ECOLOGIA

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Città sognate. Sono...le città possibili, mai nate davvero, che l'uomo contrappone-nei laboratori della fantasia e dell'astrazione-alla miseria della realtà. <Utopie> urbane di tempo in tempo vengono evocate, descritte o disegnate, come proiezioni immaginarie -dentro spazi ideali-di società più razionali e giuste di quelle reali: <perfette> secondo le regole costruite a tavolino di una ragione teorica. <Idee di città> d'altra parte sottendono, come modelli di riferimento sempre incompiuti, la formazione di ogni città concreta. Esse non precedono la vita, e non ne vivono  una propria. Ma esiste nella storia un rapporto dialettico, incessante e drammatico, tra città e società, idea di città; la sua <città sognata>. Finora, cioè è stato sempre espresso nella <figura della città>. Le condizioni contemporanee hanno reso problematica la replica di quel rapporto, identico a se stesso. Tutti i suoi termini registrano crisi di identità o credibilità: la forma e la stessa organizzazione della città; il ruolo dell'idea - in particolare dell'utopia- nella dialettica della storia; lo stesso contratto sociale nell'epoca delle società industriali di massa. Proprio perchè quel rapporto oggi è in crisi pur apparendo irrinunciabile, è opportuno occuparsi di un argomento apparentemente meno urgente di tanti problemi immediati della città esistente. ...
Poichè modelli e idee non si muovono per vita propria, è importante essere consapevoli di chi e come li fa agire ; essere in grado di leggerne la chiave di funzionalità sociale, di gestirli (o contrastarli) anzichè esserne gestiti . In secondo luogo, non dobbiamo disconoscere  la connaturata duplice dimensione dell'utopia  (come dell'immaginazione artistica, o del sogno) . Costruendo una realtà alternativa-attraverso una invenzione liberata dai vincoli contingenti ma da essi stimolata - la città sognata da un lato  opera una fuga nevrotica dai problemi del mondo; oppure una loro mistificazione. Corre continuamente il rischio di allontanare il pensiero  dalla città concreta; o di giustificarla nel nome di una immagine abbellita, sublimata, ideale. Ma dall'altro lato rimane vero che proprio attraverso l'utopia  (l'arte, il sogno, la scoperta di nuovi rapporti attraverso la fantasia) si riesce talvolta ad evadere dall'abitudine di società già date, cercandone di migliori nelle forme di migliori città. Vale al pena di correre il rischio dell'utopismo, allora, per disporre degli strumenti innovativi dell'utopia. Infine, non è possibile modificare un'attualità sgradita con un futuro migliore senza il riferimento di un modello su cui esercitare un desiderio capace di suscitare la coesione degli attori sociali in grado di progettare e realizzare la trasformazione. Si può essere delusi quanto si vuole dalle ricorrenti strumentalizzazioni dei modelli: e perciò smagati. Ma tra disincanto e cinismo il passo è breve e pericoloso. Lo diciamo perchè proprio chi sia più cosciente delle carenze materiali della città (e più impegnato nella sua modificazione empirica) rischierà di ritenere ineffettuale e perfino colpevole un lavoro oltre la gabbia di un bieco realismo; e perciò esornativo il tema qui proposto . Rischierà di non accorgersi di essere gestito- nei suoi frammenti di realtà- da disegni più generali dalla cui comprensione, nonchè formazione , riamane escluso. La  partecipazione popolare  alla gestione della città è sicuramente il fattore progressivo più capace, negli ultimi anni, di costringere l'urbanistica ad un salto di qualità. Ed è, apparentemente, quanto di più lontano possa darsi dal mondo delle idee, dei modelli delle utopie. Le sue prime difficoltà però ci avvertono: lo scontro di posizioni settoriali e corporative, il ricorso  a modelli di comportamento e di insediamento già imposti e banalizzati dalla logica dominante, non sono sintomi sottovalutabili.
In mancanza di una visione del mondo, di idee alternative di società e perciò di città su cui esercitare il desiderio e la lotta di trasformazione, la partecipazione rischia di mobilitare nuove energie per perseguire obiettivi vecchi con strumenti spuntati. La partecipazione come utopia regressiva. Invece è proprio attraverso una partecipazione popolare , capace di farsi carico nonchè di frammenti anche di disegni complessivi, che il Paese potrebbe- anche per l'urbanistica- superare il rischio di fasi involutive. ...