AURELIO PES


 Omaggio

 

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AURELIO PES

Scrittore, Drammaturgo, Poeta, Critico d'arte siciliano

Vogliamo ricordare la sua presenza a Monreale in occasione di una personale d'arte di Silvio Guardì, scomparso, anche lui,  prematuramente. Aurelio Pes, quel giorno ha voluto presenziare all'inaugurazione di quella mostra dal titolo "Le Filigrane" e presentare l'amico e l'artista Silvio Guardì. 


La Filigrana, rielaborata dall'artista Silvio Guardì, presentata dal drammaturgo e critico d'arte Aurelio Pes, il quale ha dichiarato che  queste opere in esposizione rappresentano una rievocazione di questa antica pratica della filigrana, rielaborata magistralmente da Silvio Guardì su tela e su carta, con lo scopo di rendere l'invisibile o anima delle cose, palese agli occhi di tutti.


                                                                          con la moglie

)









Nell'anno 1999 nel giorno della scomparsa prematura di Silvio Guardì, 
Aurelio Pes scrive:


MONITO PER SILVIO 

Raffigurati ascese tra i pianeti
 e rilucenti costellazioni
scene di giudizi e sponsali
nuovi mondi creati
e distruzioni
di esseri mercuriali.
suscita in te la memoria
delle esistenze remote;
persuaditi che quanto ora tu fai
lo hai gia' fatto
e ancora lo farai
percorri, con incedere distratto
corpi gracili e oblunghi
con il volto contratto
e i becchi adunchi.
li sommuovono i venti
l'incalzare dei sismi vorticanti
l'irrompere delle acque
dalle alpestri sorgenti
nei letti inorriditi, nelle piane
dove spruzzi si nutrono di sabbia - i serpenti d'ossami,
di fiamme le salamandre cangianti,
dalla terrea nerezza minerale
fai sorgere i barbagli del colore
che al subito biancore
avvicendi la porpora aurorale,
trasformi il piombo in oro.
l'uomo che si corrompe in immortale
la crudita' dell'aria 
che incupisce 
la luce seminale 
dirompe il ferro in scoria,
lo rapisce
nel piu' compatto gelo.
scintilla saturnino il serpentario,
venere guarda all'orsa, 
in cielo gia' si adombra il sagittario
che nella caccia spicca la sua corsa.
ma il demiurgo, - no e' simile al ragno
che da se stesso ricava lo stame?
non e' dietro il tessuto del visibile
che si erge il suo invisibile telaio.
  sul quale ordire le stellanti trame?
come un silente stuolo
di fantasmi e di fragili sudari,
d'anime d'acqua e di essiccati erbari,
solo i vulcani spenti
danno un piu' ricco suolo.

                                                                Aurelio Pes

(CIAO, ad entrambi) 






Libri in biblioteca... 

Vanna De Angelis

DALLA PARTE DELLE STREGHE





Molto prima che la Santa Inquisizione stabilisse con illuminata sentenza che tutto ciò che non è Dio appartiene a Satana, condannando al tormento eterno chiunque stesse sospettosamente nel mezzo, molto prima di tutto questo...esistevano le fate. 
Erano donne sapienti che conoscevano i segreti della natura e sapevano curare come i medici uomini. Talvolta anche meglio.
Come Bessie Dunlop, guaritrice scozzese della metà del Cinquecento, grande conoscitrice di rimedi naturali, ostetrica, veggente. Ma per il tribunale ecclesiastico che la mandò al rogo. Bessie era semplicemente una strega.
Dal piacevole intreccio di narrazione e ricostruzione storica, tra riti, saperi, e pratiche di guarigione, rivivono i tempi della Grande Dea della Naturs e quelli, oscuri, in cui non esisteva peccato peggiore che essere donna.

Tempi in cui la distanza tra genio e magia era breve quanto quella tra corda e impiccato. O fra legna e rogo.




VANNA DE ANGELIS, AUTRICE DI SAGGI E ROMANZI, VIVE A MILANO. PER PIEMME HA PUBBLICATO ANCHE AMAZZONI, LE STREGHE, EUNUCHI E IL LIBRO NERO DELLA CACCIA ALLE STREGHE

Libri in biblioteca...Casa Florio

 LIBRI IN BIBLIOTECA...


      CASA FLORIO

di 

Salvatore Requirez  

Flaccovio Editore 1998

La storia della più importante famiglia siciliana che per oltre un secolo resse le sorti dell'economia non solo dell'isola, rivive in queste pagine con taglio preciso e completo. Le vicende delle imprese, degli uomini e dei luoghi che hanno segnato la saga dei Florio, per lungo tempo ritenuti sovrani della Palermo più bella, vengono esposte con equilibrata armonia e romantica partecipazione. Una copiosa documentazione fotografica largamente desunta dagli archivi ufficiali di Casa Florio aricchisce l'opera di un fascino particolare.






(sunto, delle prime pagine del libro)
    Negli ultimi anni del settecento, quando la situazione economica era incentrata sull’agricoltura, salvaguardata dall’aristocrazia palermitana, formata da nobili latifondisti a discapito dell’imprenditoria borghese  che invece auspicava  un rinnovamento e facilitazioni negli scambi commerciali, si inserisce la figura dell’imprenditore calabrese Paolo Florio e del cognato Paolo Barbaro che arrivano  in Sicilia  per mettere in atto le loro capacità economiche, trasferiscono la sede della’azienda fondata a Bagnara nel 1793 “sulle ceneri della drogheria Bottari le cui scorte avevano rilevato avviando un commercio di spezie  e generi coloniali.”

La prima sede cittadina della società calabrese fu posta in via Materassai nel piano di San Giacomo alla Marina. Era una sede adatta, vicina al porto.

Poiché Palermo era rimasta ai margini del traffico di questi generi. il rischio principale era legato ai collegamenti con i paesi esotici o con i punti di smistamento   del Mediterraneo. Florio e Barbaro colgono questa opportunità.

Dopo un periodo di avvio delle attività, i due cognati dividono la società. Florio in pochi anni diventa un’ importante grossista di generi vari non solo siciliani. Questo gli permette di trattare quantitativi sempre più grandi e di accreditarsi prestiti che gli fecero crescere la fortuna.

Alla sua morte avvenuta nel maggio 1807, Paolo Florio lascia come erede il figlio Vincenzo ancora minorenne  e l’amministrazione dell’eredità,  affidata al fratello Ignazio che giunge dalla Calabria a Palermo per curare gli affari.

Divenuto maggiorenne, Vincenzo ristruttura l’antica sede alla Marina e fa allestire un’insegna lignea con un leone malato ed  inginocchiato che beve le acque benefiche intrise dell’essenza della corteccia di china. Era il simbolo dei miracolosi effetti attribuiti alla capacità terapeutica del cortice, antico precursore del chinino, antipiretico naturale efficace contro le febbri forestali e malariche che si vendeva tra i generi nel negozio dei Florio. Vincenzo  fa arrivare a Palermo le macchine adatte alla tritatura della corteccia di china e il cortice  presto viene riconosciuto come un farmaco, venduto solo in farmacia. 

Casa Florio apre così una farmacia, la cui attività crebbe e fece diversificare gli interessi.

Intanto l’aristocrazia siciliana che fondava la sua ricchezza principalmente sull’agricoltura, decade, soprattutto per la legge sul maggiorasco che aveva indebolito le potenzialità economiche dei singoli casati e non potè mantenersi forte sul mercato.

Era invece  cresciuta una solida classe borghese capace di impiegare il denaro accumulato  seguendo le innovazioni più  di quanto aveva fatto l’aristocrazia con l’acquisto di latifondi e con la creazione di immobili. Ignazio Florio moriva nel 1828.

         Lasciava erede Vincenzo raccomandando di salvaguardare il negozio di aromateria che diede origine alle fortune della Casa di Commercio Florio con la dicitura <Ignazio e Vincenzo Florio>.

Riprendendo il punto sull’arretratezza delle comunicazioni terrestre e marittime la Sicilia era esposta ai rischi dei corsari, penalizzata sia negli  scambi  che nel trasporto dei passeggeri. Negli anni ’40, un gruppo di capitalisti  palermitani tra cui Vincenzo Florio,  fonda la Società dei “battelli a vapore siciliani” il cui capitale venne impiegato per l’acquisto di un battello a vapore chiamato “Palermo”. Iniziativa che ebbe effetti positivi e che dava il segnale che un certo tipo di aristocrazia si sganciava dall’immobilismo latifondistico radicato  per modernizzare l’utilizzo dei capitali.

 Il vantaggio fu notevole per gli scambi e per l’affidabilità siciliana. Nel 1848 scoppia la rivoluzione contro l’assolutismo monarchico. Il battello “Palermo” cade in mano ai rivoltosi. Il Florio in quegli anni rafforza la sua potenza economica: acquista nel 1848 il piroscafo “Indipendent ed un’altra nave all’avanguardia, il “Corriere Siciliano”  ch raggiungeva la Francia, cuore della moda  e del saper vivere. Nel 1858 il Regno borbonico gli appalta anche il servizio postale tra Napoli e Palermo tra Napoli e Messina. Un successo enorme per Florio che veniva osservato con grande ammirazione. Egli era riuscito ad inserirsi nel novero di quegli imprenditori  capaci di dialogare  con i vertici dello Stato.  La crescita esponenziale  della nuova realtà marinara di Sicilia ormai si avvertiva. Agli inizi degli anni sessanta Vincenzo Florio era l’uomo più importante del meridione.

Nel 1868 Vincenzo Florio muore lasciando al figlio Ignazio le redine dell’impresa navale e dopo aver superato vicine concorrenze, riesce a rimanere in assoluto predominio  in ambito nazionale. Intanto  si andavano concretizzando sia le linee ferroviarie, a beneficio  delle zone più interne del paese, che lo sviluppo delle aree industriali del nord con una efficace rete ferroviaria. Le aziende marittime non subiscono alcun decremento, grazie anche al supporto assicurato dalla società di cui egli era alla guida ed al sostegno legislativo del Parlamento.  In vista degli impegni assunti con lo Stato per coprire le linee dell’Adriatico, viene acquistato il vapore “Venezia”  poi “Egadi”  “Marsala”  e il “Vincenzo Florio”, una nave magnifica della flotta siciliana . Ad essa si aggiunse il “Washington”. 

Ma negli anni ’80 la compagnia dei Florio inizia  a soffrire la concorrenza dei colossi francesi  e austriaci.

L’Istituto bancario Credito Mobiliare fonde i due colossi della marina mercantile Florio e Rubattino con una nuova società “Navigazione Generale Italiana Società Riunite Florio e Rubattino”.  Quando quest’ultimo due mesi dopo muore, Ignazio Florio rimane unica figura a guidare le sorti della società. Il servizio che egli persegue, viene fruito soprattutto dallo Stato. La N.G.I. si impegna a fronteggiare ma con mezzi sempre più scadenti, con la presenza della concorrenza, i bilanci  scompensati e le azioni che perdono valore. 

La politica dei Florio viene di conseguenza, messa in discussione.

Nel 1891 muore Ignazio Florio e lo avvicenda  Ignazio junior .

         Ne 1894 egli sostituisce il direttore generale della N.G.I. che operava a Roma. Una mossa strategica che univa interessi politici a competenze tecniche ed organizzative. Col nuovo secolo il governo del Regno d’Italia decide di rinnovare la marineria garantendo impulso all’economia nazionale. Bisognava puntare sulla qualità dei sevizi e produrre incentivi per coloro che avessero rinnovato la fotta di imbarcazioni italiane. Vi fu cosi una ripresa generale dell’attività armatoriale e cantieristica.  Florio lotta per la nascita di un Cantiere Navale che avrebbe occupato il bacino dell’Acquasanta e il porto. Vi furono impiantate apparecchiature, macchinari ed attrezzature importanti portandolo ad una avanguardia di livello nazionale.

Ma la politica di governo cambiava, finiva l’epoca delle sovvenzioni in funzione delle linee necessarie allo Stato.

La morte dei figli e la crisi finanziaria lo gettarono  nello sconforto Ignazio jr.

In breve,  Casa Florio usciva dalla principale compagnia marittima d’Italia.

Era la fine di un’epoca e l’inizio di tante difficoltà economiche.    

 

 


SALVATORE REQUIREZ (Palermo 1957). 

A BREVE DISTANZA DAI SUCCESSI DI "LE VILLE DI PALERMO E " TARGA FLORIO" OFFRE, CON IL SUO AVVINCENTE STILE, UN'AGILE REVISIONE STORICA DELLA DINASTIA DEI FLORIO, CURANDO CON PARTICOLARE ATTENZIONE IL PROFILO UMANO DEI PRINCIPALI PROTAGONISTI.

 

 

 

 

 

 

 

Libri in biblioteca...Articoli su L'Ora







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Il primo articolo pubblicato da Leonardo Sciascia su un quotidiano italiano apparve su L'Ora del 25 febbraio 1955: una nota letteraria su <Micio> Tempio, poeta del settecento catanese. Era stato Vittorio Nisticò, (cfr. qui post  IL GIORNALE L'ORA pubblicato il  28.08.2018), da pochi mesi direttore del giornale, a cercare e invitare alla collaborazione il giovane scrittore, in quel momento ancora praticamente sconosciuto in Italia.  Si inizia così tra L'Ora e Sciascia un rapporto destinato a durare per oltre trentaquattro anni: ed esattamente fino a quel giorno di novembre del 1989 in cui lo scrittore, poche ore prima di cedere per sempre al suo male, dettò proprio per L'Ora quello che può considerarsi l'ultima sua riflessione pubblica: 
la prefazione, da tempo richiestagli dal giornale per il volumetto di scritti del Borgese apparso poi nella collana <Dalle pagine de L'Ora>

                                                                                                                 

 
Scelti tra le centinaia di articoli e interviste che Sciascia andò pubblicando su L 'Ora nel corso di tre decenni, gli scritti apparsi tra il '64 e il '68 nella rubrica, che lui stesso volle chiamare semplicemente "Quaderno".
L'Editore



L'Ora 31 ottobre 1964 - LA VISTA DEGLI OCCHI 
di Leonardo Sciascia

<Quant'è brutta la vista degli occhi> è, in Sicilia, un modo proverbiale di esprimere la condizione e la pena, di chi può soltanto da lontano, e macerandosi nel desiderio, contemplare l'abbondanza, la ricchezza, la bellezza. Con accentuazione comica lo si dice al passaggio di una bella donna oppure quando di una donna, lampeggia un nudo dettaglio. Ma più spesso, con tono doloroso, di fronte all'altrui ricchezza e privilegio; ed anche a giustificazione di chi attenta ai beni altrui. E' insomma il grido della povertà  e del desiderio, da maledire quella facoltà della vista per cui certe cose del mondo entrano a sollecitare, a provocare, a tentare i sentimenti e gli istinti. Questo modo di dire popolaresco, e il ricordo di quel bellissimo racconto di Anna Maria Ortese che si intitola, nel libro Il mare non bagna Napoli, Un paio di occhiali, avevo in mente mentre visitavo, a San Cataldo, i cinque ragazzi i cui occhi, dalla nascita spenti da una cataratta, hanno acquistato la vista grazie ad un ardito intervento operatorio del dottor Luigi Picardo. Ma in questo nostro tempo in cui i libri, anche quelli buoni, durano se non lo spazio di un mattino, non più dello spazi di una stagione, non saremo molti a ricordare, dopo undici anni, il racconto  dell'Ortese: che è la storia di una bambina di debolissima vista cui finalmente, con grande sacrificio per le ottomila  lire che costano, la famiglia si decide a comprare un paio di occhiali; e quando per la prima volta la bambina li mette, ecco la miseria del vicolo, della casa, delle persone che la circondano balzare nel suo occhio netta, precisa, terrificante: un urto, un capogiro, un delirio. E forse, in termini diversi, con diversi riferimenti o ricordi, anche quelli che erano con me pensavano la stessa cosa: che questi ragazzi entrano sì nel mondo della luce ( e viene da pensare, per questa loro scoperta, ai versi del Manzoni: <Come la luce rapida/Piove di cosa in cosa/ E i color vari suscita/ Dovunque si riposa>/, ma entrano anche in un mondo in cui la secolare esperienza dei diseredati ha distillato questa espressione disperata, quasi una bestemmia: < Quant'è brutta la vista degli occhi!> E credo che di ciò un pò tutti, di fronte ai cinque ragazzi, avvertiamo un senso di responsabilità o di colpa. Poichè vengono da un lungo, oscuro viaggio; e noi abbiamo un mondo sufficientemente giusto, da presentare loro.
 


L'Ora 12 febbraio 1966 - GLI ANTENATI NORMANNI
di Leonardo Sciascia

Ho letto, in questi ultimi giorni, per un lavoro che sto facendo su narrativi siciliani che dicono la realtà della Sicilia, due scrittori siculo-americani: Jerre Mangione e Ben Morreale.
Del primo, già tradotto in italiano, un libro che tra il divertimento e l'idillio, con finissime notazioni psicologiche, rappresenta il mondo della <piccola Sicilia> nella città di Rochester: del secondo, con l'aiuto di un'amica inglese, un libro più duro, più complicato e problematico sia nella psicologia del protagonista che nella tecnica del racconto. 
Il libro s'intitola The seventh saracen, il settimo saraceno: e la ragione del titolo è spiegato chiaramente nel preludio, che raccoglie la leggenda di sei fratelli saraceni consegnati ai vincitori normanni dal tradimento del settimo fratello, e poi più sottilmente, con inquieta coscienza, da tutto il racconto: che è, in effetti, la vicenda di un tradimento e di un rimorso (ma di un rimorso che non travalica mai dalla rappresentazione alla confessione, e anzi avvolto da un volontario cinismo).
Jerre Mangione ama la Sicilia, la <piccola Sicilia> di Rochester e quella mitica e lontana che rivive nel ricordo della madre: una Sicilia chiamata a paragone di ogni odore e sapore, di ogni dolcezza di vita e di ogni intensità di sentimento: un luogo insuperabile di verità  e di bellezza. E si può dire che Mangione ha identificato la Sicilia con la madre, mentre Ben Morreale l'ha identificata col padre: e perciò, in termini quasi freudiani, la detesta e la ama. E un pò si sente <settimo saraceno> portatore di un tradimento ma al tempo stesso consapevole della necessità del tradimento: che è poi lo stato d'animo di chi è riuscito a passare la linea  dell'integrazione. E si potrebbe per questo siculo-americano, ripetere il discorso altra volta tentato a proposito di Pietro Chiara e del suo libro Con la faccia per terra: considerando, tra l'altro, che anche il libro di Morreale è nato da un viaggio in Sicilia, nel paese dal quale i suoi genitori erano emigrati durante una di quelle periodiche crisi delle industrie zolfiere. Piccoli industriali dello zolfo, dice Morreale, i miei genitori sono venuti in America per riuscir ad accumulare quel poco denaro che avrebbe permesso loro di tornar a vivere in Sicilia, nella miseria cui erano abituati: e invece in America c'erano rimasti; ed è lui, nato in America, professore di storia in una università americana, che torna a Racalmuto, paese dei suoi genitori: con quella inquieta coscienza che i suoi genitori certamente non ebbero. Come il settimo saraceno, che col tradimento cercò di mimetizzarsi tra i normanni vincitori  tornando in Sicilia e scoprendo che i siciliani lo riconoscono siciliano e non americano, il protagonista del libro cerca nel passato della Sicilia, nella storia, il punto in cui mimetizzarsi, il razziale che gli renda più facile il passaggio da siciliano ad americano: e lo trova, appunto, nei normanni... Praticamente un dramma tipico della società americana vien trasferito da Guy (questo è il nome del protagonista: normannizzazione, più che americanizzazione, di Gaetano)in una società, quale la nostra, assolutamente ignara di conflitti e mimetizzazioni razziali. E si arriva al grottesco di questo dialogo di Guy con le zie:
<Com'era nonno Giuliano? - chiese Guy. Rosa era seduta al tavolo e sbucciava fave; Pippina, seduta dall'altra parte, le schiacciava con un martello da calzolaia.
-   Che vuol dire, Gaetano?
-Voglio dire, era alto o...
-No, era basso; molto più basso di te, ma forte.
-Io l'ho sempre immaginato alto.
-No, era più basso di te, ma solido, non grasso, solido.
-Era di colorito chiaro?
-Sì, come te: così chiaro che potevi vedere il sangue sulla sua faccia.
-Aveva gli occhi azzurri dunque.
Aveva gli occhi scuri - Rosa disse.
-Comunque, era di origine normanna, no?
-No, veniva da Campobello.
-Voglio dire, i suoi antenati venivano dalla Normandia.
-No, erano tutti di Campobello; non si è mai parlato d'altro.
-Ma io li ho immaginati provenienti dalla Normandia.
-E dov'è la Normandia?
-In Francia.
-Più lontano di Caltanissetta?
-Sì, più a Nord dell'Italia.
-Più lontano di Roma?- domandò Rosa.
-Sì.
Rosa levò alte le braccia -  Mai papà Giuliano andava più lontano di Caltanissetta.->












  

Libri in biblioteca...Principi sotto il vulcano di R. Trevelyan

Libri in biblioteca...



PRINCIPI SOTTO IL VULCANO

Storia e leggenda di una dinastia di "gattopardi" anglosiciliani dai Borboni a Mussolini


Udii  parlare per la prima volta di Tina Whitaker nell’inverno del 1944 mentre, giovane ufficiale, mi trovavo a Roma. Rimasi in Italia per altri due anni e, benché avessi frequentato alcuni membri della famiglia Whitaker praticamente durante tutta la mia vita, non conobbi mai di persona Tina che per me era una specie di leggenda: una gran dama,vecchia  e imperiosa, che viveva ai Parioli, alla cui casa non avrei mai osato presentarmi senza essere invitato. Comunque quando misi piede a Roma avevo appena ventun anni  ed ero troppo occupato a godermi le mie prime impressioni della città e a spassarmela con i suoi abitanti miei coetanei.

Sapevo però che la signora Whitaker aveva superato da un pezzo  l’ottantina e che aveva un passato in qualche modo <straordinario>. Sapevo inoltre che lei e le sue due figlie Norina e Delia, entrambe ormai anziane, conducevano una vita piuttosto agiata e, questo fatto era di per sé  già eccezionale. Infatti come si spiegava che la madre e le figlie, che portavano un cognome inglese, non fossero state molestate pur vivendo in un paese in guerra con al Gran Bretagna? Un po’ alla volta, con l’andar degli anni, mi giunsero all’orecchio aneddoti e particolari relativi ai Whitaker; le loro eccentricità, la fortuna inizialmente derivata dal commercio del marsala, i rapporti con i personaggi come Garibaldi, Wagner, l’imperatrice Eugenia e la regina Mary:

Sin da bambino, comunque, avevo frequentato vari membri della famiglia Whitaker e, fu per questo che nel maggio 1964 ricevetti improvvisamente un telegramma da Delia Whitaker che mi invitava nella sua isola di Morya fra Trapani e Marsala. Scoprii allora che ella desiderava che io curassi la pubblicazione delle carte e dei diari di sua madre.

Di fronte a una tale quantità di documenti rimasi scoraggiato, anche se Tina Whitaker aveva già pubblicato altri suoi scritti e era stata inoltre una cantante di notevole talento. Capii poi che Delia aveva in mente un volume imperniato su visite di regnanti, balli e ricevimenti stupendi a Palermo e Roma nel periodo dell Belle Epoque. E quando mi accorsi che i Lampedusa avevano fatto parte del mondo dei Whitaker – il Gattopardo era stato pubblicato da poco – cominciai a drizzare le orecchie. Successivamente scoprii che Tin, per quanto educata all’inglese, era figlia di genitori italiani e siciliani, e che tra le sue carte vi era anche del materiale riguardante il Risorgimento, e in particolare i patrioti esuli a Londra prima del 1860. Infine, cosa ancora più importante, vi fu la scoperta dei registri del fondatore delle fortune dei Whitaker, Benjamin Ingham. Le lettere che facevano parte di questo materiale andavano dal 1816 al 1860 e riportavano commenti di prima mano sugli avvenimenti politici ed economici sotto i Borboni.

Dopo di ciò non potevano esserci dubbi sull’accettazione dell’incarico da parte mia, e Delia accettò senza difficoltà un progetto articolato su due piani, cioè una saga di due secoli che trattasse rispettivamente di coloro che accumularono quella fortuna, e di quelli che la esaurirono.

Naturalmente la prima parte di questo volume doveva essere più estesa, per le implicazioni degli avvenimenti nazionali ed internazionali sulla comunità angloamericana, mentre la seconda concerne fatti più personali e pungenti, perché, come Delia sapeva bene, sua madre aveva, al contrario di lei, una lingua assai pungente. Per la prima parte ho consultato descrizioni  di viaggio di contemporanei e scritti di altre famiglie inglesi o americane, collegate un tempi con Marsala, Palermo e Messina, allo scopo di ricostruire il più verosimilmente  possibile il tipo di vita di questi spatriati in una Sicilia <sotto il vulcano>, espressione che non significa l’Etna – anche se per i siciliani esso è simbolo di violenza spontanea – ma è sinonimo di una continua successione di rivoluzioni, guerre, crisi finanziarie ed epidemie.

Benjamin Ingham partecipò agli avvenimenti direttamente, mentre Tina fu piuttosto una osservatrice, …

D’altro canto in seguito ai bombardamenti di Marsala e Palermo del 1943 da parte degli alleati, numerosi importantissimi documenti riguardanti soprattutto l’esportazione di vini  verso la Gran Brategna e gli Stati Uniti sono andati dispersi o risultano comunque introvabili. Il fatto che relativamente  poco si sappia delle attività personali quotidiane, di Ingham, eccezion fatta per quanto si è tramandato oralmente nelle storie di famiglia, è causa  - me ne rendo conto – di un divario fra le due parti del libro, ma anche questo rientrava nelle mie intenzioni.  Le vicende storiche della Sicilia sono tali da provocare quasi un senso di irritazione e di collera. Agli occhi di alcuni l’isola non è che un <incubo assolato<> e le sue miserie passate e attuali sarebbero il diretto risultato dello sfruttamento, oltre che dell’incuria e della stupidità. Altri, come il defunto lord Bridport, che ha ereditato da Nelson la Ducea di Bronte, oppongono un netto rifiuto ad abbandonare la vecchia interpretazione sul latifondo assenteista. Per quanto mi riguarda ho cercato di mantenermi imparziale in questo accanito scontro tra esperti. Questo volume si occupa per lo più di commercianti angloamericani all’estero, alcuni dei quali grandi filantropi; all’inizio nouveaux riches, erano però abbastanza riches da instaurare rapporti con le famiglie aristocratiche di Palermo, tali quindi da rappresentare un fenomeno mai più verificatosi. Spero inoltre di essere riuscito, sia pure di passata, a portare acqua alla celebre affermazione di Lampedusa circa i siciliani di ogni ceto sociale, i quali sarebbero , a suo dire, caratterizzati da una <terrificante insularità d’animo>. Mi sono sforzato di far mio il punto di vista dell’osservatore distaccato, estraneo agli avvenimenti narrati.

La Sicilia possiede luoghi di incomparabile bellezza, ma nel suo seno ospita anche miseria e squallore. Può essere violenta e sinistra e insieme dolce e sommessa. E’ stata teatro di molti efferati atti di crudeltà e di disastri, alcuni dei quali recenti. Ha attratto predatori di ogni specie che poi hanno finito per amarla e abbellirla. E’ stata definita un crocevia, una regione non europea, una porta per l’Europa. E tuttavia sia in arte che in politica ha dato i natali ad alcuni grandi europei. Da un certo punto di vista è la regione d’Italia più  tipicamente italiana, con virtù e difetti molteplici. Per un inglese la Sicilia è per molti aspetti l’Irlanda d’Italia, con la sua diversa civiltà, i suoi enigmi, il suo cristianesimo, per metà paganeggiante, la sua perversità, i suoi odi intestini, le sue disperate correnti di emigrazione prodotte da un sistema economico semplicemente mostruoso.

Ai Colli e a Bagheria le cadenti ville degli aristocratici, con le delicate balaustre e le statue ricoperte di licheni, provano ampiamente che i loro proprietari del XVIII e del XIX secolo, molti dei quali di ascendenza spagnola preferivano le delizie della Conca d’Oro alle loro polverose, assolate Donnafugate. E tuttavia, vien fatto di chiedersi fino a che punto alla mancanza di strade e alle asprezze di paesaggi esposti all’erosione degli agenti atmosferici per il fatto di essere stati denudati, in epoca romana e araba, del manto forestale  che li rivestiva: Mentre la distruzione era in atto i contadini poveri cercavano di sopravvivere, generazione dopo generazione, in preda alla superstizione  e alla paura, punta o poco al corrente di ciò  che accadeva nel resto del mondo  ....continua









"QUESTO LIBRO ...SAREBBE PIACIUTO A PROUST, COME IL RITRATTO DI UN TEMPO RITROVATO, RICOSTRUITO CON UN UNDERSTATEMENT BRITANNICO CHE VELA D'UMORISMO GLI ACCESI COLORI SICILIANI, IL RITRATTO DI UNA SICILIA VISTA DA UN COMPRENSIVO OCCHIO INGLESE CHE ARRICCHISCE E COMPLETA L'ORZZONTE SU CUI SPAZIAVA LO SGUARDO DEL PRINCIPE DI SALINA"

Guido Artom, Tuttolibri



Raleigh Trevelyan, storico di fama mondiale, ha vinto nel 1968 il Premio Florio per la sua traduzione inglese del volume di Luigi Meneghello I piccoli maestri. Durante la guerra ha partecipato allo sbarco di Anzio e, come capitano, per due anni è stato addetto militare a Roma. 

 

Libri in biblioteca...F. FELLINI

 

Libri in Biblioteca....
Un po di .....(grande) Cinema





FELLINI Satiricon



a cura di Dario Zanelli




DAL SOGGETTO AL FILM

SOGGETTO: Il Satiricon di Petronio, riporta alla tradizione latina della satira: casi, racconti, rifacimenti di varia fonte e ben spesso in poesia, che fanno capo ad avventurieri senza scrupoli che si aggregano in ambienti diversi.... un filo conduttore  ...cui mai vien meno l'attrattiva della vita di ogni giorno,non solo per mettere in rilievo le turpitudini dei tempi, ma con un'agevole apertura a far discorsi di poesia, di filosofia,di educazione, quasi sempre con misurate citazioni e con abili rifacimenti; tutto questo trova corrispondenza nella satira latina. Qui questi altri motivi raggiungono una certa unità anche nel ripetersi degli argomenti  e nell'intercalazione di racconti e poesia, il che, arricchisce questa satira di motivi della novellistica diffusa a Roma e preannunzia il romanzo........Si nota il ripetersi di motivi cari alla commedia popolare, tutto un gusto popolare di presentare e di commentare gli avvenimenti con raffronti e allegorie.... 



FILM: Fellini si è avvicinato ad un grande testo dell'antichità classica, il romanzo di Petronio  col deliberato proposito di trasformarlo nell'occasione di un discorso che, proponendosi spregiudicatamente i termini del rapporto coi prodotti di una società lontana, contenesse, insieme  un presagio del nostro futuro, mescolando così, passato presente e futuro, nell'impasto di una personale avventura fantastica. La particolare intenzione naturalmente, ha creato problemi di ogni sorta: di rapporto col testo d'origine; di rapporto con la <romanità> in generale; di possibile raccolta di motivi del paganesimo per rilanciarli oltre l'esperienza cristiana; di più o meno riuscita emblematicità del mondo d'oggi; di validità della proposta finale; ecc. Tutto ciò spiega il dibattito culturale che si è incominciato a produrre quando ancora il film dopo le prime dichiarazioni del regista non era stato finito. Il volume, curato da Dario Zanelli, non raccoglie perciò, soltanto i documenti del trapasso di motivi-talvolta profondo- dalla prima idea del film alla sua realizzazione definitiva registrando le modificazioni spesso sostanziali introdotte  dopo il trattamento nella sceneggiatura poi nella fase delle riprese e del montaggio; ma compie una sorta di <resprint> dei testi più importanti  che hanno iniziato a muovere la vasta problematica suscitata da un'operazione artistica che non mancherà di impegnare col suo enigma inevitabile, la fantasia critica di coloro che ne tenteranno un consapevole approccio.

I personaggi del film  saranno come statue abitate da altri pensieri







































Federico Fellini è nato a Rimini il 20 gennaio 1920. Dopo aver sceneggiato alcuni importanti film del dopoguerra nel 1950 passa a alla regia con  <Luci del varietà> cui seguono : Lo sceicco bianco -I vitelloni -Una agenzia matrimoniale- La strada -Il bidone- Le notti di Cabiria -La dolce vita -Le tentazioni del dottore Antonio -Giulietta degli spiriti -Toby Dammit ...