GIUSEPPINA TURRISI COLONNA
La
poetessa femminista che incitava alla rivolta
Ritratto di una palermitana animata
da impeti risorgimentali che spingeva le donne alla ribellione
di AMELIA
CRISANTINO
Le donne siciliane dei secoli passati
spesso ci sorprendono. Scivolano fuori dalle caselle stereotipate in cui per
pigrizia le rinchiudiamo, spargono attorno a loro indizi contraddittori e restano
in attesa di qualcuno che sappia raccontarne la storia. Quando la Sicilia viene
inclusa nell’itinerario del Gran Tour, le notizie sulla società e quindi sulle
donne si moltiplicano senza smettere d’essere discordanti. Negli anni settanta
del diciottesimo secolo Houel incontra a Girgenti due nobili signorine che
sanno leggere ma non scrivere, per evitare che segretamente possano comunicare
con gli uomini. Ma poi negli stessi anni Brydone è solo il più famoso fra
quanti raccontano di donne con molta più
libertà che nel resto d’Italia, e della serale passeggiata alla marina – l’odierno
Foro Italico – a luci spente per meglio favorire “gli intrighi amorosi” in un’atmosfera
così libertina che cent’anni dopo Giuseppe Pitrè ancora sene diceva
mortificato. A rimediare, molto lontano
da questa libertà di costumi si viveva
nella Sicilia della seconda metà dell’Ottocento, quando la politica diventa l’interesse
predominante. Allora le donne tornano a essere lo sfondo su cui agiscono le
passioni degli uomini, lo ogni tanto qualcuno riesce a venie avanti e diventare
qualcuno.
E sto si fa notare Giuseppina Turrisi
Colonna, una poetessa dalla vita breve. Nata a Palermo nel 1822 muore di parto
nel ’48: è una ragazza di ottima famiglia, educata a sviluppare i suoi talenti.
Proprio questa è la sua prima originalità. Giuseppina e la sorella Annetta vengono cresciute per
partecipare al mondo ed esserne protagoniste. E’ una poesia postuma, pubblicata
per la prima volta nel 1878 e intitolata “Alla Madre”,a lasciarci intravedere
quel privilegiato sentimento della maternità in cui Emilia Colonna educato le sue figlie: gli ideali che ha loro
trasmesso: l’amore, l’arte e la patria per Giuseppina e Annetta sono pane
quotidiano. Ragazze nobili ma lontanissime dal modello dissipato che
comunemente si associa alla nobiltà siciliana, sono entrambe allieve di
Giuseppe Borghi, arrivato a Palermo mentre le dispute fra romantici e
classicisti erano particolarmente accese e che grande successo ottiene con le
sue lezioni sulla Divina Commedia. Su sollecitazione di Borghi che ha portato
la moda dei manzoniani “Inni sacri”, Giuseppina compone anche lei alcuni Inni.
Ha solo 14 anni e però già scalpita,
i suoi “Inni” sono lontani dalla cristiana rassegnazione che in genere
trasmettono: scrive di Giuditta liberatrice del suo popolo e si esalta nel
rievocarne le imprese, sotto le apparenze del componimento di genere la sua è già poesia
civile. All’inizio è solo una ragazzina ben educata, ma ci mette poco a
mostrare vero talento e sviluppare una “poesia eroica” che al maestro è del
tutto estranea. Così, rifiuta di tradurre Anacreonte, perché troppo delicato:
preferisce i tormenti di Byron, il suo coniugare assieme poesia e vita immolare sull’altare della libertà. Nel 1911, a soli 19 anni, Giuseppina Turrisi
Colonna, pubblica il suo primo volumetto di poesie. Per lontanamente immaginare
lo stato d’animo della giovanissima poetessa dobbiamo considerare un elemento che con la poesia c’entra ben poco e ricordare
che nel 1837 il colera aveva provocato migliaia di vittime in tutta la Sicilia
soprattutto a Palermo. Un panorama di desolazione circonda i sopravvissuti, al
punto che ricordare il tempo degli antichi eroi non è solo un gioco letterario,
è quasi un rimedio, serve a trovare la speranza. Giuseppina indica dei modelli,
vuole scuotere le coscienze e scrive di Aldryda che nel 1174 ha guidato gli
anconetani suoi concittadini alla liberazione contro i tedeschi e i
veneziani. Scrive di Giovanna d’Arco e
sogna di imitarla, di svegliare “le sicane menti”. L’amore che tutta la pervade è soprattutto
per la patria che dei suoi figli ha bisogno di risorgere. Altre donne troviamo
tra i suoi riferimenti poetici soprattutto Gaspara Stampa Vittoria Colonna: concorrono
a disegnare una costellazione femminile che ha la forma delle scelte consapevoli
dove Giuseppina scrive per tutti ma soprattutto per le altre donne. Che
strattona e bistratta che incalza e spinge a reagire perché vorrebbe vederle
forti e audaci. E lei ci appare tormentata dal presente,che giudica privo di
ogni orgoglio. Nel 1843, da Parigi le chiedono un componimento da inserire nel “Parnaso
Italiano dei poeti contemporanei”. E’ un prestigioso riconoscimento, scrive un’ode
“Alle donne siciliane” dove la “caduta funesta” della Sicilia che ha smarrito
la via della grandezza e perduto ogni splendore si risolve in un appello alle
donne. “L’ardire dei Sicani si rifonda in noi” e Sorgete o care e nella patria
stanza/per voi torni l’ardire e la speranza”. Solo le donne possono e devono
risollevare le sorti della patria. <Né trastullo né servo il nostro
sesso>: l’educazione dei figli è per Giuseppina un altissimo compito,
coincidendo con la formazione dei futuri cittadini. Così, la “somma virtù delle
donne molto più di quella degli uomini è necessaria a una patria che ha bisogno
di una nuova linfa per i suoi figli. E questa tensione, la continua
<ambizione per il trionfo del suo sesso> -come scrive Francesco Guardione
che fu il suo unico biografo – è qualcosa di veramente nuovo nella società
siciliana. Nel mondo di Giuseppina Turrisi Colonna anche la femminilità è
eroica, lontana da ogni civetteria. Lei corrisponde con altre poetesse, la
sorella Annetta si afferma come pittrice e ricercatrice, c’è una consapevolezza
di cui abbiamo smarrito il filo. Al punto che, ai nostri stessi occhi, le donne
siciliane sono rimaste appiattite su un modello impoverito e muto. Ma Annetta
che studia chi sono le altre pittrici prima di sé e riscopre un’allieva di Pietro
novelli, la dimenticata Anna Fortino modellatrice in stucco e cera, e
Giuseppina che scrive e sviluppa il suo poetico, impetuoso femminismo sono
figure vive e originali, lontane da ogni stereotipi. Giuseppina scrive articoli
sul polemico giornale palermitano “La ruota” e nel 1846 trascorre l’estate a
Firenze, dove con Le monne pubblica un secondo volume di poesie lodate dai
critici. E’ fra i primi a superarvi il
soffocante concetto di “patria siciliana” e continua a rivolgersi alle donne,
da cui attende un risorgimento morale perché diventi possibile quello politico.
E sogna un’Italia unita, senza per questo nemmeno per un momento credere in
papa Pio IX perché l’Italia non può rinascere <nelle tenebrose sale del
Vaticano>. La sua vita e quella della sorella sembrano solo all’inizio di
una storia ancora tutta da creare, ma ormai la tragedia incombe. E nel 1848
muoiono entrambe, a tre giorni di distanza l’una dall’altra: Annetta di tisi,
Giuseppina nel parto del suo primo figlio. Entrambe ancora ragazze, sorelle
maggiori da ritrovare.
da “La Repubblica”
di Palermo del 7 marzo 2008
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