di un Convegno dal titolo Formazione musiva e rinnovamento scolastico “Il mosaico tra restauro e design”;
- progettazione e realizzazione di un Monumento, in memoria delle vittime della mafia, ubicato alla sinistra dell’ingresso principale della caserma dei carabinieri di Monreale;
- partecipazione alla fiera di Verona “Abitare il Tempo” con mosaici legati alla tradizione e alla tradizione rinnovata;
- partecipazione alla fiera di Milano “La Mia Casa” con produzione di manufatti musivi destinati all’arredo di interni;
- progettazione e realizzazione di una Stele Commemorativa della strage della circonvallazione del 1982, su incarico dell’arma dei carabinieri di Palermo;
- organizzazione della Mostra/Convegno “Le Vie del Mosaico” a Chiusa Sclafani, nell’ambito del progetto “Alto Belice Corleonese: divulgazione delle risorse storico-artistiche;
- partecipazione alla fiera di Pordenone “Tendenza Mosaico” legata alla produzione di oggetti per la casa e convegno sulle scuole del mosaico di Monreale, Ravenna e Spilimbergo;
- partecipazione alla Biennale Internazionale del mosaico “Prix Picassiette” e relativi convegni sul mosaico a Chartres, Francia.
Numerose
altre opere musive prodotte dall’Istituto si trovano presso enti pubblici
(caserme, uffici scolastici, comunali, etc.)
L’Istituto
d’Arte si è rivelato quindi, come quel tipo di scuola necessaria per
risvegliare quella tradizione che a Monreale è forte, antica e persistente.
Oggi
il mosaico può assurgere a valori da tempo non più raggiunti, utilizzando i
nuovi materiali e i nuovi leganti, per decorare e abbellire strutture
architettoniche, arredare giardini e parchi pubblici, per produrre oggetti
d’uso quotidiano, dimostrando così che l’arte del mosaico è spendibile nella
contemporaneità.
Nel
corso degli anni l’Istituto ha formato numerosi artisti/operatori, che si sono
affermati nell’arte del mosaico producendo opere mobili e opere applicate in
edifici pubblici e strutture architettoniche sia in Italia che all’estero.
MOSAICI DEL DUOMO DI MONREALE
Descrizione
e tecnica utilizzata a cura di Salvatore Tumminello -
Direttore Artistico del Laboratorio "Le
Absidi" di Monreale
"Lungo la strada che da Palermo conduce a
Monreale, alzando lo sguardo, adagiata su un poggio, noterete la struttura
poderosa delle Absidi del Duomo di Monreale. Si ergono maestose mettendosi in
bella vista, sovrastando la Conca d'oro e la città di Palermo. Sono state
definite la Absidi più belle d'Europa: giochi geometrici, intreccio di archi a
sesto acuto, rosoni bicolori dai disegni ad intarsio ed inserzioni di pietra
lavica, sono alcune delle caratteristiche salienti che ne abbelliscono la
struttura compositiva.
Naturalmente, lungo il percorso non passano
inosservate le fontane settecentesche fatte costruire dall'Arcivescovo Mons.
Francesco Testa. Queste, distribuite lungo la salita che da Palermo conduce a
Monreale, hanno avuto non solo la funzione di abbellire il percorso, ma di
rendere più confortevole il viaggio al viandante di allora, che privo di mezzi
di locomozione si apprestava ad incamminarsi per tale via...
Spostandoci nella piazza Guglielmo II,
inquadrata tra le due Torri gigantesche, la facciata del Duomo presenta un
prezioso portale che racchiude le gigantesche imposte divise da pannelli in
bronzo che narrano storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ai lati una
deliziosa cornice presenta delle lesene con disegni floreali a bassorilievo, altri
motivi geometrici con inserzioni a mosaico. Opera di Bonanno Pisano (1185) è
chiamata la porta del Paradiso. Se avete la fortuna di capitare in visita a
Monreale in uno dei tanti momenti solenni in cui all'interno del Duomo viene
celebrato un matrimonio, certamente questa sarà l'occasione più propizia per
entrarvi, poichè in tale occasione verrà aperta la porta del paradiso.
Varcandone la soglia, il turista che attende qualcosa di grandioso non resterà
deluso. L'interno del Duomo, si presenterà ai suoi occhi come uno dei più alti
e significativi monumenti dell'arte bizantina del periodio normanno in Europa.
Le sue pareti adorne di splendidi mosaici narrano le storie dell'Antico e del
Nuovo Testamento. L'immensa navata centrale culmina con il grande arco trionfale
in un crescendo architettonico che sembra indurre l'osservatore a focalizzare
lo sguardo verso il catino absidale, in cui domina la maestosa figura del
Cristo Panteocratore. Per dimensioni supera di gran lunga quelli analoghi del
Duomo di Cefalù e della Cappella Palatina di Palermo. La decorazione parietale
e pavimentale si dispiega per oltre settemila metri quadrati, dando allo
spettatore una sensazione di attonita meraviglia. A questo punto mi piace
ricordare il giudizio espresso dal Bettini quando descrive l'incanto del
visitatore che, affacciandosi sull'amplissima navata centrale e
..."Procedendo verso il lontano e fermo occhio luminoso dell'Abside..., si
sente avvolto da ogni parte dell'irradiazione continua dei colori dei mosaici
che, sotto l'incrociarsi delle luci irrompenti dalle opposte finestre al sommo
delle pareti, tingono il vastissimo, liquido spazio interno della navata della
loro palpitazione incessante e si riflettono sul pavimento dalle incrostazioni
marmoree ricche e traslucide".
Dopo questa breve presentazione, ritengo
interessante data la mia diretta esperienza di mosaicista, far conoscere in
estrema sintesi alcuni aspetti della tecnica di esecuzione impiegata nel
vastissimo parametro musivo.
Fra i metodi di lavorazione ricordiamo il metodo
diretto, che è quello che ha interessato i mosaici di Monreale. Secondo
la testimonianza dei restauratori e dell'architetto Naselli-Flores, che ha
curato la direzione artistica nell'ultima campagna di restauri che va dal 1963
al 1980, gli strati di malta ove venivano allettate le tessere erano
generalmente due, ma talvolta tre o uno solo, ed adottavano il seguente metodo.
La parete veniva solcata da profonde
scalpellature, al fine di facilitare la stesura del primo strato di malta; dopo
la presa, la superficie veniva resa ruvida mediante intaccature eseguite con la
cazzuola e vi si applicavano sopra gli strati di allettamento che comprendevano
le tessere musive. Sia nel primo che negli altri strati di malta venivano
amalgamate pagliuzze tritate e chiodi. L'uso della paglia era
espediente assai noto, serviva a dar maggiore tenacità alla malta attaccata al
muro. Quanto ai chiodi venivano posti in alcune parti con modanature
architettoniche. Sempre secondo la testimonianza dei restauratori, nel corso
dei distacchi compiuti negli anni, venivano rinvenute sinopie disegnate
direttamente sul parametro murario. Si trattava certamente di schizzi destinati
a rappresentare, non tanto una guida per il mosaicista, quanto una prova
generale che consentiva di verificare su scala reale ed eventualmente calibrava
in modo diverso una serie di aspetti pertinenti, per esempio, ai rapporti
decorazione-architettura o ancora decorazione-fruizione. I disegni preparatori
risultavano delineati con nitidezza sull'ultimo strato di allettamento.
I colori che generalmente venivano identificati erano il rosso, il rosso scuro,
il giallo chiaro, il giallo ocra, il nero, il grigio. Secondo una prassi assai
consolidata, si riteneva che la gamma cromatica impiegata nei disegni preparatori
era piuttosto ricca ma che corrispondeva alle stesure musive secondo
raggruppamenti fondamentali. In altri termini, tra disegno preparatorio e
mosaico esisteva una corrispondenza cromatica di carattere generale, ma non
particolare, in quanto la varietà cromatica dei disegni preparatori risultava
meno differenziata rispetto ai mosaici che presentavano un numero maggiore di
colori e tonalità. Attualmente nei più prestigiosi laboratori musivi la tecnica
che viene adoperata è chiamata metodo con legantwe provvisorio diretto e da
riporto. E' il metodo certamente più raffinato di comporre mosaici, è quello
correttamente usato dai restauratori di mosaici antichi, quando sono costretti
a strapparli dai muri ove si trovano per rimetterli poi sullo stesso muro una
volta effettuate le riparazioni.
E' certamente il metodo che io preferisco e che
ho sempre utilizzato per comporre i miei lavori. Sinteticamente la tecnica di
questo metodo è la seguente: come prima cosa se si vuole ottenere una
riproduzione di un mosaico antico o moderno si può procedere in questa maniera:
si prende una fotografia del mosaico e si fa un'ingrandimento quanto lo si
desidera; vengono riportati i colori dell'originale ottenendo così il cartone.
Si appoggia sul cartone una velina da spolvero e vi si riporta il disegno. Si
ripassa il segno ad inchiostro copiativo anche sul rovescio della velina, la
quale verrà appoggiata sull'impasto di calce. Si fa una malta di calce viva
senza sabbia e la si distende amalgamandola su di un supporto precedentemente
preparato, (se il supporto deve contenere un mosaico di una certa dimensione
essendo che la lavorazione avviene in posizione verticale, per evitare che la
calce molle tenda a scivolare, conviene armare con della rete metallica il
supporto). In questo impasto si fa aderire la velina che lascia sulla calce
fresca la traccia del mosaico che si vuole riprodurre.
Ora, tenendo il disegno accanto al modello, il
mosaicista comincia ad applicare le tessere che può rivedere e modificare in un
tempo relativamente lungo, mantenendo umida la calce del letto di posa con
opportuni accorgimenti.
Ultimata la composizione, si fanno aderire alla
superficie le tele per mezzo di colle animali o sintetiche. Questa fase di
lavoro deve essere eseguita con la massima attenzione; ad esempio è necessario
lasciare la tela lenta in modo da farla penetrare nelle depressioni del mosaico
poichè da questo dipende la riuscita del distacco. Quando la colla sarà
asciugata, si esegue lo strappo, si toglie il mosaico dal supporto provvisorio
operando con apposite leve di metallo.
Si appoggia in piano la superficie del mosaico
staccata e si comincia la pulitura del retro tessera togliendo l'impasto di
calce. Dopo aver pulito le tessere dall'impasto di calce, tenendo la parte
rovesciata rivolta verso il mosaicista, si delimita il mosaico con aste di
legno che si fissano al piano con morsetti e si versa sulle tessere un impasto
di legante definitivo. Una volta asciutto, il mosaico viene pulito con
spugnature, incollato su di un'asticella di legno compensato e così
incorniciato.
Se la composizione musiva risulta di una certa
dimensione il modo di strappare il mosaico da questo fondo e di riportarlo sul
muro è un problema del mestiere, poco comodo e molto delicato. Bisogna operare
con la sezionatura. Si incide la tela con un bisturi o una taglierina segnando
di volta in volta il pezzo da strappare. Il taglio dovrà essere fatto seguendo
possibilmente il disegno sia esso ornato figurato o geometrico e se gli spazi
sono grandi seguendo la tessitura.
Segue la numerazione del pezzo e prima dello
stacco l'esecuzione dei contrassegni di richiamo utili poi al momento della
riapplicazione. Segue la pulitura dei retri del mosaico. A questo punto la fase
più delicata del lavoro è stata eseguita. Il mosaico così preparato può essere
facilmente trasportato e riapplicato anche in altra sede o addirittura su
supporti leggeri e componibili senza peraltro notare le giunture fra un
pannello e l'altro."
PREPARAZIONE
DELLA MALTA
PER L'ALLETTAMENTO DEL TASELLATO
PREPARAZIONE DELLE PARTI STACCATE
MEDIANTE STESURA SUL RETRO DI MALTA SEMI-LIQUIDA
PER L'ALLETTAMENTO DEL TASELLATO
PREPARAZIONE DELLE PARTI STACCATE
MEDIANTE STESURA SUL RETRO DI MALTA SEMI-LIQUIDA
Tale operazione è necessaria per la perfetta
aderenza del pezzo al sostrato. La ricollocazione inizia dal basso verso l'alto
così di pezzo in pezzo eseguendo la stessa operazione si otterranno frammenti
perfettamente incastrati fra loro formando un unico pezzo e via via fino al
completamento finale. Infine dopo una ulteriore pressione delle tessere sulla
malta si aspetta che si asciughi. Quando verrà effettuata la pulitura staccando
la tela con spugnature di acqua calda, il tutto risulterà uniforme come era nel
supporto provvisorio poichè non avendo subìto perdite e dilatazioni, riassume
la sua tessitura e spaziatura assorbendo automaticamente le linee di tagli.
Dal Libro:
<FORMAZIONE MUSIVA E RINNOVAMENTO SCOLASTICO>
Il Mosaico: Restauro e Design
Atti del corso di aggiornamento Anno 2002
M O S A I C O
Dissertazioni
di
BENEDETTO MESSINA e di
GIUSEPPE SCHIRO'
PROF. BENEDETTO MESSINA:
Quando si parla dell'argomento
"laboratori", diciamo che Monreale ha avuto sempre dei laboratori di
mosaico, dico sempre. Pensate che ci sono delle cose fatte da mastro Pietro
Oddo, monrealese, del Cinquecento. Nel seicento, il padre di Pietro Novelli, il
vecchio Pietrantonio. A loro venivano commissionati dei lavori di restauro e di
completamento, soprattutto sui mosaici all'interno del Duomo.
Proseguì nell'ottocento una
bottega, direi, di ignoranti volenterosi, dico una cosa brutta: ci fu un
incendio nel 1811 che rovinò, non soltanto la parte vicino al soffitto, ma
anche il pavimento, perchè le travi, cadendo, bruciavano e rovinavano il
pavimento, era stata usata la pece greca. Allora non c'era il cemento, non
c'erano delle sostanze resistenti, usavano la pece greca: la mettevano
riscaldata nelle lastre di lavagna, mettevano lì le tessere a tecnica
indiretta, e poi queste lastre le poggiavano, con la malta, nell'incavo che
facevano nel marmo dei pavimenti. E vi devo confessare una cosa: che io ce ne
ho alcuni pezzi; però vi dico come ce l'ho, perchè ce li ho. Nella sala San
Placido, dove nel 1950/1955 abbiamo fatto un corso, anzi due corsi di mosaico,
c'era un soppalco che conteneva tutti i resti dei restauri fatti nell'Ottocento
con materiale del Cinquecento e dell'Ottocento, che io ho distinto. Ebbene
hanno usato quel materiale come se fosse terriccio per alzare il pavimento di
un magazzino. Allora io ho detto: non vi sembra un peccato consumare questo
materiale prezioso? "Professore, -mi dissero- se lo vuole se lo porti
tutto lei". ma io non me lo posso portare tutto, -risposi- non so neanche
dove metterlo!? Allora, me ne portai sei sacchetti. E ce l'ho conservato: in
parte l'ho dato ad una bottega d'arte che c'è qua a Monreale, quella del
professore Cangemi. Sono tutti pezzi del cinquecento e dell'ottocento. Ho
conservato anche il modellino metallico che usavano per disegnare nella pietra
l'esagono, l'ottagono, il quadrato, quelli che dovevano tagliare. Ed ho quelli
già tagliati, smussati e limati; li limavano con la mola ad acqua che io ho,
per incoscienza, no, forse per delicatezza, data all'istituto d'arte, perchè mi
sembrava un fatto storico. Queste cose per dire il fatto storico di
Monreale: nell'ottocento, vi dicevo, due ignoranti volenterosi (erano due
fratelli muratori, sapevano solo mettere le mattonelle, i fratelli Zerbo),
guidati da un artista, hanno restaurato la parte superiore. Entrando,
specialmente nella navata a sinistra, se voi l'osservate, se avete l'occhio
critico, ve ne accorgerete che non sono gli elementi originali, ma sono
aggiunti, anche perchè, non essendoci stata la possibilità di ritirare da
Venezia il materiale, fecero il materiale qua a Monreale , nella torre,
chiamata la vetreria, dove un tempo lavoravano i fratelli Cangemi, (è chiamata
vetreria proprio perchè lì facevano il materiale per il mosaico). E da che cosa
ci si accorge, da cosa si vede (bisogna essere un tipo curioso come me, che
voglio sempre sapere perchè, per come): usavano un pò più sabbia di quanto
avrebbero dovuto usarne. Allora questo materiale dell'ottocento si distingue
perchè è un pò più sabbioso: chi ha l'occhio clinico e osserva il materiale se
ne accorge. Quindi avevamo anche la vetreria. Monreale ha questa tradizione
forte. Sto parlando perchè è bello poter parlare di cose del proprio paese.
Alcuni pensano che la Cattedrale sia stata allestita in dieci anni, in realtà
non lo sanno, sia perchè non sono mosaicisti e non sanno quanto tempo ci vuole
per fare le cose, sia perchè non distinguono gli stili. Il Duomo di Monreale
non ha un solo stile. Abbiamo delle parti proprio che richiamano l'arte
bizantina, abbiamo delle parti dove c'è la prospettiva, e noi sappiamo che la
prospettiva fu inventata nel quattrocento, quindi non è possibile essere del
XII secolo. C'è il bacio di Giuda che richiama quello di Giotto. Quindi o
Giotto ha copiato da qua, o questi si sono rifatti a Giotto. Vi è un
susseguirsi di anni e di stili anche nel pavimento. Il pavimento del coro è del
cinquecento, prima era di terracotta, alcune parti di terracotta, alcune parti
di marmo, poi l'hanno rifatto con questa tecnica, appunto non essendoci il
cemento usarono la pece greca. Ho pure dei pezzettini di questa pece greca.
Abbiamo avuto poi i fratelli Matranga: le botteghe, ecco, mi riferisco alle
botteghe, mi sto orientando sull'argomento "le botteghe". I fratelli
Matranga: io ero bambino, andavo in chiesa, e vedevo questi che lavoravano dentro
il coro, mi mettevo vicino proprio dove c'è la balaustra. Ma come erano
precisi, come erano esatti. Facevano alcune parti delle lesene che voi vedete
ripetute in tutta la chiesa; perchè c'era la vandalica usanza che il turista
(non restateci male), si portava via, staccandole con il temperino, le tessere
come ricordo. E avevano poi "il coraggio", di mettere accanto la
firma. Io me lo ricordo, ragazzino, che c'erano tutte queste tessere che
mancavano e tutte queste firme messe vicine. Cose barbare, che adesso non avvengono
più per fortuna; solo qualcuno, a volte, tenta di portar via una tesserina; ma
adesso ci sono i custodi che stanno attenti. E questi fratelli Matranga
dovevano fare tutte queste parti geometriche, e mi ricordo, ma potrei fare una
fotografia, ci mettevano la carta oleata con il disegno, incollavano queste
tesserine limate e precise, poi, per vedere se coincidevano con esattezza,
alzavano il vetro e lo guardavano di sotto, perchè da sopra non gli bastava.
Già volevano vedere...la precisione. Io ero bambino e mi è rimasta impressa
questa cosa. Ed ho alcune cose pure fatte dai fratelli Matranga. Ora questo
fatto, naturalmente, dovrebbe incitare Monreale ad avere più laboratori.
Noi abbiamo la scuola, mancano i laboratori, o meglio, ce ne sono pochi, perchè
dovremmo lavorare per il turista. Il turista che viene e che si vuole portare
un ricordo di Monreale, e...mi sta venendo in mente, forse non
dovrei dirlo: mi ricordo che quando vedevo nei negozi ceramiche con scritto
"Ricordo di Monreale" e poi sapevamo che erano fatte a Sciacca o a
Caltagirone : Io mi urtavo e dicevo:" o siamo cretini e incapaci a farli,
oppure non abbiamo voglia di lavorare". Mosaici fatti fuori, venduti
"Ricordo di Monreale"; voi non ve lo potete ricordare questo, io ero
ragazzo. Mi urtai a tal punto che mi dissi: "mi devo mettere io a fare
ceramica e mosaico", e siccome non avevo forno, facevo delle ceramiche di
terra cruda, dipinte poi, come se fossero ceramica, e ce ne ho ancora qualcuna
conservata, e quella non si tocca. E facevo mosaico con le tessere dipinte; ce
l'ho ancora conservato. Un giorno mi capitò di salire nei ponti che c'erano
perchè stavano facendo dei restauri, allora mi sono persuaso e mi sono fatto lo
studio delle filate. Le filate, come si collocano le tessere, come si
congiungono, e ce ne ho conservato uno con tutto questo studio delle filate che
è tanto bello dal punto di vista didattico. Ricordo che mi capitò una cosa:
guardavo da giù e vedevo in un volto di Gesù le labbra, quello superiore rosso
scuro, e quello inferiore rosso chiaro, normale, ma quando salii sopra il ponte
per osservare le filate, e come erano combinate, restai a bocca aperta. C'era
il labbro superiore nero ed il labbro inferiore rosso chiaro. Pensai a
Michelangelo il quale, quando faceva gli affreschi, quelli specialmente che
erano molto in alto, lavorava con gli occhi socchiusi per vederli a distanza,
perchè il colore si fonde con la distanza. Dissi, allora non fu solo
Michelangelo, ma anche questi di qua hanno messo il rosso chiaro, che poi l'occhio
fonde e si vede rosso, e rosso chiaro. Insomma ho cercato tanto di apprendere.
Abbiamo fatto qesti corsi per riparare qualche cosa, poi capitò un altro
episodio curioso. Vi sto raccontando queste cose, così tanto per passare il
tempo, ma sono delle cose belle, diciamo così, che restano: quello che capita
nella vita certe volte non sembra vero. Io, prima di insegnare all'istituto
d'arte, insegnavo alla scuola media Antonio Veneziano dove cìoè un mio quadro:
il ritratto di Antonio Venziano. Ebbene, avevo una classe, la III F, ieri ho
incontrato un ragazzo di quella classe quando siamo andati a Palermo a fare
quella conferenza: ce n'era uno impiegato là, e mi ha riconosciuto. Questa III
F era, proprio riconosciuta da tutti, la più scarsa. La più scarsa, eppure non
avevano tutti i torti: non avevano neanche un'aula fissa, certe volte dovevano
fare lezione nel corridoio; questi ragazzi erano un pò sbandati. Si era diffusa
la "fama" tra i professori che quella era la classe peggiore: ebbene,
ci fu un concorso vicino Enna, un concorso di disegno per scuola media ed
elementare, di quella classe ne parteciparono sei, ed è avvenuto un fatto
straordinario: tutti e sei premiati. I ragazzi si sentirono valorizzati, e
cambiarono tanto in meglio. prima erano sempre disprezzati, maltrattati,
sgridati; quando si sono sentiti premiati, si impegnarono nelle altre
materie e furono tutti promossi. Ci fu un cambiamento straordinario: l'arte
ebbe questa forza di trasformare questi ragazzi. Bene, io dissi, non c'è che fare,
tu devi mettere una bottega d'arte. E metto una bottega d'arte con sei ragazzi.
mi metto a lavorare, e fare qualche cosa..., l'anno successivo sedici. Allora
impiantammo corsi serali di ceramica, e qui ci sono professori che hanno
lavorato in questi corsi di ceramica tra cui il preside Andrea Merlo, il
professore Calogero Gambino, il professore Angelo Cangemi. Da sedici, l'anno
successivo trentadue, il doppio. Bè allora abbiamo detto: qua bisogna fare una
scuola di quella sul serio. Mi avevano consigliato di farla regionale: ma
siccome avevo un cugino che insegnava in una scuola regionale e certe volte
stavano qualche mese senza stipendio, perchè non avevano fatto la delibera,
allora no, ho detto, io la faccio statale e mi impegnai per questo. allora a
onor del vero, interessai l'Onorevole Margherita Bontade, la quale si interessò
e mi fece ottenere l'Istituto Statale d'Arte per il mosaico, sezione staccata
di Palermo, all'inizio. Poi abbiamo avuto anche l'autonomia e fino a
centotrenta allievi, sei classi, sono stati nel mio stabile, nella casa mia,
che ha quattro piani, e non so quante stanze, fino nel 1964 quando la scuola si
trasferisce in Piazza Guglielmo e poi ancora, dopo dieci anni nell'edificio
attuale. Pur essendoci questo continuo ingrandimento, questo continuo aumento
di numero di allievi, mancano, e su questo dobbiamo insistere, mancano i
laboratori. Dobbiamo incrementare il più possibile i laboratori privati, quelli
dei singoli: ciascun professore deve avere poi un laboratori privati, quelli
dei singoli: ciascun professore deve avere poi un laboratorio per conto suo,
avere dei ragazzi collaboratori e potere vendere però. Per potere vendere, vi
insegno un segreto, con la mia vecchiaia: bisogna fare concorrenza; perchè se
io per un lavoro che gli altri vendono per un milione, ne voglio pure un
milione, non lo vendo. Se ne chiedo novecento, lo vendo al posto di quello che
ne vuole un milione. Bisogna sapere, specialmente al principio, affrontare
questi sacrifici. Mi ricordo, che quando facevo dei lavori, all'inizio, i
ragazzi stessi mi dicevano: professore, per così poco? E, dobbiamo lavorare, e
per lavorare, dobbiamo far pagare poco. Difatti la cosa si ingrandì e adesso
abbiamo un mio laboratorio, collaborato da tanti giovani. Prossimamente ci sarà
un'antologica,* nell'antologica cito coloro che mi hanno collaborato
nell'esecuzione di tutti questi lavori, perchè mi pare onesto e corretto che
questi ragazzi quantomeno abbiano questa soddisfazione di dire: anche noi
abbiamo collaborato. E ce ne abbiamo, in tutta la Sicilia; in diversi posti
della Sicilia, ci sono mosaici fatti a Monreale, nel laboratorio di Benedetto
Messina ed in altri laboratori. Non parliamo adesso che c'è pure nel Giappone
mosaici fatti nel laboratorio dei fratelli Cangemi; dire che in Giappone
ci sono nostri lavori è una grande soddisfazione, è un onore per tutta la
città. Però ripeto, non bastano questi, bisogna ingrandire ancora di più. Io vi
ho riempito un pochettino la testa. Concludo augurando a tutti voi, a ciascuno
di voi, di avere la soddisfazione di poter "dare agli altri". E vi
dico una cosa, che dando ai ragazzi si riceve. Insegnando, si impara; io
contiuno ancora, con i miei settantotto anni, ad imparare dai piccoli. L'anno
scorso ho avuto tra classi composte da ragazzi di scuole elementari e di prima
media, cinquanta ragazzi divisi in tre classi, ma quanto mi hanno insegnato
loro, io non gli ho insegnato, cioè loro hanno insegnato più a me, che io a
loro.
PROF. GIUSEPPE SCHIRO'
COMPLESSO MONUMENTALE
BIBLIOGRAFIA SUL DUOMO DI MONREALE
I MOSAICI DEL DUOMO DI MONREALE
a cura del prof. Giuseppe Schirò
GIUSEPPE SCHIRO’:
...
Il mosaico concepito come
scrittura eterna, come scrittura per sempre; differentemente da quello che è la
pittura la quale soggiace più facilmente alla distruzione dovuta al tempo. Il
mosaico è come pittura per l’eternità.
Io penso allora che è possibile
dire che nel Duomo di Monreale architettura e pittura musiva si alleano per
trasmettere un messaggio eterno.
Prima di ogni altra cosa vorrei
dare uno sguardo ad un aspetto storico legato all’origine di questo bellissimo
monumento: il momento storico della costruzione del complesso monumentale e la
scelta del sito.
Allora, all’origine, chi ha
“creato” questa ricchezza, non ha mirato a costruire una chiesa soltanto, ma ha
mirato a costruire un complesso organico e funzionale.
A costruire questo complesso,
come sapete, è stato il re Guglielmo II, ultimo, possiamo dire, dei grandi re
normanni. Dopo di lui ci fu, è vero, Guglielmo III, ma non riveste alcuna
importanza, non emerge neanche nella storia; segue poi il periodo svevo.
Guglielmo II muore nel 1189
all’età di 36 anni.
Prima di lui, i suoi antenati,
il padre Guglielmo I ed il nonno Ruggero II, avevano creato delle realizzazioni
molto belle: Ruggero II aveva creato il duomo di Cefalù, poi era venuta la
Cappella Palatina; Guglielmo II è su questa linea, l’ultimo, nel creare
realizzazioni di questo tipo.
Perché egli crea questa
realizzazione? Teniamo presente che in questo luogo c’era soltanto il bosco:
era un parco reale, ma era il bosco.
Per quale motivo creare un
realizzazione così impegnativa, così importante in questo posto qui, su un
colle da cui si vede Palermo?
In realtà a me sembra che
Guglielmo II avesse un progetto che ha un triplice aspetto; anzitutto (e questo
è l’aspetto politico-culturale) egli voleva un centro di diffusione della
civiltà latino occidentale era prevalentemente abitata dagli arabi e quindi
egli, piuttosto che ricorrere ad una soluzione di forza, ed alle soluzioni di
forza non sarà estraneo Federico II, dopo di lui (quando prenderà tutti gli
arabi e li porterà a Lucera in Puglia, per spiccarsi e risolvere il problema).
Guglielmo II ricorre ad una
soluzione culturale-politica, crea qui un monastero fortificato di grandi
proporzioni, e rivolgersi al suo amico l’abate Benincasa di Cava dei Tirreni,
fa venire qui ben 100 monaci (l’abate si lamenta che putroppo gliene ha potuto
mandare pochi).
Crea quindi questo monastero
così grande, con così piccolo numero di abitanti (100 monaci benedettini).
Arricchisce il monastero di
quello che è il Chiostro, lo affianca con questa Chiesa.
Ora, che senso avrebbe avuto,
in un bosco, andare a creare una chiesa di questo tipo, di questa grandiosità,
se non ci fosse stato sotto un intento culturale-politico: quello cioè di
creare questo centro di diffusione della civiltà latino occidentale, nella
Sicilia occidentale, per continuare in quell’opera latinizzante che i Normanni
avevano intrapreso in Sicilia?
Quindi era il primo obiettivo.
C’era poi un altro obiettivo:
quello di emulare i suoi stessi antenati, superare Cefalù, superare la Cappella
Palatina (quando iniziarono i lavori qui, a Monreale, la Cappella Palatina,
aveva 50 anni di età).
E poi un altro obiettivo anche
importante era quello di creare per sé e per la sua famiglia, un mausoleo per
la sepoltura sua e dei suoi familiari.
Ed a questo i sovrani normanni
tenevano moltissimo, tenete presente quello che dispone Ruggero II a Cefalù:
egli nel diploma di fondazione del vescovado e della concessione dei privilegi
al vescovo, in quel diploma, il documento più importante che emise per Cefalù, dispone
che le sue spoglie vengano conservate a Cefalù.
E’ vero che poi questa
disposizione non fu più osservata, tant’è che il mausoleo di Ruggero II lo
troviamo a Palermo, però credo che lui “frema”là dentro, perché vorrebbe stare
a Cefalù (questi sovrani normanni volevano comandare anche dopo la morte, a
quanto pare).
Questi erano gli obiettivi che
Guglielmo II si prefiggeva, leggiamo questi obiettivi non nei suoi documenti,
che sono parecchi, a partire dal 1182/83, con cui si istituisce il vescovado,
parla di monastero, perché quella è la sua creazione, quasi una sua figlia (lui
non aveva figli).
Quando ne parla, non parla mai
dei fini politici, dei fini dinastici, dei fini culturali, non ne parla mai,
parla solo di gratitudine a Dio e di devozione alla Madonna alla quale dedica
la sua creatura che è il monastero e l’annesso Duomo.
E’ grato a Dio che gli ha
concesso tante ricchezze, che gli ha concesso tanto potere che gli ha concesso
tanti beni; è grato alla Madonna ed intende mettere nel salvadanaio (il
gazofilaceo, lui dice) dei suoi meriti l’aver costruito questo tempio in onore
della Madonna, affinchè ne possa essere ricompensato nell’altra vita. Questo è
lo scopo che noi leggiamo: egli impiega ricchezze a profusione per
la costruzione soprattutto del tempio, e poi, dopo tutto, al monastero non
diede tanta attenzione, perché il Chiostro c’era e fu adornato dopo, però la
profusione dei mezzi l’adoperò per costruire questo Duomo.
Su questa realtà nascono e su
queste basi poggiano le diverse leggende fiorite attorno al Duomo; ne cito due,
quella del sogno (la ricchezza profusa), e quella dell’operaio che era
Gesù Cristo stesso (la meraviglia).
Ce ne sono ancora altre, ma
queste sono quelle che maggiormente hanno resistito nella tradizione e cioè, la
prima, che Guglielmo II, andando a caccia, in questo parco reale, era stanco e
si addormentò sotto un carrubo e lì sognò la Madonna la quale gli apparve
e gli disse: scava qua sotto, troverai un tesoro per costruire un tempio da
dedicare a me, e c’è qualche pittore che ha rappresentato questa leggenda in
una sua opera.
E poi l’altra leggenda: c’erano
degli operai che lavorano qui e tra questi si vedeva un operaio
particolarmente bravo e solerte il quale durante la giornata mostrava tanta
maestria, però la sera,ad ora di mangiare, spariva: era Gesù Cristo stesso.
Questo esprime “la meraviglia”
che lungo il corso dei secoli ha esercitato questa costruzione.
Il progetto di Guglielmo II, il
suo sogno, ben presto naufraga perché egli muore all’età di 36 anni.
Nel 1189 senza aver potuto
realizzare in pieno quell’opera di penetrazione cristiana nella Sicilia
occidentale, quale avrebbe voluto, ma dopo aver realizzato soltanto quel
complesso monumentale costituito dal monastero, con l’annesso Chiostro ed il
Duomo.
Questo come cenno storico, ed
ora un cenno bibliografico. Vediamo quali sono gli autori che hanno parlato di
questo complesso monumentale.
E’ chiaro che qui vengono
…omesse le opere che parlano di storia dell’arte e quelle degli storici siciliani,
gli autori normanni della raccolta di Ludovico Antonio Muratori e i due volumi
di G.B. Caruso e altri che sono tanti.
Veniamo ora alle opere che
riguardano specificamente il Duomo di Monreale.
La prima è l’opera di Gian
Luigi Lello che pubblica in due epoche diverse: nel 1588 la prima edizione a
Parigi, e nel 1596, la seconda edizione a Roma.
In realtà il vero autore
dell’opera del Lello, intitolata “Descrizione del tempio e del real
monastero di santa Maria Nuova in Monreale” è il cardinale
Ludovico II Torres, arcivescovo di Monreale (1588-1609), di cui il Lello era il
segretario.
Il cardinale Ludovico II Torres
è uno degli uomini più colti del suo tempo, bibliotecario di Santa romana
Chiesa, legato con il mondo umanistico romano; pensate che il padre era stato
padrino di battesimo di Torquato Tasso.
L’autore vero del testo è lui,
e si prefigge un intento: cioè dimostrare che come la chiesa romana traeva la
sua importanza, la sua dignità dalla successione apostolica, così la chiesa
monrealese traeva la sua dignità dalla successione dei vescovi; infatti egli
non si contenta di fare la descrizione del Duomo; parla anche della città, là
si trovano anche i primi cenni sui quartieri ed alcuni particolari che
riguardano la parte urbanistica.
Dopo di lui viene Michele Del
Giudice, abbate benedettino, il quale recepisce l’opera del Lello, la aggiorna
fino ai suoi tempi, la integra con altri opuscoli ( come la storia di San
Martino delle Scale ed anche con un riassunto dei principali documenti e
privilegi che riguardano Monreale), ecc.) e, soprattutto, la arricchisce di ben
33 lamine, opera di un incisore famoso, che illustrano, con grande abilità, il
tempio, gli interni, gli esterni, con sufficiente precisione, ma soprattutto,
sono molto belle.
Noi ritroviamo la riproduzione
di tali lamine nelle cartoline che si vendono un po’ ovunque. Tale opera è
pubblicata nel 1702.
Nel periodo del romanticismo,
l’interesse verso il Duomo si accende ed ecco l’opera di Domenico Lo Faso
Pietrasanta, duca di Serradifalco, archeologo e letterato, legato con il
WinKelmann, che non è come gli archeologi che in un primo tempo si erano
innamorati soltanto delle opere d’arte dell’età classica, ma va anche alle
opere siciliane, ed ecco perché lui pubblica un bel lavoro, un volume in folio intitolato
“Del Duomo di Monreale e di altre Chiese siculo normanne ragionamenti tre”.
E’ il primo tentativo moderno
di descrivere ed apprezzare il Duomo di Monreale.
Però assai importante è l’opera
imponente di Domenico Benedetto Gravina, l’ultimo degli abati benedettini prima
della soppressione degli ordini monastici del 1866.
Domenico Benedetto Gravina
pubblica nel 1859, i due grossi, imponenti volumi in folio su “Il Duomo di
Monreale”.
Il primo di questi volumi
contiene il testo, dove fa la storia, la descrizione dei restauri, l’esame dei
mosaici, l’esame dell’architettura, l’esame dei simboli; è veramente un
opera di grande valore perché il Gravina era un uomo molto colto, faceva parte
anche della deputazione dei restauri. Tale testo costituisce una fonte primaria
importantissima per la conoscenza del Duomo. Il secondo volume è solo
illustrazioni , una serie di tavole, molte delle quali in cromolitografia, cioè
a colori, con un procedimento (una vera preziosità per quel tempo!) che per
allora (fu stampato a Napoli), rappresentò un progresso tecnico avanzatissimo.
Sono tavole molto belle ed anche ora non è facile superarle, hanno il difetto
comunque di non rappresentare esattamente tutti i particolari, cioè non
ci si può affidare a queste tavole per dire, per esempio, che nel 1859, quel
particolare era “così”, perché qualche cosa è immaginata ed interpretata.
L’opera è comunque importantissima.
Vediamo quali sono le teorie e
motivazioni esposte in questo testo: le origini del monastero e del Duomo
risalirebbero a tempi antecedenti agli Arabi e, precisamente, all’epoca del
papa benedettino Gregorio Magno (+604), cioè verso la fine del sec. VI.
Guglielmo II avrebbe solo ricostruito il monastero per restituirlo ai
benedettini. Ma il Gravina è fortemente influenzato dalla contesa tra i
benedettini e clero secolare a Monreale e la sua tesi mira a rendere più solide
le pretese dei benedettini fondandole sulla priorità del tempo.
Dopo il testo del Gravina,
seguono poi, cronologicamente, altre monografie di minore importanza e
dimensioni, come quelle del Tarallo, anche lui priore dei benedettini, del
Millunzi, canonico monrealese nato nel 1859 morto nel 1922 che pubblicò una ventina
e più di monografie piccole, ma importanti sulla storia di Monreale, e su vari
complessi monumentali: il seminario, il Collegio di Maria, Pietro Novelli, Masi
Oddo, ecc., interessanti anche perché egli faceva parte dei primi aderenti
della Società di Storia Patria ed aveva già recepito la linea critico-storica
che si fondava sulla documentazione.
Infatti arricchisce le sue
monografie con la pubblicazione di documenti che riguardano quello che lui sta
trattando.
Citiamo anche le opere del
Garufi, suo contemporaneo, per arrivare, finalmente, alla famosa trilogia
pubblicata a Palermo nella prima metà degli anni ’60 dall’editore Flaccovio. Il
primo volume riguarda lo studio sui mosaici (1960) del professore Ernst Kitzinger,
cui segue l’opera del professore Kroenig, morto recentemente, sull’architettura
del Duomo (1965).
Dopo questa data seguono altre
monografie di minore importanza, anche se compilate da valenti studiosi quali
Bianca Maria Alfieri e l’architetto Lucio Trizzino.
… Andiamo ora ai
mosaici.
…Io credo che, affinchè si
possano “leggere” i mosaici comprendendone i veri valori e significati, occorre
guardarne tre aspetti, occorre cioè affrontare questa lettura usando tre
diverse chiavi: quella teologica, quella più strettamente tecnico
iconografica e quella dei simboli.
Sono tre aspetti che, a mio
parere, devono essere considerati insieme, perché da sola una chiave non
avrebbe nessun significato, non direbbe abbastanza; non possono essere separati
i tre modi di leggere i mosaici se non si vuole correre il rischio di
analizzare solo la carta, l’inchiostro, i caratteri di un meraviglioso poema ,
senza gustarne il significato.
Mi sembra si debba iniziare
dalla lettura teologica.
…Per cogliere, in una visione
di insieme, l’incomparabile bellezza del tempio, basta entrare dalla porta
maggiore.
Si è come affascinati da questo
spettacolo, da questa grandiosità. La basilica, con i suoi 102 metri di
lunghezza e 40 di larghezza si presenta da qui nel suo grandioso e fastoso
aspetto architettonico e decorativo.
Pensate che la Palatina è lunga
32 metri, e larga 12 metri; siamo quindi a Monreale in presenza di un monumento
che tre volte circa la Cappella Palatina.
Ci si chiede: è più
impressionante l’architettura o la decorazione?
I due elementi sono
perfettamente armonizzati e l’uno contribuisce ad esaltare l’efficacia
dell’altro.
Ma se osservate attentamente
non potete non percepire immediatamente, nella decorazione musiva, quella unità
che immediatamente si percepisce nell’architettura.
Guardate come tutta la
decorazione musiva, questa enorme superficie di oro e di colori (circa 6.500mq)
riempie e occupa ogni posto, ogni angolo, è come se fosse un manto che tutto
riempie, che trabocca da ogni parte, trabocca all’esterno, vi si proietta
unificando tutto, riducendo l’insieme di superfici e volumi ad un unico mero
contenitore di sé stesso: è come se tutta quanta l’architettura sia creata in
funzione della decorazione.
E’ questa la vera sostanza
pregiata del monumento, quella che ha imposto costantemente, ai vari operatori
delle trasformazioni della Cattedrale succedutisi nel tempo, l’obbligo di
rispettarne la natura, l’essenza di adeguarsi ad essa, senza travolgerne quindi
la fisionomia.
Un attento studioso ha rilevato
che indubbiamente l’architetto che ideò il disegno tenne conto soprattutto
della decorazione.
Recentemente sono stati fatti
dei restauri: si è notato che i mosaicisti badarono solo ed esclusivamente alle
loro esigenze e che in alcuni punti, dove fu loro utile, pur di realizzare i
loro disegni e i loro quadri, non hanno esitato persino a coprire delle
finestre.
Così come avviene nell’arco
maggiore dove c’è una finestra che è stata coperta, quella in cima, in alto.
Non esitarono anche ad
apportare altre modifiche: arrotondarono degli spigoli, riempirono certi posti
perfino con dieci centimetri di intonaco, pur di ottenere quest’armonia
decorativa dei mosaici e scalpellarono le mura per favorire la presa
dell’intonaco.. Quindi è chiaro che la prevalenza è quella della decorazione
musiva che predomina, che trascina tutto. Un’altra osservazione: questa
decorazione musiva, non ha subito, nel corso dei secoli sostanziali modifiche,
pochissime sono state le modifiche; non solo la struttura architettonica non è
stata disturbata da corpi aggiunti, ma la struttura decorativa è rimasta
integra, tale e quale è uscita dalle mani degli artisti, dei creatori. Se cose
aggiunte ci sono state, sono state totalmente emarginate: ad esempio, là, in
fondo a sinistra, abbiamo la Cappella del Crocifisso, che pochissimo incide
sulla parte strutturale e decorativa; a destra abbiamo la Cappella di San
Benedetto che è al di là di quella porta lì, e credo non dia nessun disturbo
all’insieme architettonico e decorativo.
Queste Cappelle sono tutte fuori,
emarginate. Inoltre tutti i corpi che sono stati aggiunti, come per esempio
l’altare maggiore, pregevole opera del Valadier, aggiunto nella metà del
settecento, e persino l’organo, sia quello ricostruito dopo l’incendio del
1811, sia quello che adesso vediamo, non hanno per niente intaccato questa
unità fondamentale. Non intendo esprimere alcun giudizio di carattere estetico
né sull’organo, né su altro, ma voglio ribadire, come ha detto uno studioso,
che qua la struttura architettonica, e soprattutto la struttura decorativa, ha
imposto il criterio della “adeguatezza” a tutti quelli che hanno messo mano a
fare qualche cosa. Per esempio, un’altra cosa che si è fatta è stato il
pavimento; il pavimento all’origine non c’era, è del 1500; anche l’alto zoccolo
di marmo nella zona inferiore delle pareti con queste strisce di mosaico, è
venuto dopo; ma niente ha turbato quel disegno originario che è la decorazione
musiva e la conseguente struttura architettonica. Nell’ideare il suo progetto,
l’architetto dovette fare affidamento sull’effetto dei mosaici.
Notate un’altra cosa:
l’immagine del Pantocratore.
Osserviamo come abilmente siano
stati impiegati e distribuiti profili e modanature lungo l’asse longitudinale
della chiesa: si arriva all’immagine del Pantocratore come salendo su dei
gradini, come se si ascendesse: considerate il livello di capitelli delle
colonne della navata maggiore, poi il livello degli archi successivi (la base
dell’arco trionfale), superiore, e poi la base del catino dell’abside, il livello
della base del Pantocratore. Sono come tre grandi gradini “ideali” che guidano
a passi da gigante verso l’elemento che grandeggia sul gradino più elevato, che
portano ascensionalmente verso l’immagine di Cristo Pantocratore. Lo sguardo è
diretto verso quell’immagine. Questo dà all’insieme decorativo, all’insieme
pittorico, la sensazione della grandiosità, del respiro, della ricchezza,
dell’abbondanza, tutto si volle orientare verso questa immagine del
Pantocratore.
Non vi può essere dubbio, dice
il Kitzinger, che quell’immagine fu prevista dal medesimo artista che ideò
l’architettura dell’interno della chiesa Apparentemente la decorazione musiva,
quanto alla narrazione espressa, non offre particolare difficoltà, perché le
scene in essa raffigurante sono facilmente comprensibili. Si tratta infatti di
scene dell’antico e del nuovo Testamento e che si contenta di uno sguardo
superficiale può ritenersi soddisfatto dell’abbaglio dell’oro delle pareti e
dell’atmosfera di prorompente religiosità che ne scaturisce.
Ma ciò non basta. Occorre
accedere più profondamente nello spirito che ha dato vita ad un così
straordinario monumento. E per far questo è necessario entrare nella mentalità
e nella cultura degli artisti dell’epoca e dei loro committenti.
Ogni monumento reca un
messaggio, ma quale è il messaggio che è un messaggio di fede e di civiltà al
quale è necessario sintonizzarsi. Vorrei precisare però che, rintracciare il
sentimento religioso nel passato significa non solo rispetto della fede altrui,
ma distacco scientifico verso un’opera che è reale ed estrinseca alla valutazione
dei posteri; che riconoscerlo questo messaggio, perché se no, non si entra
nello spirito dell’opera. Si può anche non credere, ma non si può non
conoscere: dobbiamo tenere presente che questo era il messaggio che gli artisti
volevano dare, perché questo tempio è un messaggio, ed è il messaggio cristiano
della salvezza.
Questo monumento era chiamato
“la Bibbia del popolo”. Qui tutta quanta la decorazione musiva tende ad
evidenziare la storia della salvezza, secondo la Bibbia, e rappresenta tre fasi
della storia della salvezza:
- La
fase del“l’attesa del Messia” (l’antico testamento, dalla creazione, la
storia di Noè – Abramo-Isacco-Giacobbe, sino alla lotta di Giacobbe con
l’angelo);
- La
fase del“la venuta del cristo” ( a cui tutta quanta la decorazione è
orientata, dall’annunzio a Zaccaria sino alla Pentecoste);
- E
la fase successiva, cioè la “vita della chiesa” (il tempo della Chiesa)
raffigurata nelle due absidi laterali e mosaici vicini, nella vita dei santi
Pietro e Paolo ed anche in episodi degli atti degli apostoli, ed il “ritorno
di Cristo fino alla fine del mondo”. Abbiamo perciò questo
respiro di fede del quale si deve tenere conto se si vuole comprendere.
Questo schema si sviluppa
in cinque cicli principali:
- l’Antico
Testamento
- la
vita del Redentore
- il
Pantocratore
- Il
ciclo dei “mirabilia Dei”
- Il
ciclo di San Pietro (nel diaconico) e di San Paolo (nella
protesi)
…La
corte di Guglielmo II era agitata dai contrasti tra i suoi ministri e poi dai
rappresentanti delle varie etnie, tant’è che lui costruì questo qui come centro
di diffusione della cultura, difatti a protezione, c’erano intorno delle torri.
Non è vero che le cose erano così semplici e così pacifiche: quando i normanni
occuparono la Sicilia, erano una sparuta minoranza, erano pochi guerrieri, non
erano molti; gli arabi e gli indigeni erano la maggioranza della popolazione. I
normanni ebbero l’avvertenza, la capacità, di non distruggere, di lasciare che
“a fianco” alla loro, sopravvivesse tutta una legislazione, tutta una
tradizione degli arabi e dei bizantini. Lasciarono quindi tutto così, non senza
contrasto, ma non soppressero anche perché non ne avrebbero avuto la forza
visto che erano una piccola minoranza. Non è così limpido e così idilliaco
questo rapporto, tutt’altro.
La tolleranza avvenne in un
secondo momento, all’inizio le cose non cominciarono bene; comunque i
normanni ebbero di certo il grandissimo merito della tolleranza e della
comprensione.
...
Per quanto riguarda la chiave
dei simboli il Gravina su questo argomento dedica un intero
capitolo, il VI, della sua monumentale opera di cui abbiamo parlato, che segue,
per altro, il capitolo V, nel quale tratta degli “Usi e costumi sacri e
profani”. Ed ecco quello che scrive nel V capitolo: I mosaici del nostro Duomo
oltre al fornire una collezione brillantissima di fatti biblici e di sacre
leggende, che portano storicamente il fedele dalla creazione al finale
giudizio, racchiudono una non piccola quantità di idee archeologiche sugli usi
e costumi sacri e profani del medio evo. Nulla in quei secoli fu fatto a caso.
I simboli erano il linguaggio,
si parlava con i simboli, la stampa non era stata inventata. Ed ancora; La
teologia, la tradizione dei Padri e della Chiesa, le determinazioni dei Sinodi
e dei Concili, il patrimonio non incorrotto dell’arte cristiana, ecco ciò che
formava il tesoro dell’artista, ciò che ne guidava ed incatenava il pennello,
sia nelle composizioni sia nell’introduzione della parte mistico simbolica, sia
nel ritrarre le fisionomie dei Beati, sia nell’assegnare ai loro personaggi il
vestito o nel regolarne gli accessori. Abbenchè sia difficile tener dietro a
tutto quanto in essi si potrebbe cavare di erudizione sì sacra, che profana,
tutta volta sarebbe pecco imperdonabile, se questa parte sì ricca in se stessa,
e sì attraente per gli studiosi potesse essere tracciata di non curanza.
Quindi secondo il Gravina, non
è possibile “leggere” i mosaici e comprenderne in toto il loro significato
senza questa chiave. E prosegue così nel capitolo VI: E’ impossibile illustrare
un monumento, strettamente cattolico, spettante al medioevo e non trovarsi
involto in un labirinto di simboli ed allegorie, e nelle forme architettoniche
e nelle sculture e nelle pitture e nei colori ed in ogni cosa, che sfuggirebbe
all’occhio del più raffinato analista. Io non oso presentarmi ai miei lettori
con l’orgogliosa parola, vi dirò il simbolismo del Duomo di Monreale. E così
egli continua a dire, ed una delle frasi che vorrei sottolineare è questa:Tutto
era figura, tutto tendeva al grande avvenimento, cioè non c’era nulla che fosse
esente da questa necessità di esprimere qualcosa, tutto era rappresentato, cioè
il messaggio, di fede, naturalmente, veniva affidato ai simboli.
Ai simboli hanno dedicato degli
studi sia autori del passato che autori più recenti.
Nella Sacra Scrittura,
nell’Antico e nel Nuovo Testamento, il simbolismo risulta essere un linguaggio
molto usato, ed è “un simbolismo di amore e di carità”. Inoltre nella sua dotta
trattazione lo stesso Gravina dice di avvalersi di autori diversi, ma cita
soprattutto un certo monaco Dionisio, autore di una “Guida alla pittura”, ed un
certo V. Didron, francese, autore di un manuale di “Iconographie chrétienne. Anche
nei tempi recenti la simbologia ha avuto molti cultori. Basta citare il
Forstner, autore di un’opera intitolata “Die Welt der Christlichen Symbole”, ed
il “Dizionario dei Simboli” di Chevalier – Gheerbrant, edito dalla Rizzoli.
Potremmo dare uno sguardo a questo linguaggio figurato, al quale di certo, noi
non siamo molto abituati, ma che era assai più chiaro e comprensibile agli
uomini del medioevo.
La chiave
iconografica-tecnica è la chiave dove io cerco di ritirarmi dietro le quinte
perché non voglio competere con la vostra professionalità, e con la vostra
competenza: vi invito soltanto a leggere il capitolo III dell’opera di
Kitzinger, intitolata “ I mosaici”.Il Kitzinger dedica a questo argomento uno
studio attento. Il capitolo III è intitolato proprio "i prototipi
iconografici". Sono ben 38 pagine nelle quali in sostanza dopo aver
affermato che ogni opera d'arte medievale è strettamente vincolata dalla
tradizione si chiede a quale tradizione è legato il Duomo di Monreale e passa
quindi ad analizzare le analogie e le differenze tra i mosaici di Monreale e
quelli della Cappella Palatina di Palermo, considerata prototipo di Monreale.
Il Duomo di Monreale, e questa è una mia opinione, pare una specie di
ingrandimento della Cappella Palatina. Non voglio parlarvi della Cappella
Palatina perchè ve ne parlerà successivamente qualcun altro molto più
competente di me, però se non facciamo questo riferimento alla Palatina, dice
il Kitzinger, non abbiamo capito nulla neanche di Monreale, perchè i rapporti
fra i mosaici di Monreale e quelli della Palatina, vanno molto al di là di
quanto generalmente si riscontra anche in casi di monumenti altrettanto
prossimi nel tempo e nello spazio.
< La piena comprensione
della decorazione di Monreale -egli dice- dipende non poco dalla giusta
valutazione di questi rapporti. E prosegue: Solo uno dei cinque principali
gruppi iconografici del programma di Monreale - il ciclo di scene della vita
pubblica di Cristo - non ha un precedente nella Cappella Palatina. Due
sono ripetuti quasi alla lettera e cioè a Monreale, dice il Kitzinger, troviamo
presenti, in modo identico che alla Platina, dice anzi, tratti dalla Cappella Palatina,
gli altri cicli (quello tratto dalla vita dei santi Pietro e Paolo - che
troviamo nelle absidi laterali- e l'altro, il gruppo iconografico tratto dalle
scene dell'Antico Testamento) e non quello delle scene della vita pubblica di
Cristo che sono esclusivi del Duomo di Monreale. Però ci sono alcune cose da
notare riguardo gli altri due gruppi iconografici che sono quelli relativi alla
vita di Cristo, rappresentati nel presbiterio, nel diaconico e nella protesi, e
quelli della corte del Pantocratore. Questi gruppi iconografici presentano
delle differenze sensibili dovute a motivi tecnici: il transetto, il
presbiterio, presentavano -nella Palatina-, all'esecuzione degli artisti, dei
problemi che qui non ci sono. Vediamo quali sono: il problema dell'incrocio tra
asse longitudinale e asse verticale. Nella Palatina la prevalenza dell'asse
verticale e la minore disponibilità di spazio rende meno lineare la narrazione,
mentre a Monreale la prevalenza dell'asse longitudinale e la maggiore
disponibilità di spazio rende la lettura più facile. Per il Kitzinger quindi,
il Duomo di Monreale appare come un ingrandimento della Palatina, non però
eseguito in modo da non presentare, nei confronti della Palatina forti
dissomiglianze e notevoli segni di originalità. Tra le dissomiglianze: la
mancanza della prospettiva regale. Mentre la posizione del trono reale nella
Palatina favoriva la contemplazione di soggetti militari di scene o di
personaggi di carattere guerriero, qui invece questa necessità non è avvertita
altrettanto intensamente come lì. Lì infatti il re, che scendeva nella Palatina
dal lato della Chiesa, dal suo palazzo, come qua, sedeva al trono ed aveva
dinanzi personaggi raffiguranti imprese militari, santi,soldati.; qui invece
questa presenza non è intesa, anche se ci sono pure qua raffigurati santi
soldati. Qui gli artisti ebbero una maggiore disponibilità di spazio, uno
spazio molto più grande di quello che la Paltina offriva e, quindi poterono
sviluppare, in maniera molto più ampia e con maggiore ricchezza di scene, tutto
quello che vollero; il ciclo della vita di Cristo qui è più sviluppato che
nella Platina, dove è limitato alla serie delle feste liturgiche. Ritroviamo a
Monreale, quindi, una maggiore abbondanza di soggetti: addirittura, dice il
Kitzinger, certe volte, in alcuni casi, gli artisti inventarono pure qualcosa
pur di riempire lo spazio.
Note di originalità si
riscontrano a Monreale soprattutto nel ciclo dei santi Pietro e Paolo, dove
affiorano segni ed allusioni a tradizioni locali: ma queste "note di originalità"riguardano
anche un altro aspetto, da studiare, e che è quello che maggiormente interessa,
cioè lo "studio delle fonti iconografiche vere e proprie". Gli
artisti di Monreale, quale modello, quale prototipo iconografico avevano nelle
mani? Era lo stesso modello, la stessa guida , che aveva dettato legge per la
esecuzione della Cappella Palatina? Non lo sappiamo, ma ad osservare
attentamente, dice il Kitzinger, noi troviamo che ci sono molte analogie con le
scene della Platina. Indubbiamente la presenza di scene che alla Palatina non
ci sono, o di atteggiamenti che alla Palatina non troviamo, o di particolari,
nuovi qui, ci fa pensare che gli esecutori dei mosaici di Monreale, non ebbero
solo il modello della Palatina, ma attinsero probabilmente, ad altri modelli
bizantini ed inserirono anche, con una certa abbondanza, elementi locali. La
cosa più importante che egli nota è quella della scena del carnefice di San
Paolo. Il carnefice di San Paolo, che è raffigurato là nell'abside laterale,
qua è raffigurato non nell'atto di tagliare la testa all'apostolo, ma nell'atto
di trattenere la spada, come in atto di riflessione: sembra quasi pentito,
meravigliato, sembra sopra pensiero, ma a cosa è dovuto questo? Forse, dice il
Kitzinger, è dovuto alla leggenda che dice che la testa di San Paolo, una volta
staccata dal busto rotolò per terra e la toccò tre volte saltellando e
sgorgarono sorgenti e che quindi lui rimase meravigliato tant'è che questo
carnefice e si pentì e divenne cristiano? Questa tradizione, questa leggenda è
squisitamente romana, e no si trova nei complessi bizantini. L'esempio che vi
ho portato, è per dirvi come elementi locali, elementi italiani, romani,
siciliani furono aggiunti a quelli che erano i modelli provenienti dall'arte
bizantina. Quindi non è possibile, possiamo dire, formulare una tesi certa
sulle fonti iconografiche o sui modelli, ma appare probabile che i mosaicisti
si siano avvalsi di diverse guide pittoriche. <Questo spiega perchè anche
quei mosaici che in senso iconografico sono vere e proprie copie di mosaici
della Palatina, ne differiscono tuttavia profondamente dal punto di vista dello
stile, mentre sono perfettamente armonizzati con altri che palesemente derivano
da fonti differenti. Dovettero esservi due tipi di modelli, di natura
totalmente diversa. Da un lato vi erano le guide iconografiche. Queste
evidentemente variavano secondo i cicli, e perfino entro un ciclo
singolo-quello della Genesi- abbiamo potuto notare l'uso di guide diverse.
Dall'altra parte vi erano delle serie di formule "standardizzate" o
campioni per motivi singoli. Queste formule potevano essere utilizzate nel
riprodurre il materiale iconografico tratto da tutte le svariate guide e
contribuivano a dissimilare ed appianare le incongruenze di stile, che altrimenti
sarebbero state inevitabili. Sono queste formule che ci fanno dimenticare le
origini varie dell'iconografia e ad esse è dovuta in gran parte la coerenza e
l'unità dell'intera decorazione. Altra notazione è che ne presbiterio, le scene
raffigurate nelle pareti, che erano oggetto della vista del sovrano, erano
legate piuttosto a dei cicli liturgici, alle feste, ad esempio della
resurrezione, del natale, quindi la scelta dei soggetti fu legata più a questi
avvenimenti liturgici che ad altro. Qui a Monreale, invece no, c'è maggiore
libertà, quindi si vede che si sganciarono da questo modello della Platina; ma
evidentemente, possiamo pensare ad una guida di fondo: in realtà., e questa è
la mia impressione, , non avendo nessun documento in proposito, non possiamo
stabilire niente di preciso, tutto quello che possiamo pensare è quello che ci
viene dalla diretta osservazione.
Resterebbe ancora da dire
qualcosa sulla tecnica e sui tempi di esecuzione dei mosaici. Un attento esame
condotto sui mosaici ha portato gli studiosi a notare certe rassomiglianze e
modi di attribuire la stesura del manto musivo a squadre di mosaicisti che
operavano simultaneamente e che si influenzavano vicendevolmente sotto un'unica
direzione ed unitaria. Gli artigiani, pur proveniendo da officine diverse e pur
usando anche tecniche relativamente diverse, dovevano avere però una comune
tradizione stilistica e quindi dovettero usare obbligatoriamente
uno stesso repertorio di formule. Si scopre che c'era un lavoro simultaneo e
coordinato , eseguito da molte mani, ma non uno sviluppo o un progresso a cui
abbiano potuto contribuire generazioni successivamente di artisti come si nota
nella Cappella Palatina. Più che una variazione di stili, le differenze
rivelano una variazione di qualità. Ad esempio, le figure del transetto non
sono così accurate come quelle dell'abside; nelle zone meno esposte si nota una
certa frettolosità nell'esecuzione, ma non si tratta di differenze stilistiche.
Non vi appare tra questi mosaicisti una qualche figura di artista
particolarmente spiccata. In tutto il complesso musivo si trovano figure con
tipi facciali identici, con gli stessi gesti ed atteggiamenti, con gli stessi
motivi di panneggio. Questa è una caratteristica propria del Duomo di Monreale,
che, se conferisce all'opera una certa monotonia, dà però l'impressione di
unità e di omogeneità. Tutta l'opera dovette essere completata in un arco di
tempo assai limitato e ultimata non molti anni dopo la morte del Re. Non si
conosce con esattezza la tecnica seguita dai mosaicisti di Monreale. Anche qui
riporto l'opinione di alcuni studiosi. L'ipotesi più accreditata è che l'opera
fosse eseguita in situ, sui ponti. Sulla parete veniva steso
un primo strato sul quale veniva tracciato un abbozzo lineare; successivamente
veniva dipinto uno schizzo che serviva da guida al mosaicista. La malta, la cui
composizione rappresenta ancora un segreto per i mosaicisti ed i restauratori
moderni, veniva applicata, a sezioni, su aree relativamente limitate; il suo
indurimento era assai lento e consentiva l'incastonatura delle tessere di
mosaico. Appare probabile che la composizione degli abbozzi preliminari fosse
opera di un piccolo gruppo di artisti la cui attività interessava tutta la
superficie da coprire e che lavorava con l'occhio rivolto alla distribuzione
complessiva dei mosaici ed all'effetto generale che si voleva raggiungere. Se
si considera che tutta la raffigurazione costituisca un messaggio di contenuto
eminentemente teologico, si deve ipotizzare la partecipazione di un gruppo di
colti ecclesiastici nella scelta e nella disposizione dei
soggetti.
...
DOMANDA: C’è una spiegazione di tutti questi
mosaici?
GIUSEPPE SCHIRO’: Ma è la creazione del caos, il primo
giorno Dio crea la luce, separa le acque dalla terra e dal cielo, crea i pesci,
le stelle, gli uccelli, crea Adamo, ed il settimo giorno Dio si riposa. Dio
conduce Adamo nel paradiso terrestre, Dio crea Eva, Eva è presentata ad Adamo,
Eva è tentata, ecc.; poi nella seconda fascia continua l’Antico Testamento, e
poi riprende dall’altra parte: Noè, la costruzione dell’arca, il diluvio
universale, l’arcobaleno, Noè che si ubriaca, la torre di Babele, poi la
visione di Giacobbe (un presagio della volontà divina), poi la scena degli
ospiti, ed ancora altre scene dell’Antico Testamento fino ad arrivare a Sodoma
e Gomorra, la distruzione, poi ancora Giacobbe, il sacrificio di Abramo,
Giacobbe che fugge, Giacobbe in viaggio; le figurazioni si concludono con
Giacobbe che lotta con l’angelo, ne è ferito al femore, e cambia nome, da
Giacobbe ad Israel. Poi comincia la Sapientia Dei, la Sapienza di
Dio: i due angeli che si inchinano alla sapienza di Dio raffigurata in
quell’immagine in alto con il medaglione, questi sono i profeti dell’Antico
testamento, gli angeli, e così via. La lettura dell’Antico Testamento è molto
facile; anche i miracoli sono facili da leggere.
...
BENEDETTO
MESSINA: ...
forse per
l'istintivo spirito di osservazione di artista, forse perchè ho avuto anche dei
bravi professori di storia dell'arte, forse anche per il fatto che io insegnavo
geometria descrittiva e disegno architettonico. C'è una cosa difficile ad
osservarsi. Sembra facile, ed è facile dopo che lo si sa, e mi piace
trasmettervelo, perchè siamo tutti cristiani e quindi mi piace che il cristiano
che viene qua, se ne vada con un concetto completo di chi ha progettato il
Duomo, perchè non si sa chi è stato, non si sa perchè allora i lavori erano
solo di Dio, l'uomo non doveva essere artefice di alcunchè. Come diceva il
professore, il Duomo l'ha fatto Guglielmo. Ma in realtà non l'ha fatto
Guglielmo il Duomo, l'ha fatto fare Guglielmo; chi è stato l'architetto?
Niente, non si sa. L'architetto doveva essere, come ha osservato il mio
professore, così bravo da fare l'architettura per questa decorazione, e questa
decorazione per questa architettura. Non c'è proprio niente che sia fuori
posto. Una cosa che mi ha sempre appassionato e che mi piace sempre dire, è
questa: voi tutti avete studiato architettura, e sapete che ci sono i
contrafforti, cioè, quando si deve reggere un elemento verticale, perchè non cada,
gli si fa i contrafforte qualche cosa che lo regge; Le navate laterali
nell'architettura, per la navata centrale che è più alta, rappresentano i
contrafforti; ebbene l'architetto, chi progettò, sapeva ed ha pensato di
mettere tutti i miracoli di Gesù nelle navate laterali, cioè come le
navate laterali, architettonicamente, fanno da contrafforte alla navata
centrale, così i miracoli di Gesù fanno da contrafforte a quello che è
l'espressione della fede, l'espressione della storia di Dio, della storia degli
uomini, contenuti nella navata centrale. I mosaici che raffigurano questi
miracoli, poi, non sono stati eseguiti, come qualche volta si dice, tutti nello
stesso periodo, no, assolutamente, perchè se voi osservate, guardandoli tutti,
alcuni addirittura tentano la "prospettiva", ci sono nel contesto
pavimenti che si richiamano alla prospettiva, cosa molto importante ed
interessante dal punto di vista di noi studiosi, di noi insegnanti di
architettura, di pittura, di mosaico, ecc. .Un'altra cosa che faccio osservare
è che qui c'è rappresentato il popolo, l'umanità: sopra le lesene che sono
poste in giro ci sono dei simboli arabi (agli arabi era vietato rappresentare
la figura umana), ed allora, come voi vedete, ci sono delle immagini che sanno
di "persona", di gente vestita, con la testa, le braccia, ecc. ;
vedete tutte queste figure che girano intorno, sopra la parte postuma: questa
parte è araba ( come ci diceva il mio professore), ed in essa sono
rappresentate le figure umane, il popolo di Dio, il popolo che sta qui ad
osservare, a vedere, a lodare, a benedire il Signore. E la cosa curiosa è che
io non sono riuscito a vederne uno uguale all'altro, cioè sono, guardandoli
come forma, genericamente, sembrano tutti uguali, poi intimamente nessuno è
uguale all'altro, la decorazione è tutta differente, una dall'altra, per dire
che gli uomini siamo sì tutti uguali, però intimamente ciascuno è se stesso,
con le proprie caratteristiche, il proprio spirito, il proprio modo di vedere,
il proprio modo di fare. Guardate che significato profondo hanno espresso
questi artisti, non gli esecutori, ma i progettisti! Ciò mi basta per essere
contento, nell'animo mio, di aver comunicato a voi cristiani, questo
pensiero cristiano, cioè di vedere i miracoli come contrafforti alla fede; se
Gesù non avesse fatto i miracoli, se non fosse resuscitato, che Gesù, che Dio
sarebbe? Uno come tutti gli altri. Gesù è il figlio di Dio perchè ha fatto i
miracoli, comandava la natura, è resuscitato, come dice San Paolo: se non fosse
resuscitato la nostra fede sarebbe vana. Con questo vi auguro di approfondire
voi personalmente queste cose, perchè poi, io mi accorgo, come diceva il
vescovo "c'è sempre da imparare", ed ogni volta che entro qua trovo
che c'è sempre qualche cosa in più che prima non ho visto.
....
La conservazione
del mosaico all'esterno, era uno degli argomenti, mi pare, da trattare. Io la
lezione l'ho avuta, come dicevo l'altra volta, dagli artisti di tremila,
duemila anni fà, perchè quelli passavano sopra il marmo, sopra il mosaico, la
cera d'api diluita con acqua ragia. La cera d'api ha un potere da non credersi,
perchè poi cristallizza, diventa trasparente, e quindi non fa penetrare
l'acqua, ma non è tanto l'acqua che penetra che fa male, perchè l'acqua poi,
con il freddo diventa ghiaccio, e quindi dilata e nel dilatare, distrugge. ...
GIUSEPPE SCHIRO': In realtà le cose che ha detto il professore Messina sono molto interessanti e mi hanno fatto pensare che per "gustare" meglio il monumento dovremmo stare qui a guardare, a parlare, chissà quante ore.
...
MOSAICO ARTE ARTIGIANATO
FARE MOSAICO
Materiali
– Attrezzi – Tecniche illustrate da un Mosaicista
a cura di Angelo Cangemi
"Al Prof.
Benedetto Messina mio maestro ed ai miei allievi per merito dei quali continuo
ad apprendere"
MOSAICO: Cenni storici
Sin dall’antichità
l’uomo ha utilizzato il mosaico come segno ottenuto dai due elementi base del
linguaggio musivo: tessera e spazio (interstizio).
Questo linguaggio,
seguendo il naturale percorso dell’arte, ha fatto sì che dalla disposizione di
alcuni sassolini usati dall’uomo primitivo per indicare una direzione o per
trasmettere un messaggio, si passasse al loro uso per consolidare
pavimentazioni, rivestire ville e cattedrali, e alle moderne espressioni
dell’arte musiva.. ..
Uno dei mosaici più
antichi può considerarsi il rivestimento con tessere di terracotta a forma
conica di colore bianco, rosso e nero delle colonne del tempio di Uruk (Warka)
del IV millennio a. C. ….
Nella cultura
europea ai Romani spetta il merito dell’uso del mosaico, non come copia di una
pittura, ma come espressione artistica autonoma con un proprio linguaggio.
….L’utilizzo di
mastranze appartenenti a scuole diverse e i rifacimenti successivi, anche in
età bizantina (VI-VII) se.), consentono di ammirare in questa opera una varietà
di stili difficilmente riscontrabili altrove….
I mosaici bizantini
ci fanno conoscere un altro aspetto del materiale musivo. ….elemento capace di
rendere l’idea del divino, del soprannaturale, del mistico. Le figure tendono
alla stilizzazione, i colori di fondo, dorati o di un blu intenso,
contribuiscono a renderle irreali.
…Dopo
secoli….assistiamo ad un risveglio di quest’arte per opera di grandi artisti
contemporanei e di nuove scuole di mosaico istituire appositamente (Ravenna,
Monreale, Spilimbergo)…
Oggi il mosaico è
stato riscoperto da alcuni architetti che lo inseriscono nelle strutture
architettoniche, nell’arredo urbano e nella progettazione di oggetti d’uso
comune.. Questo fa sì che il mosaicista, a volte creatore altre solo
realizzatore, debba spesso sperimentare nuovi metodi di lavorazione, nuovi
materiali e supporti.
….Per chi inizierà
a fare mosaico con passione, diventerà un fatto automatico rendersi conto che
tanti sono i materiali che offrono la possibilità di diventare tessere musive …naturali:
(pezzami di marmo, pezzi di terrecotte e di ceramiche, pietre e ciottoli ecc).
…I materiali artificiali sono
stati fabbricati sin dall’antichità per supplire alle carenze coloristiche di
marmi e pietre….Per ottenere dei toni più alti, colori più vivaci e brillanti,
si è utilizzato il vetro opportunamente colorato e trattato in modo da
consentirne il taglio, con gli attrezzi da mosaicista. Questi materiali si
chiamano smalti e sono principalmente costituiti da un
composto di silice e ossidi metallici, fusi in appositi crogioli ad una
temperatura che può arrivare anche a 1500°. La silice è l’elemento base del
vetro, gli ossidi metallici, invece, consentono di comporre i vari colori.
DISEGNI CARTONI
BOZZETTI
Abbiamo preso
conoscenza dei materiali, adesso possiamo passare alla scelta del soggetto da
realizzare: una copia dall’antico? Un paesaggio? Un bozzetto moderno?
….Per realizzare
una copia fedelissima, si esegue il lucido sull’originale, ricalcando i
contorni di ogni tessera e mantenendo il valore degli spazi … Si numera ogni
tessera, ad ogni numero dovrà corrispondere un colore di un campionario di
tessere musive … Si potrà poi su una copia del lucido dipingere ogni tessera,
ottenendo così un cartone dall’antico che può utilizzarsi a fini didattici o
professionali per eseguire delle copie a mosaico.
… Un modo più
semplice per eseguire la copia di un mosaico antico è il seguente: occorre una
riproduzione a colori del mosaico, in modo che siano distinguibili le tessere.
Si eseguono delle fotocopie ingrandendole sino ad arrivare alla presunta
dimensione reale del mosaico, infine si esegue il lucido ……
Un altro sistema
richiede l’uso di un proiettore per diapositive.. Si predispone una parete per
la proiezione, collocandovi un foglio di carta bianco, si proietta l’immagine e
si sposta il proiettore in avanti o indietro sino ad ottenere la dimensione
desiderata. Curare la messa a fuoco e poi con una matita ripassare tutto il
disegno.
..La traduzione a
mosaico di un dipinto. Non può considerarsi un fatto asettico ed automatico, ma
un atto che lo rende uguale e diverso contemporaneamente.
LE COLLE
..tre tipi di colla
che utilizza il mosaicista: la colla da parati, quella di coniglio e la colla
di farina. … La colla che si può utilizzare per incollaggi definitivi è il
vinavil, che ha qualità di resistenza notevoli.
ATTREZZI PER
MOSAICISTA
Gli attrezzi che un
mosaicista può utilizzare per il taglio delle tessere sono: martellina e
tagliolo, tenaglie giapponesi e tenaglie da carpentiere..
…pinza da mosaico..
I laboratori più attrezzati e le fabbriche di materiali dispongono di
particolari attrezzi chiamati tranciatrici che rendono il tagli più agevole..
…spillatrice, ago,
tagliavetro, pinzetta da tipografo, stecche di acciaio..forbici per carta e
stoffa, rete metallica, taglino…cazzuolino, cazzuola e spatole, …setaccio,
caldarella, spruzzatore ed occhiali…spazzola di seta dura, pennelli di setola,
pennelli di pelo di bue. La smerigliatrice è un attrezzo utile per molare il
tagliolo, senza toglierlo dal ceppo.
LEGANTI
INERTI SUPPORTI
…Quasi tutti
i leganti possono essere modificati nel loro colore con
l’aggiunta di coloranti … Il cemento normale è il legante più economico e
facilmente reperibile ..
Si usa con un inerte –
sabbia argilla espansa – per costruire lastre di diverso spessore e di diversa
dimensione… Un altro cemento può essere considerato l’emaco… consente di
ottenere lastre più resistenti e più sottili.
L’adesivo per
piastrelle più che un cemento è una colla e, come tale, si può
utilizzare solo a piccoli spessori…I gessi ..si differenziano
soprattutto per la rapidità nell’indurimento…il mastice è un
prodotto che ha come amalgamante degli oli che lo mantengono morbido per
diverse settimane…La resina è preferibile che non sia
utilizzata dal dilettante… La calce è commercializzata sia in
povere che già amalgamata con l’acqua… Il das può essere utile
in sostituzione del mastice per piccoli pannelli a mosaico … L argilla a
volte è utilizzata come supporto provvisorio..
Sabbia di mare… sabbia di fiume .. sabbia di
montagna…argilla espansa
TESSERE :
TAGLIO CARATTERISTICHE DISPOSIZIONE
Sapere tagliare il
materiale musivo nella forma e nella dimensione adatta al bisogno è una
capacità che si acquisisce soprattutto con l’esercizio …
…E’ necessario pure
sapere come organizzare le tessere dentro uno spazio: la forma che devono
avere, la dimensione, il volume, l’orientamento,lo spazio ottimale tra una
tessera e l’altra. Questi sono gli elementi di un linguaggio, quello “musivo”,
con il quale il mosaicista trasmette le proprie emozioni. Ad essi vanno sommati
gli effetti pittorici propri di ogni tessera ed il loro rapporto con la luce. …
Le tessere possono essere ordinate in filate o seguire andamenti: comunque
devono essere distribuite in modo che siano in armonia con la forma che le
contiene e in accordo con le esigenze estetiche e compositive dell’opera.
…………………………………………………………………………….
(per gentile concessione dell'Autore)
Le BOTTEGHE D'ARTE
DI MONREALE
Artisti MOSAICISTI:
Nino Renda, Francesco Lo Coco, Benedetto
Messina, Pino Anselmo,
NINO RENDA
Nel 1991 sulla
rivista edita a Milano, "Keramikos" (n. 21) pubblicavo un articolo
dal titolo I colori delriuso (con foto di Giovanni Russo) che trattava di
quelle straordinarie pareti rivestite di piastrelle maiolicate ancora visibili
nella Palermo antica; ex pavimenti divenuti colorate superfici esterne per la
difesa di costruzioni fatiscenti, pachwork divertenti nati da una creatività
spontanea e popolare. Qualche tempo fà ho avuto modo di conoscere un altro tipo
di riuso di maioliche, più sofisticato, attuato da un appassionato
collezionista di tali manufatti della gloriosa tradizione ceramica siciliana,
Nino renda.
Artigiano, design,
arte applicata, operazione di recupero, come definire il lavoro di
Nino Renda
che approda oggi a risultati così sorprendenti? La sua lunga attività di
mosaicista, svolta a Monreale, unita alla passione per il collezionismo di
antiche mattonelle decorate (ne possiede una enorme quantità) ha generato
questa originale esperienza artistica...
E' facile andare
con la memoria a Gaudì, al suo genio decorativo che sfruttava molto spesso
frammenti di ceramica colorata per rivestire parti di architetture: pensiamo al
Parco Guell o ad altri suoi capolavori presenti nella città di Barcellona.
Anche Renda recupera dalle discariche frammenti di mattonelle di
pavimenti dismessi per conservare, salvare dall'oblìo, dalla distruzione,
delicati motivi floreali, accordi cromatici insoliti, segni e colori di
pavimenti dimenticati, per farli rivivere in modo nuovo, trasformandone il
senso. Nascono allora pannelli dalle originali composizioni con equilibri
cromatici mai casuali bensì sapientemente calibrati. Si riciclano così vecchi
frammenti, pronti per la distruzione estrema, valorizzandone ed esaltandone
l'essenza di manufatto pregiato, depositario di una storia ormai segreta ma che
affiora con ironia, ammiccando da un fiorito brulichio di colori. renda ama
quei materiali e vuole ad ogni costo farli rivivere creando pannelli, oggetti
da arredo, sculture, ecc. nei quali la qualità, specifica, particolare della
maiolica, non perda il suo valore,non si banalizzi Collage o meglio puzzle di
ceramica su fondi di marmo o di cemento, neutro o colorato, propongono
simpatiche trovate formali. renda ha provato, con successo, a dar nuova vita a
quei piccoli frammenti, quasi sprigionando da essi una carica vitale
insospettata, ideando delle immagini inedite nelle quali la novità degli
accordi accende un dialogo nuovo tra i frammenti stessi. Alla nostalgia di un
passato irrimediabilmente perduto si oppone l'ottimistica visione della
possibilità di un recupero creativo. Renda, custode di oggetti altrimenti
annientati dall'inesorabile trascorrere del tempo, certo non trattandoli come
reliquie, opera facendo scaturire da essi, attraverso un progetto, emozioni
nuove, senza porre limiti alla fantasia. Egli ha dimostrato che si possono
nobilitare attraverso il suo modo di operare oggetti funzionali, arredi da
usare in esterni, come tavoli, basi di ombrelloni, panchine, ecc. , oltre ai
pannelli decorativi. Infine speriamo che tale esperienza, questa sorta di gioco
creativo, possa allargarsi, proliferare, anche considerando l'attività
didattica di Nino Renda rivolta ai giovani.
Maria Antonietta Spadaro
Secondo Plinio, i
mosaici nacquero dapprima per far belli i pavimenti (Naturalis Historia, libro
V). Serviranno per arricchire di forme e colori smaglianti le stanze più
importanti di edifici pubblici e privati e anche per immortalare in materiali
solidi e preziosi quadri e decori dei più famosi artisti dell'antichità. Con l'andare
del tempo, questi "tappeti di pietra" dai pavimenti si alzarono a
conquistare pareti e soffitti, riempiendo case e basiliche, ville e dimore
imperiali. Irradiata dal mondo antico, l'arte musiva conosce una fioritura
grandissima nelle capitali cristiane. Roma, Venezia, Ravenna, Bisanzio,
Palermo, Cefalù e Monreale si ammantano di cicli imponenti, e solo con
l'avanzare dell'umanesimo la decorazione a tessere conosce il suo declino. Il
mosaico (che in greco vuol dire "opera paziente degna delle Muse") cade
in sub-ordine rispetto alla pittura, ma continua ad essere prodotto. I grandi
collezionisti ricercano e fanno spesso pesantemente restaurare quelli antichi,
mentre su un altro fronte si diffonde la consuetudine di riprodurre nel
prezioso mosaico le opere pittoriche più celebri. Nella stagione del Grand
Tour, tra Sette e Ottocento, esplode la moda del "mosaico minuto".
Piccoli quadri, oggetti da souvenir e persino gioielli ospitano mosaici in
miniatura con soggetti alquanto convenzionali ma resi con notevole virtuosismo.
Nei primi decenni del Novecento, soprattutto in Italia, l'arte del mosaico
conosce una decisa riaffermazione, grazie alle ricerche compiute da artisti
quali Gino Severini e Achille Funi. I quali, ben sapendo che scoloriscono i
quadri, ingialliscono i libri ma il mosaico "pittura per l'eternità",
resiste, rifanno del mosaico un protagonista del dibattito artistico
contemporaneo, ridonando vitalità e vigore a scuole d'arte e botteghe che,
spesso, nate nei luoghi storici della produzione musiva, continuano a produrre,
con tecniche antiche e materiali anche insoliti, le nuove forme del colore. Ed
era inevitabile che, in una città come Monreale, questa tradizione continuasse
e si rinnovasse. Ne sono testimonianza le opere di artisti come Nino Renda al
quale va il merito di non accettare che il destino del mosaico sia soltanto la
riproduzione.. Cosi, il vero protagonista delle opere da lui rappresentate...
non è il racconto, bensì la materia alla quale egli ispira un linguaggio
evocativo. Lo fa, accogliendo quella corale domanda degli uomini che aspirano
alla bellezza, riuscendo a saldare arte e artigianato. E con l'adozione di
quella singolare espressione d'arte del collage, esempio tipico di
immaginazione e di invenzione autonoma che ha trovato uno di suoi migliori
interpreti nel celebre artista tedesco Max Ernest (1891-1976), ma anche in
Picasso, in Hans Arp ed in Enrico Baj. L'Artista monrealese, alle paste vetrose
(troppo lucide e sgarbate) riesce a strappare la congenita durezza, introducendo,
con un collage mediterraneo (a cui non è nuovo), una importante nouveauté:
quella di ri-crare con frammenti di mattonelle maiolicate del Sei e Settecento
recuperate dagli scarti di vecchie e antiche dimore della cittadina normanna,
un'immagine "altra", per un'evocazione: complementare e dissociante.
Si tratta di un'operazione estetica con cui conferisce alle sue opere
caratterizzate dal tipico decoro e dalla varietà cromatica e dal tradizionale
disegno geometrico, l'atmosfera di un dipinto prezioso e raffinato.Non più
dunque, le solite colombe su sfondo azzurro, realizzate per essere viste alla
distanza, nè il gioco degli angeli e madonne ottenuto con minuti tasselli
policromi. Se è vero che non c'è futuro senza passato, il coraggio di
rinnovarsi sta proprio nel mantenere credibile la tradizione. Un'operazione
artistica con cui nino Reda riesce, nello stesso tempo a mantenere, attraverso
le filate mosaicate di contorno (o scontornate), un ordine compositivo, e non
ricostruttivo. Le tessere( di marmo, bianche lattimuse) in tal modo, continuano
a dettare i propri ritmi, e dal cuore della struttura prendono corpo e
anima Concerto di Primavera, Composizioni floreali, Geometriche,
Alberi, Crocifisso, ottenuti con i decori di splendidi lacerti di
mattonelle mediterranee. Delle quali non è difficile ricordare l'evoluzione
delle varie tecniche: dal lavoro a mano completamente libera, all'uso della
mascherina, della corda secca e dello spolvero. Ma è nei cuori che risiede il
potere vero della loro seduzione. Sono colori di lievissima trasparenza,
dall'ocra al ròssolo , all'azulene, convenuti a comporre originali citazioni
inscritte nello spazio, vaporosi mazzi di fiori , pause e semicrome barocche,
delicati bouquets, esili arbusti, smaltate parvenze mistiche che fanno di
queste opere autentici oggetti del desiderio. Di tanto in tanto, il mosaicista
torna pittore, si arma di spatole e pennelli e facendo tesoro della sua lunga
esperienza didattica, prende a modulare con acuta percezione espressiva, toni,
urgenze istintive, assonanze linguistiche, con una certa disposizione
depisiana. Ma soprattutto con quel commosso stupore che è il sentimento più
genuino da cui germina la sua arte che promana dal dialogo intimo e segreto fra
mosaico e maioliche e dà corpo, per amorosa contaminazione, ad un moderno
espressionismo che ci fa percepire il piacere della creatività.
Pino Giacopelli
IL MOSAICO DELL'ARTISTA
PINO ANSELMO
PINO ANSELMO
IL FAVOLOSO MONDO DELLA FINZIONE
Pino Anselmo, nasce a Monreale nel 1942. Ha studiato presso l'Istituto Statale d'Arte di Palermo dove ebbe modo di conoscere ed apprezzare il Maestro Alfonso Amorelli. Ha conseguito successivamente il Diploma all'Accademia delle Belle Arti di Palermo. Ha, quindi, insegnato discipline pittoriche presso l'Istituto Statale d'Arte di Monreale. Ha partecipato a numerose collettive sia in ambito nazionale che internazionale. Con il maestro Alfonso Amorelli, di cui divenne l'allievo prediletto e dal quale attinse l'impulso all'astrazione, collaborò alla realizzazione delle scenografiw a Siracusa e Segesta in occasione di varie rappresentazioni classiche. Artista dalla pluralità di interessi, che vanno dalla ceramica al mosaico, dalla scultura alla pittura, ha tenuto nell'arco della sua carriera numerose mostre personali in Italia e all'estero conseguendo svariati riconoscimenti. Il Maestro Pino Anselmo rivolge le sue opere su una moltitudine di accordi, su un caleidoscopio di colori armonico come l'arcobaleno. Cerca l'equilibrio, la simbiosi tra spazio, forma e colore. prende spunto dalla realtà per giungere a composizioni astratte, talora surreali, dove la notevole energia del colore caratterizza le sue espressioni, dall'azzurro, al rosso, al giallo. E' come se, come i mistici orientali, dopo una profonda meditazione, riuscisse a raggiungere una realtà unica, armonica, in cui l'uno è il tutto. E' come se volesse dare sfogo con il suo istinto pittorico a queste intuizioni e a rendere leggibili le sue visioni trascendentali. Nelle ultime sue composizioni traspare chiaramente l'uso della metafora, dell'astrazione geometrica; il gusto del dipingere e di cercare l'equilibrio tra colori è sempre vivo. L'artista descrive il suo tempo con una carica fantastica. Cardinali e preti rubano spesso la scena al paesaggio circostante. Pino Anselmo è capace di evocare liturgie, di far cantare la materia. I suoi colori seguono una via precisa, dettrata dall'illuminazione interiore. per Anselmo il colore è fascino: il mondo senza colori sarebbe impensabile. Il colore a cui si affida, dalle diverse gradualità, dalle varie sfumature generate dallo loro collocazione contestuale nelle sue opere, è sorprendente per il generante carico di luce, per lo spessore materico, per il valore dinamico impresso attraverso i loro accostamenti. Egli fornisce delle descrizioni sempre moderne della realtà che ci circonda, con singolare sagacia compositiva, ma tutto trasfigurando, rompendo gli argini convenzionali della realtà sotto l'impulso di una sperimentazione ricca di esiti sorprendenti, che vanno a lievitare nel favoloso mondo della finzione. La sua ricerca personale spazia dalla figurazione all'astrazione senza soluzione di continuità, lasciandosi guidare dall'intuizione.
L'impulso all'astrazione gli deriva dall'essere stato allievo del grande Alfonso Amorelli. Al Maestro Pino Anselmo, si è voluto offrire l'opportunità di valorizzare e far conoscere anche all'esterno le sue innumerevoli opere. Monreale nei secoli è stata feconda di personaggi che si sono affermati nei vari campi della cultura. E sarebbe nostro desiderio quello di concorrere ad un nuovo risorgimento culturale della nostra cittadina.
Dr. Girolamo Mirto
Consulente per la Pittura del Comune di Monreale
DALLA FIGURAZIONE ALL'ASTRAZIONE
Apprestandoci a guardare e riguardare le sue opere più recenti, diciamo subito che siamo in presenza di un pittore originale: nel senso che risale alle origini, con il risultato di consegnarci dei manufatti che rispondono a quelle necessità di stupore e talvolta di innocenza che De Chirico rivendicava per ogni opera d'arte vera. Per il Maestro Pino Anselmo, è come se egli operasse per cicli, rinnovandosi di continuo, orchestrando i dipinti su una molteplicità di accordi, avvolgente come una carezza. cercando l'armonia tra spazio, forma e colore. In questi cinquant,anni di attività il suo percorso artistico ha attraversato diversi innamoramenti e tensioni emotive, ora trattenute intenzionalmente nelle cadenze della metafora, ora assecondando esigenze narrative, ora sospinto da contaminazioni di generi. Ma il piacere nervoso del dipingere e di amalgamare paste alte, è sempre rimasto un evento spontaneo, un gioco inedito. Di fatto, il lavoro dell'artista monrealese rappresenta una chiave di volta nell'evoluzione di una visione prospettica tutta interna al quadro. Emerge, allora, la carica fantastica con cui l'artista interpreta il suo tempo, laddove la trama pittorica si fa così avvolgente e densa, al punto che la superficie del dipinto acquista vita propria, indipendentemente da ciò che vi è rappresentato. Egli ama dipingere anche su grandi tele. Lo fa attingendo dalla realtà, per approdare a composizioni allusive, mercuriali, cariche di rimandi e di metafore che talvolta sfiorano l'iperbole a scrittura no semplice a leggersi senza un guizzo di ironia, mentre la squillante energia del colore ne scandisce l'impeto espressivo, nell'azzurrità e nei colori della vita. E qui, cardinali e preti (non come quelli che volano di Nino Caffè), finiscono per rubare la scena pure al verdante paesaggio. Perchè il Maestro Anselmo (un artista laico, direbbe Raffaele De Grada), è capace di evocare liturgie e di far cantare la materia e di farci scoprire l'infinito. Mentre i suoi colori vanno dove devono andare: secondo estro e illuminazione interiore. Giacchè, per questo pittore, niente è così affascinante come il colore. Ma, per lui, senza i colori il mondo sarebbe impensabile e invivibile. Visitando questa mostra, sarà, infatti, difficile resistere alle seduzioni di quel suo universo tanto luminoso e colorato, da stordire. Al Maestro monrealese, più che il racconto, interessano le immagini, che sono la visualizzazione di un pensiero estetico strutturale e poetico, come nelle opere Sguardo di fanciulla, le sue trecce, Donne, il mistero, Un volto, la sua misteriosità. Spesso, sono le immagini, sospese nella trama della materia, che diventano forme di pura invenzione lirica: che si intrecciano e si sovrappongono secondo il ritmo delle emozioni, creando uno spazio fantastico di cui l'artista si appropria facendolo crescere in un rapporto di germinazione e di complessa elaborazione mimetica, presentandoci delle composizioni dense di risonanze emotive e di una forte carica emblematica che testimonia una realtà umana premuta di significati e di variazioni. Di più: fornendo chiavi di lettura sempre aggiornate per la realtà che ci circonda. Come quando il suo pennello si ferma a contemplare (come fa in una sua mostra precedente) la maestà d'un albero che prende slancio negli arabeschi lineari che ricordano le linee-forza di Giacomo Balla. Il pittore Anselmo, dopo avere espresso il suo interesse per la tragica epopea dei giovani ed onesti servitori dello Stato (Morte della legge) per i quali (nel dipinto) accende una teoria di lumini a perenne memoria, si è sentito attratto da cupole di ascendenza islamica con segni multipli che guizzano come grandi ali nell'azzurro di un cielo senza nuvole e da colori rutilanti che sotto l'impulso di emozioni sempre rinnovate sedimentano in una dimensione onirica rarefatta. Oggi, le pennellate morbide e decise e sempre variate innervano fantasie di colori tenui caldi cangianti mediterranei, sospesi come se attingessero direttamente dalle passioni degli uomini e dallo spirito eterno dell'universo. E sono spuntati Gelsomini di Sicilia, Ginestre, Spighe di grano e insieme l'Albero dei Cardinali e i Fiori con tanto di cappello. Qui giunti, va ricordato pure, che in lui l'attenzione per la figura non è mai venuta meno: e dove il segno si impenna, si sfuma in dissolvenza o si intenerisce, la sintassi si fa eccitazione fantastica e le forme diventano enigmatiche, sospese in un'aura ambigua. Così da sembrare, senza volerlo, un pittore simbolista: come il borghese gentiluomo di Molière che parlava in prosa senza saperlo. Ed alla fine, realizzando un rapporto che si concretizza nella individuazione di brani di reale, visto in chiave fantastica, dove tutto è segreto e nello stesso tempo allusivo, come I pensieri di una donna pettegola, Giocattoli in soffitta, Pesci nella rete, Il fiore e la libellula, Fiori secchi di Gipsofila. L'artista monrealese mette al servizio della sua passione creativa tutti quei suggerimenti che, di volta in volta, affiorano alla sua fantasia, con singolare sagacia compositiva, con piglio liberante, ma tutto trasfigurando, rompendo gli argini convenzionali della realtà sotto l'impulso di una sperimentazione ricca di esiti sorprendenti che vanno a lievitare nel favoloso mondo della finzione, come A passo di cardinale, L'albero gravido, Cigno curioso, Nel mare, la vita. La sua ricerca personale-sia detto senza pensare che si vuol fare una dichiarazione di poetica- spazia dalla figura (o meglio dalla figurazione) all'astrazione senza porsi limiti se non quelli del piacere del dipingere, di lasciarsi guidare dagli incanti del segno e della tavolozza, quasi a testimoniare come un paesaggio o un ritratto o un'aria screziata di colore, non siano, in pittura, un periglioso artificio. Opportunamente, un grande pittore siciliano come Gigi Martorelli, ha precisato che "la contrapposizione tra astrattismo e figurativismo è un nonsense", poichè la figura non è che un pretesto formale, cromatico, ritmico, ed è alla forza del segno nello spazio più che alle qualità mimetiche che si devono i rimandi, le allusioni che ogni lettura dell'immagine porta con sè come Sèpali e petali di strelitzia, Un volto, la sua misteriosità, Vespri siciliani.
Attenti, perciò anche ai livelli di lettura molteplici che si celano sotto la loro superficie cangiante facendo vibrare le corde più intime di risonanze inaspettate, sublimando il dato naturale in un nuovo modo di intendere la sensazione visiva. Nei pannelli musivi che spesso riproducono anche le sue opere pittoriche, le tessere vetrose, i marmi, le pietre della superficie assorbente, i vetri colorati, lavorati, tagliati in forme e grandezze diverse prendono e danno luce nel contrasto e nella trasparenza mentre lo stato rivelativo dell'immagine vitalizza e ri-crea le linee essenziali del disegno sinopiale con accenti di modernità stupefacenti che troviamo anche, negli sbalzi e, naturalmente nelle incisioni e nelle vetrofusioni nelle quali realizza, attraverso raffinate alchimie, preziosità tattili particolarmente elaborate.
Sono opere con cui l'artista monrealese, mentre coglie l'amalgama del colore palpitante di vita del Tempio normanno di Guglielmo, continua ad evocare scenari la cui resa si fa percettivamente corposa e il segno architettonico coinvolgente. Restituendoci la magia della durezza di un'arte strappata alla materia di cui egli continua ad avvertire l'assillo, il pathos, le suggestioni come nelle impareggiabili rappresentazioni musive: Grande portale di una chiesa, Uccelli d'Oriente, I pesci, la loro vita, Mistero negli occhi di una donna. Gli è che siamo di fronte ad una pittura di grande respiro artistico, dove il senso del colore è sovrano; una pittura rapinosa, moderna, originale, forse unica nel suo genere, e ad un autore schivo e solitario che ha capacità di vivere il suo tempo proiettandosi in una dimensione "altra", e che proprio per questo, si è già conquistato un suo ruolo da protagonista nella vicenda dell'arte contemporanea.
Attenti, perciò anche ai livelli di lettura molteplici che si celano sotto la loro superficie cangiante facendo vibrare le corde più intime di risonanze inaspettate, sublimando il dato naturale in un nuovo modo di intendere la sensazione visiva. Nei pannelli musivi che spesso riproducono anche le sue opere pittoriche, le tessere vetrose, i marmi, le pietre della superficie assorbente, i vetri colorati, lavorati, tagliati in forme e grandezze diverse prendono e danno luce nel contrasto e nella trasparenza mentre lo stato rivelativo dell'immagine vitalizza e ri-crea le linee essenziali del disegno sinopiale con accenti di modernità stupefacenti che troviamo anche, negli sbalzi e, naturalmente nelle incisioni e nelle vetrofusioni nelle quali realizza, attraverso raffinate alchimie, preziosità tattili particolarmente elaborate.
Sono opere con cui l'artista monrealese, mentre coglie l'amalgama del colore palpitante di vita del Tempio normanno di Guglielmo, continua ad evocare scenari la cui resa si fa percettivamente corposa e il segno architettonico coinvolgente. Restituendoci la magia della durezza di un'arte strappata alla materia di cui egli continua ad avvertire l'assillo, il pathos, le suggestioni come nelle impareggiabili rappresentazioni musive: Grande portale di una chiesa, Uccelli d'Oriente, I pesci, la loro vita, Mistero negli occhi di una donna. Gli è che siamo di fronte ad una pittura di grande respiro artistico, dove il senso del colore è sovrano; una pittura rapinosa, moderna, originale, forse unica nel suo genere, e ad un autore schivo e solitario che ha capacità di vivere il suo tempo proiettandosi in una dimensione "altra", e che proprio per questo, si è già conquistato un suo ruolo da protagonista nella vicenda dell'arte contemporanea.
Il mosaico dell'Artista Prof. FRANCESCO LO COCO
Frank.lococo@alice.it
E’ nato a Monreale (Palermo) nel 1951.
Attualmente insegna discipline plastiche al liceo artistico “Damiani
Almejda” di Palermo.
Vive e lavora a Monreale/Palermo
IL MONDO STESSO PUò DEFINIRSI MITO, POICHè VI APPAIONO CORPI E COSE, MENTRE LE ANIME E GLI SPIRITI RESTANO NASCOSTI
SALLUSTIO, SUGLI DEI E SUL MONDO
Un'Isola fragile e
instabile dai confini indecifrabili.
Approdo, ormeggio
insicuro come insicuro è ogni tentativo di chiudere la nostra esperienza
quotidiana in un qui e ora mentre invece ogni nostro limite è sempre
travalicato da quanto conosciamo ma sempre meno ascoltiamo.
Su di essa un
Tappeto di argilla, riquadri di creta incisi da segni multiformi,
un'enciclopedia del totalmente altro, si inclinano per rivolgersi a tutti gli
orizzonti.
Ai margini, piccoli
oggetti lasciati da viaggiatori che ci hanno preceduto, Forme della devozione
si staccano dal terreno sospese a diverse altezze, infine due Colonne. Non sono
i dispersi relitti lasciati dal Tempo o dal mai sazio Oceano, meno che mai
dalle tempeste che hanno soffiato fino a farsi scoppiare i polmoni, sono i
segni ordinati in un loro particolare ordine, tracce di un rapporto spesso
interrotto tra qui e l'altrove.
E' ciò che resta di
un luogo che non c'è, un tempio, che non è mai esistito in cui l'homo
religiosus osserverà, starà attento, riandrà col pensiero, releget appunto,
insomma il luogo dell'incontro con lo straordinario. Tutto ciò può diventare
propizio. Oltre, al di là dell'Isola, una Scala con gradini che si allungano si
distendono quasi per rimettere in contatto qualcosa che pare separato per sempre
o farsi transito per chi volesse dalla Terra giungere al Cielo, o che non sia
opposto il percorso?
Avviciniamoci
allora, ma usiamo i debiti riguardi nessuna negligenza è consentita. Sull'Isola
solo il rumore dei nostri passi attenti su un terreno incerto che cede.
Compaiono altre
piccole Isole, luoghi divenuti portatili, monti scoscesi e rupi impervie, Forme
depositate in dono e voto che si sollevano dal luogo stesso per offrirsi.
Immagini, racconti particolari in cui è però possibile riconoscere qualcosa di
ciascuno di noi. Ognuna reca in sè l'impronta dell'artefice su cui brilla la
fiamma della devozione. Una devozione che è apertura per accogliere la vita,
superare le difficoltà, raggiungere stadi successivi di consapevolezza e
comprensione , amare per amore dell'amore.
Subito oltre il
tappeto, fatto di quella stessa polvere della terra su cui dicono l'eterno
soffiò per infondere la vita al primo uomo, ondeggia coi suoi simboli diversi
ma uguali nell'indicare la necessità di uno slancio, il desiderio di essere più
di sè stessi, il nostro destino di zoon politikon.
Occasione di
contemplazione e meditazione: sentirsi parte di qualcosa di più largo in cui si
sciolgono le miserie del sopravvivere quotidiano, tace il rumore di fondo,
scompare ciò che non è necessario e si incontra l'altro che è in noi e fuori.
Ed eccoli, un pò
più in alto su una piccola base sorgono Urano e Gea, secondo alcuni l'inizio di
tutto, secondo altri invece preceduti dal Caos primissimo, ma poco importa sono
loro ad essere qui in quello che doveva essere l'andito profondo della cella.
Lei Gea è avvolta da un mantello di caldo rame e si apre rigonfia, il ventre
gravido di azzurri e verdi fluenti, qualche rosso e oro incastonato a farlo più
vivo e palpitante, si spinge arrotondato avanti a contenere la forza del
vulcano, l'energia creativa depositaria del segreto originario. Il femminile
creativo che rimane inaccessibile e si tiene separato, un'inimicizia quasi.
Accanto, Lui Urano figlio e sposo, costretto nel freddo metallo si squarcia
reciso da Crono. Aggredito nel momento dell'esplosione amorosa sprigiona
insieme e il seme e il sangue. Il rosso zampilla ovunque, da quello caduto
sulla terra nasceranno le tremende Aletto. Tisifone e Megera mentre
dall'immortale carne gettata nel mare sorgerà l'ancor più furiosa tiranna
Afrodite. Stille di sangue, materia vivente pulsante fuoriesce dal corpo
divino, coralli pietre oro in tessere inclinate sfalsate, pezzi di ogni forma e
misura traducono nel linguaggio delle Muse il dolore del dio.
Tracce d'azzurro in
alto ci ricordano ancora della congiunzione con la dea. Feroce separazione tra
Cielo e Terra. Con le sue piogge benefiche la feconda ma talvolta la travolge
con le sue tempeste inarrestabili.
Il repentino
distacco si mostra, contraddizione solo apparente, attraverso la paziente
lentezza di un lavoro faticoso. D'altronde non è possibile una risposta rapida
e diretta, occorre girare intorno, valutare gli effetti che progrediscono verso
quel possibile equilibrio che solo l'arte può concepire tra pietà e terrore. Un
ponte non illusorio verso il mistero dell'ancora non conosciuto, non solo la
paura della morte o della malattia ma anche la forza e la capacità di
riconoscerci come parte limitata ma nello stesso tempo non limitabile.
Un ponte che ci
avvicina a eventi che paiono lontani ma che riconosciamo come reali, di una
realtà diversa da quella quotidiana.
Una realtà tradotta
in simboli forti radicati in uno strato profondo della psiche, e che sono anche
espressione dell'immaginario collettivo, il modo stesso in cui ci pensiamo e
conteniamo la nostra storia e cultura. Una cultura e un pensiero che si
sviluppano non solo attraverso schemi logici ed astratti ma anche per immagini,
una cultura di "pensatori per immagini". E l'arte, come il mito e il
sogno, "è una narrazione che si sviluppa per immagini, che incide su
una dimensione fantastica, che trasmette modelli simbolici profondi".
Si nutre del medesimo ambiguo cibo. E poi anche noi siamo della stessa sostanza
di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno che
accoglie la natura amorale e selvaggia del mito.
Concludiamo allora
con auspicio: il luogo in cui Crono gettò la falce di Adamante che la madre
indignata gli consegnò non ha trovato stabile collocazione, vagando da Patrasso
a Ischia per giungere alla più vicina Zancle. A noi piaccia immaginarlo ora
qui, nel golfo sabbioso tra capo gallo e punta Célisi, nel mare verso cui
guardiamo insieme a Urano e Gea, aspettando chissà di vede sorgere dalle onde,
nutrita dalla schiuma rappresa intorno all'immortale carne del dio, Afrodite la
geniale, la terribile e irresistibile dea.
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