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con l'argomento al tempo del CoronaVirus



Gesualdo Bufalino DICERIA DELL'UNTORE


DICERIA: Discorso per lo più non breve detto di viva voce; poi anche scritto e stampato... Di qualsiasi lungo dire, sia con troppo artifizio, sia con troppo poca arte... Il troppo discorrere intorno a persona o cosa...
Tommaso Bellini

UNTORE: Dispensatore et fabbricatore delle onti pestiferi, sparsi per questa Città, ad estinzione del popolo..
 (Carte del processo, 1630)

... Era veramente divenuto un gioco, alla Rocca, volere o disvolere morire, in quell'estate del quarantasei, nella camera sette bis, dove ero giunto da molto lontano, con un lobo di polmone sconciato dalla fame e dal freddo, dopo essermi trascinata dietro, di stazione in stazione, con le dita aggranchite sul ferro della mainiglia, una cassetta militare, minuscola bara d'abete per i miei vent'anni dai garretti recisi. Non avevo altro bagaglio, nè vi era dentro gran che: un pugno di ricordi secchi, e una rivoltella scarica fra due libri, e le lettere di una donna che ormai divorava la calce, fra Bismantova e il Cusna, sotto un cespuglio di fiori che avevo sentito chiamare aquilegie. A me meno frigide ghirlande erano promesse, appena la franchigia fosse scaduta e mi fossi stancato di raccogliere in difesa, come un quadrato di veterani, i sentomenti superstiti che mi facevano vivo. Non mancava molto oramai: già erano scomparse l'incredulità e la vergogna dei primi tempi, quando ogni fibra è persuasa ancora d'essere immortale e si rifiuta di disimpararlo. Ma sopravviveva il rancore, anche se, sotto la specie di una loquace pietà ..........
  

                                                   Albert Camus  LA PESTE

 









Alessandro Manzoni  STORIA DELLA COLONNA INFAME



Con NOTA DI LEONARDO SCIASCIA

In\un frammento del Gazzettino del Bel Mondo, Foscolo dice: <Addison vide in Milano la colonna infame eretta nel 1630, a ignomia di un barbiere e di commissario di sanità condannati al taglio della mano, ad essere squarciati a brani con tanaglie roventi e sgozzati dopo sei ore di agonia. La peste desolava allora la città; e quei due miseri furono accusati di avere sparso veleni e malie per le strade ad accrescere la pubblica sventura. A che pro? I posteri, vergognando della ferocia stolida dei loro maggiori, rasero la colonna infame innanzi la rivoluzione. Addison  la vide nel 1700, e ricopiando l'iscrizione, che gli parve di legante latinità, narra bonariamente il fatto, come s'ei l'avesse creduto. Eppure era uomo investigatore! Or non avrebbe egli illuminato i suoi concittadini e i posteri, se si fosse interessato d'altro che della bella latinità? Chè, se avesse interrogato gli uomini illuminati d'allora, e indagato la verità, avrebbe potuto trovare le stesse ragioni che Bayle notò di quell'infelice avvenimento>. 
Ma a che prendersela con l'Addison, in quel caso viaggiatore svagato e soltanto attento al bel latino, se nemmeno il bell'italiano di Manzoni, illuminando quel fatto, è riuscito a portarlo alla coscienza dei suoi concittadini, contemporanei e posteri? Se ancora questo piccolo grande libro resta tra i meno conosciuti della letteratura italiana?
Ma andiamo per ordine.
La credenza  che la peste e colera venissero artatamente  sparsi tra le popolazione è antica. La registra Livio, per come ricorda Pietro Verri nelle sue Osservazione sulla tortura, che appunto muovono dai funesti casi cui la credenza dette luogo nel 1630: <Veggiamo i saggi Romani istessi, al tempo in cui erano rozzi, cioè l'anno di Roma 428 sotto Claudio Marcello e Cajo Valerio, attribuire la pestilenza che gli afflisse a' veleni apprestai da una troppo inverisimile congiura di matrone romane>. Al tempo in cui erano rozzi: perchè pare che, meno rozzi, tra loro più non sia insorta quella credenza. E c'è da credere si fosse del tutto spenta nei secoli successivi, e fino al XIII e XIV. Non ne troviamo traccia, infatti, nei cronisti, che pure abbondano di notizie sulle epidemie pestifere, del due e del  trecento. Nelle loro pagine, le tremende epidemie non trovano altra causa che il volere di Dio e l'influsso degli astri; e la propagazione del morbo ad altro non è attribuita che agli scambi e ai viaggi. Per tutti., Giovanni Boccaccio: <Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecento quarantotto, quando nell'egregia città di Firenze, oltre ad ogni altra italica nobilissima, pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazion de corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Di a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanto anni davanti  nelle parti orientali incominciata, quelle d'innumerabile quantità di viventi avendo private, senza ristare d'un luogo  in un altro continuandosi, inverso Occidente miserabilmente s'era ampliata>. La giusta ira di Dio o il movimento dei corpi celesti. Ma nel secolo XVII ecco ridivampare e diffondersi quella lontana credenza: ben più ricca, articolata, dettagliata e , perfino codificata.  Una ricaduta nella rozzezza, nell'oscurità, non basta a spiegarne il violento ritorno. Ci sarebbe da formulare una ipotesi suggestiva: che la credenza sia sorta come una specie di contrappasso diretto alla <ragion di stato >; cioè nel momento in cui veniva ad essere constatata, conseguentemente dottrinata, la separazione della politica dalla morale. Ma ci vorrebbe, ad affermare una simile ipotesi, più meditazione  e ricerca Quel che sappiamo quasi con certezza, qui ed ora, è che nel secolo XIV nessuno avanza il sospetto di una peste manufatta e diffusa, da persone convenientemente immunizzate, per decisione del potere (visibile o invisibile) o di una associazione cospirativa contro il potere o di un gruppo delinquenziale  che si propone, nella calamità, .....

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Edgar A. Poe LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA







Da lungo tempo la Morte Rossa devastava il paese. Nessuna pestilenza era stata mai cosi orribile o cosi fatale. Il suo avatar era il sangue e il suo marchio il rosso e l'orrore del sangue. Si avevano dolori acuti, un'improvvisa vertigine, e poi il sangue  che sgorgava abbondantemente dai pori, e infine la dissoluzione. Le chiazze scarlatte sul corpo, e specialmente sul volto, erano il bando che proscriveva la vittima dall'aiuto e dalla simpatia del prossimo; e l'attacco e il progresso e l'esito del male erano vicende d'una mezz'ora. Ma il Principe Prospero era felice, e intrepido, e sagace,. Quando i suoi domini furono mezzo spopolati convocò, fra cavalieri, e dame della sua corte, un migliaio d'amici sani e allegri e con loro si ritirò nella profonda solitudine d'una delle  sue abbazie fortificate. Era un edificio vasto e magnifico, creazione del gusto eccentrico ma augusto del Principe. Lo cingeva un muro alto e forte, munito di cancelli di ferro. I cortigiani, dopo esservi entrati, portarono grossi martelli e ne saldarono i catenacci, poichè avevan risoluto di negare qualsiasi entrata o uscita agli improvvisi attacchi della disperazione dall'esterno, o della frenesia dell'interno..L'abbazia era assai bene approvvigionata. Con tali precauzioni, i cortigiani potevano sfidare il contagio. Che il mondo esterno provvedesse a se stesso. Nel frattempo, sarebbe stata una pazzia rattristarsi o pensare; il principe aveva provveduto a tutti i piaceri; vi erano buffoni, improvvisatori, ballerini e musici, v'erano la bellezza e il vino. Dentro , v'era tutto ciò, e la sicurezza-fuori, v'era la Morte Rossa.
Sul finire del quinto o sesto del suo ritiro, durante il massimo infuriare della peste al di fuori, il Principe Prospero intrattenne i suoi mille amici con un ballo in maschera della più rarar magnificenza. Fu uno spettacolo voluttuoso, quella mascherata. ......
E,...accadde che, prima che gli ultimi echi dell'ultimo concento si fossero spenti nel silenzio, molte persone ebbero agio di notar la presenza d'una figura  mascherata che prima non aveva destato l'attenzione d'alcuno. E, poichè la notizia di questa nuova presenza si diffuse intorno con lunghi bisbigli, si levò alfine dall'intera comitiva, un mormorio un parlottìo di disapprovazione e di sorpresa e da ultimo, di terrore d'orrore  e di disgusto. ....
Levando in alto una daga sguainata egli si slanciò contro la figura che indietreggiava; e già era solo e tre o quattro passi da essa, quando questa, giunta in fondo alla sala di velluto, si voltò bruscamente e affrontò l'inseguitore. S'intese un grido lacerante, e la daga cadde balenando sul tappeto di velluto, dove, immediatamente dopo , s'abbatteva morto il Principe Prospero. . Allora, chiamando a raccolta il coraggio pazzesco  della disperazione un gruppo d'ospiti si precipitò nella sala nera e afferrata la maschera la cui alta figura s'ergeva immobile nell'ombra dell'orologio  d'ebano , si sentì che il sudario e la maschera cadaverica che avevano agguantato con sì violenta energia non nascondevano alcuna forma tangibile. . Riconobbero allora, la presenza della Morte Rossa, era venuta come un ladro nella notte.....,. e la tenebra e il disfacimento e la Morte Rossa ebbero su tutte le cose il loro illimitato dominio.