In Biblioteca….
SCRITTI E MANOSCRITTI
DI
GIOVANNI MARIA COMANDE'
"... fra i Monrealesi illustri di ogni tempo"
“… l’unico narratore monrealese che abbia raccontato descritto e celebrato la sua città nei decenni a
cavallo dell’unificazione e della transizione a forme statuali stabili ed
efficaci, e cioè, dalla repressione del 1849 fino all’unificazione e oltre.”
GIOVANNI
MARIA COMANDE’
Scrittore e
Drammaturgo
(Monreale
1882 – Roma 1933)
A cura di
Pino Giacopelli
Alla
fine degli anni ’80, mentre continuavamo a dispiegare la nostra attenzione
verso i due dioscuri monrealesi: il poeta Antonio Veneziano e il pittore Pietro
Novelli, con l’Istituto di Cultura Superiore dell’Accademia Siculo Normanna
iniziavamo una profonda riflessione su certi anonimati che offendono la dignità
della cultura. Non sono rari, infatti, casi di scrittori che sono andati
incontro o verso un suicidio psicologico o verso un suicidio più brutalmente fisico. Ci preoccupammo e ci occupammo di
questo argomento negli annuali incontri su “ La scrittura dimenticata” con gli
amici Francesco Cammarata, Salvino Candido, Salvatore Di Marco, Carmelo
Pirrera, Giuseppe Schirò, Ferruccio Ulivo ed altri. Fra gli autori monrealesi
che abbiamo offerto all’attenzione degli studiosi, il filosofo monrealese del
‘700, Vincenzo Miceli, lo storico Gaetano Millunzi (1859-1920) e lo scrittore e
critico d’arte Giuseppe Sciortino (1900-1971). Nel 1995 abbiamo avuto la
ventura di ritrovare in un sacco di plastica nero, custodito nella biblioteca
civica di Monreale, una ricca corrispondenza e alcune opere edite e moltissime inedite
di un altro autore monrealese – Giovanni Maria Comandè – della cui figura e
della cui opera Salvo Zarcone ed io ci occupammo nell’incontro tenuto a
Monreale nella Sala Rossa del Palazzo di Città di Monreale, il 7 giugno 1997.
Di lui s’era sentito bisbigliare il nome e ricordavamo soltanto di aver visto
un romanzo (“Don Giovanni Malizia” pubblicato nel 1930 dalla Sandron di
Palermo), del quale il benemerito editore palermitano Bruno Leopardi, oggi
ripropone la stampa. Proprio in quel periodo, Massimo Onofri, giovane
italianista con una spiccata attenzione alla letteratura siciliana, si
apprestava a pubblicare il volume “Tutti
a cena da don Mariano – Letteratura e mafia nella Sicilia della nuova Italia”
(uscito poi, nel 1996per la Bompiani). Egli avendo trovato citato il romanzo di
Comandè ne “La mafia nella letteratura” (1970), di Pietro Mazzamuto, ci chiese
con interesse notizie del Comandè e del suo romanzo, sorpreso e nello stesso
tempo lieto di apprendere che ce ne stavamo interessando.
Vediamo
allora chi è questo scrittore “dimenticato”.
Quinto
di nove figli (Carmela, Anna, Brigida, Pietro, Rosa, Franca, Giuseppe, Ignazio),
Giovanni Maria Comandè è nato a Monreale, sotto il segno della Vergine, il 26
agosto 1882, da Giacomo e Teresa Maria Mammina. In quello stesso anno
nascevano, a Polizzi Generosa Giuseppe Antonio Borgese colui che darà il nome
ai Crepuscolari e che nel 1921
pubblicherà “Rubè”, l’eroe senza qualità, e a Enna, Nino Savarese, l’autore di
“Ploto”, “Gatteria”, ecc.
Don
Ignazio, lo zio prete, secondo una consuetudine del tempo, avvia il piccolo
Giovanni Maria alla carriera ecclesiastica che, nel seminario di Monreale culla
di insigni maestri come Giuseppe Fiorenza, Gaetano Millunzi e Giuseppe Fedele,
si distingue per intelligenza, profitto e generosità.
A
24 anni viene ordinato sacerdote.
Ben
presto però la sua natura insofferente trova fertile humus nell’avvento del
“modernismo”, movimento che eresse la coscienza religiosa individuale a giudice
sopra la rivelazione e la Chiesa.
Divenuto
secolare, compie il servizio militare e sotto l’impulso di una incipiente
passione risorgimentale, partecipa da ufficiale alla prima guerra mondiale
(dove fu ferito).
Completati
quindi gli studi universitari che non gli era stato consentito di seguire
prima, per espresso divieto delle autorità religiose (un divieto che fece
apostatare non pochi sacerdoti monrealesi), si trasferisce con la mamma e le
sorelle a Palermo, dove abita inizialmente in via Isidoro Carini, poi in via
Banditore 11 e, verso gli anni ’30 in via Ricasoli 74, nei pressi degli
stabilimenti delle rinomate Edizioni Sandron (che avevano sede in via
Ucciardone 3), dove era stato assunto come collaboratore e redattore
letterario.
La
società italiana tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nostro marciava
verso lacerazioni culturali e politiche in una crisi profonda dello Stato
liberal-monarchico, concomitante, come causa e come effetto, con la crisi della
letteratura dell’Ottocento (Romanticismo-neoclassicismo-dannunzianesimo).
Ideologie
e movimenti si presentavano disarticolati e disorganici. In Sicilia si
respirava scetticismo: pesavano notevolmente le rivolte dei Fasci Siciliani,
l’omicidio Notarbartolo maturato nel contesto degli scandali del Banco di
Sicilia, poi il processo a Nunzio Nasi.
Lo spettro della Rivoluzione russa aveva reso più violenta la reazione contro i
movimenti popolari. La vittoria del fascismo che concluse un periodo di torbidi
e di violenze connesse alle difficili condizioni economiche, sociali,
spirituali del Paese nel dopoguerra e al divampare della lotta di classe, fu
accolta con sollievo dalla borghesia e dalla maggioranza moderata del Paese, e
avallata dalla monarchia. Giovanni Maria Comandè, come non pochi intellettuali
suoi contemporanei aderisce speranzoso alle istanze di rinnovamento propugnate
dal fascismo nei primi anni del suo avvento, Colto, buon conferenziere, sa di
greco e di latino per cui pubblica molti testi scolastici (fra cui “I classici
greci per il ginnasio superiore” prefato da Ettore Bignone Ed. Sandron). Ha
buona dimestichezza con l’inglese, il francese e il tedesco. Collabora al
giornale “L’Ora” dove pubblica il romanzo “Zagara e armi ovvero I ribelli della
Conca d’Oro”, in cinquanta puntate. Vince premi. Stabilisce intensi legami umani ed intellettuali in Italia e
all’estero con noti scrittori e artisti, da Lucio D’Ambra a Toti Scialoia ad
Alfonso Amorelli, il famoso pittore palermitano che nel 1930, in occasione
della candidatura del Comandè al prestigioso “Premio dei Trenta” per il romanzo
“Don Giovanni Malizia”, ne ritrae il profilo con un disegno essenziale ed
eloquente: occhi acutamente scrutatori
pieni di pensiero, un paio di vezzosi baffetti sopra l’insellatura del
labbro superiore, la fronte alta, bombata; stempiato, i capelli, vagamente
rossicci pettinati all’indietro.
Dalle
poche fotografie recuperate fra i numerosi manoscritti ora conservati nell’archivio
della biblioteca comunale della sua città natale e dai ricordi dei nipoti
Giacomo e Calcedonio, ricaviamo qualche altro connotato : di statura
media, di carnagione chiara, labbra
carnose e sensuali, un portamento autorevole, un modo di vestire intonato
all’aspetto signorile ed elegante; una mimica brillante da grande
intrattenitore; suona il pianoforte; ha spiccato il senso del comico e il gusto
dell’ironia; generoso; colpisce per lo sguardo intenso e penetrante, per gli
occhi chiari e profondi di chi sa il fatto suo, ma anche specchio di un animo
inquieto. Non sposò ma intrecciò intense saltuarie relazioni e qualcuna a
giudicare da una fitta corrispondenza, piuttosto seria, con una signora
svizzera (Clementina Del Curto).
Amò
il teatro con vera passione. Fu amico del grande comico catanese Angelo Musco
(per lui scrisse la commedia in tre atti “Carulina, statti a postu”) e
dell’attore Giovanni Grasso (per il quale compose il dramma in tre atti
“Palummi muti”). Guglielmo Policastro ne “il teatro siciliano” (Ed, Giannotta,
Catania 1924) segnala l’entusiastica accoglienza riservata al dramma “Rusignolo” e a “I giovedì de le comari”,
rappresentata nell’aprile del 1921
all’Olimpia di Palermo. Scrivere per il teatro gli era congeniale come farsi la
barba. Amava le situazioni umoristiche, la comicità spontanea. Qualche titolo è
financo emblematico; “Le vergini prudenti”, “La signora di dieci giorni”, “L’
asino d’amore”, “Focu sopra focu”, “Cento onze di verginità”. Comandè è anche
autore di un cinquantina di opere, in lingua e in dialetto, tra commedie,
drammi, bozzetti comici, novelle, racconti, in gran parte inediti, sui quali
soltanto da poco si è cominciato ad indagare, ma sufficienti per rendersi conto di trovarsi in presenza di un
grandissimo personaggio della letteratura siciliana di cultura ampia e di vasta
formazione, che si muoveva, insieme ai suoi contemporanei Giuseppe Antonio
Borgese, Nino Savarese e Giuseppe Sciortino (l’autore de Il figlio in Sicilia), in quella Sicilia nella quale scrittori come
Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Antonio Aniante e Luigi Pirandello, si affacciano
con prestigio alla ribalta letteraria nazionale.
Nel
1932, quando le edizioni Sandron (che da Palermo avevano contribuito in modo
decisivo alla penetrazione nell’sola del pensiero positivista), sono costrette
a cessare la loro attività, Giovanni Maria Comandè si ritrova senza impiego. Ma
forte dei suoi successi letterari si trasferisce a Roma dove abita presso la
Pensione Iaselli-Owen di Piazza Barberini, 12.
Poco
tempo prima, il noto scrittore e drammaturgo napoletano Roberto Bracco, nel
congratularsi con lui per un suo contratto in inglese, conclude una sua lettera
scrivendo: <Ormai hai preso il volo. Lo spazio è tuo>. Putroppo questa
profezia non si avvera. Da qualche accenno che si evince dalla corrispondenza
che abbiamo consultato, il Comandè si mostra deluso e fortemente amareggiato.
Tutto sembra congiurare contro di lui che appare sempre più fragile e
disorientato.
Il
Tevere restituisce il suo corpo l’11 marzo del 1933, non aveva neppure compiuto
51 anni.
Quello
stesso anno erano morti, il non dimenticato autore dei “Mimi siciliani”, lo
scrittore di Valguarnera, Francesco Lanza, appena trentacinquenne e il
palermitano Giuseppe Ernesto nuccio (lo scrittore per l’infnzia), mentre a
Sant’Agata di Militello nasceva Vincenzo Consolo.
Con
il corpo inanimato dello scrittore monrealese, sembrò, però, che fossero state
sepolte pure le sue opere letterarie e teatrali. Come se l’abbandono dell’abito
talare prima e il suicidio dopo, lo avessero condannato all’oblìo perenne. Ma
il tempo e il caso ogni tanto fanno giustizia. Ora tocca alle Istituzioni, al
mondo della cultura e all’editoria assumere tutte le iniziative per far sì che
le opere di questo scrittore abbiano il riconoscimento che meritano.
...........
Nessun commento:
Posta un commento