"L'Antico e il nuovo nella poesia siciliana"
VERSI SOTTO LE STELLE 


Sabato 3 Settembre
Villa Savoia
ore 21,15



Sabato 3 settembre presso la terrazza dell'ex Hotel Savoia un pubblico attento e caloroso ha seguito con interesse l'evento culturale.
L'iniziativa, patrocinata dal Comune di Monreale e promossa dall'Assessore alla Cultura Arch. Nadia Olga Granà, è stata accompagnata dalle splendide melodie del musicista Maurizio Curcio e dalla bellissima voce di Roberta Scacciaferro.
I versi declamati da alcuni studenti monrealesi in dialetto siciliano erano tratti dal alcune poesie di Antonio Veneziano e di Maria Sapienza, con una piacevolissima alternanza tra storia e modernità. 



Foto gentilmente concesse dal sito  "FILO DIRETTO MONREALE"










GIOVANNI MARIA COMANDE'



In Biblioteca….


SCRITTI E MANOSCRITTI 
DI 
GIOVANNI MARIA COMANDE'
"... fra i Monrealesi illustri di ogni tempo"

“… l’unico narratore monrealese che abbia raccontato descritto e celebrato la sua città nei decenni a cavallo dell’unificazione e della transizione a forme statuali stabili ed efficaci, e cioè, dalla repressione del 1849 fino all’unificazione e oltre.”

GIOVANNI MARIA COMANDE’
Scrittore e Drammaturgo
(Monreale 1882 – Roma 1933)

A cura di Pino Giacopelli

Alla fine degli anni ’80, mentre continuavamo a dispiegare la nostra attenzione verso i due dioscuri monrealesi: il poeta Antonio Veneziano e il pittore Pietro Novelli, con l’Istituto di Cultura Superiore dell’Accademia Siculo Normanna iniziavamo una profonda riflessione su certi anonimati che offendono la dignità della cultura. Non sono rari, infatti, casi di scrittori che sono andati incontro o verso un suicidio psicologico o verso un suicidio più brutalmente  fisico. Ci preoccupammo e ci occupammo di questo argomento negli annuali incontri su “ La scrittura dimenticata” con gli amici Francesco Cammarata, Salvino Candido, Salvatore Di Marco, Carmelo Pirrera, Giuseppe Schirò, Ferruccio Ulivo ed altri. Fra gli autori monrealesi che abbiamo offerto all’attenzione degli studiosi, il filosofo monrealese del ‘700, Vincenzo Miceli, lo storico Gaetano Millunzi (1859-1920) e lo scrittore e critico d’arte Giuseppe Sciortino (1900-1971). Nel 1995 abbiamo avuto la ventura di ritrovare in un sacco di plastica nero, custodito nella biblioteca civica di Monreale, una ricca corrispondenza e alcune opere edite e moltissime inedite di un altro autore monrealese – Giovanni Maria Comandè – della cui figura e della cui opera Salvo Zarcone ed io ci occupammo nell’incontro tenuto a Monreale nella Sala Rossa del Palazzo di Città di Monreale, il 7 giugno 1997. Di lui s’era sentito bisbigliare il nome e ricordavamo soltanto di aver visto un romanzo (“Don Giovanni Malizia” pubblicato nel 1930 dalla Sandron di Palermo), del quale il benemerito editore palermitano Bruno Leopardi, oggi ripropone la stampa. Proprio in quel periodo, Massimo Onofri, giovane italianista con una spiccata attenzione alla letteratura siciliana, si apprestava a pubblicare  il volume “Tutti a cena da don Mariano – Letteratura e mafia nella Sicilia della nuova Italia” (uscito poi, nel 1996per la Bompiani). Egli avendo trovato citato il romanzo di Comandè ne “La mafia nella letteratura” (1970), di Pietro Mazzamuto, ci chiese con interesse notizie del Comandè e del suo romanzo, sorpreso e nello stesso tempo lieto di apprendere che ce ne stavamo interessando.
Vediamo allora chi è questo scrittore “dimenticato”.
Quinto di nove figli (Carmela, Anna, Brigida, Pietro, Rosa, Franca, Giuseppe, Ignazio), Giovanni Maria Comandè è nato a Monreale, sotto il segno della Vergine, il 26 agosto 1882, da Giacomo e Teresa Maria Mammina. In quello stesso anno nascevano, a Polizzi Generosa Giuseppe Antonio Borgese colui che darà il nome ai Crepuscolari  e che nel 1921 pubblicherà “Rubè”, l’eroe senza qualità, e a Enna, Nino Savarese, l’autore di “Ploto”, “Gatteria”, ecc.
Don Ignazio, lo zio prete, secondo una consuetudine del tempo, avvia il piccolo Giovanni Maria alla carriera ecclesiastica che, nel seminario di Monreale culla di insigni maestri come Giuseppe Fiorenza, Gaetano Millunzi e Giuseppe Fedele, si distingue per intelligenza, profitto e generosità.
A 24 anni viene ordinato sacerdote.
Ben presto però la sua natura insofferente trova fertile humus nell’avvento del “modernismo”, movimento che eresse la coscienza religiosa individuale a giudice sopra la rivelazione  e la Chiesa.
Divenuto secolare, compie il servizio militare e sotto l’impulso di una incipiente passione risorgimentale, partecipa da ufficiale alla prima guerra mondiale (dove fu ferito).
Completati quindi gli studi universitari che non gli era stato consentito di seguire prima, per espresso divieto delle autorità religiose (un divieto che fece apostatare non pochi sacerdoti monrealesi), si trasferisce con la mamma e le sorelle a Palermo, dove abita inizialmente in via Isidoro Carini, poi in via Banditore 11 e, verso gli anni ’30 in via Ricasoli 74, nei pressi degli stabilimenti delle rinomate Edizioni Sandron (che avevano sede in via Ucciardone 3), dove era stato assunto come collaboratore e redattore letterario.
La società italiana tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nostro marciava verso lacerazioni culturali e politiche in una crisi profonda dello Stato liberal-monarchico, concomitante, come causa e come effetto, con la crisi della letteratura dell’Ottocento (Romanticismo-neoclassicismo-dannunzianesimo).
Ideologie e movimenti si presentavano disarticolati e disorganici. In Sicilia si respirava scetticismo: pesavano notevolmente le rivolte dei Fasci Siciliani, l’omicidio Notarbartolo maturato nel contesto degli scandali del Banco di Sicilia, poi il  processo a Nunzio Nasi. Lo spettro della Rivoluzione russa aveva reso più violenta la reazione contro i movimenti popolari. La vittoria del fascismo che concluse un periodo di torbidi e di violenze connesse alle difficili condizioni economiche, sociali, spirituali del Paese nel dopoguerra e al divampare della lotta di classe, fu accolta con sollievo dalla borghesia e dalla maggioranza moderata del Paese, e avallata dalla monarchia. Giovanni Maria Comandè, come non pochi intellettuali suoi contemporanei aderisce speranzoso alle istanze di rinnovamento propugnate dal fascismo nei primi anni del suo avvento, Colto, buon conferenziere, sa di greco e di latino per cui pubblica molti testi scolastici (fra cui “I classici greci per il ginnasio superiore” prefato da Ettore Bignone Ed. Sandron). Ha buona dimestichezza con l’inglese, il francese e il tedesco. Collabora al giornale “L’Ora” dove pubblica il romanzo “Zagara e armi ovvero I ribelli della Conca d’Oro”, in cinquanta puntate. Vince premi. Stabilisce intensi  legami umani ed intellettuali in Italia e all’estero con noti scrittori e artisti, da Lucio D’Ambra a Toti Scialoia ad Alfonso Amorelli, il famoso pittore palermitano che nel 1930, in occasione della candidatura del Comandè al prestigioso “Premio dei Trenta” per il romanzo “Don Giovanni Malizia”, ne ritrae il profilo con un disegno essenziale ed eloquente: occhi acutamente scrutatori  pieni di pensiero, un paio di vezzosi baffetti sopra l’insellatura del labbro superiore, la fronte alta, bombata; stempiato, i capelli, vagamente rossicci pettinati all’indietro.
Dalle poche fotografie recuperate fra i numerosi manoscritti ora conservati nell’archivio della biblioteca comunale della sua città natale e dai ricordi dei nipoti Giacomo e Calcedonio, ricaviamo qualche altro connotato : di statura media,  di carnagione chiara, labbra carnose e sensuali, un portamento autorevole, un modo di vestire intonato all’aspetto signorile ed elegante; una mimica brillante da grande intrattenitore; suona il pianoforte; ha spiccato il senso del comico e il gusto dell’ironia; generoso; colpisce per lo sguardo intenso e penetrante, per gli occhi chiari e profondi di chi sa il fatto suo, ma anche specchio di un animo inquieto. Non sposò ma intrecciò intense saltuarie relazioni e qualcuna a giudicare da una fitta corrispondenza, piuttosto seria, con una signora svizzera (Clementina Del Curto).
Amò il teatro con vera passione. Fu amico del grande comico catanese Angelo Musco (per lui scrisse la commedia in tre atti “Carulina, statti a postu”) e dell’attore Giovanni Grasso (per il quale compose il dramma in tre atti “Palummi muti”). Guglielmo Policastro ne “il teatro siciliano” (Ed, Giannotta, Catania 1924) segnala l’entusiastica accoglienza riservata al dramma  “Rusignolo” e a “I giovedì de le comari”, rappresentata nell’aprile del  1921 all’Olimpia di Palermo. Scrivere per il teatro gli era congeniale come farsi la barba. Amava le situazioni umoristiche, la comicità spontanea. Qualche titolo è financo emblematico; “Le vergini prudenti”, “La signora di dieci giorni”, “L’ asino d’amore”, “Focu sopra focu”, “Cento onze di verginità”. Comandè è anche autore di un cinquantina di opere, in lingua e in dialetto, tra commedie, drammi, bozzetti comici, novelle, racconti, in gran parte inediti, sui quali soltanto da poco si è cominciato ad indagare, ma sufficienti per rendersi  conto di trovarsi in presenza di un grandissimo personaggio della letteratura siciliana di cultura ampia e di vasta formazione, che si muoveva, insieme ai suoi contemporanei Giuseppe Antonio Borgese, Nino Savarese e Giuseppe Sciortino (l’autore de Il figlio in Sicilia), in quella Sicilia nella quale scrittori come Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Antonio Aniante e Luigi Pirandello, si affacciano con prestigio alla ribalta letteraria nazionale.
Nel 1932, quando le edizioni Sandron (che da Palermo avevano contribuito in modo decisivo alla penetrazione nell’sola del pensiero positivista), sono costrette a cessare la loro attività, Giovanni Maria Comandè si ritrova senza impiego. Ma forte dei suoi successi letterari si trasferisce a Roma dove abita presso la Pensione Iaselli-Owen di Piazza Barberini, 12.
Poco tempo prima, il noto scrittore e drammaturgo napoletano Roberto Bracco, nel congratularsi con lui per un suo contratto in inglese, conclude una sua lettera scrivendo: <Ormai hai preso il volo. Lo spazio è tuo>. Putroppo questa profezia non si avvera. Da qualche accenno che si evince dalla corrispondenza che abbiamo consultato, il Comandè si mostra deluso e fortemente amareggiato. Tutto sembra congiurare contro di lui che appare sempre più fragile e disorientato.
Il Tevere restituisce il suo corpo l’11 marzo del 1933, non aveva neppure compiuto 51 anni.
Quello stesso anno erano morti, il non dimenticato autore dei “Mimi siciliani”, lo scrittore di Valguarnera, Francesco Lanza, appena trentacinquenne e il palermitano Giuseppe Ernesto nuccio (lo scrittore per l’infnzia), mentre a Sant’Agata di Militello nasceva Vincenzo Consolo.

Con il corpo inanimato dello scrittore monrealese, sembrò, però, che fossero state sepolte pure le sue opere letterarie e teatrali. Come se l’abbandono dell’abito talare prima e il suicidio dopo, lo avessero condannato all’oblìo perenne. Ma il tempo e il caso ogni tanto fanno giustizia. Ora tocca alle Istituzioni, al mondo della cultura e all’editoria assumere tutte le iniziative per far sì che le opere di questo scrittore abbiano il riconoscimento che meritano.

























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