Nino Renda, i suoi mosaici


I Mosaici di  NINO RENDA



I miei mosaici sono realizzati con materiali trovati e recuperati un pò ovunque. "Io non cerco, io trovo". 
"Bisogna prendere il buono ovunque lo si trovi, bisogna lavorare in modo che ogni realizzazione diventi di pubblico godimento "
E' molto bello per me far rivivere questi materiali che hanno il loro tempo ed una storia. Quando lavoro sono solo, solo in compagnia della mia solitudine e delle mie pietre ascoltando la musica. E mi sento felice, come quando partecipo ad un grande gioco.

Non sono stanco ma felice perchè "ludo ergo sum".

Nino Renda








Nel cuore di Monreale, in prossimità del Duomo, un'insegna musiva indica "Via Ritiro". E' una strada breve su cui si affacciano alcune botteghe artigianali e in cui si sente il profumo di vecchi sapori: del pane cotto a legna, del basilico, del gelsomino...Volgendo indietro lo sguardo si staglia sullo sfondo una torre della Cattedrale.


Qui è la casa di Nino Renda e il suo laboratorio. Ha ricoperto la facciata di un decoro che sta a metà tra la millenaria tradizione del mosaico e l'esperienza modernista di Gaudì senza dimenticare l'immaginario barocco. Lo ha realizzato con vecchie maioliche siciliane spezzate e ricomposte in modo da incorniciare le aperture (anche la saracinesca rossa che acquista così nuova dignità), risalire lungo le pareti, aggrapparsi come un rampicante sui balconi, fingere una pianta, giocare a nascondino con i gerani e lasciare alla fantasia la possibilità di continuare all'infinito.
All'interno c'è disordine, ma è un disordine laborioso, fatto soprattutto di piastrelle, accatastate, rotte, in restauro, da catalogare...
Da vent'anni Nino renda raccoglie piastrelle, le restaura, le pulisce, le accarezza, le ama. Non ne butterebbe mai un pezzetto: quelle intere vanno ad arricchire la collezione, quelle danneggiate le utilizza per i suoi lavori. Ma non si limita a ricoprire superfici, da qualche tempo ha inventato un nuovo gioco: con pezzi di vecchie maioliche crea forme diverse e dal piano di cemento emerge un mazzo di fiori, un totem (o una croce) fino ad astratte geometrie, a fluide sinuosità, linee spezzate, rilievi in cui con sensibilità sfrutta i colori (bleu, verde, giallo) e i motivi antichi che vengono riproposti in forme originali.
Monreale 20.03.1992
Licia Scifo












Nel 1991 sulla rivista edita a Milano, "Keramikos" (n. 21) pubblicavo un articolo dal titolo I colori delriuso (con foto di Giovanni Russo) che trattava di quelle straordinarie pareti rivestite di piastrelle maiolicate ancora visibili nella Palermo antica; ex pavimenti divenuti colorate superfici esterne per la difesa di costruzioni fatiscenti, pachwork divertenti nati da una creatività spontanea e popolare. Qualche tempo fà ho avuto modo di conoscere un altro tipo di riuso di maioliche, più sofisticato, attuato da un appassionato collezionista di tali manufatti della gloriosa tradizione ceramica siciliana, Nino renda.
Artigiano, design, arte applicata, operazione di recupero, come definire il lavoro di Nino renda che approda oggi a risultati così sorprendenti? La sua lunga attività di mosaicista, svolta a Monreale, unita alla passione per il collezionismo di antiche mattonelle decorate (ne possiede una enorme quantità) ha generato questa originale esperienza artistica...
E' facile andare con la memoria a Gaudì, al suo genio decorativo che sfruttava molto spesso frammenti di ceramica colorata per rivestire parti di architetture: pensiamo al Parco Guell o ad altri suoi capolavori presenti nella città di Barcellona. Anche Renda recupera dalle discariche  frammenti di mattonelle di pavimenti dismessi per conservare, salvare dall'oblìo, dalla distruzione, delicati motivi floreali, accordi cromatici insoliti, segni e colori di pavimenti dimenticati, per farli rivivere in modo nuovo, trasformandone il senso. Nascono allora pannelli dalle originali composizioni con equilibri cromatici mai casuali bensì sapientemente calibrati. Si riciclano così vecchi frammenti, pronti per la distruzione estrema, valorizzandone ed esaltandone l'essenza di manufatto pregiato, depositario di una storia ormai segreta ma che affiora con ironia, ammiccando da un fiorito brulichio di colori. renda ama quei materiali e vuole ad ogni costo farli rivivere creando pannelli, oggetti da arredo, sculture, ecc. nei quali la qualità, specifica, particolare della maiolica, non perda il suo valore,non si banalizzi Collage o meglio puzzle di ceramica su fondi di marmo o di cemento, neutro o colorato, propongono simpatiche trovate formali. renda ha provato, con successo, a dar nuova vita a quei piccoli frammenti, quasi sprigionando da essi una carica vitale insospettata, ideando delle immagini inedite nelle quali la novità degli accordi accende un dialogo nuovo tra i frammenti stessi. Alla nostalgia di un passato irrimediabilmente perduto si oppone l'ottimistica visione della possibilità di un recupero creativo. Renda, custode di oggetti altrimenti annientati dall'inesorabile trascorrere del tempo, certo non trattandoli come reliquie, opera facendo scaturire da essi, attraverso un progetto, emozioni nuove, senza porre limiti alla fantasia. Egli ha dimostrato che si possono nobilitare attraverso il suo modo di operare oggetti funzionali, arredi da usare in esterni, come tavoli, basi di ombrelloni, panchine, ecc. , oltre ai pannelli decorativi. Infine speriamo che tale esperienza, questa sorta di gioco creativo, possa allargarsi, proliferare, anche considerando l'attività didattica di Nino Renda rivolta ai giovani.
Maria Antonietta Spadaro



Nino Renda - "ARMONIA"


Il lavoro di Nino Renda si svolge da tempo intorno ad un nucleo principale di intuizione poetica. Egli non adopera materiali che sono tipici dei mosaicisti ma sono frammenti recuperati e valorizzati. Interviene spesso come se fosse colore utilizzando questi materiali come scansioni rapide e terse, come alla ricerca di un ordine frantumato da ricomporre. si tratta di una nuova realtà musiva....
Francesco Carbone

Il recupero e montaggio di "frammenti e detriti" riportati e rivitalizzanti, in un processo di valorizzazione e di nobilitazione, costituisce spesso il motivo fondamentale della pertinace fatica di Nino renda. opere di questo genere testimoniano la vita dell'Artista dedicata all'insegnamento, alla ricerca ed alla sperimentazione sull'arte musiva. Il racconto figurativo non soltanto assolve una funzione figurativa o decorativa è anche denso di espressione e vitalità... 
Dino Ales



Nino Renda - ALBERO BLU


Con le sue opere Antonino Renda, opera una ricerca quale artista del suo tempo in una naturale transizione della classicità dell' "Icona" quale capacità di leggere il passato come il presente. Abile, sensibile e capace mosaicista, si è impegnato nell'arco della sua vita a creazioni di pannelli musivi e di mosaici parietali, che superano la mera riproduzione delle immagini sacre e delle diverse forme geometriche, riconoscendosi nelle stesse un suo linguaggio di reinterpretazione della immagine medesima. la sua ricerca trentennale, è certamente interpretazione del tutto singolare della proposizione di diversi materiali, trasformando la natura inerte e silenziosa dei singoli elementi adoperati su disegno opportunamente predisposto in decorazioni figurative, in "immagini composte", accostando i materiali più diversi "pietre dure, cottoli, marmi, smalti", ancor prima ricercati e selezionati e successivamente applicati in frammenti più o meno grandi o regolari, inseriti, su superfici. Non è un caso che Nino renda sin da giovane ha praticato incessantemente nel territorio, la ricerca di mattoni e maioliche pavimentali integre o meno, di frammenti di materiali diversi provenienti dalle dimissioni di abitazioni, nei luoghi di abbandono, divenute discariche di sfabbricidi, sino a diventare non soltanto un appassionato collezionista, ma un attento classificatore della loro provenienza, della tipologia e della capacità manuale degli artigiani, delle decorazioni raffigurate, dei segni,delle forme geometriche, dei colori degli smalti e così via. I suoi collagès, non si chiudono su se stessi, ma si aprono oltre, con il degradare dei toni,dei colori ora sui pannelli a pareti o come ripiani di tavoli, di sedie, o nella creazione di elementi scultorei che modellano lo spazio e ricercano la luce. Ne scaturisce una singolare creazione di esemplari unici che arricchiscono come elementi del design gli ambienti interni della abitazione o gli spazi di relazione esterni; dei luoghi collettivi di incontro. La sua sperimentazione raggiunge pienamente un forte significato allorquando, interpretando al meglio se stesso, raggiunge la scala urbana, la strada, intervenendo spontaneamente nella facciata della sua casa natale in via Ritiro nel centro antico di Monreale. L'inserimento in parte sulle pareti di frammenti o parti di antiche maioliche ottocentesche colorate, di elementi scultorei "i colombi", che si inseriscono fra le superfici d'intonaco, ricoprendo o modellando con inserti maiolicati gli stipiti delle aperture o porzioni del fondo facciata, ci conduce per certi versi ad un ricordare interventi operati da altri artisti del bacino del mediterraneo come il grande catalano Gaudì che ha rimodellato esternamente alcune sue architetture con gli elementi ceramici colorati le sue sculture, i manufatti esterni del parco Guéll di Barcellona
Cosenza, febbraio 2003  
Natale Sabella



Nino Renda - COMPOSIZIONE CIRCOLARE





Secondo Plinio, i mosaici nacquero dapprima per far belli i pavimenti (Naturalis Historia, libro V). Serviranno per arricchire di forme e colori smaglianti le stanze più importanti di edifici pubblici e privati e anche per immortalare in materiali solidi e preziosi quadri e decori dei più famosi artisti dell'antichità. Con l'andare del tempo, questi "tappeti di pietra" dai pavimenti si alzarono a conquistare pareti e soffitti, riempiendo case e basiliche, ville e dimore imperiali. Irradiata dal mondo antico, l'arte musiva conosce una fioritura grandissima nelle capitali cristiane. Roma, Venezia, Ravenna, Bisanzio, Palermo, Cefalù e Monreale si ammantano di cicli imponenti, e solo con l'avanzare dell'umanesimo la decorazione a tessere conosce il suo declino. Il mosaico (che in greco vuol dire "opera paziente degna delle Muse") cade in sub-ordine rispetto alla pittura, ma continua ad essere prodotto. I grandi collezionisti ricercano e fanno spesso pesantemente restaurare quelli antichi, mentre su un altro fronte si diffonde la consuetudine di riprodurre nel prezioso mosaico le opere pittoriche più celebri. Nella stagione del Grand Tour, tra Sette e Ottocento, esplode la moda del "mosaico minuto". Piccoli quadri, oggetti da souvenir e persino gioielli ospitano mosaici in miniatura con soggetti alquanto convenzionali ma resi con notevole virtuosismo. Nei primi decenni del Novecento, soprattutto in Italia, l'arte del mosaico conosce una decisa riaffermazione, grazie alle ricerche compiute da artisti quali Gino Severini e Achille Funi. I quali, ben sapendo che scoloriscono i quadri, ingialliscono i libri ma il mosaico "pittura per l'eternità", resiste, rifanno del mosaico un protagonista del dibattito artistico contemporaneo, ridonando vitalità e vigore a scuole d'arte e botteghe che, spesso, nate nei luoghi storici della produzione musiva, continuano a produrre, con tecniche antiche e materiali anche insoliti, le nuove forme del colore. Ed era inevitabile che, in una città come Monreale, questa tradizione continuasse e si rinnovasse. Ne sono testimonianza le opere di artisti come Nino Renda al quale va il merito di non accettare che il destino del mosaico sia soltanto la riproduzione.. Cosi, il vero protagonista delle opere da lui rappresentate... non è il racconto, bensì la materia alla quale egli ispira un linguaggio evocativo. Lo fa, accogliendo quella corale domanda degli uomini che aspirano alla bellezza, riuscendo a saldare arte e artigianato. E con l'adozione di quella singolare espressione d'arte del collage, esempio tipico di immaginazione e di invenzione autonoma che ha trovato uno di suoi migliori interpreti nel celebre artista tedesco Max Ernest (1891-1976), ma anche in Picasso, in Hans Arp ed in Enrico Baj. L'Artista monrealese, alle paste vetrose (troppo lucide e sgarbate) riesce a strappare la congenita durezza, introducendo, con un collage mediterraneo (a cui non è nuovo), una importante nouveauté: quella di ri-crare con frammenti di mattonelle maiolicate del Sei e Settecento recuperate dagli scarti di vecchie e antiche dimore della cittadina normanna, un'immagine "altra", per un'evocazione: complementare e dissociante. Si tratta di un'operazione estetica con cui conferisce alle sue opere caratterizzate dal tipico decoro e dalla varietà cromatica e dal tradizionale disegno geometrico, l'atmosfera di un dipinto prezioso e raffinato.Non più dunque, le solite colombe su sfondo azzurro, realizzate per essere viste alla distanza, nè il gioco degli angeli e madonne ottenuto con minuti tasselli policromi. Se è vero che non c'è futuro senza passato, il coraggio di rinnovarsi sta proprio nel mantenere credibile la tradizione. Un'operazione artistica con cui nino Reda riesce, nello stesso tempo a mantenere, attraverso le filate mosaicate di contorno (o scontornate), un ordine compositivo, e non ricostruttivo. Le tessere( di marmo, bianche lattimuse) in tal modo, continuano a dettare i propri ritmi, e dal cuore della struttura prendono corpo e anima Concerto di Primavera, Composizioni floreali, Geometriche, Alberi, Crocifisso, ottenuti con i decori di splendidi lacerti di mattonelle mediterranee. Delle quali non è difficile ricordare l'evoluzione delle varie tecniche: dal lavoro a mano completamente libera, all'uso della mascherina, della corda secca e dello spolvero. Ma è nei cuori che risiede il potere vero della loro seduzione. Sono colori di lievissima trasparenza, dall'ocra al ròssolo , all'azulene, convenuti a comporre originali citazioni inscritte nello spazio, vaporosi mazzi di fiori , pause e semicrome barocche, delicati bouquets, esili arbusti, smaltate parvenze mistiche che fanno di queste opere autentici oggetti del desiderio. Di tanto in tanto, il mosaicista torna pittore, si arma di spatole e pennelli e facendo tesoro della sua lunga esperienza didattica, prende a modulare con acuta percezione espressiva, toni, urgenze istintive, assonanze linguistiche, con una certa disposizione depisiana. Ma soprattutto con quel commosso stupore che è il sentimento più genuino da cui germina la sua arte che promana dal dialogo intimo e segreto fra mosaico e maioliche e dà corpo, per amorosa contaminazione, ad un moderno espressionismo che ci fa percepire il piacere della creatività.
Pino Giacopelli









In arte, si sa, esistono sempre vie inventate da sperimentare; il fine, però, è sempre quello fortunatamente inappagabile della pienezza espressiva, la formalizzazione dell'ispirazione nel tangibile fenomeno estetico. Non si può dire che i tentativi fatti in questo senso siano stati pochi: la storia dell'arte, anzi, ne è lo studio riflesso e metodico. E tuttavia il vero, eterno miracolo è scoprire che ancora oggi vi siano artisti in grado di approdare a sistemi di espressioni originali, sintesi nuove; strade, cioè, ancora da percorrere. la produzioen artistica di Antonino Renda rientra nel novero di questi piccoli miracoli di ogni giorno, fusione ingegnosa di tradizione e ricerca. Trattandosi di un mosaicista nella sua pluralità di sensi, s'intende, che questa qualifica può assumere in epoca postmoderna si capisce bene quale  "bagaglio a doppio taglio" possa costituire per l'artista la sua nascita monrealese. la capitale del mosaico normanno impregna di sè, con la sua anima al contempo teologica e decorativa, sacrale ed immanente, tutta l'opera di Renda, che acquista così la meditata intensità del linguaggio figurativo bizantino, insieme alla trionfale austerità dell'architettura normanna. La costante presenza di questi maestosi modelli medievali, tuttavia, se da una parte la sua causa generatrice della produzione di Antonino Renda, allo stesso tempo costituisce un punto di riferimento, un genere normativo, rispetto al quale è necessario per l'artista innovare, approfondire. Per questa ragione renda fa propria anche per l'esoperienza novecentesca "dell'arte di recupero", selezionando accuratamente frammenti di maiolica, mattoni ed ogni genere di materiale da cui sia possibile estrarre un'energia comunicativa che il tempo sembrava avere cancellato del tutto. Accade così che i frammenti di antichi pavimenti  distrutti, apparentemente degradati al rango di rifiuti, tornino a risplendere di una luce inaspettata, all'interno di composte e raffinate elaborazioni musive. si realizza, in questo modo, un'intrigante incontro fra tradizioni figurative di genere "alto" e cultura materiale, fra creazione pura e creazione d'uso o, come si ama dire oggi, fra arte ed arti applicate ; il pavimento oltraggiato diviene pietosamente decorazione sacra e, parallelamente, l'aulicità dell'immagine d'arte si ammorbidisce nelle cadenze dell quotidiano. Si tratta, però, di una poetica del frammento materiale che, pur affondando le sue radici nello spirito barocco e sensista della più genuina tradizione siciliana, nasce quasi casualmente per una necessità quotidiana. ecco perchè Antonino Renda tiene ad affermare: "io non cerco, io trovo". Per questa stessa ragione, anche se molti sono i riferimenti culturali potenzialmente individuabili per la produzione del nostro artista (la casa di via Ritiro, ridecorata fantasmagoricamente come un immenso mosaico potrebbe, essere ad esempio, ricollegata all'eclettismo di Gaudì), non può sfuggire al retrogusto ludico, edonistico ed ironico che anima questa sua estetica materialista. Senza l'ironia stemperatrice, "l'umorismo professionale" che colora lo zelo della ricerca di Antonino Renda non potrebbe coniugare la sua vocazione al "comporre bellezze" con la passione, altrettanto forte per la didattica, per la sua trasmissione, cioè, dei suoi saperi alla variopinta schiera del mondo giovanile. 
Fabio Tutrone






Nino Renda - PELLICANO 


Nino Renda - "OMAGGIO A TORRES" collage cm 30x60

"Monreale:Guardare al passato per migliorare il futuro" di Natale Sabella




tratto da <COMUNICAZIONE> 
Il Giornale dei Comuni Siciliani  
anno 8 - aprile 2007 pag. 9

di 
Natale Sabella


Nello scrivere questo articolo inizio col ricordare che lo scorso 18 novembre è ricorso l'anniversario del giorno della scomparsa avvenuta nell'anno 1189 di Guglielmo II re di Sicilia, fondatore della chiesa abbaziale Santa Maria Nuova di Monreale.
Figura non del tutto conosciuta ancora da approfondire e scoprire dagli storiografi, cultore della pace e della giustizia, in questi ultimi decenni resta sempre poco celebrata e sempre meno commemorata dalle istituzioni. Sopravvive nel ricordo della tradizione popolare a seguito di una "legenda" che narra il sogno del re e del ritrovamento di un tesoro nascosto dal padre Guglielmo I, rivelatogli dalla Madonna, che servì ad edificare la magnifica cattedrale col Monastero. Un sovrano siciliano, aperto all'Europa e allo stesso tempo attento alle vicende interne del suo regno, che ha impegnato tutte le forze per realizzare con un progetto il suo sogno: edificare un grande cattedrale sulla scia di un processo di fede di rinnovamento e di modernizzazione comune in molte parti e città d'europa.
Un'abbazia a capo di una vastissima area " una zona franca", con pieni diritti di giurisdizione civile e penale, il cui territorio si estendeva dall'entroterra alla costa, al mare.
Centro privilegiato del potere, a cui affluivano i proventi riscossi dell'agricoltura e del commercio. 
Una ricchezza diffusa territorialmente le cui rendite provenienti dalle entrate della mensa arcivescovile servivano alla gestione, al mantenimento e al restauro della cattedrale e dell'abbazia benedettina. Un piccolo stato nel Regno, alle porte di Palermo, con terre, castelli, casali, mulini, tonnare, barche, navi, con aree agricole e boschive, con  possedimenti oltre stretto in Calabria e in Puglia, con diritto di pesca, con rappresentanza di voto alla corte reale. 
Lo sviluppo urbano di Monreale accompagnato non sempre da una crescita sociale ed economica a causa di siccità, carestie, pestilenze, guerre..., si accrescerà a partire dal XVI sec. con un abitato, il cui tessuto edilizio si estenderà oltre l'originaria cittadella "santa". Una trama urbana ordita in un articolato morfologico e tipologico interessante, singolare, in parte compromesso: un patrimonio da tutelare, testimonianza storica delle diverse culture fino a noi in parte pervenute. Tra la fine del XIX e l'inizio del XX sec., le lacerazioni culturali e politiche arrivano a Monreale così pure la crisi profonda economica e politica e nessun movimento popolare si afferma. L'identità " campanilistica" è rimasta forte, ancorata alle origini. Il senso di appartenenza si rivela agli altri all'occorrenza come un gioiello di famiglia che si tira fuori in quanto ben conservato per essere poi mostrato con compiacimento. Una comunità " civile" che vive ed opera nel radicamento, nella tradizione e nei valori del cristianesimo in quanto figlia delle condizioni storiche e religiose del proprio tempo. Un centro che si fregia del titolo di "Città" che ospita e riceve nelle "segrete" stanze, illustri visitatori, re, principi, ambasciatori, capi di stato, varie personalità che visitano soltanto il duomo ed il chiostro e subito dopo vanno via.
Una città che è rimasta nell'attesa di qualcosa di un evento, scampata ad un bombardamento aereo nel secondo conflitto mondiale, risparmiata per scelta politica e militare, che accoglie gli sfollati della città ed assiste in silenzio quasi come se partecipasse ad uno spettacolo alla distruzione della Palermo un tempo "felicissima", con le chiese, i palazzi nobiliari, le case, colpita e segnata nei punti strategici. Una cittadina riconosciuta fra le "centocittà d'arte d'Italia", già stazione climatica e di soggiorno turistico, che offre al visitatore, al turista il suo grande e splendido patrimonio artistico-monumentale, testimonianza di una crescita culturale, sedimentata nei diversi periodi storici, che non riesce a trovare un rapporto con il suo entroterra. Questo in estrema sintesi è il sunto delle cose che ci porta a fare un ragionamento e ad articolare alcune considerazioni. 

Monreale dispone di:
- Un'immenso patrimonio di arte, architettura, cultura dalle originali caratteristiche con le sue tradizioni antiche;
- Una posizione invidiabile, strategica, ed è pur sempre un piccolo centro nel quale operando con una buona qualità dell'ambiente, dei servizi, della vita in generale, si potrà in futuro vivere meglio, 
- Un territorio e un vasto paesaggio, diverso nei suoi ecosistemi, con risorse, aziende e attività umane;
- Un bacino territoriale di ampia estensione confinante con altre realtà comunali, articolato in un sistema territoriale e paesistico, con una specificità al contempo agricola, storica e culturale. 

Tutto questo esige alcune serie riflessioni nel concretizzare una nuova dimensione futura che dalla storia può condurre al progresso, se si rafforza l'identità e si incentivano i processi di territorializzazione. Le diverse problematiche andrebbero affrontate in modo non astratto ma calate nella realtà odierna e nelle dinamiche "globali",  attraverso la comunicazione e la conoscenza quali mezzi indispensabili dei processi di cambiamento in atto, lo sviluppo delle politiche del lavoro, degli scambi, della salvaguardia sociale e ambientale. Questioni che hanno la necessità, il bisogno di svilupparsi e crescere a condizioni che se tutti, compresi i politici quali gestori dei processi di cambiamento locale, rilevassero il vero carattere del cambiamento, recuperando il tempo perduto, sollevando e riscattando Monreale dal torpore. 
Occorre con intelligente lungimiranza culturale e politica, dare avvio ad un nuovo percorso, che consenta di far lavorare i nostri figli nella propria terra, che miri a gestire le risorse esistenti, per uno sviluppo sostenibile a partire da oggi e comunque  da preservare per le future generazioni.
Dovremo essere consapevoli che il riscatto della condizione sociale-culturale ed economica parte prima da noi stessi, dai valori che sono in noi, dalla consapevolezza, dai comportamenti, dalle iniziative che intraprendiamo, sta nel credere e nel voler cambiare le cose. Un composito bene che appartiene a tutti, da preservare concretamente. Ed è in questa direzione, in questo senso che bisogna lavorare con impegno nel promuovere azioni comuni, condivise, per costruire il nuovo cambiamento della società tutta. La storia di Monreale, non è un fatto isolato ma s'intreccia e si compenetra con le vicende politiche, economiche ed artistiche non soltanto della Sicilia e d'Italia ma è partecipe degli avvenimenti europei.
Tutto questo comporterà prima l'avvio dei processi della conoscenza e di seguito la costruzione di un sistema articolato che identifica le strategie, i diversi percorsi, le filiere. Ed è in questa direzione, in questo senso che si dovrà lavorare con impegno assiduo, ma costante nel tempo, promuovendo azioni comuni per costruire un nuovo cambiamento; così soltanto si potrà avviare un nuovo percorso, uscire dalla stasi, non cadere nell'indifferenza, lasciando indietro la vecchia immagine stereotipata.

Natale Sabella - Architetto

Giovanni Leto

L'Artista monrealese GIOVANNI LETO 
partecipa alla collettiva "CARTEGGI"- Spoleto 28 Marzo 2015




Galleria Officina d’Arte &Tessuti 






Giovanni Leto, Orizzonte 3, 1985
Carta e pigmenti su tela, cm 60x70. Collezione Giorgio Di Genova, Roma



"Carteggi"
28 artisti ed il medium carta

A cura di
Giorgio Di Genova in collaborazione con M. Giuseppina Caldarola

Spoleto, 28 marzo – 3 maggio 2015
Vernissage sabato 28 marzo, ore 17:30
Via Plinio il Giovane 6-8


“Carteggi” è la prima delle due mostre del 2015 dedicate ad artisti contemporanei che, dall’uso delle fibre, lato sensu, hanno tratto un linguaggio espressivo del tutto particolare. 
Si inizia con i 28 artisti in mostra, che usano la carta per realizzare collage, puzzle, sculture, tutte opere visibili negli spazi della galleria di Spoleto a partire da sabato 28 marzo p.v..
La mostra è curata dal Prof. Giorgio Di Genova, che é anche autore del testo del catalogo, con la collaborazione di M. Giuseppina Caldarola. L’allestimento del percorso espositivo è pensato in funzione delle chiavi di lettura e degli spunti che il catalogo fornisce per approfondire il tema.
Il connubio tra arte e carta nasce in tempi remoti mentre, come viene evidenziato nel testo citando un volume scritto da Ezio Flammia (uno degli artisti presenti), l’uso della carta per la creazione di opere d’arte può essere datato a partire dal XV secolo, quando la cartapesta veniva utilizzata per produrre copie di sculture realizzate da artisti famosi. 
Più recentemente, invece, come ben evidenzia Giorgio Di Genova nel catalogo, il cartone viene indicato da Boccioni nel Manifesto della scultura futurista del 1912 “come uno dei venti materiali con cui si potevano realizzare opere plastiche, dando così il via al polimaterismo. Indicazione che fu immediatamente recepita da Braque e da Picasso ed a partire dalla quale si può affermare che la carta ed il cartone erano ormai entrati nei territori dell’arte, contribuendo non poco alla svolta onnivora di nuovi materiali nella produzione artistica del XX secolo.”

GLI ARTISTI
Silvio Betti, Antonio Bueno, Michelangelo Conte, Caterina Arcuri, Franco Cenci, Vito Capone, Bruno Conte, Edith Dzieduszycka, Vittorio Fava, Ezio Flammia, Sergio Floriani, Mirella Forlivesi, Franco Giuli, Salvatore Giunta, Marisa Lelii, Giovanni Leto, Gianna Maggiulli, Adamo (Modesto), Anna Moro Lin, Franco Paletta, Rosa Panaro, Claudio Perri, Adriana Pignataro, Teresa Pollidori, Claudio Rotta-Loria, Eugenia Serafini, Mario Surbone, Francesco Varlotta.

Catalogo Officina d’Arte&Tessuti


Orari di apertura

11,00-13,00/ 17,00-20,00. 
Chiuso lunedì e martedì (salvo appuntamento) Info Galleria: Tel. +39 3333763011-info@officinadartetessuti.com - www.officinadartetessuti.com
















Eclissi solare 2015



ECLISSI SOLARE 
DELL'EQUINOZIO 20 MARZO 2015


dal terrazzo dell'ex Hotel Savoia





















MARCELLO BUFFA


...Gli anti-ritratti 
di 
Marcello BUFFA


Dipingo ritratti solo all'apparenza tradizionali: in realtà il soggetto è frutto della fusione di due o più persone. Elaboro il bozzetto al computer partendo da foto scattate ad amici e conoscenti che incrocio tra loro  o con immagini "trovate". Cercando di fondere due esseri in un unico, mettendo insieme delle parti spesso discordanti, in realtà viene evidenziata l'incongruenza, la diversità delle persone coinvolte. Il risultato di questi congiungimenti genera esseri inesistenti, tuttavia verosimili, possibili. Questa possibilità si realizza nella nuova realtà del ritratto.
                                                                                            Marcello Buffa 


1998 - De-formazione 1 - Olio su tela 100x70

PRIMI PIANI STRETTI, FRONTALI, INTENSI. SGUARDI DIRETTI DA CUI NON SI SCAPPA, MA CHE E' DIFFICILE DECIFRARE. 
L'AMBIGUITA' CHE TRASUDA DA QUESTE TELE NASCONDE L'ARTIFICIO DI SOVRAPPOSIZIONI TRA DIFFERENTI VOLTI. 
FACCE ANONIME, IN CUI L'IDENTITA' SI DISGREGA...

1999 Il genio della lampada - Olio su tela 50x60

2000 Marcello Buffa  - "Il III° segreto di Pulcinella" - Olio su tela 120 x 90



Marcello Buffa, O della moderna metamorfosi - Davide Lacagnina

I ritratti di Marcello sono come i rospi vivisezionati da un bambino nell’ora di scienze a scuola. Incisi con il bisturi di una curiosità mai paga e indagatrice, fra i mille perché di questo mondo, sembrano messi su alla meno peggio, con grande fretta e con pezzi presi in prestito da più parti. Il dominio saldo della materia rallenta all’inverosimile ogni riflessione sulla umana natura dei suoi personaggi e così la pittura di Marcello, calda e generosa, diventa un affare serio.
Come un gioco che rincorre e acchiappa la realtà ma alla fine la baratta per una raccolta completa di figurine Panini.


Davide Lacagnina
Pensierini
NPP [non pensiamoci più]

  2000 L'Elephant prodige - Acrilico su tessuto


Identità metamorfiche per una soggettività contemporanea - Giusi Diana


A narrare il mutare delle forme in corpi nuovi mi spinge l'estro.
O dei, se vostre sono queste metamorfosi,
ispirate il mio disegno,
così che il canto dalle origini del mondo
si snodi ininterrotto sino ai miei giorni.

(Ovidio, Le Metamorfosi, Libro I)



Agli inizi del '900 un autoritratto dal titolo L'uomo pallido fece di Alberto Martini l'emblema dell'uomo moderno: "[…] di chi non ama la luce, se non artificiale, e porta l'esangue bellezza degli esseri cresciuti negli interni, degli indagatori di se stessi, degli inventori di ossessioni […]"[1] , diffondendo nella cultura simbolista, la mitologia dell'ombra e del pallore.
Un tempo infinito sembra essere trascorso tra noi e i protagonisti di quelle vicende artistiche, eppure, inaspettatamente, con le dovute distanze, la definizione ben si presta a descrivere la peculiarità delle creature "artificiali" dipinte da Marcello Buffa. Esseri ambigui che recano sulla pelle trame dolorose: segni di identità multiple e in continua metamorfosi; i cui volti, di una bellezza inquietante e malinconica, ci invitano a svelarne il mistero. Vampiri metropolitani dalla pelle d'opale, che una fredda luce da laboratorio tassidermistico rivela nella loro vera natura.
Sì, perché al di là dell'apparente realismo dei soggetti si nasconde la loro scomoda essenza di ibridi digitali.
Buffa procede, infatti, come la maggior parte dei pittori di oggi, dalla fotografia, ritraendo amici e conoscenti, e mixando, attraverso pratiche di computer graphics, le loro immagini con quelle anonime catturate dalla Rete e dal mondo della comunicazione pubblicitaria; legandole e riplasmandole, infine, in nuove identità pittoriche. Il risultato è una umanità artificiale, in cui i generi maschile/femminile si mescolano nel riassemblaggio digitale di caratteri somatici.
La riflessione sulla modificazione della dimensione "naturale" della corporeità, diventa il vero nucleo semantico dei ritratti di Buffa, muovendosi nell'ambito di ricerca legata al postorganico, in cui: "Il corpo è superficie libidinale, passing nomadico, web di differenziazione immaginaria […]"[2] L'alterazione di una realtà naturale e familiare (i volti degli amici artisti), con una realtà artificiale e spesso anonima (i volti pescati in Rete), dà origine ad una nuova e perturbante condizione identitaria del soggetto rappresentato, che mostra i segni di una "rinascita non accettata". Uno stato di coscienza "resettato", che si coglie negli sguardi di questi personaggi che sembrano chiedere all'osservatore di svelare il mistero della propria controversa identità.
In Buffa l'accento non si pone soltanto sul piano della trasmutazione corporea, ma anche su quello conseguente della trasformazione della soggettività dell'uomo contemporaneo, memore in questo della grande lezione della ritrattistica italiana.
Se l'ingegneria genetica e l'avvento delle biotecnologie, con la loro possibilità ricombinatoria, hanno alterato la realtà naturale dei nostri corpi, in che modo questo ha influenzato la percezione psichica che abbiamo di noi?
Per fornire delle possibili risposte nuove scienze sono sorte, come la "Psiconcologia" che studia le modificazioni psichiche dei trapiantati, conseguenti all'inserimento nel proprio corpo di organi appartenenti ad altri individui; ma anche la "Biometria", nata allo scopo di rendere affidabile l'identificazione degli esseri umani, sulla base di caratteristiche fisiologiche e comportamentali difficilmente modificabili (geometria della mano e del volto, conformazione della retina e dell'iride, timbro e tonalità di voce). Anche l'arte accetta la sfida del proprio tempo e attraverso la riqualificazione estetica della figura umana si interroga, più spesso con l'ausilio della tecnologia (Marcel.lì Antunez Roca, Matthew Barney e Chris Cunningham, solo per citarne alcuni ), oppure, come in questo caso, attraverso un uso sapiente del mezzo pittorico, su questa nuova ridefinizione identitaria.
L'esito spesso conduce all'alterità di un "doppio" perturbante: l'altro da sè, lo sconosciuto che si annida sotto la pelle, l' io e il suo contrario: in ultima analisi il mostro, la creatura artificiale che ha attraversato fin dall'antichità la storia dell'umanità incarnandosi di volta in volta nel mito di Pigmalione e di Galatea [3] e nell' homunculus di Paracelso, ma anche nel Golem del rabbino Jehudah Loew e nell'automa settecentesco; fino al più noto di tutti: quel Frankenstein nato nell' '800 dalla fervida immaginazione di una donna, Mary Shelley. E qui ci fermiamo, alle soglie della modernità che ha prima predetto, con il robot Maria in Metropolis di Fritz Lang, e poi in parte avverato, con l'avvento della società tecnologica, la più ricorrente e inquietante tra le fantasie umane.



NOTE:
1 Roberto Tassi, Il dominio dell'ombra, in Alberto Martini
illustratore di Edgar Allan Poe, Franco Maria Ricci,
Milano 1984, p. 42.
2 Teresa Macrì, Il corpo postorganico, Costa & Nolan, Milano,
2006, p. 20.
3 Ovidio, Le Metamorfosi, X, pp. 243-297.

 Giusi Diana

Identità metamorfiche per una soggettività contemporanea



2000 Von Angesicht zu Angesicht - Olio su tela 100x70 ognuno

 2001 La pecora nera - Olio su tela 120x90

 2003 AQ-AZ - Olio su tela 30x24

 2003 no cola - Olio su tela 30x24

2004 ad occhi aperti - olio su tela 80 x 100

2004 Attendez s' il vous plait  - Olio su tela 80 x 100

2004 Real doll - Olio su tela 80x90

 2005 Che ci faccio qui  - Olio su tela 120x160

2005 Piove sul bagnato  - Olio su tela 60x90



Marcello Buffa: più reale del reale – Marina Sajeva


Un dipinto di Marcello Buffa
Ancora una volta l’Arèa contenitoreartecontemporanea (Piazza Rivoluzione 1, Palermo) offre i suoi spazi ad un talentuoso artista palermitano. Questa è la volta di Marcello Buffa (1969) e della sua mostra dal titolo “Le sirene non si spiegano”, con la direzione di Marina Giordano, autrice del testo di presentazione, e di Giovanni Lo Verso, inaugurata il 7 aprile e che potrà essere visitabile fino al 15 maggio. Non appena entrerete nello spazio allestito, verrete presi alla sprovvista da questi volti più o meno grandi che sembrano chiamarvi silenziosamente, con la potenza magnetica dei loro occhi così reali. E’ grazie alla meticolosità della pittura di Buffa che ci sentiamo attratti da queste tele e ci diverte provare ad indovinare chi è il personaggio ritratto così familiare, così “presente”. Ma dopo il primo giro della stanza, ci assale un senso di stordimento, di sottile inquietudine: ci accorgiamo che dietro ad un volto ce n’è un altro, non comprendiamo il perché di titoli così ambigui (Obbligo di catene, Piove sempre sul bagnato, AQ-QZ). Questo senso di vertigine, in realtà, è tipico di una pittura marcatamente iperrealista come quella di Marcello Buffa, il quale riprende da tale filone artistico, per esempio, l’ausilio del mezzo fotografico e l’inconfondibile messa a fuoco esasperata.

Non sappiamo quanto premeditato e fedele sia il rimando ad artisti iperrealisti come Chuck Close o Richard Estes; importante resta il fatto che il risultato dell’artista palermitano sia originale e di impeccabile fattura; interessante, inoltre, appare il suo modo di coniugare la veridicità fotografica dei volti ritratti con l’astrazione quasi onirica degli sfondi delle tele, così sfumati e rarefatti, che ricordano un po’ le atmosfere da realtà virtuale. Non per nulla queste tele giocano sul binomio reale-virtuale, tanto ricorrente nelle tecnologie di ultima generazione, “…simbolo dell’artificialità che imprime il suo segno contemporaneo, simbolo di un trasformismo che diviene stile di vita” (Francesca Alfano Miglietti). Dunque, quando lo stordimento e la paura di sentirsi osservati da quei volti così incredibilmente “umani” vanno scemando, rimane la soddisfazione di vedere una pittura veramente al passo con i tempi, capace di insegnarci quanto di interessante e di insondato ci possa essere negli occhi, nel naso, nelle rughe, di ognuno di noi.
  
Marina Sajeva
Marcello Buffa: più reale del reale
Giornale di Sicilia
12 Aprile 2005

 2007  I cowboy aspettano in cortile - Olio su tela 50x40

2007 Il vanto delle sirene  - Olio su tela 160 x 120


Dieci attimi fotografati, dipinti, segnati - Geraldina Cipolla

Dal 10 novembre al 15 dicembre 2007 gli spazi espositivi della Galleria Nuvole Incontri D'arte di Palermo si sono trasformati in dimora per dieci strani inquilini, dieci ospiti di identità segreta e misterioso aspetto. Sono i volti Anonimi e Contrari (questo il titolo della mostra) di Marcello Buffa.
Marcello Buffa, diplomatosi in Scenografia presso l'Accademia di Belle Arti a Palermo, da anni persegue con costanza e caparbietà un'indagine attenta alla fisionomia umana. Questi dieci lavori sono l'ultimo approdo di una ricerca artistica che individua nel volto il luogo privilegiato per smascherare le contraddizioni, gli opposti, e le incongruenze che convivono nell'uomo contemporaneo, rendendo fragili le identità, tortuosi i percorsi di accettazione.
Basta incrociare lo sguardo di una di queste dieci creazioni/creature di Buffa per prendere parte al gioco dei contrari e dei rimandi messo in campo dall'artista. La natura di questi volti risulta dall'incontro di due poli opposti: il reale ed il virtuale. Come spiega Giusi Diana, autrice del testo in catalogo, […] "al di là dell'apparente realismo dei soggetti si nasconde la loro scomoda essenza di ibridi digitali." Infatti, alla base del lavoro di Buffa, vi sono sia foto di amici e familiari sia anonime fisionomie tratte a caso dal grande mondo di Internet. Grazie all'impiego dei più moderni programmi di grafica avviene la fusione dei vari tratti somatici in un'unica immagine. Passaggio ultimo di questo procedimento è la fedele conversione dell'immagine digitale in un olio su tela, realizzato mediante un uso sapiente del tradizionale mezzo pittorico. Il risultato è un volto, nato dalla fusione di diverse fisionomie, che non appartiene a pieno titolo al mondo del reale, ma non nasce esclusivamente da quello virtuale. Buffa in questo modo cela, dietro l'apparente completezza di questi visi, la complessità che li costituisce, i mille pezzi nascosti e ben assemblati che li compongono. Il momento artistico non si limita solo ad una rappresentazione realistica del volto umano, anzi è proprio l'estrema precisione tecnica, sia nell'uso del computer sia in quello della tavolozza, a scalfire il realismo di queste maschere. Il gioco dei contrari è messo in moto dal confronto diretto che lo spettatore ha con questi sguardi misteriosi ed intensi, disposti, per volontà dell'artista stesso, su diverse altezze, in modo da dare maggiormente l'idea a chi li guarda di vivere un reale incontro: si osserva l'altro, mentre si è osservati. Un faccia a faccia a cui rimanda, forse non a caso, il titolo di un'importante personale che Buffa ha tenuto in Austria nel 2000 (Von Angesicht zu Angesicht). In un tempo sospeso, di misteriosa attesa, osserviamo questi volti contrari, ripresi da una macchina fotografica e dipinti davanti ad un cavalletto, di natura insieme umana ed umanoide, di unico genere: maschile e insieme femminile. Creature anonime senza data né luoghi di nascita ci osservano come possibili solutori del loro enigma identitario. E se d'istinto, la nostra attenzione cade sui titoli delle opere, questi si svelano parte del gioco di contrari e di rimandi: esasperano, anziché risolvere, il dramma dell'anonimato dei volti. Buffa si diverte a nascondere, nei titoli, messaggi da interpretare. Incontriamo ancora una volta contrari associati, come "miele amaro", o storpiature d'immagini classiche: "il vanto delle sirene" e "il sorriso dell'ignobile marinaio", omaggio ironico ad un più celebre volto di incerta identità. In altri casi, è addirittura possibile trovare nei titoli le confessioni nascoste di un intento artistico. Mi accorgo, per caso, che "Qualcosa di buono che verrà", titolo di uno dei dieci volti di Buffa, è anche il verso di una canzone di Ivano Fossati: C'è un tempo d'aspetto come dicevo/ qualcosa di buono che verrà/ un attimo fotografato, dipinto, segnato/ e quello dopo perduto via/ senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata/ la sua fotografia. Difficile crederlo un riferimento fortuito.

Geraldina Cipolla
Dieci attimi fotografati, dipinti, segnati
Echi d'Arte - numero 4 -Dicembre 2007



Gli anti-ritratti di Marcello Buffa approdano, in quest'ultima fase della sua produzione, a una significativa intensità espressiva. Le vibrazioni liquide emanate dall'impasto cromatico sembrano corrispondere a un movimento sottile che arriva dal fondo dell'anima. Anime catturate con l'occhio di una fotocamera  o nel caos della rete, poi sovrapposte con un morphing digitale che altera il soggetto e ne restituisce l'ombra, l'intuizione. L'artista prosegue la sua ossessiva carrellata di volti-tutti frontali, tutti in primo piano-spingendo in avanti una ricerca indirizzata da anni alla rappresentazione della dis-identità.
Se l'origine del processo creativo sta nell'immagine artificiale, l'approdo è pittorico, nel senso più tradizionale del termine. Buffa è un pittore-pittore, uno che col colore non imita la fotografia, nè i pixel dello schermo, nè l'estetica televisiva. La sua è una pittura che cerca la verità -o meglio, l'ambiguità- del corpo, la sua concretezza fatta di oscillazioni, di soglie identitarie. Che siano fotografie di amici o facce qualunque rubate al caos immateriale del web, i soggetti di queste tele vivono un costante tradimento, affondando in una banalità che li sgretola a ogni sguardo, a ogni pennellata, a ogni nuovo passaggio combinatorio.
Pur non rivelando ancora un segno stilistico radicale o particolarmente innovativo, al figurazione di Buffa raggiunge un buon impatto emotivo. Il senso dello straniamento diventa a volte inequivocabile, potenziato dai titoli volutamente incongrui e fortemente narrativi. Le opere più efficaci (Il sorriso dell'ignobile marinaio, I cowboy aspettano in cortile, Lo sguardo del pellegrino) testimoniano un'evoluzione tecnica che è anche parallelamente, contenutistica. La raggiunta fluidità del gesto, in certi casi supportata da cromatismi essenziali e algidi, ben traduce il senso di sospensione di questi volti, concepiti come articolazioni di carne e pelle, concentrazioni fisiche di essenze spirituali non ben identificate. I pezzi meglio riusciti sono quelli che annegano nel neutro, quelli che nel tepore della materia pittorica svelano la freddezza dell'indeterminato. Organismi mutevoli rivitalizzati da sguardi  opachi, facce che trapassano e non dicono. Là dove invece il pittore palermitano perde smalto, è quando indugia nella ritrattistica pura, nella ricerca della somiglianza, nel diletto compositivo di figure da fondere accuratamente. Certe tele sfiorano così l'ovvietà dell'approccio mimetico e della forma chiusa, rimanendo ancora succubi di facili pose ed evocazioni mediatiche.
Il lieve afflato malinconico che arriva da questi primi piani è il segno silenzioso di un "distacco": l'allontanamento dal sè equivale a quello smarrimento di chi non sa dove si trova e che cosa sta guardando. E' allora il senso della perdita la cifra più interessante di una ricerca che approssima a una maturità stilistica e concettuale. 

Helga Marsala





Le sirene non si spiegano – Marina Giordano


Lo sguardo dell’immagine è un colpo d’occhio della libertà, che ci fa segno.
Essa dice: “Vieni fuori!”
 Günther Wohlfart

Marcello Buffa (Palermo, 1969) presenta in questa mostra una galleria di ritratti, la maggior parte dei quali del tutto inediti, dove mescola fisionomie riconoscibili di persone appartenenti al suo vissuto a volti tratti da immagini pubblicitarie o televisive.
Egli incrocia sguardi, nasi, bocche fondendoli, tramite una pittura lenta, meticolosa, accurata, in nuove identità composite, di cui solo dopo un’attenta analisi riusciamo a scorgere, dietro l’apparente omogeneità, le minime incongruenze. Insinua, così, all’interno di ogni ritratto, un sottile senso di inquietudine, di instabilità, come se da un momento all’altro i personaggi dovessero scoprirsi e gettare la maschera.
L’ambiguità domina anche il titolo della mostra, tratto da uno dei quadri esposti, giocato sul non-sense e che si presta a più chiavi di lettura: Buffa sceglie forse questa dimensione discreta, senza ‘sirene spiegate’ per la sua pittura paziente, apparentemente semplice, che ha abbandonato le pennellate irruenti, silenziosa, come a volte è lui, ma che invece sa essere fortemente destabilizzante. Come il canto delle sirene ti incanta, non sai resistervi e non te ne spieghi nemmeno il perché, così l’occhio, quasi senza accorgersene, rimane rapito dal magnetismo di sguardi e atmosfere che emanano dalle sue tele, dai visi solo all’apparenza familiari e amicali, che possono rivelarsi, dopo un attimo, minacciosi.
Quello della contaminazione-alterazione dei volti è sempre stato il punto focale della ricerca di Marcello Buffa, come testimoniano i suoi quadri degli anni Novanta. Pur rimanendo legato a questo aspetto del suo lavoro, ha via via sottoposto le immagini a un processo di graduale raffinazione, passando dai toni della deformazione grottesca, aggressiva, irrisoria, alla destabilizzazione ottica, allo straniamento silenziosamente e invisibilmente ipnotico, dall’incubo all’allucinazione.
I suoi ritratti ci fanno riflettere su come sia impossibile incasellare le persone che ci circondano, e in primo luogo noi stessi, sotto un’unica etichetta, restringere caratteri, personalità, animi, temperamenti nei limitanti confini di un tipo. Ognuno di noi può avere in sè la fisionomia di Antonio e la bocca di Piero, gli occhi di Sarah o l’ovale di Stefania, come può essere un ingenuo o un perfido, una luce o un’ombra, un angelo o un demone.
Con le loro luci fredde, con i loro paesaggi stranianti dove con difficoltà riconosciamo una strada, una metropoli, un’architettura moderna o una folla sfocata, ci conducono a ragionare anche sull’identità mutante dell’uomo di oggi, alterata da modificazioni e manipolazioni, in cui è difficile cogliere l’essere di ognuno dietro modelli sempre più simili di pettinature, di forme di nasi e bocche, come tanti replicanti alla Blade Runner...
Come nel caso dei personaggi del celebre film, guarda meglio questi visi ingranditi, scruta meglio tra le pieghe dei loro volti e nel profondo dei loro occhi... noterai le anomalie, stenterai a riconoscere chi ti sembrava familiarmente conosciuto. Stai all’erta, guardati alle spalle....la minaccia dell’altro a volte non giunge a sirene spiegate, ma nel silenzio di un’ambiguità.

Marina Giordano

Le sirene non si spiegano






Il gioco delle identità - Laura Di Trapani

Matericità pittorica, studio dei volti originano il terzo essere

Un volto emerge da un magma di colore, un volto segnato, disegnato e rappresentato nelle sue molteplici sfaccettature. Convulsi, nervosi, doloranti, stupiti, maliardi, inerti. Tanti modi d’essere, tante personalità, tanti sentimenti, racchiusi in un unico. Si ritrovano in un laboratorio-atelier, dove Marcello Buffa li amalgama, dando come risultato una nuova identità. Il gioco di questi esperimenti di pittorica ingegneria genetica fanno apparire il terzo, il nuovo, la differenza amalgamata tra i due iniziali soggetti. Si tratta di un lavoro scientifico, ritratti fotografici di amici o estrapolati da pubblicità, adoperati come strumento al servizio della pittura. Una pittura modernamente fotografica, dove non si percepisce nell’immediato lo studio delle differenze d’identità. Appare una persona irreale nella sua unicità, appartenente ad un tempo e ad uno spazio esclusivamente pittorico, che presenta a volte la fusione di una duplicità sessuale. Componente sostanziale è il fattore luministico, estremamente curato dall’autore. Fasci di luce alternati a sprazzi d’ombre sottolineano abilmente l’espressione. Una luce che si differenzia e che si lega al luogo d’appartenenza, suggestiona il ritratto. Un fascio luminoso freddo gelido di Aosta raggela un dorato "Miele Amaro", alla luce artificiale dello studio di Monreale corrisponde un’intensificarsi della drammaticità di un volto femminile dalla mascella fortemente serrata delle "Guerre pudiche", e la fissità dello "Sguardo del Pellegrino" è immerso in un intenso azzurro mare di Cefalù. Incuriosisce questo gioco d’identità, incuriosisce l’alter ego che ognuno di noi possiede e che a volte nasconde per paura di quello che può vedere. Così Marcello Buffa lo cerca, lo fonde per mostrare angoli reconditi di un’inesistente realtà interiore.


Laura Di Trapani
Il gioco delle identità
Kaffè - Anno 2008 - n. 03



2009 Gianluprince  - Olio su tela 40x32

2010 Lo snobismo di Venere  - Olio su tela 60x80

2012 Il cattivo esempio  - Olio su tela 130x100



Oltre, indagine della dimensione metafisica nell’arte del XXI secolo - Cesare Biasini Selvaggi

Ogni suo lavoro è il prodotto di una sintesi, compiuta attraverso un procedimento informatico, di una galleria di volti del presente, sottratti ai suoi inconsapevoli modelli in momenti diversi della quotidianità. La fase finale approda sulla tela, dove la sapiente perizia di Buffa restituisce alla creazione l’antico segreto della tecnica pittorica e ai volti rappresentati una, nessuna, centomila anime che provengono ad intermittenza dall’inconscio. La ricerca dell’identità ideale a cui volge Buffa, con esiti talvolta iper-realistici, costituisce un ribaltamento della lezione di Domenico Gnoli, dove la negazione dell’identità si cristallizza attraverso la rappresentazione dell’umanità per frammenti irricomponibili. Buffa dipinge una realtà poliedrica, un vero e proprio puzzle esistenziale che si ri-struttura a ciclo continuo, dove la fuga dello spazio diviene leitmotiv comprimario. Ogni ritratto di Buffa svela una complessa stratificazione di umanità sottostante. Ogni opera sembra esortare lo spettatore a guardare al di là delle illusioni della forma esteriore, per cogliere, anche se in un’istantanea, il vero volto di ognuno di noi oltre il velo delle apparenze. Apparizioni del reale oltre il reale che ci restituiscono un’immagine del tempo, di quello passato e di quello presente con incursioni nel prossimo futuro. Volti isolati indagati nel dettaglio che assumono vero senso di identità solo nella loro atmosfera di presenza-assenza di eco dechirichiano prima, e surrealista poi.

Cesare Biasini Selvaggi
Oltre

 indagine della dimensione metafisica nell’arte del XXI secolo 


2013 Per quanto scura la notte, è passata  - Acrilico su tela 200x150



2014 Ovunque proteggi - Acrilico su carta geografica 200x150


Marcello Buffa Anonimi e contrari - Angelo Luca Pattavina

"Il volto umano non mente mai: è l'unica cartina che segna tutti i territori in cui abbiamo vissuto". Forse avrebbe qualche difficoltà Luis Sepulveda se andasse a vedere l'ultima mostra di Marcello Buffa. Perché i volti che lo circonderebbero sono cartine che segnano territori che non hanno mai vissuto. Sono volti che non hanno identità, o forse ne hanno due, o forse una che attinge all'una e all'altra di cui sono composti. O forse niente di tutto ciò. Dipende dal rapporto che si ha con quei volti. Dipende dalla disposizione a svelarne il mistero. O a lasciarsi ingannare. "Identità metamorfiche per una soggettività contemporanea", li riassume così quei volti Giusi Diana nella sua presentazione in catalogo di "Anonimi e contrari", la personale di Marcello Buffa allestita presso la Galleria Nuvole di Palermo. Dieci volti che nascono da un'ibridazione digitale, attraverso la sovrapposizione di due volti (uno di un amico/a e uno trovato in internet) che vengono successivamente trasposti con una pittura intensa e pulsante di olio su tela. Un progetto che può avere diversi livelli di lettura e interpretazione. Il suo non è né morphing in fase di combinazione grafica digitale né iper-realismo in fase di trasposizione pittorica (per favore, non inquadratelo in correnti che non sente propriamente sue). Un progetto che va avanti da anni. Un'indagine sul volto, sull'espressione, sul mistero dei nostri tratti, sui piccoli dettagli che ci rendono simili e diversi gli uni dagli altri, sull'ibridazione dei generi (maschio-femmina) sulle molteplicità e sulle mutazioni. Una nuova ri-definizione identitaria che non può essere disgiunta dalla potenza evocativa dei titoli che accompagnano ogni personaggio della galleria: "Miele amaro", "In anticipo sul tuo stupore","Il vanto delle sirene", "Il sorriso dell'ignobile marinaio", "Qualcosa di buono che verrà", solo per citarne alcuni. Sguardi sconosciuti e affascinanti, familiari e inquietanti, un binomio reale-virtuale che ha come risultato quello di lasciarci straniati, attratti e respinti da queste fisionomie che nascondono perfettamente la loro vera essenza di ibridi digitali.
Dietro l'opera di questo novello dottor Frankestein contemporaneo c'è un artista palermitano, classe 1969, diplomato in Scenografia presso l'Accademia di Belle Arti del capoluogo siciliano, con all'attivo diverse partecipazioni ad eventi locali, nazionali e internazionali. Marcello Buffa, infatti, ha preso parte alle prime tre edizioni della rassegna artistica "Il Genio di Palermo" ed ha esposto presso Zelle arte contemporanea, la Galleria 61, Arèa Contenitore Arte Contemporanea, Palazzo Ramacca, al Castello dei Ventimiglia di Castelbuono, alle Gallerie Tondinelli e Le Pain Quotidien di Roma; nel 2000, inoltre, ha realizzato in Austria la personale "Von Angesicht zu Angesicht" presso la J.F. Weishäupl Galerie di Bregenz e nel 2003 è stato invitato a partecipare alla IV edizione del Premio Cairo.
Un percorso artistico che lo porta oggi ad esporre in uno degli spazi più attivi del capoluogo palermitano, quella Galleria Nuvole sempre molto attenta agli artisti contemporanei (Marina Sagona, Martin Emschermann, Antonietta Raphaël Mafai, solo per citare quelli ospitati nel 2007) oltre che alle problematiche sociali locali (non a caso, infatti, la Galleria, anche se a due passi dalla Cattedrale e ospitata nel settecentesco Palazzo Patricolo, ha sede nel quartiere popolare del Capo dove cerca di svolgere un'attività di educazione sociale attraverso la proposizione di laboratori artistici e progetti culturali).
Anonimi e contrari. Conosciuti e sconosciuti.
Credo che le presentazioni siano sufficienti.
Adesso, se ce la fate, pensate ad una persona che non conoscete. E se non ci riuscite andate a vedere la mostra. Forse la troverete lì.

Angelo Luca Pattavina




A proposito di... - a cura di Alessandro Lo Cascio e Giorgia lo Piccolo

Si è parlato fin troppo di una perdita d’importanza della pittura. In una contemporaneità che vede il prevalere di mezzi a-tradizionali, come avverti il ruolo della pittura oggi? Da dove provengono le tue scelte di fare arte e di fare pittura?

Perdita d’importanza? Forse perdita di "charme", alcune tecniche sono decisamente alla moda, alte no. Ma la pittura non perde d’importanza. Non tendo a fare classifiche tra le varie forme d’arte, ognuno utilizza il mezzo che ritiene più opportuno. D’altronde non credo che sia più moderno andare in macchina piuttosto che in bici, o che il camminare abbia perso d’importanza con la nascita del motore a scoppio. È necessario utilizzare una tecnica contemporanea per riuscire a dire qualcosa di contemporaneo?
Non ricordo quando ho scelto, se ho scelto, di fare arte. Magari quando a scuola la maestra mi ha chiesto cosa vuoi fare da grande ed ho risposto il pittore, poi ho continuato per testardaggine più che per coerenza.


È un caso che un’ampia parte della produzione artistica in Sicilia, nell’ultimo ventennio, si sia sviluppata tramite la pittura? Seppur attraverso percorsi in alcuni casi molto distanti, quanto è stato determinante, secondo te, il contesto territoriale in questo senso?

Magari c’è qualcosa nell’acqua.
Forse in Sicilia ha senso mettersi in gioco cercando di essere contemporanei senza dover far ricorso ad effetti speciali. La pittura è una pratica solitaria, ma anche per chi dipinge è importante avere persone vicine con cui confrontarsi, gli incontri e anche gli scontri influiscono. Poi per chi inizia a dipingere conoscere e osservare chi già lavora serve da stimolo e può essere da incoraggiamento. A me è successo così.


Spesso si riscontra nei pittori una concentrazione sulla tecnica, sui mezzi espressivi e una minore attenzione sulle motivazioni profonde che conducono alla scelta di un soggetto, sui contenuti, su un eventuale messaggio o contenuto critico. Condividi questa osservazione? Riscontri anche tu questo tipo di atteggiamento? Ti sentiresti di darne una personale interpretazione?

Non credo che concentrarsi sulla tecnica precluda il riflettere sui contenuti dell’opera, la tecnica è essa stessa un contenuto, sia quando è raffinata sia quando è volutamente poco curata. L’errore è mettere sullo stesso livello tutte le "immagini", pittoriche, fotografiche e quant’altro, non sempre i contenuti intrinseci della pittura vengono colti dai fruitori dell’arte. Personalmente impiego più tempo nell’ideazione dell’opera che nella realizzazione, utilizzando il computer per fondere diverse immagini prima di passare alla pittura che rimane comunque il necessario punto di arrivo.


Quanto è importante avere delle gallerie o dei critici a cui fare riferimento ed essere ben presente nei centri nevralgici del sistema dell’arte? Come ti poni, in riferimento a quest’aspetto, rispetto alla realtà palermitana?

Il sostegno critico e le operazioni che riguardano la promozione e la divulgazione dell’arte sono molto importanti se si vuole che il proprio lavoro circuiti il più possibile. Palermo è ancora un po’ troppo periferica rispetto al sistema, anche se , diversamente ad altri luoghi, c’è attenzione da parte della critica. Ultimamente alcune iniziative private hanno preso forma ma a farla da padrone sembra essere sempre il sistema pubblico.


Quali sono le tue aspettative e quali pensi che siano quelle dell’arte nel prossimo futuro?

Proverò a smettere di dipingere e aprire un bar in un isola dei mari del Sud. L’arte sarà contenta di non avermi più tra i piedi!


a cura di Alessandro Lo Cascio e Giorgia lo Piccolo
A proposito di...
Meridiani paralleli