Angelo Cangemi Mosaicista

ANGELO CANGEMI 
Mosaicista




Mosaico Arte Artigianato
Antonina Parisi Editore


FARE MOSAICO

Materiali – Attrezzi – Tecniche illustrate da un Mosaicista

a cura di Angelo Cangemi

"Al Prof. Benedetto Messina mio maestro ed ai miei allievi per merito dei quali continuo ad apprendere"






MOSAICO: Cenni storici

Sin dall’antichità l’uomo ha utilizzato il mosaico come segno ottenuto dai due elementi base del linguaggio musivo: tessera e spazio (interstizio).
Questo linguaggio, seguendo il naturale percorso dell’arte, ha fatto sì che dalla disposizione di alcuni sassolini usati dall’uomo primitivo per indicare una direzione o per trasmettere un messaggio, si passasse al loro uso per consolidare pavimentazioni, rivestire ville e cattedrali, e alle moderne espressioni dell’arte musiva.. ..
Uno dei mosaici più antichi può considerarsi il rivestimento con tessere di terracotta a forma conica di colore bianco, rosso e nero delle colonne del tempio di Uruk (Warka) del IV millennio a. C. ….
Nella cultura europea ai Romani spetta il merito dell’uso del mosaico, non come copia di una pittura, ma come espressione artistica autonoma  con un proprio linguaggio.
….L’utilizzo di mastranze appartenenti a scuole diverse e i rifacimenti successivi, anche in età bizantina (VI-VII) se.), consentono di ammirare in questa opera una varietà di stili difficilmente riscontrabili altrove….
I mosaici bizantini ci fanno conoscere un altro aspetto del materiale musivo. ….elemento capace di rendere l’idea del divino, del soprannaturale, del mistico. Le figure tendono alla stilizzazione, i colori di fondo, dorati o di un blu intenso, contribuiscono a renderle irreali.
…Dopo secoli….assistiamo ad un risveglio di quest’arte per opera di grandi artisti contemporanei e di nuove scuole di mosaico istituire appositamente (Ravenna, Monreale, Spilimbergo)…
Oggi il mosaico è stato riscoperto da alcuni architetti che lo inseriscono nelle strutture architettoniche, nell’arredo urbano e nella progettazione di oggetti d’uso comune.. Questo fa sì che il mosaicista, a volte creatore altre solo realizzatore, debba spesso sperimentare nuovi metodi di lavorazione, nuovi materiali e supporti.

….Per chi inizierà a fare mosaico con passione, diventerà un fatto automatico rendersi conto che tanti sono i materiali che offrono la possibilità di diventare tessere musive …naturali: (pezzami di marmo, pezzi di terrecotte e di ceramiche, pietre e ciottoli ecc).
…I materiali artificiali sono stati fabbricati sin dall’antichità per supplire alle carenze coloristiche di marmi e pietre….Per ottenere dei toni più alti, colori più vivaci e brillanti, si è utilizzato il vetro opportunamente colorato e trattato in modo da consentirne il taglio, con gli attrezzi da mosaicista. Questi materiali si chiamano smalti e sono principalmente costituiti da un composto di silice e ossidi metallici, fusi in appositi crogioli ad una temperatura che può arrivare anche a 1500°. La silice è l’elemento base del vetro, gli ossidi metallici, invece, consentono di comporre i vari colori.


DISEGNI CARTONI BOZZETTI
Abbiamo preso conoscenza dei materiali, adesso possiamo passare alla scelta del soggetto da realizzare: una copia dall’antico? Un paesaggio? Un bozzetto moderno?
….Per realizzare una copia fedelissima, si esegue il lucido sull’originale, ricalcando i contorni di ogni tessera e mantenendo il valore degli spazi …. Si numera ogni tessera, ad ogni numero dovrà corrispondere un colore di un campionario di tessere musive … Si potrà poi su una copia del lucido dipingere ogni tessera, ottenendo così un cartone dall’antico che può utilizzarsi a fini didattici o professionali per eseguire delle copie a mosaico.
… Un modo più semplice per eseguire la copia di un mosaico antico è il seguente: occorre una riproduzione a colori del mosaico, in modo che siano distinguibili le tessere. Si eseguono delle fotocopie ingrandendole sino ad arrivare alla presunta dimensione reale del mosaico, infine si esegue il lucido ……
Un altro sistema richiede l’uso di un proiettore per diapositive.. Si predispone una parete per la proiezione, collocandovi un foglio di carta bianco, si proietta l’immagine e si sposta il proiettore in avanti o indietro sino ad ottenere la dimensione desiderata. Curare la messa a fuoco e poi con una matita ripassare tutto il disegno.
..La traduzione a mosaico di un dipinto. Non può considerarsi un fatto asettico ed automatico, ma un  atto che lo rende uguale e diverso contemporaneamente.


LE COLLE
..tre tipi di colla che utilizza il mosaicista: la colla da parati, quella di coniglio e la colla di farina. … La colla che si può utilizzare per incollaggi definitivi è il vinavil, che ha qualità di resistenza notevoli.


ATTREZZI PER MOSAICISTA
Gli attrezzi che un mosaicista può utilizzare per il taglio delle tessere sono: martellina e tagliolo, tenaglie giapponesi e tenaglie da carpentiere..
…pinza da mosaico.. I laboratori più attrezzati e le fabbriche di materiali dispongono di particolari attrezzi chiamati tranciatrici che rendono il tagli più agevole..
…spillatrice, ago, tagliavetro, pinzetta da tipografo, stecche di acciaio..forbici per carta e stoffa, rete metallica, taglino…cazzuolino, cazzuola e spatole, …setaccio, caldarella, spruzzatore ed occhiali…spazzola di seta dura, pennelli di setola, pennelli di pelo di bue. La smerigliatrice è un attrezzo utile per molare il tagliolo, senza toglierlo dal ceppo.


LEGANTI  INERTI  SUPPORTI
…Quasi tutti i leganti possono essere modificati nel loro colore con l’aggiunta di coloranti … Il cemento normale è il legante più economico e facilmente reperibile ..
Si usa con un inerte – sabbia argilla espansa – per costruire lastre di diverso spessore e di diversa dimensione… Un altro cemento può essere considerato l’emaco… consente di ottenere lastre più resistenti e più sottili.
L’adesivo per piastrelle più che un cemento è una colla e, come tale, si può utilizzare solo a piccoli spessori…I gessi ..si differenziano soprattutto per la rapidità nell’indurimento…il mastice è un prodotto che ha come amalgamante degli oli che lo mantengono morbido per diverse settimane…La resina è preferibile che non sia utilizzata dal dilettante… La calce è commercializzata sia in povere che già amalgamata con l’acqua… Il das può essere utile in sostituzione del mastice per piccoli pannelli a mosaico … L argilla a volte è utilizzata come supporto provvisorio..
Sabbia di mare… sabbia di fiume .. sabbia di montagna…argilla espansa


TESSERE :  TAGLIO CARATTERISTICHE DISPOSIZIONE
Sapere tagliare il materiale musivo nella forma e nella dimensione adatta al bisogno è una capacità che si acquisisce soprattutto con l’esercizio …
…E’ necessario pure sapere come organizzare le tessere dentro uno spazio: la forma che devono avere, la dimensione, il volume, l’orientamento,lo spazio ottimale tra una tessera e l’altra. Questi sono gli elementi di un linguaggio, quello “musivo”, con il quale il mosaicista trasmette le proprie emozioni. Ad essi vanno sommati gli effetti pittorici propri di ogni tessera ed il loro rapporto con la luce. … Le tessere possono essere ordinate in filate o seguire andamenti: comunque devono essere distribuite in modo che siano in armonia con la forma che le contiene e in accordo con le esigenze estetiche e compositive dell’opera.
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(per gentile concessione dell'Autore)

libri su S. ROSALIA




<LA CITTA’ DI MONREALE
                                             e
La Verginella S. Rosalia>

del canonico parroco Gaetano Millunzi



E’ un fatto ed un ricordo glorioso per la città di Monreale non solo l’avere essa conservato nel suo Duomo memoria della Verginella Palermitana S. Rosalia sin da una epoca assai precedente al ritrovamento del suo corpo; ma l’avere poi gareggiato con le principali città della Sicilia nel renderle onore, omaggio e culto devotissimo. In mezzo alle tante incertezze che occupano tuttavia una buona parte della storia civile ed ecclesiastica dell’isola nostra, per quel che riguarda l’epoca precedente il tempo in cui S. Rosalia cominciò ad avere il suo culto in Monreale, come del resto è impossibile determinarlo per tutte le altre città siciliane. Però nessuna di esse è in grado di vantare una memoria più certa e più antica di quella che nel dicembre del 1629 si ritrovò nel Duomo Monrealese, quando si restaurava il tetto. Allora in una antichissima trave, che era la terza contando dalla porta maggiore del tempio, si trovò dipinto il mezzo busto di S. Rosalia tra cinque figure di altri santi, cioè San Domenico, S. Francesco. S. Angelo e S. Alberto. Era la Verginella circondata da un festone di rose e vestita in abito monacale di color nero, che per l’antichità si degradava al bigio. Con la sinistra teneva una rosa sbocciata e con la destra il Rosario della Madonna: una ghirlanda, anch’essa di rose, le cingeva la fronte e sotto di lei in lettere latine stava scritto “Sancta Rosalea”.
Il rinvenimento di questa preziosa figura è raccontato anche dagli scrittori più accreditati che trattarono della vita e del culto della Santa: noi però nel racconto abbiamo preferito di seguire le autentiche parole del documento sincrono registrato presso il notaro Leonardo Corradi, che è munito delle firme di parecchi testimoni autorevoli ed intelligenti. Or stando a quello  che ne scrissero Michele Giudice e l’Ab. Gravina, non è improbabile che questo dipinto sia stato eseguito sotto il vescovato di D. Avveduto che governò la Diocesi di Monreale dal 1269 al 1275. Comunque ciò sia, non gli si può negare una vera antichità che accenni ad un culto veramente speciale quando alla Verginella Palermitana si dà il posto di onore in mezzo ad altri Santi, quali sono S. Francesco e S. Domenico! Ed una traccia e quasi una ragione di questo culto prestato in antico da Monreale alla S. Romita della Quisquina e del Pellegrino mi par di trovarla in quella pia tradizione , sino ad oggi non venuta meno, che S. Rosalia ritornando dal luogo del primo romitaggio si sia fermata in una grotta presso Monreale nella contrada di Buarra, e che lì per suo favore sia sgorgata una bella sorgente di acqua. Certo da tempo antichissimo la contrada di Buarra si chiamò la costa di Rusulia e la sorgente che ivi sgorga ritiene tuttora il nome di acqua della Monaca. Ma lasciando da parte le ipotesi e le indagini sopra gli avvenimenti di un’epoca pur troppo oscura, ci piace di potere ricordare, con certezza più storica, i favori e la protezione speciale  da questa cara Verginella prodigati alla città di Monreale e lo amore e la devozione del cuore con cui essa fu sempre venerata dal popolo Monrealese. Per tutta la Sicilia è funesto il ricordo della peste del 1625: e pure dal tetro fondo di quel quadro doloroso spicca grandeggiante ad esempio un eroismo di carità e di fede tale, che oggi in questo generale infiacchimento  di cuori e di menti appare sorprendente, meraviglioso, incredibile………………..
Si era parlato da più mesi in Palermo del rinvenimento del corpo di S. Rosalia; medici e  teologi si occupavano a dimostrare che veramente le ossa ritrovate su Monte Pellegrino erano quelle della Verginella Sinibaldi: e intanto il popolo palermitano ansiosamente esultava di gioia e di speranza. Già presentiva che il Signore nei suoi arcani disegni si era riserbato di glorificare gli avanzi dell’umile Verginella Romita in quell’estrema calamità dei suoi concittadini.
In tempi di fede il popolo intuisce il supernaturale. E nell’acerbità del dolore questa misteriosa intuizione si raffina e si perfeziona e non inganna e non erra. E d’altra parte esultavano anch’esse le ossa incorrotte della Santa e i miracoli e le grazie che si ottennero per mezzo di esse in quei giorni furono strepitosi. Era quello il momento provvidenziale in cui S. Rosalia doveva essere solennemente riconosciuta Patrona e Protettrice della città di Palermo e di tutta la Sicilia. In Monreale, come già si è detto, si conservava una delle più antiche memorie del culto di S. rosalia e Monreale fu una delle prime città siciliane che con religioso entusiasmo invocò il suo nome e il suo patrocinio. …..  Monreale ebbe in dono una considerevole Reliquia del femore di S. rosalia, racchiusa in bello reliquiario di argento. Quel giorno si fece gran festa…………… l’Arcivescovo Venero nell’atto di ricevere la desiderata reliquia, la baciò devotamente e dopo averla stretta al suo cuore e alla sua fronte l’espose alla pubblica venerazione… proclamarono la gloriosa Vergine S. Rosalia Patrona e Protettrice della città di Monreale…… Da allora in poi non fu famiglia che in Monreale non chiamasse una sua bambina col nome caro e gentile della Vergine  Palermitana. E la Verginella fece sentire che aveva accettato il Patrocinio di Monreale…
S. Rosalia, non solo è stata sempre l’oggetto di culto e della simpatia del popolo; non solo è stata sempre un tipo bello e gentile di virtù angelica e di onestà alle donzelle monrealesi, ma quel che pare più degno di note, è stato un tipo di amore e un argomento fecondo agli ingegni più poderosi che si son distinti nelle arti e nelle lettere. Pietro Novelli, decoro e vanto singolare della pittura siciliana, è un innamorato di S. Rosalia. Il 1° febbraio 1628, quattro anni dopo il ritrovamento del corpo della Santa, diviene padre di una vezzosa bambina, primo frutto dei suoi amori con l’onesta sposa Costanza Adamo. Avrebbe dovuto chiamarla Eumilia, perché questo era il nome di sua  madre; e pure come caro ricordo della pietà e del genio che egli sentiva per la Verginella del Pellegrino, preferì di chiamare Rosalia, colei che doveva essere un’insigne pittrice siciliana .







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GIUSEPPINA TURRISI COLONNA di Amelia Crisantino



GIUSEPPINA TURRISI COLONNA
La poetessa femminista che incitava alla rivolta

Ritratto di una palermitana animata da impeti risorgimentali che spingeva le donne alla ribellione

di AMELIA CRISANTINO


Le donne siciliane dei secoli passati spesso ci sorprendono. Scivolano fuori dalle caselle stereotipate in cui per pigrizia le rinchiudiamo, spargono attorno a loro indizi contraddittori e restano in attesa di qualcuno che sappia raccontarne la storia. Quando la Sicilia viene inclusa nell’itinerario del Gran Tour, le notizie sulla società e quindi sulle donne si moltiplicano senza smettere d’essere discordanti. Negli anni settanta del diciottesimo secolo Houel incontra a Girgenti due nobili signorine che sanno leggere ma non scrivere, per evitare che segretamente possano comunicare con gli uomini. Ma poi negli stessi anni Brydone è solo il più famoso fra quanti  raccontano di donne con molta più libertà che nel resto d’Italia, e della serale passeggiata alla marina – l’odierno Foro Italico – a luci spente per meglio favorire “gli intrighi amorosi” in un’atmosfera così libertina che cent’anni dopo Giuseppe Pitrè ancora sene diceva mortificato.  A rimediare, molto lontano da questa libertà di costumi  si viveva nella Sicilia della seconda metà dell’Ottocento, quando la politica diventa l’interesse predominante. Allora le donne tornano a essere lo sfondo su cui agiscono le passioni degli uomini, lo ogni tanto qualcuno riesce a venie avanti e diventare qualcuno.
E sto si fa notare Giuseppina Turrisi Colonna, una poetessa dalla vita breve. Nata a Palermo nel 1822 muore di parto nel ’48: è una ragazza di ottima famiglia, educata a sviluppare i suoi talenti. Proprio questa è la sua prima originalità. Giuseppina e  la sorella Annetta vengono cresciute per partecipare al mondo ed esserne protagoniste. E’ una poesia postuma, pubblicata per la prima volta nel 1878 e intitolata “Alla Madre”,a lasciarci intravedere quel privilegiato sentimento della maternità in cui Emilia Colonna  educato le sue figlie: gli ideali che ha loro trasmesso: l’amore, l’arte e la patria per Giuseppina e Annetta sono pane quotidiano. Ragazze nobili ma lontanissime dal modello dissipato che comunemente si associa alla nobiltà siciliana, sono entrambe allieve di Giuseppe Borghi, arrivato a Palermo mentre le dispute fra romantici e classicisti erano particolarmente accese e che grande successo ottiene con le sue lezioni sulla Divina Commedia. Su sollecitazione di Borghi che ha portato la moda dei manzoniani “Inni sacri”, Giuseppina compone anche lei alcuni Inni. 
Ha solo 14 anni e però già scalpita, i suoi “Inni” sono lontani dalla cristiana rassegnazione che in genere trasmettono: scrive di Giuditta liberatrice del suo popolo e si esalta nel rievocarne le imprese, sotto le apparenze del  componimento di genere la sua è già poesia civile. All’inizio è solo una ragazzina ben educata, ma ci mette poco a mostrare vero talento e sviluppare una “poesia eroica” che al maestro è del tutto estranea. Così, rifiuta di tradurre Anacreonte, perché troppo delicato: preferisce i tormenti di Byron, il suo coniugare assieme poesia e vita  immolare sull’altare della libertà. Nel  1911, a soli 19 anni, Giuseppina Turrisi Colonna, pubblica il suo primo volumetto di poesie. Per lontanamente immaginare lo stato d’animo della giovanissima poetessa dobbiamo considerare un elemento  che con la poesia c’entra ben poco e ricordare che nel 1837 il colera aveva provocato migliaia di vittime in tutta la Sicilia soprattutto a Palermo. Un panorama di desolazione circonda i sopravvissuti, al punto che ricordare il tempo degli antichi eroi non è solo un gioco letterario, è quasi un rimedio, serve a trovare la speranza. Giuseppina indica dei modelli, vuole scuotere le coscienze e scrive di Aldryda che nel 1174 ha guidato gli anconetani suoi concittadini alla liberazione contro i tedeschi e i veneziani.  Scrive di Giovanna d’Arco e sogna di imitarla, di svegliare “le sicane  menti”. L’amore che tutta la pervade è soprattutto per la patria che dei suoi figli ha bisogno di risorgere. Altre donne troviamo tra i suoi riferimenti poetici soprattutto Gaspara Stampa Vittoria Colonna: concorrono a disegnare una costellazione femminile che ha la forma delle scelte consapevoli dove Giuseppina scrive per tutti ma soprattutto per le altre donne. Che strattona e bistratta che incalza e spinge a reagire perché vorrebbe vederle forti e audaci. E lei ci appare tormentata dal presente,che giudica privo di ogni orgoglio. Nel 1843, da Parigi le chiedono un componimento da inserire nel “Parnaso Italiano dei poeti contemporanei”. E’ un prestigioso riconoscimento, scrive un’ode “Alle donne siciliane” dove la “caduta funesta” della Sicilia che ha smarrito la via della grandezza e perduto ogni splendore si risolve in un appello alle donne. “L’ardire dei Sicani si rifonda in noi” e Sorgete o care e nella patria stanza/per voi torni l’ardire e la speranza”. Solo le donne possono e devono risollevare le sorti della patria. <Né trastullo né servo il nostro sesso>: l’educazione dei figli è per Giuseppina un altissimo compito, coincidendo con la formazione dei futuri cittadini. Così, la “somma virtù delle donne molto più di quella degli uomini è necessaria a una patria che ha bisogno di una nuova linfa per i suoi figli. E questa tensione, la continua <ambizione per il trionfo del suo sesso> -come scrive Francesco Guardione che fu il suo unico biografo – è qualcosa di veramente nuovo nella società siciliana. Nel mondo di Giuseppina Turrisi Colonna anche la femminilità è eroica, lontana da ogni civetteria. Lei corrisponde con altre poetesse, la sorella Annetta si afferma come pittrice e ricercatrice, c’è una consapevolezza di cui abbiamo smarrito il filo. Al punto che, ai nostri stessi occhi, le donne siciliane sono rimaste appiattite su un modello impoverito e muto. Ma Annetta che studia chi sono le altre pittrici prima di sé e riscopre un’allieva di Pietro novelli, la dimenticata Anna Fortino modellatrice in stucco e cera, e Giuseppina che scrive e sviluppa il suo poetico, impetuoso femminismo sono figure vive e originali, lontane da ogni stereotipi. Giuseppina scrive articoli sul polemico giornale palermitano “La ruota” e nel 1846 trascorre l’estate a Firenze, dove con Le monne pubblica un secondo volume di poesie lodate dai critici. E’ fra i primi a superarvi  il soffocante concetto di “patria siciliana” e continua a rivolgersi alle donne, da cui attende un risorgimento morale perché diventi possibile quello politico. E sogna un’Italia unita, senza per questo nemmeno per un momento credere in papa Pio IX perché l’Italia non può rinascere <nelle tenebrose sale del Vaticano>. La sua vita e quella della sorella sembrano solo all’inizio di una storia ancora tutta da creare, ma ormai la tragedia incombe. E nel 1848 muoiono entrambe, a tre giorni di distanza l’una dall’altra: Annetta di tisi, Giuseppina nel parto del suo primo figlio. Entrambe ancora ragazze, sorelle maggiori da ritrovare.


da  “La Repubblica” di Palermo del 7 marzo 2008 

I romanzi di Maria Sapienza




"IL GRANDE ALBERO"
di Maria Sapienza



"Il Grande Albero" è il romanzo autobiografico della scrittrice monrealese Maria Sapienza che attraversa, in questo racconto, tutte le fasi salienti della sua vita, mettendo a fuoco sempre i rapporti familiari, le sue radici ed il forte attaccamento ai valori affettivi, della sua Sicilia e della città natale di Monreale: ricca di tradizioni, cultura e bellezze che l'autrice riesce a mettere in risalto per farle apprezzare ai suoi lettori.









"SOFIA" 
di Maria Sapienza


Sofia è una giovane quasi diciottenne, autoctona della cittadina arabo-normanna. E' la primogenita di tre figlie, vive in una famiglia tradizionale siciliana, della fine degli anni '80. Il suo desiderio è quello di riscattare la sua terra attraverso le risorse che il territorio propone. Lotta contro i falsi idoli, contro gli oligarchi, contro le ideologie che da secoli hanno ridotto le donne in stato di subalternità. Il suo sguardo è proteso verso l'altro da sè, si allarga in un abbraccio che ingloba il tutto ma che non si esaurisce a quel tutto che è parte di un immenso desiderio d'infinito. La sua lotta è la battaglia infinita di chi utilizza le armi bianche dell'amore; la scrittura, la musica, l'arte possono scardinare porte sprangate che chiudono alla circolarità del sapere.
Vive in prima persona l'attentato al capitano Basile, il dolore per la distruzione del negozio di famiglia incendiato dai mafiosi a cui lei si oppone per cambiare le regole "imposte" nel territorio. La morte, la sofferenza sono per lei esperienze che arricchiscono e accrescono il desiderio di Esserci.





Maria Sapienza (Palermo 30.11.1972) ha studiato presso il Liceo classico "E. Basile" di Monreale. Si è laureata in Pedagogia nel 1995. Ha conseguito l'abilitazione professionale all'insegnamento presso la scuola primaria e materna nel 2000. Ha insegnato Pedagogia e Filosofia presso il Liceo socio-psico-pedagogico  G. Ugdulena del Comune di Caccamo. Gestisce il negozio storico di famiglia, fondato dal bisnonno nel \1888. E' madre di due figli, Federico di 19 anni e Alessandro di 16. Scrive poesie e articoli per giornali locali. Ha ricevuto il riconoscimento per la scrittura presso la sala Onu Teatro Massimo (Donnattiva).Nel 2015 ha pubblicato il suo primo romanzo autobiografico "Il grande albero".
"Sofia" è il suo secondo romanzo

IL CASTELLACCIO... tra storia e leggenda



IL CASTELLACCIO DI MONREALE…
Tra storia e leggenda
di Giuseppe Schirò



La valle di San Martino delle Scale …………………
doveva apparire veramente una valle infernale, durante gli incendi estivi, degno scenario per ambientarvi una favola quale poteva essere immaginata da un erudito spagnolo  del Cinquecento, pieno d’inventiva e ricco di fantasia, al quale va il merito di aver fatto conoscere il nostro Castellaccio in tutto il mondo colto di allora.
Antonio de Guevara, nato verso il il 1480 a Trace e morto a Valladolid nel 1545, passa la sua prima giovinezza presso la corte della regina Isabella. Alla morte di questa veste l’abito francescano raggiungendo le più elevate cariche nel suo Ordine. Nominato predicatore e cronista dell’imperatore, accompagna Carlo V nella spedizione a Tunisi e nel successivo viaggio in Italia. Nel 1528 è fatto Vescovo di Guadix e poi,, nel 1537, di Mondonedo, in Spagna. Come Inquisitore a Toledo e Valencia si adopera con zelo per la conversione dei <moriscos>. Ma i suoi ideali di moralità pubblica trovano piena espressione nell’opera  Llamado Relox (= Orologio illuminato) de Principes o Libro aureo del emperador Marco Aurelio pubblicato a Valladolid nel 1529. Si tratta di un manuale destinato alla formazione morale e politica del principe, sulla cui condotta, come su un orologio, deve regolarsi quella del popolo cristiano. Quasi una versione battezzata e con pretese più ampie del principe del Machiavelli. Fingendo di tradurre da un manoscritto fiorentino, attinge abbondantemente agli scrittori classici e soprattutto alla sua esperienza di corte. L’imperatore Marco Aurelio, il filosofo, è preso a modello di una elevata concezione morale, attraverso una romanzesca biografia e varie sue epistole immaginarie. Il Relox riscuote subito un enorme successo. Riedito parecchie volte, tradotto in varie lingue compreso il latino, viene considerato modello d’uno stile letterario in Spagna, in Inghilterra, in Francia e altrove. Molti  poi dimenticano presto che non si trattava affatto di un’opera storica. La prima traduzione italiana si deve ad un certo Mambrino Roseo da Fabriano, che la pubblica nel 1548. Seguiranno parecchie ristampe. Ed ecco quello che racconta sul Castellaccio, secondo l’esposizione che ne fa Gaetano Millunzi: < Due anni prima che Marco Aurelio fosse stato promosso all’Impero, nella città di Palermo, allora chiamata Bellina, i Belinesi festeggiavano una vittoria riportata sopra i Numidi con la conquista di dieci navi e con la devastazione di altre trentadue. Mentre fra i corsali si voleva dividere la preda, i Governatori della città ordinarono che le navi e le ricchezze rapite ai nemici rimanessero sequestrate sino alla fine della guerra.
Una sera, quando i cittadini attendevano alla cena, comparve in Palermo un mostro o gran diavolo. Era esso alto tre cubiti, con un solo occhio in fronte, aveva calva la testa, corna ritorte, faccia d’uomo, due buchi invece di orecchie, mani e piedi di cavallo, schiena di pesce con squame lucenti, petto folto di peli. Assiso sopra un carro tirato da due leoni, seguito da due orsi, si vedeva dal cinto in su, perché il suo sgabello era dentro una grande caldaia. Passeggiò lentamente per le vie della città schizzando faville di fuoco, e il terrore fu tale che si videro i cittadini fuggire chi al tempio di Giove, chi al tempio di Marte o della Dea Febbre. Il Mostro finalmente si avvicinò al palazzo del Governatore chiamato Solino, ove erano alloggiati i corsali ed ove stavano rinchiuse le ricchezze rapite ivi, troncato un orecchio ad uno dei leoni, col sangue di esso scrisse sul muro del palazzo le lettere seguenti: < R A S V P I P P >. Nessuno fra i Belinesi potè interpretare le lettere misteriose ad eccezione d’una pitonessa di alta fama, che così le trascrisse <Reddite aliena si vultis propria in pace possiedere>. Il mostro in quella notte si ritirò sopra un’alta montagna presso Palermo chiamata Iamicia Gamiso ed ivi stette tre giorni a vista della città: vibrava intanto spaventevoli fiamme e gli orsi e i leoni ruggivano fieramente. Dopo apparve una nube oscura e in mezzo ai tuoni e alle folgori scoppiò si violento terremoto che circa diecimila persone morirono in mezzo alle rovine delle case e dei palazzi. Indi uscita una orribile fiamma dal monte ove erasi ritirato il mostro, bruciò il palazzo dei corsali e le rapite ricchezze!...>. L’Imperatore Aurelio consapevole di tale apparizione, in memoria del caso ordinò che si fabbricasse un tempio a Giove sulla vetta del monte Iamicia o Gamiso: esso però fu ridotto in castello dall’Imperatore Alessandro Severo, quand’egli guerreggiò contro i Siciliani>.
Osserva giustamente lo stesso Millunzi che <il Guevara con il suo racconto tetro e pauroso niente contribuì alla conoscenza storica del nostro Castellaccio, ma molto sicuramente ha influito perché esso entrasse o si riaffermasse nelle tradizioni leggendarie del popolo>.

Ma non solo del popolo direi, ma anche in quelle letterarie. In occasione dell’apertura del nono anno dell’Accademia dei Geniali della città di Palermo, il 27 aprile1727, il dotto canonico palermitano Antonio Mongitore (1663-1743) tiene un discorso dal titolo Il mostro di Palermo da monsignor Antonio di Guevara, convinto favoloso dalla Ragione e da’ Scrittori . Animato da spirito critico, egli esamina il racconto dello scrittore spagnolo evidenziandone la falsità e le incongruenze. Quello del Mongitore è un discorso accademico, dove più che disgusto per la favolosa invenzione dello scrittore spagnolo si ravvisa l’ingenuità e l’entusiasmo di chi, uscito da una cultura che aveva posto a base l’ipse dixit vuole ormai usare il metodo della ragione. Infatti, dopo aver demolito ad uno ad uno i particolari del fantasioso racconto, il Mongitore, giustamente, mette in risalto il vero significato della favola, che va letta nel contesto dell’opera che <seminata con sentimenti morali e politici, si argomenta che fosse stata composta per istruire di principi, affine di ben regolare a misura di prudenza le loro azioni: perlochè le diede il titolo di Orologio dei Principi>. 

S. MARTINO DELLE SCALE






L’Abbazia di S. MARTINO DELLE SCALE


di Anselmo Lipari 





Seguendo l’itinerario artistico, culturale e spirituale di Palermo e Monreale, troviamo a pochi chilometri, una località amena: San Martino delle Scale.
E’ una grande vallata tra i 500 e gli 800 metri sul livello del mare, circondata e quasi protetta dai monti, culla di una ridente e vivace borgata. ….
Le numerose villette edificate in mezzo ai boschi aprono spontaneamente al contatto con la natura e diffondono tranquillità. Gli alberi e il verde rendono salubre l’atmosfera, i monti circostanti invitano e stimolano alle escursioni…. Al centro un imponente edificio: l’Abbazia benedettina, che trasmette pace e ricrea lo spirito….
A San Martino delle Scale si arriva dalla strada panoramica di Monreale (circa 9 Km) o dalla provinciale di Palermo – Boccadifalco (10 Km) e da Baida. Data questa vicinanza con il capoluogo siciliano e la splendida città normanna, San Martino è meta abituale per coloro che intendono fare una distensiva passeggiata e per coloro che sono interessati ad ammirare i monumenti dell’antico e storico monastero benedettino o vogliono partecipare alla vita e alla spiritualità della comunità monastica.
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L’Abbazia di San Martino, secondo una antica tradizione, deve la sua origine a Papa Gregorio Magno verso il 590. Il Pontefice effettivamente aveva dei possedimenti in Sicilia, e sembra abbia provveduto ad edificare ben sei monasteri nell’Isola interessandosi così non poco a farvi sviluppare il monachesimo. Documenti certi legano l’Abbazia al 1347 quando un piccolo gruppo di monaci provenienti da Catania su invito dell’Arcivescovo di Monreale Emanuele Spinola si è stabilito nel <Feudo> di S. Martino messo a disposizione dal Presule della Cittadina normanna. Il merito di aver posto solide fondamenta sia alla riedificazione dell’edificio sia alla vita monastica va al Priore Angelo Sinisio ed ai suoi compagni. Il Sinisio infatti ha retto con prudenza e dolcezza la piccola comunità ed ha incarnato autenticamente la vocazione secondo l’impostazione proposta da Benedetto Da Norcia ove costitutivi e determinanti risultano la lode e la ricerca di Dio, il lavoro, la <Lectio> sia della Sacra Scrittura sia dei testi patristici ed agiografici. Eletto Abate nel 1352 resse la comunità fino al 1386, anno in cui morì, dopo aver dato l’abito monastico a 135 monaci. Per la fama della sua santità e della carità verso i poveri è  comunemente venerato col titolo di Beato. Col concorso e la generosità della gente l’Abbazia assume dimensioni sempre più ampie; la saggia amministrazione garantisce sviluppo ed espansione. San Martino diventa centro di interesse in ambito ecclesiale, monastico, civile e punto di aggregazione e di irradiazione e svolge ruoli di grandissimo prestigio in vari settori. Dopo il Sinisio il monastero sarà retto da otto Abati durante il cui governo S. Martino godrà di un vero splendore. Tanto che i sec  XIV-XV possono ben dirsi i secoli d’oro della vita monastica in Sa. Martino. …
Nella seconda metà del ‘500 il monastero mette in cantiere una serie di costruzioni ed ampliamenti: chiesa, coro, chiostri e poi sculture, fontane, ecc.. Altre opere d’arte vengono create da G. Pampillonia (fontane, statue in marmo nero in Chiesa, ecc.). da Polo De Matteis (le sei tele del coro), da Pietro Novelli (pala della’altare S. Benedetto e altre), F. Paladini, G. Salerno, ecc. Altri locali costruiti  in quel periodo ( 2^ metà del ‘500 e 1^del ‘600) sono: il chiostro snello e leggero, con 36 colonne di marmo bianco e il refettorio monastico con una tela  (la cena di Levi) del pittore fiammingo Simone De Wobrech. Verso la fine del ‘700 si costruisce un nuovo dormitorio e la bellissima facciata del Monastero, opera dell’architetto Venanzio Marvuglia, lunga 132mt. Con un atrio di 16 colonne marmoree e in fondo un gruppo monumentale (S. Martino a cavallo e il povero) di I. Marabitti, autore anche della suggestiva fontana Oreto.
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Nel 1860 Garibaldi annette la Sicilia al nascente Regno d’Italia e nel 1866 diventa operante anche per i monasteri siciliani la legge di soppressione degli Ordini religiosi. Il monastero, che nel 1862 aveva fondato, una colonia agricola nella speranza di restare in vita, viene spogliato di tutto. I monaci sono allontanati, i beni del monastero incamerati dal demanio, la ricca biblioteca dispersa, la colonia agricola diventa casa correzionale per i minorenni traviati gestita da un legato prefettizio.
Nel 1878 la nostra Chiesa viene eretta in Parrocchia…  Nel 1932 il Monastero fu riconosciuto dal governo italiano come ente giuridico. Le difficoltà e la povertà in questi anni di ripresa erano enormi. Così fra stenti e coraggio si arrivò al 1946 quando il monastero fu dichiarato <sui juris> e venne nominato il primo priore conventuale nella persona di D. Guglielmo Placenti (1913-1977). Sotto il suo governo la vita monastica si consolidò e la comunità crebbe. Nel 1969, essendosi raggiunto il numero sufficiente, si procedette all’elezione del primo Abate nella persona di D. Angelo Mifsud.
…Nel tempo il monastero acquista una fisionomia tipica… S. Martino conserva ancora tutto questo patrimonio e lo dona con semplicità a quanti vi si accostano.


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r.m.