MOSAICO: DISSERTAZIONI



M O S A I C O

Monreale

Dissertazioni

di

BENEDETTO MESSINA e di GIUSEPPE SCHIRO'
    




PROF. BENEDETTO MESSINA

Quando si parla dell'argomento "laboratori", diciamo che Monreale ha avuto sempre dei laboratori di mosaico, dico sempre. Pensate che ci sono delle cose fatte da mastro Pietro Oddo, monrealese, del Cinquecento. Nel seicento, il padre di Pietro Novelli, il vecchio Pietrantonio. A loro venivano commissionati dei lavori di restauro e di completamento, soprattutto sui mosaici all'interno del Duomo.
Proseguì nell'ottocento una bottega, direi, di ignoranti volenterosi, dico una cosa brutta: ci fu un incendio nel 1811 che rovinò, non soltanto la parte vicino al soffitto, ma anche il pavimento, perchè le travi, cadendo, bruciavano e rovinavano il pavimento, era stata usata la pece greca. Allora non c'era il cemento, non c'erano delle sostanze resistenti, usavano la pece greca: la mettevano riscaldata nelle lastre di lavagna, mettevano lì le tessere a tecnica indiretta, e poi queste lastre le poggiavano, con la malta, nell'incavo che facevano nel marmo dei pavimenti. E vi devo confessare una cosa: che io ce ne ho alcuni pezzi; però vi dico come ce l'ho, perchè ce li ho. Nella sala San Placido, dove nel 1950/1955 abbiamo fatto un corso, anzi due corsi di mosaico, c'era un soppalco che conteneva tutti i resti dei restauri fatti nell'Ottocento con materiale del Cinquecento e dell'Ottocento, che io ho distinto. Ebbene hanno usato quel materiale come se fosse terriccio per alzare il pavimento di un magazzino. Allora io ho detto: non vi sembra un peccato consumare questo materiale prezioso? "Professore, -mi dissero- se lo vuole se lo porti tutto lei". ma io non me lo posso portare tutto, -risposi- non so neanche dove metterlo!? Allora, me ne portai sei sacchetti. E ce l'ho conservato: in parte l'ho dato ad una bottega d'arte che c'è qua a Monreale, quella del professore Cangemi. Sono tutti pezzi del cinquecento e dell'ottocento. Ho conservato anche il modellino metallico che usavano per disegnare nella pietra l'esagono, l'ottagono, il quadrato, quelli che dovevano tagliare. Ed ho quelli già tagliati, smussati e limati; li limavano con la mola ad acqua che io ho, per incoscienza, no, forse per delicatezza, data all'istituto d'arte, perchè mi sembrava un fatto storico.  Queste cose per dire il fatto storico di Monreale: nell'ottocento, vi dicevo, due ignoranti volenterosi (erano due fratelli muratori, sapevano solo mettere le mattonelle, i fratelli Zerbo), guidati da un artista, hanno restaurato la parte superiore. Entrando, specialmente nella navata a sinistra, se voi l'osservate, se avete l'occhio critico, ve ne accorgerete che non sono gli elementi originali, ma sono aggiunti, anche perchè, non essendoci stata la possibilità di ritirare da Venezia il materiale, fecero il materiale qua a Monreale , nella torre, chiamata la vetreria, dove un tempo lavoravano i fratelli Cangemi, (è chiamata vetreria proprio perchè lì facevano il materiale per il mosaico). E da che cosa ci si accorge, da cosa si vede (bisogna essere un tipo curioso come me, che voglio sempre sapere perchè, per come): usavano un pò più sabbia di quanto avrebbero dovuto usarne. Allora questo materiale dell'ottocento si distingue perchè è un pò più sabbioso: chi ha l'occhio clinico e osserva il materiale se ne accorge. Quindi avevamo anche la vetreria. Monreale ha questa tradizione forte. Sto parlando perchè è bello poter parlare di cose del proprio paese. Alcuni pensano che la Cattedrale sia stata allestita in dieci anni, in realtà non lo sanno, sia perchè non sono mosaicisti e non sanno quanto tempo ci vuole per fare le cose, sia perchè non distinguono gli stili. Il Duomo di Monreale non ha un solo stile. Abbiamo delle parti proprio che richiamano l'arte bizantina, abbiamo delle parti dove c'è la prospettiva, e noi sappiamo che la prospettiva fu inventata nel quattrocento, quindi non è possibile essere del XII secolo. C'è il bacio di Giuda che richiama quello di Giotto. Quindi o Giotto ha copiato da qua, o questi si sono rifatti a Giotto. Vi è un susseguirsi di anni e di stili anche nel pavimento. Il pavimento del coro è del cinquecento, prima era di terracotta, alcune parti di terracotta, alcune parti di marmo, poi l'hanno rifatto con questa tecnica, appunto non essendoci il cemento usarono la pece greca. Ho pure dei pezzettini di questa pece greca. Abbiamo avuto poi i fratelli Matranga: le botteghe, ecco, mi riferisco alle botteghe, mi sto orientando sull'argomento "le botteghe". I fratelli Matranga: io ero bambino, andavo in chiesa, e vedevo questi che lavoravano dentro il coro, mi mettevo vicino proprio dove c'è la balaustra. Ma come erano precisi, come erano esatti. Facevano alcune parti delle lesene che voi vedete ripetute in tutta la chiesa; perchè c'era la vandalica usanza che il turista (non restateci male), si portava via, staccandole con il temperino, le tessere come ricordo. E avevano poi "il coraggio", di mettere accanto la firma. Io me lo ricordo, ragazzino, che c'erano tutte queste tessere che mancavano e tutte queste firme messe vicine. Cose barbare, che adesso non avvengono più per fortuna; solo qualcuno, a volte, tenta di portar via una tesserina; ma adesso ci sono i custodi che stanno attenti. E questi fratelli Matranga dovevano fare tutte queste parti geometriche, e mi ricordo, ma potrei fare una fotografia, ci mettevano la carta oleata con il disegno, incollavano queste tesserine limate e precise, poi, per vedere se coincidevano con esattezza, alzavano il vetro e lo guardavano di sotto, perchè da sopra non gli bastava. Già volevano vedere...la precisione. Io ero bambino e mi è rimasta impressa questa cosa. Ed ho alcune cose pure fatte dai fratelli Matranga. Ora questo fatto, naturalmente, dovrebbe incitare Monreale ad avere più laboratori. Noi abbiamo la scuola, mancano i laboratori, o meglio, ce ne sono pochi, perchè dovremmo lavorare per il turista. Il turista che viene e che si vuole portare un ricordo di Monreale, e...mi sta venendo in mente, forse non dovrei dirlo: mi ricordo che quando vedevo nei negozi ceramiche con scritto "Ricordo di Monreale" e poi sapevamo che erano fatte a Sciacca o a Caltagirone : Io mi urtavo e dicevo:" o siamo cretini e incapaci a farli, oppure non abbiamo voglia di lavorare". Mosaici fatti fuori, venduti "Ricordo di Monreale"; voi non ve lo potete ricordare questo, io ero ragazzo. Mi urtai a tal punto che mi dissi: "mi devo mettere io a fare ceramica e mosaico", e siccome non avevo forno, facevo delle ceramiche di terra cruda, dipinte poi, come se fossero ceramica, e ce ne ho ancora qualcuna conservata, e quella non si tocca. E facevo mosaico con le tessere dipinte; ce l'ho ancora conservato. Un giorno mi capitò di salire nei ponti che c'erano perchè stavano facendo dei restauri, allora mi sono persuaso e mi sono fatto lo studio delle filate. Le filate, come si collocano le tessere, come si congiungono, e ce ne ho conservato uno con tutto questo studio delle filate che è tanto bello dal punto di vista didattico. Ricordo che mi capitò una cosa: guardavo da giù e vedevo in un volto di Gesù le labbra, quello superiore rosso scuro, e quello inferiore rosso chiaro, normale, ma quando salii sopra il ponte per osservare le filate, e come erano combinate, restai a bocca aperta. C'era il labbro superiore nero ed il labbro inferiore rosso chiaro. Pensai a Michelangelo il quale, quando faceva gli affreschi, quelli specialmente che erano molto in alto, lavorava con gli occhi socchiusi per vederli a distanza, perchè il colore si fonde con la distanza. Dissi, allora non fu solo Michelangelo, ma anche questi di qua hanno messo il rosso chiaro, che poi l'occhio fonde e si vede rosso, e rosso chiaro. Insomma ho cercato tanto di apprendere. Abbiamo fatto qesti corsi per riparare qualche cosa, poi capitò un altro episodio curioso. Vi sto raccontando queste cose, così tanto per passare il tempo, ma sono delle cose belle, diciamo così, che restano: quello che capita nella vita certe volte non sembra vero. Io, prima di insegnare all'istituto d'arte, insegnavo alla scuola media Antonio Veneziano dove cìoè un mio quadro: il ritratto di Antonio Venziano. Ebbene, avevo una classe, la III F, ieri ho incontrato un ragazzo di quella classe quando siamo andati a Palermo a fare quella conferenza: ce n'era uno impiegato là, e mi ha riconosciuto. Questa III F era, proprio riconosciuta da tutti, la più scarsa. La più scarsa, eppure non avevano tutti i torti: non avevano neanche un'aula fissa, certe volte dovevano fare lezione nel corridoio; questi ragazzi erano un pò sbandati. Si era diffusa la "fama" tra i professori che quella era la classe peggiore: ebbene, ci fu un concorso vicino Enna, un concorso di disegno per scuola media ed elementare, di quella classe ne parteciparono sei, ed è avvenuto un fatto straordinario: tutti e sei premiati. I ragazzi si sentirono valorizzati, e cambiarono tanto in meglio. prima erano sempre disprezzati, maltrattati, sgridati; quando si sono sentiti  premiati, si impegnarono nelle altre materie e furono tutti promossi. Ci fu un cambiamento straordinario: l'arte ebbe questa forza di trasformare questi ragazzi. Bene, io dissi, non c'è che fare, tu devi mettere una bottega d'arte. E metto una bottega d'arte con sei ragazzi. mi metto a lavorare, e fare qualche cosa..., l'anno successivo sedici. Allora impiantammo corsi serali di ceramica, e qui ci sono professori che hanno lavorato in questi corsi di ceramica tra cui il preside Andrea Merlo, il professore Calogero Gambino, il professore Angelo Cangemi. Da sedici, l'anno successivo trentadue, il doppio. Bè allora abbiamo detto: qua bisogna fare una scuola di quella sul serio. Mi avevano consigliato di farla regionale: ma siccome avevo un cugino che insegnava in una scuola regionale e certe volte stavano qualche mese senza stipendio, perchè non avevano fatto la delibera, allora no, ho detto, io la faccio statale e mi impegnai per questo. allora a onor del vero, interessai l'Onorevole Margherita Bontade, la quale si interessò e mi fece ottenere l'Istituto Statale d'Arte per il mosaico, sezione staccata di Palermo, all'inizio. Poi abbiamo avuto anche l'autonomia e fino a centotrenta allievi, sei classi, sono stati nel mio stabile, nella casa mia, che ha quattro piani, e non so quante stanze, fino nel 1964 quando la scuola si trasferisce in Piazza Guglielmo e poi ancora, dopo dieci anni nell'edificio attuale. Pur essendoci questo continuo ingrandimento, questo continuo aumento di numero di allievi, mancano, e su questo dobbiamo insistere, mancano i laboratori. Dobbiamo incrementare il più possibile i laboratori privati, quelli dei singoli: ciascun professore deve avere poi un laboratori privati, quelli dei singoli: ciascun professore deve avere poi un laboratorio per conto suo, avere dei ragazzi collaboratori e potere vendere però. Per potere vendere, vi insegno un segreto, con la mia vecchiaia: bisogna fare concorrenza; perchè se io per un lavoro che gli altri vendono per un milione, ne voglio pure un milione, non lo vendo. Se ne chiedo novecento, lo vendo al posto di quello che ne vuole un milione. Bisogna sapere, specialmente al principio, affrontare questi sacrifici. Mi ricordo, che quando facevo dei lavori, all'inizio, i ragazzi stessi mi dicevano: professore, per così poco? E, dobbiamo lavorare, e per lavorare, dobbiamo far pagare poco. Difatti la cosa si ingrandì e adesso abbiamo un mio laboratorio, collaborato da tanti giovani. Prossimamente ci sarà un'antologica,* nell'antologica cito coloro che mi hanno collaborato nell'esecuzione di tutti questi lavori, perchè mi pare onesto e corretto che questi ragazzi quantomeno abbiano questa soddisfazione di dire: anche noi abbiamo collaborato. E ce ne abbiamo, in tutta la Sicilia; in diversi posti della Sicilia, ci sono mosaici fatti a Monreale, nel laboratorio di Benedetto Messina ed in altri laboratori. Non parliamo adesso che c'è pure nel Giappone  mosaici fatti nel laboratorio dei fratelli Cangemi; dire che in Giappone ci sono nostri lavori è una grande soddisfazione, è un onore per tutta la città. Però ripeto, non bastano questi, bisogna ingrandire ancora di più. Io vi ho riempito un pochettino la testa. Concludo augurando a tutti voi, a ciascuno di voi, di avere la soddisfazione di poter "dare agli altri". E vi dico una cosa, che dando ai ragazzi si riceve. Insegnando, si impara; io contiuno ancora, con i miei settantotto anni, ad imparare dai piccoli. L'anno scorso ho avuto tra classi composte da ragazzi di scuole elementari e di prima media, cinquanta ragazzi divisi in tre classi, ma quanto mi hanno insegnato loro, io non gli ho insegnato, cioè loro hanno insegnato più a me, che io a loro. 






PROF. GIUSEPPE SCHIRO' 


COMPLESSO MONUMENTALE

BIBLIOGRAFIA SUL DUOMO DI MONREALE

I MOSAICI DEL DUOMO DI MONREALE
a cura del prof. Giuseppe Schirò






GIUSEPPE SCHIRO’
...
Il mosaico concepito come scrittura eterna, come scrittura per sempre; differentemente da quello che è la pittura la quale soggiace più facilmente alla distruzione dovuta al tempo. Il mosaico è come pittura per l’eternità.
Io penso allora che è possibile dire che nel Duomo di Monreale architettura e pittura musiva si alleano per trasmettere un messaggio eterno.
Prima di ogni altra cosa vorrei dare uno sguardo ad un aspetto storico legato all’origine di questo bellissimo monumento: il momento storico della costruzione del complesso monumentale e la scelta del sito.

Io dico complesso monumentale perché molto spesso, quando si parla di Monreale, si dice il Duomo, o magari il Duomo ed il Chiostro, però in realtà dovremmo dire il complesso monumentale perché si parte dal monastero dei benedettini, che comprendeva il Chiostro, ed a cui era annessa la Chiesa.
Allora, all’origine, chi ha “creato” questa ricchezza, non ha mirato a costruire una chiesa soltanto, ma ha mirato a costruire un complesso organico e funzionale.
A costruire questo complesso, come sapete, è stato il re Guglielmo II, ultimo, possiamo dire, dei grandi re normanni. Dopo di lui ci fu, è vero, Guglielmo III, ma non riveste alcuna importanza, non emerge neanche nella storia; segue poi il periodo svevo.
Guglielmo II muore nel 1189 all’età di 36 anni.
Prima di lui, i suoi antenati, il padre Guglielmo I ed il nonno Ruggero II, avevano creato delle realizzazioni molto belle: Ruggero II aveva creato il duomo di Cefalù, poi era venuta la Cappella Palatina; Guglielmo II è su questa linea, l’ultimo, nel creare realizzazioni di questo tipo.
Perché egli crea questa realizzazione? Teniamo presente che in questo luogo c’era soltanto il bosco: era un parco reale, ma era il bosco.
Per quale motivo creare un realizzazione così impegnativa, così importante in questo posto qui, su un colle da cui si vede Palermo?
In realtà a me sembra che Guglielmo II avesse un progetto che ha un triplice aspetto; anzitutto (e questo è l’aspetto politico-culturale) egli voleva un centro di diffusione della civiltà latino occidentale era prevalentemente abitata dagli arabi e quindi egli, piuttosto che ricorrere ad una soluzione di forza, ed alle soluzioni di forza non sarà estraneo Federico II, dopo di lui (quando prenderà tutti gli arabi e li porterà a Lucera in Puglia, per spiccarsi e risolvere il problema).
Guglielmo II ricorre ad una soluzione culturale-politica, crea qui un monastero fortificato di grandi proporzioni, e rivolgersi al suo amico l’abate Benincasa di Cava dei Tirreni, fa venire qui ben 100 monaci (l’abate si lamenta che putroppo gliene ha potuto mandare pochi).
Crea quindi questo monastero così grande, con così piccolo numero di abitanti (100 monaci benedettini).
Arricchisce il monastero di quello che è il Chiostro, lo affianca con questa Chiesa.
Ora, che senso avrebbe avuto, in un bosco, andare a creare una chiesa di questo tipo, di questa grandiosità, se non ci fosse stato sotto un intento culturale-politico: quello cioè di creare questo centro di diffusione della civiltà latino occidentale, nella Sicilia occidentale, per continuare in quell’opera latinizzante che i Normanni avevano intrapreso in Sicilia?
Quindi era il primo obiettivo.
C’era poi un altro obiettivo: quello di emulare i suoi stessi antenati, superare Cefalù, superare la Cappella Palatina (quando iniziarono i lavori qui, a Monreale, la Cappella Palatina, aveva 50 anni di età).
E poi un altro obiettivo anche importante era quello di creare per sé e per la sua famiglia, un mausoleo per la sepoltura sua e dei suoi familiari.
Ed a questo i sovrani normanni tenevano moltissimo, tenete presente quello che dispone Ruggero II a Cefalù: egli nel diploma di fondazione del vescovado e della concessione dei privilegi al vescovo, in quel diploma, il documento più importante che emise per Cefalù, dispone che le sue spoglie vengano conservate a Cefalù.
E’ vero che poi questa disposizione non fu più osservata, tant’è che il mausoleo di Ruggero II lo troviamo a Palermo, però credo che lui “frema”là dentro, perché vorrebbe stare a Cefalù (questi sovrani normanni volevano comandare anche dopo la morte, a quanto pare).
Questi erano gli obiettivi che Guglielmo II si prefiggeva, leggiamo questi obiettivi non nei suoi documenti, che sono parecchi, a partire dal 1182/83, con cui si istituisce il vescovado, parla di monastero, perché quella è la sua creazione, quasi una sua figlia (lui non aveva figli).
Quando ne parla, non parla mai dei fini politici, dei fini dinastici, dei fini culturali, non ne parla mai, parla solo di gratitudine a Dio e di devozione alla Madonna alla quale dedica la sua creatura che è il monastero e l’annesso Duomo. 
             

E’ grato a Dio che gli ha concesso tante ricchezze, che gli ha concesso tanto potere che gli ha concesso tanti beni; è grato alla Madonna ed intende mettere nel salvadanaio (il gazofilaceo, lui dice) dei suoi meriti l’aver costruito questo tempio in onore della Madonna, affinchè ne possa essere ricompensato nell’altra vita. Questo è lo scopo che noi leggiamo: egli impiega ricchezze   a profusione per la costruzione soprattutto del tempio, e poi, dopo tutto, al monastero non diede tanta attenzione, perché il Chiostro c’era e fu adornato dopo, però la profusione dei mezzi l’adoperò per costruire questo Duomo.
Su questa realtà nascono e su queste basi poggiano le diverse leggende fiorite attorno al Duomo; ne cito due, quella del sogno  (la ricchezza profusa), e quella dell’operaio che era Gesù Cristo stesso (la meraviglia).
Ce ne sono ancora altre, ma queste sono quelle che maggiormente hanno resistito nella tradizione e cioè, la prima, che Guglielmo II, andando a caccia, in questo parco reale, era stanco e si addormentò sotto un carrubo e lì sognò la Madonna la quale gli apparve  e gli disse: scava qua sotto, troverai un tesoro per costruire un tempio da dedicare a me, e c’è qualche pittore che ha rappresentato questa leggenda in una sua opera.
E poi l’altra leggenda: c’erano degli operai che lavorano  qui e tra questi si vedeva un operaio particolarmente bravo e solerte il quale durante la giornata mostrava tanta maestria, però la sera,ad ora di mangiare, spariva: era Gesù Cristo stesso.
Questo esprime “la meraviglia” che lungo il corso dei secoli ha esercitato questa costruzione.
Il progetto di Guglielmo II, il suo sogno, ben presto naufraga perché egli muore all’età di 36 anni.
Nel 1189 senza aver potuto realizzare in pieno quell’opera di penetrazione cristiana nella Sicilia occidentale, quale avrebbe voluto, ma dopo aver realizzato soltanto quel  complesso monumentale costituito dal monastero, con l’annesso Chiostro ed il Duomo.
Questo come cenno storico, ed ora un cenno bibliografico. Vediamo quali sono gli autori che hanno parlato di questo complesso monumentale.
E’ chiaro che qui vengono …omesse le opere che parlano di storia dell’arte e quelle degli storici siciliani, gli autori normanni della raccolta di Ludovico Antonio Muratori e i due volumi di G.B. Caruso e altri che sono tanti.
Veniamo ora alle opere che riguardano specificamente il Duomo di Monreale.
La prima è l’opera di Gian Luigi Lello che pubblica in due epoche diverse: nel 1588 la prima edizione a Parigi, e nel 1596, la seconda edizione a Roma.
In realtà il vero autore dell’opera del Lello, intitolata “Descrizione del tempio e del real monastero di santa Maria Nuova in Monreale” è il cardinale Ludovico II Torres, arcivescovo di Monreale (1588-1609), di cui il Lello era il segretario.
Il cardinale Ludovico II Torres è uno degli uomini più colti del suo tempo, bibliotecario di Santa romana Chiesa, legato con il mondo umanistico romano; pensate che il padre era stato padrino di battesimo di Torquato Tasso.
L’autore vero del testo è lui, e si prefigge un intento: cioè dimostrare che come la chiesa romana traeva la sua importanza, la sua dignità dalla successione apostolica, così la chiesa monrealese traeva la sua dignità dalla successione dei vescovi; infatti egli non si contenta di fare la descrizione del Duomo; parla anche della città, là si trovano anche i primi cenni sui quartieri ed alcuni particolari che riguardano la parte urbanistica.
Dopo di lui viene Michele Del Giudice, abbate benedettino, il quale recepisce l’opera del Lello, la aggiorna fino ai suoi tempi, la integra con altri opuscoli ( come la storia di San Martino delle Scale ed anche con un riassunto dei principali documenti e privilegi che riguardano Monreale), ecc.) e, soprattutto, la arricchisce di ben 33 lamine, opera di un incisore famoso, che illustrano, con grande abilità, il tempio, gli interni, gli esterni, con sufficiente precisione, ma soprattutto, sono molto belle.
Noi ritroviamo la riproduzione di tali lamine nelle cartoline che si vendono un po’ ovunque. Tale opera è pubblicata nel 1702.
Nel periodo del romanticismo, l’interesse verso il Duomo si accende ed ecco l’opera di Domenico Lo Faso Pietrasanta, duca di Serradifalco, archeologo e letterato, legato con il WinKelmann, che non è come gli archeologi che in un primo tempo si erano innamorati soltanto delle opere d’arte dell’età classica, ma va anche alle opere siciliane, ed ecco perché lui pubblica un bel lavoro, un volume in folio intitolato “Del Duomo di Monreale e di altre Chiese siculo normanne ragionamenti tre”.
E’ il primo tentativo moderno di descrivere ed apprezzare il Duomo di Monreale.
Però assai importante è l’opera imponente di Domenico Benedetto Gravina, l’ultimo degli abati benedettini prima della soppressione degli ordini monastici del 1866.
Domenico Benedetto Gravina pubblica nel 1859, i due grossi, imponenti volumi in folio su “Il Duomo di Monreale”.
Il primo di questi volumi contiene il testo, dove fa la storia, la descrizione dei restauri, l’esame dei mosaici, l’esame dell’architettura, l’esame dei simboli; è veramente  un opera di grande valore perché il Gravina era un uomo molto colto, faceva parte anche della deputazione dei restauri. Tale testo costituisce una fonte primaria importantissima per la conoscenza del Duomo. Il secondo volume è solo illustrazioni , una serie di tavole, molte delle quali in cromolitografia, cioè a colori, con un procedimento (una vera preziosità per quel tempo!) che per allora (fu stampato a Napoli), rappresentò un progresso tecnico avanzatissimo. Sono tavole molto belle ed anche ora non è facile superarle, hanno il difetto comunque di non rappresentare  esattamente tutti i particolari, cioè non ci si può affidare a queste tavole per dire, per esempio, che nel 1859, quel particolare era “così”, perché qualche cosa è immaginata ed interpretata. L’opera è comunque importantissima.
Vediamo quali sono le teorie e motivazioni esposte in questo testo: le origini del monastero e del Duomo risalirebbero a tempi antecedenti agli Arabi e, precisamente, all’epoca del papa benedettino Gregorio Magno (+604), cioè verso la fine del sec. VI. Guglielmo II avrebbe solo ricostruito il monastero per restituirlo ai benedettini. Ma il Gravina è fortemente influenzato dalla contesa tra i benedettini e clero secolare a Monreale e la sua tesi mira a rendere più solide le pretese dei benedettini fondandole sulla priorità del tempo.
Dopo il testo del Gravina, seguono poi, cronologicamente, altre monografie di minore importanza e dimensioni, come quelle del Tarallo, anche lui priore dei benedettini, del Millunzi, canonico monrealese nato nel 1859 morto nel 1922 che pubblicò una ventina e più di monografie piccole, ma importanti sulla storia di Monreale, e su vari complessi monumentali: il seminario, il Collegio di Maria, Pietro Novelli, Masi Oddo, ecc., interessanti anche perché egli faceva parte dei primi aderenti della Società di Storia Patria ed aveva già recepito la linea critico-storica che si fondava sulla documentazione.
Infatti arricchisce le sue monografie con la pubblicazione di documenti che riguardano quello che lui sta trattando.
Citiamo anche le opere del Garufi, suo contemporaneo, per arrivare, finalmente, alla famosa trilogia pubblicata a Palermo nella prima metà degli anni ’60 dall’editore Flaccovio. Il primo volume riguarda lo studio sui mosaici (1960) del professore Ernst Kitzinger, cui segue l’opera del professore Kroenig, morto recentemente, sull’architettura del Duomo (1965).
Dopo questa data seguono altre monografie di minore importanza, anche se compilate da valenti studiosi quali Bianca Maria Alfieri e l’architetto Lucio Trizzino.

…  Andiamo ora ai mosaici.
…Io credo che, affinchè si possano “leggere” i mosaici comprendendone i veri valori e significati, occorre guardarne tre aspetti, occorre cioè affrontare questa lettura usando tre diverse chiavi: quella teologica, quella più strettamente tecnico iconografica e quella dei simboli.
Sono tre aspetti che, a mio parere, devono essere considerati insieme, perché da sola una chiave non avrebbe nessun significato, non direbbe abbastanza; non possono essere separati i tre modi di leggere i mosaici se non si vuole correre il rischio di analizzare solo la carta, l’inchiostro, i caratteri di un meraviglioso poema , senza gustarne il significato.
Mi sembra si debba iniziare dalla lettura teologica.
…Per cogliere, in una visione di insieme, l’incomparabile bellezza del tempio, basta entrare dalla porta maggiore.
Si è come affascinati da questo spettacolo, da questa grandiosità. La basilica, con i suoi 102 metri di lunghezza e 40 di larghezza si presenta da qui nel suo grandioso e fastoso aspetto architettonico e decorativo.
Pensate che la Palatina è lunga 32 metri, e larga 12 metri; siamo quindi a Monreale in presenza di un monumento che tre volte circa la Cappella Palatina.
Ci si chiede: è più impressionante l’architettura o la decorazione?
I due elementi sono perfettamente armonizzati e l’uno contribuisce ad esaltare l’efficacia dell’altro.
Ma se osservate attentamente non potete non percepire immediatamente, nella decorazione musiva, quella unità che immediatamente si percepisce nell’architettura.
Guardate come tutta la decorazione musiva, questa enorme superficie di oro e di colori (circa 6.500mq) riempie e occupa ogni posto, ogni angolo, è come se fosse un manto che tutto riempie, che trabocca da ogni parte, trabocca all’esterno, vi si proietta unificando tutto, riducendo l’insieme di superfici e volumi ad un unico mero contenitore di sé stesso: è come se tutta quanta l’architettura sia creata in funzione della decorazione.
E’ questa la vera sostanza pregiata del monumento, quella che ha imposto costantemente, ai vari operatori delle trasformazioni della Cattedrale succedutisi nel tempo, l’obbligo di rispettarne la natura, l’essenza di adeguarsi ad essa, senza travolgerne quindi la fisionomia.
Un attento studioso ha rilevato che indubbiamente l’architetto che ideò il disegno tenne conto soprattutto della decorazione.
Recentemente sono stati fatti dei restauri: si è notato che i mosaicisti badarono solo ed esclusivamente alle loro esigenze e che in alcuni punti, dove fu loro utile, pur di realizzare i loro disegni e i loro quadri, non hanno esitato persino a coprire  delle finestre.
Così come avviene nell’arco maggiore dove c’è una finestra che è stata coperta, quella in cima, in alto.
Non esitarono anche ad apportare altre modifiche: arrotondarono degli spigoli, riempirono certi posti perfino con dieci centimetri di intonaco, pur di ottenere quest’armonia decorativa dei mosaici e scalpellarono le mura per favorire la presa dell’intonaco.. Quindi è chiaro che la prevalenza è quella della decorazione musiva che predomina, che trascina tutto. Un’altra osservazione: questa decorazione musiva, non ha subito, nel corso dei secoli sostanziali modifiche, pochissime sono state le modifiche; non solo la struttura architettonica non è stata disturbata da corpi aggiunti, ma la struttura decorativa è rimasta integra, tale e quale è uscita dalle mani degli artisti, dei creatori. Se cose aggiunte ci sono state, sono state totalmente emarginate: ad esempio, là, in fondo a sinistra, abbiamo la Cappella del Crocifisso, che pochissimo incide sulla parte strutturale e decorativa; a destra abbiamo la Cappella di San Benedetto che è al di là di quella porta lì, e credo non dia nessun disturbo all’insieme architettonico e decorativo.
Queste Cappelle sono tutte fuori, emarginate. Inoltre tutti i corpi che sono stati aggiunti, come per esempio l’altare maggiore, pregevole opera del Valadier, aggiunto nella metà del settecento, e persino l’organo, sia quello ricostruito dopo l’incendio del 1811, sia quello che adesso vediamo, non hanno per niente intaccato questa unità fondamentale. Non intendo esprimere alcun giudizio di carattere estetico né sull’organo, né su altro, ma voglio ribadire, come ha detto uno studioso, che qua la struttura architettonica, e soprattutto la struttura decorativa, ha imposto il criterio della “adeguatezza” a tutti quelli che hanno messo mano a fare qualche cosa. Per esempio, un’altra cosa che si è fatta è stato il pavimento; il pavimento all’origine non c’era, è del 1500; anche l’alto zoccolo di marmo nella zona inferiore delle pareti con queste strisce di mosaico, è venuto dopo; ma niente ha turbato quel disegno originario che è la decorazione musiva e la conseguente struttura architettonica. Nell’ideare il suo progetto, l’architetto dovette fare affidamento sull’effetto dei mosaici.
Notate un’altra cosa: l’immagine del Pantocratore.
Osserviamo come abilmente siano stati impiegati e distribuiti profili e modanature lungo l’asse longitudinale della chiesa: si arriva all’immagine del Pantocratore come salendo su dei gradini, come se si ascendesse: considerate il livello di capitelli delle colonne della navata maggiore, poi il livello degli archi successivi (la base dell’arco trionfale), superiore, e poi la base del catino dell’abside, il livello della base del Pantocratore. Sono come tre grandi gradini “ideali” che guidano a passi da gigante verso l’elemento che grandeggia sul gradino più elevato, che portano ascensionalmente verso l’immagine di Cristo Pantocratore. Lo sguardo è diretto verso quell’immagine. Questo dà all’insieme decorativo, all’insieme pittorico, la sensazione della grandiosità, del respiro, della ricchezza, dell’abbondanza, tutto si volle orientare verso questa immagine del Pantocratore.
Non vi può essere dubbio, dice il Kitzinger, che quell’immagine fu prevista dal medesimo artista che ideò l’architettura dell’interno della chiesa Apparentemente la decorazione musiva, quanto alla narrazione espressa, non offre particolare difficoltà, perché le scene in essa raffigurante sono facilmente comprensibili. Si tratta infatti di scene dell’antico e del nuovo Testamento e che si contenta di uno sguardo superficiale può ritenersi soddisfatto dell’abbaglio dell’oro delle pareti e dell’atmosfera di prorompente religiosità che ne scaturisce.
 Ma ciò non basta. Occorre accedere più profondamente nello spirito che ha dato vita ad un così straordinario monumento. E per far questo è necessario entrare nella mentalità e nella cultura degli artisti dell’epoca e dei loro committenti.
Ogni monumento reca un messaggio, ma quale è il messaggio che è un messaggio di fede e di civiltà al quale è necessario sintonizzarsi. Vorrei precisare però che, rintracciare il sentimento religioso nel passato significa non solo rispetto della fede altrui, ma distacco scientifico verso un’opera che è reale ed estrinseca alla valutazione dei posteri; che riconoscerlo questo messaggio, perché se no, non si entra nello spirito dell’opera. Si può anche non credere, ma non si può non conoscere: dobbiamo tenere presente che questo era il messaggio che gli artisti volevano dare, perché questo tempio è un messaggio, ed è il messaggio cristiano della salvezza.

Questo monumento era chiamato “la Bibbia del popolo”. Qui tutta quanta la decorazione musiva tende ad evidenziare la storia della salvezza, secondo la Bibbia, e rappresenta tre fasi della storia della salvezza:
-         La fase del“l’attesa del Messia” (l’antico testamento, dalla creazione, la storia di Noè – Abramo-Isacco-Giacobbe, sino alla lotta di Giacobbe con l’angelo);
-         La fase del“la venuta del cristo” ( a cui tutta quanta la decorazione è orientata, dall’annunzio a Zaccaria sino alla Pentecoste);
-         E la fase successiva, cioè la “vita della chiesa” (il tempo della Chiesa) raffigurata nelle due absidi laterali e mosaici vicini, nella vita dei santi Pietro e Paolo ed anche in episodi degli atti degli apostoli, ed il “ritorno di Cristo fino alla fine del mondo”. Abbiamo perciò questo respiro di fede del quale si deve tenere conto se si vuole comprendere.
Questo schema si sviluppa in cinque cicli principali:
-         l’Antico Testamento
-         la vita del Redentore
-         il Pantocratore
-         Il ciclo dei “mirabilia Dei
-         Il ciclo di San Pietro (nel diaconico) e di San Paolo (nella protesi)

     …La corte di Guglielmo II era agitata dai contrasti tra i suoi ministri e poi dai rappresentanti delle varie etnie, tant’è che lui costruì questo qui come centro di diffusione della cultura, difatti a protezione, c’erano intorno delle torri. Non è vero che le cose erano così semplici e così pacifiche: quando i normanni occuparono la Sicilia, erano una sparuta minoranza, erano pochi guerrieri, non erano molti; gli arabi e gli indigeni erano la maggioranza della popolazione. I normanni ebbero l’avvertenza, la capacità, di non distruggere, di lasciare che “a fianco” alla loro, sopravvivesse tutta una legislazione, tutta una tradizione degli arabi e dei bizantini. Lasciarono quindi tutto così, non senza contrasto, ma non soppressero anche perché non ne avrebbero avuto la forza visto che erano una piccola minoranza. Non è così limpido e così idilliaco questo rapporto, tutt’altro.
La tolleranza avvenne in un secondo momento,  all’inizio le cose non cominciarono bene; comunque i normanni ebbero di certo il grandissimo merito della tolleranza e della comprensione.
...

Per quanto riguarda la chiave dei simboli il Gravina su questo argomento dedica un intero capitolo, il VI, della sua monumentale opera di cui abbiamo parlato, che segue, per altro, il capitolo V, nel quale tratta degli “Usi e costumi sacri e profani”. Ed ecco quello che scrive nel V capitolo: I mosaici del nostro Duomo oltre al fornire una collezione brillantissima di fatti biblici e di sacre leggende, che portano storicamente il fedele dalla creazione al finale giudizio, racchiudono una non piccola quantità di idee archeologiche sugli usi e costumi sacri e profani del medio evo. Nulla in quei secoli fu fatto a caso.
I simboli erano il linguaggio, si parlava con i simboli, la stampa non era stata inventata. Ed ancora; La teologia, la tradizione dei Padri e della Chiesa, le determinazioni dei Sinodi e dei Concili, il patrimonio non incorrotto dell’arte cristiana, ecco ciò che formava il tesoro dell’artista, ciò che ne guidava ed incatenava il pennello, sia nelle composizioni sia nell’introduzione della parte mistico simbolica, sia nel ritrarre le fisionomie dei Beati, sia nell’assegnare ai loro personaggi il vestito o nel regolarne gli accessori. Abbenchè sia difficile tener dietro a tutto quanto in essi si potrebbe cavare di erudizione sì sacra, che profana, tutta volta sarebbe pecco imperdonabile, se questa parte sì ricca in se stessa, e sì attraente per gli studiosi potesse essere tracciata di non curanza.
Quindi secondo il Gravina, non è possibile “leggere” i mosaici e comprenderne in toto il loro significato senza questa chiave. E prosegue così nel capitolo VI: E’ impossibile illustrare un monumento, strettamente cattolico, spettante al medioevo e non trovarsi involto in un labirinto di simboli ed allegorie, e nelle forme architettoniche e nelle sculture e nelle pitture e nei colori ed in ogni cosa, che sfuggirebbe all’occhio del più raffinato analista. Io non oso presentarmi ai miei lettori con l’orgogliosa parola, vi dirò il simbolismo del Duomo di Monreale. E così egli continua a dire, ed una delle frasi che vorrei sottolineare è questa:Tutto era figura, tutto tendeva al grande avvenimento, cioè non c’era nulla che fosse esente da questa necessità di esprimere qualcosa, tutto era rappresentato, cioè il messaggio, di fede, naturalmente, veniva affidato ai simboli.
Ai simboli hanno dedicato degli studi sia autori del passato che autori più recenti.

Nella Sacra Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, il simbolismo risulta essere un linguaggio molto usato, ed è “un simbolismo di amore e di carità”. Inoltre nella sua dotta trattazione lo stesso Gravina dice di avvalersi di autori diversi, ma cita soprattutto un certo monaco Dionisio, autore di una “Guida alla pittura”, ed un certo V. Didron, francese, autore di un manuale di “Iconographie chrétienne. Anche nei tempi recenti la simbologia ha avuto molti cultori. Basta citare il Forstner, autore di un’opera intitolata “Die Welt der Christlichen Symbole”, ed il “Dizionario dei Simboli” di Chevalier – Gheerbrant, edito dalla Rizzoli. Potremmo dare uno sguardo a questo linguaggio figurato, al quale di certo, noi non siamo molto abituati, ma che era assai più chiaro e comprensibile agli uomini del medioevo.

La  chiave iconografica-tecnica è la chiave dove io cerco di ritirarmi dietro le quinte perché non voglio competere con la vostra professionalità, e con la vostra competenza: vi invito soltanto a leggere il capitolo III dell’opera di Kitzinger, intitolata “ I mosaici”.Il Kitzinger dedica a questo argomento uno studio attento. Il capitolo III è intitolato proprio "i prototipi iconografici". Sono ben 38 pagine nelle quali in sostanza dopo aver affermato che ogni opera d'arte medievale è strettamente vincolata dalla tradizione si chiede a quale tradizione è legato il Duomo di Monreale e passa quindi ad analizzare le analogie e le differenze tra i mosaici di Monreale e quelli della Cappella Palatina di Palermo, considerata prototipo di Monreale. Il Duomo di Monreale, e questa è una mia opinione, pare una specie di ingrandimento della Cappella Palatina.  Non voglio parlarvi della Cappella Palatina perchè ve ne parlerà successivamente qualcun altro molto più competente di me, però se non facciamo questo riferimento alla Palatina, dice il Kitzinger, non abbiamo capito nulla neanche di Monreale, perchè i rapporti fra i mosaici di Monreale e quelli della Palatina, vanno molto al di là di quanto generalmente si riscontra anche in casi di monumenti altrettanto prossimi nel tempo e nello spazio. 
< La piena comprensione della decorazione di Monreale -egli dice- dipende non poco dalla giusta valutazione di questi rapporti. E prosegue: Solo uno dei cinque principali gruppi iconografici del programma di Monreale - il ciclo di scene della vita pubblica di Cristo -  non ha un precedente nella Cappella Palatina. Due sono ripetuti quasi alla lettera e cioè a Monreale, dice il Kitzinger, troviamo presenti, in modo identico che alla Platina, dice anzi, tratti dalla Cappella Palatina, gli altri cicli (quello tratto dalla vita dei santi Pietro e Paolo - che troviamo nelle absidi laterali- e l'altro, il gruppo iconografico tratto dalle scene dell'Antico Testamento) e non quello delle scene della vita pubblica di Cristo che sono esclusivi del Duomo di Monreale. Però ci sono alcune cose da notare riguardo gli altri due gruppi iconografici che sono quelli relativi alla vita di Cristo, rappresentati nel presbiterio, nel diaconico e nella protesi, e quelli della corte del Pantocratore. Questi gruppi iconografici presentano delle differenze sensibili dovute a motivi tecnici: il transetto, il presbiterio, presentavano -nella Palatina-, all'esecuzione degli artisti, dei problemi che qui non ci sono. Vediamo quali sono: il problema dell'incrocio tra asse longitudinale e asse verticale. Nella Palatina la prevalenza dell'asse verticale e la minore disponibilità di spazio rende meno lineare la narrazione, mentre a Monreale la prevalenza dell'asse longitudinale e la maggiore disponibilità di spazio rende la lettura più facile. Per il Kitzinger quindi, il Duomo di Monreale appare come un ingrandimento della Palatina, non però eseguito in modo da non presentare, nei confronti della Paltina forti dissomiglianze e notevoli segni di originalità. Tra le dissomiglianze: la mancanza della prospettiva regale. Mentre la posizione del trono reale nella Palatina favoriva la contemplazione di soggetti militari di scene o di personaggi di carattere guerriero, qui invece questa necessità non è avvertita altrettanto intensamente come lì. Lì infatti il re, che scendeva nella Palatina dal lato della Chiesa, dal suo palazzo, come qua, sedeva al trono ed aveva dinanzi personaggi raffiguranti imprese militari, santi,soldati.; qui invece questa presenza non è intesa, anche se ci sono pure qua raffigurati santi soldati. Qui gli artisti ebbero una maggiore disponibilità di spazio, uno spazio molto più grande di quello che la Paltina offriva e, quindi poterono sviluppare, in maniera molto più ampia e con maggiore ricchezza di scene, tutto quello che vollero; il ciclo della vita di Cristo qui è più sviluppato che nella Platina, dove è limitato alla serie delle feste liturgiche. Ritroviamo a Monreale, quindi, una maggiore abbondanza di soggetti: addirittura, dice il Kitzinger, certe volte, in alcuni casi, gli artisti inventarono pure qualcosa pur di riempire lo spazio.
Note di originalità si riscontrano a Monreale soprattutto nel ciclo dei santi Pietro e Paolo, dove affiorano segni ed allusioni a tradizioni locali: ma queste "note di originalità"riguardano anche un altro aspetto, da studiare, e che è quello che maggiormente interessa, cioè lo "studio delle fonti iconografiche vere e proprie". Gli artisti di Monreale, quale modello, quale prototipo iconografico avevano nelle mani? Era lo stesso modello, la stessa guida , che aveva dettato legge per la esecuzione della Cappella Palatina? Non lo sappiamo, ma ad osservare attentamente, dice il Kitzinger, noi troviamo che ci sono molte analogie con le scene della Platina. Indubbiamente la presenza di scene che alla Palatina non ci sono, o di atteggiamenti che alla Palatina non troviamo, o di particolari, nuovi qui, ci fa pensare che gli esecutori dei mosaici di Monreale, non ebbero solo il modello della Palatina, ma attinsero probabilmente, ad altri modelli bizantini ed inserirono anche, con una certa abbondanza, elementi locali. La cosa più importante che egli nota è quella della scena del carnefice di San Paolo. Il carnefice di San Paolo, che è raffigurato là nell'abside laterale, qua è raffigurato non nell'atto di tagliare la testa all'apostolo, ma nell'atto di trattenere la spada, come in atto di riflessione: sembra quasi pentito, meravigliato, sembra sopra pensiero, ma a cosa è dovuto questo? Forse, dice il Kitzinger, è dovuto alla leggenda che dice che la testa di San Paolo, una volta staccata dal busto rotolò per terra e la toccò tre volte saltellando e sgorgarono sorgenti e che quindi lui rimase meravigliato tant'è che questo carnefice e si pentì e divenne cristiano? Questa tradizione, questa leggenda è squisitamente romana, e no si trova nei complessi bizantini. L'esempio che vi ho portato, è per dirvi come elementi locali, elementi italiani, romani, siciliani furono aggiunti a quelli che erano i modelli provenienti dall'arte bizantina. Quindi non è possibile, possiamo dire, formulare una tesi certa sulle fonti iconografiche o sui modelli, ma appare probabile che i mosaicisti si siano avvalsi di diverse guide pittoriche. <Questo spiega perchè anche quei mosaici che in senso iconografico sono vere e proprie copie di mosaici della Palatina, ne differiscono tuttavia profondamente dal punto di vista dello stile, mentre sono perfettamente armonizzati con altri che palesemente derivano da fonti differenti. Dovettero esservi due tipi di modelli, di natura totalmente diversa. Da un lato vi erano le guide iconografiche. Queste evidentemente variavano secondo i cicli, e perfino entro un ciclo singolo-quello della Genesi- abbiamo potuto notare l'uso di guide diverse. Dall'altra parte vi erano delle serie di formule "standardizzate" o campioni per motivi singoli. Queste formule potevano essere utilizzate nel riprodurre il materiale iconografico tratto da tutte le svariate guide e contribuivano a dissimilare ed appianare le incongruenze di stile, che altrimenti sarebbero state inevitabili. Sono queste formule che ci fanno dimenticare le origini varie dell'iconografia e ad esse è dovuta in gran parte la coerenza e l'unità dell'intera decorazione. Altra notazione è che ne presbiterio, le scene raffigurate nelle pareti, che erano oggetto della vista del sovrano, erano legate piuttosto a dei cicli liturgici, alle feste, ad esempio della resurrezione, del natale, quindi la scelta dei soggetti fu legata più a questi avvenimenti liturgici che ad altro. Qui a Monreale, invece no, c'è maggiore libertà, quindi si vede che si sganciarono da questo modello della Platina; ma evidentemente, possiamo pensare ad una guida di fondo: in realtà., e questa è la mia impressione, , non avendo nessun documento in proposito, non possiamo stabilire niente di preciso, tutto quello che possiamo pensare è quello che ci viene dalla diretta osservazione. 
Resterebbe ancora da dire qualcosa sulla tecnica e sui tempi di esecuzione dei mosaici. Un attento esame condotto sui mosaici ha portato gli studiosi a notare certe rassomiglianze e modi di attribuire la stesura del manto musivo a squadre di mosaicisti che operavano simultaneamente e che si influenzavano vicendevolmente sotto un'unica direzione ed unitaria. Gli artigiani, pur proveniendo da officine diverse e pur usando anche tecniche relativamente diverse, dovevano avere però una comune tradizione  stilistica e quindi dovettero  usare obbligatoriamente uno stesso repertorio di formule. Si scopre che c'era un lavoro simultaneo e coordinato , eseguito da molte mani, ma non uno sviluppo o un progresso a cui abbiano potuto contribuire generazioni successivamente di artisti come si nota nella Cappella Palatina. Più che una variazione di stili, le differenze rivelano una variazione di qualità. Ad esempio, le figure del transetto non sono così accurate come quelle dell'abside; nelle zone meno esposte si nota una certa frettolosità nell'esecuzione, ma non si tratta di differenze stilistiche. Non vi appare tra questi mosaicisti una qualche figura di artista particolarmente spiccata. In tutto il complesso musivo si trovano figure con tipi facciali identici, con gli stessi gesti ed atteggiamenti, con gli stessi motivi di panneggio. Questa è una caratteristica propria del Duomo di Monreale, che, se conferisce all'opera una certa monotonia, dà però l'impressione di unità e di omogeneità. Tutta l'opera dovette essere completata in un arco di tempo assai limitato e ultimata non molti anni dopo la morte del Re. Non si conosce con esattezza la tecnica seguita dai mosaicisti di Monreale. Anche qui riporto l'opinione di alcuni studiosi. L'ipotesi più accreditata è che l'opera fosse eseguita in situ, sui ponti. Sulla parete veniva steso un primo strato sul quale veniva tracciato un abbozzo lineare; successivamente veniva dipinto uno schizzo che serviva da guida al mosaicista. La malta, la cui composizione rappresenta ancora un segreto per i mosaicisti ed i restauratori moderni, veniva applicata, a sezioni, su aree relativamente limitate; il suo indurimento era assai lento e consentiva l'incastonatura delle tessere di mosaico. Appare probabile che la composizione degli abbozzi preliminari fosse opera di un piccolo gruppo di artisti la cui attività interessava tutta la superficie da coprire e che lavorava con l'occhio rivolto alla distribuzione complessiva dei mosaici ed all'effetto generale che si voleva raggiungere. Se si considera che tutta la raffigurazione costituisca un messaggio di contenuto eminentemente teologico, si deve ipotizzare la partecipazione di un gruppo di colti ecclesiastici nella scelta e nella disposizione dei soggetti.   

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DOMANDA: C’è una spiegazione di tutti questi mosaici?


GIUSEPPE SCHIRO’: Ma è la creazione del caos, il primo giorno Dio crea la luce, separa le acque dalla terra e dal cielo, crea i pesci, le stelle, gli uccelli, crea Adamo, ed il settimo giorno Dio si riposa. Dio conduce Adamo nel paradiso terrestre, Dio crea Eva, Eva è presentata ad Adamo, Eva è tentata, ecc.; poi nella seconda fascia continua l’Antico Testamento, e poi riprende dall’altra parte: Noè, la costruzione dell’arca, il diluvio universale, l’arcobaleno, Noè che si ubriaca, la torre di Babele, poi la visione di Giacobbe (un presagio della volontà divina), poi la scena degli ospiti, ed ancora altre scene dell’Antico Testamento fino ad arrivare a Sodoma e Gomorra, la distruzione, poi ancora Giacobbe, il sacrificio di Abramo, Giacobbe che fugge, Giacobbe in viaggio; le figurazioni si concludono con Giacobbe che lotta con l’angelo, ne è ferito al femore, e cambia nome, da Giacobbe ad Israel. Poi comincia la Sapientia Dei, la Sapienza di Dio: i due angeli che si inchinano alla sapienza di Dio raffigurata in quell’immagine in alto con il medaglione, questi sono i profeti dell’Antico testamento, gli angeli, e così via. La lettura dell’Antico Testamento è molto facile; anche i miracoli sono facili da leggere.

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BENEDETTO MESSINA: ...
forse per l'istintivo spirito di osservazione di artista, forse perchè ho avuto anche dei bravi professori di storia dell'arte, forse anche per il fatto che io insegnavo geometria descrittiva e disegno architettonico. C'è una cosa difficile ad osservarsi. Sembra facile, ed è facile dopo che lo si sa, e mi piace trasmettervelo, perchè siamo tutti cristiani e quindi mi piace che il cristiano che viene qua, se ne vada con un concetto completo di chi ha progettato il Duomo, perchè non si sa chi è stato, non si sa perchè allora i lavori erano solo di Dio, l'uomo non doveva essere artefice di alcunchè. Come diceva il professore, il Duomo l'ha fatto Guglielmo. Ma in realtà non l'ha fatto Guglielmo il Duomo, l'ha fatto fare Guglielmo; chi è stato l'architetto? Niente, non si sa. L'architetto doveva essere, come ha osservato il mio professore, così bravo da fare l'architettura per questa decorazione, e questa decorazione per questa architettura. Non c'è proprio niente che sia fuori posto. Una cosa che mi ha sempre appassionato e che mi piace sempre dire, è questa: voi tutti avete studiato architettura, e sapete che ci sono i contrafforti, cioè, quando si deve reggere un elemento verticale, perchè non cada, gli si fa i contrafforte qualche cosa che lo regge; Le navate laterali nell'architettura, per la navata centrale che è più alta, rappresentano i contrafforti; ebbene l'architetto, chi progettò, sapeva ed ha pensato di mettere tutti i miracoli di Gesù nelle navate  laterali, cioè come le navate laterali, architettonicamente, fanno da contrafforte alla navata centrale, così i miracoli di Gesù fanno da contrafforte a quello che è l'espressione della fede, l'espressione della storia di Dio, della storia degli uomini, contenuti nella navata centrale. I mosaici che raffigurano questi miracoli, poi, non sono stati eseguiti, come qualche volta si dice, tutti nello stesso periodo, no, assolutamente, perchè se voi osservate, guardandoli tutti, alcuni addirittura tentano la "prospettiva", ci sono nel contesto pavimenti che si richiamano alla prospettiva, cosa molto importante ed interessante dal punto di vista di noi studiosi, di noi insegnanti di architettura, di pittura, di mosaico, ecc. .Un'altra cosa che faccio osservare è che qui c'è rappresentato il popolo, l'umanità: sopra le lesene che sono poste in giro ci sono dei simboli arabi (agli arabi era vietato rappresentare la figura umana), ed allora, come voi vedete, ci sono delle immagini che sanno di "persona", di gente vestita, con la testa, le braccia, ecc. ; vedete tutte queste figure che girano intorno, sopra la parte postuma: questa parte è araba ( come ci diceva il mio professore), ed in essa sono rappresentate le figure umane, il popolo di Dio, il popolo che sta qui ad osservare, a vedere, a lodare, a benedire il Signore. E la cosa curiosa è che io non sono riuscito a vederne uno uguale all'altro, cioè sono, guardandoli come forma, genericamente, sembrano tutti uguali, poi intimamente nessuno è uguale all'altro, la decorazione è tutta differente, una dall'altra, per dire che gli uomini siamo sì tutti uguali, però intimamente ciascuno è se stesso, con le proprie caratteristiche, il proprio spirito, il proprio modo di vedere, il proprio modo di fare. Guardate che significato profondo hanno espresso questi artisti, non gli esecutori, ma i progettisti! Ciò mi basta per essere contento, nell'animo mio, di aver comunicato a voi cristiani,  questo pensiero cristiano, cioè di vedere i miracoli come contrafforti alla fede; se Gesù non avesse fatto i miracoli, se non fosse resuscitato, che Gesù, che Dio sarebbe? Uno come tutti gli altri. Gesù è il figlio di Dio perchè ha fatto i miracoli, comandava la natura, è resuscitato, come dice San Paolo: se non fosse resuscitato la nostra fede sarebbe vana. Con questo vi auguro di approfondire voi personalmente queste cose, perchè poi, io mi accorgo, come diceva il vescovo "c'è sempre da imparare", ed ogni volta che entro qua trovo che c'è sempre qualche cosa in più che prima non ho visto.
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La conservazione del mosaico all'esterno, era uno degli argomenti, mi pare, da trattare. Io la lezione l'ho avuta, come dicevo l'altra volta, dagli artisti di tremila, duemila anni fà, perchè quelli passavano sopra il marmo, sopra il mosaico, la cera d'api diluita con acqua ragia. La cera d'api ha un potere da non credersi, perchè poi cristallizza, diventa trasparente, e quindi non fa penetrare l'acqua, ma non è tanto l'acqua che penetra che fa male, perchè l'acqua poi, con il freddo diventa ghiaccio, e quindi dilata e nel dilatare, distrugge. ...

GIUSEPPE SCHIRO': In realtà le cose che ha detto il professore Messina sono molto interessanti e mi hanno fatto pensare che per "gustare" meglio il monumento dovremmo stare qui a guardare, a parlare, chissà quante ore.
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