BENEDETTO MESSINA

Arte
OMAGGIO 
all'ARTISTA monrealese

BENEDETTO MESSINA


 
(DAL CATALOGO REALIZZATO IN OCCASIONE DI UNA SUA  ESPOSIZIONE ANTOLOGICA PRESSO LA CHIESA DEL SACRO CUORE, DICEMBRE 1997 - GENNAIO 1998 QUANDO L'ARTISTA ERA ANCORA IN VITA) 

"BENEDETTO MESSINA,
PATRIARCA DELL'ARTE A MONREALE "


a cura di Antonina Greco


A Monreale, nella bella cittadina normanna una volta piccola quanto un pagus medievale, ora estesa a dismisura oltre le monumentali postazioni dei conventi settecenteschi, Benedetto Messina fin dalla sua prima giovinezza è stato figura di rilievo nell'ambito dell'arte.

Ancora oggi il personaggio più noto nella sua dimensione patriarcale da una parte legata al ruolo propulsore del suo magistero; ma soprattutto a quella creatività estrosa, mai sfiorita, che trova soluzione nella pittura, nelle tecniche grafiche, nella scultura, nella decorazione ad affresco ed encausto; nella ceramica e nel mosaico. E perfino nella poesia dove l'artista libera il suo canto spontaneo alla gloria del Creatore, esternando quei sentimenti di religiosità che da sempre fanno parte della sua formazione umana; e della sua stessa visione d'artista. Alla ingenuità del cuore semplice Benedetto Messina aggiunge una volontà forte e caparbia quanto talvolta utopica. La stessa con la quale ha determinato le scelte della sua vita e in particolare la realizzazione dell'Istituto Statale d'Arte per il mosaico, del quale è stato ideatore e fondatore negli anni Settanta. Con l'intento di dotare Monreale di una struttura che ne caratterizzasse la cifra culturale: dal passato al presente; perpetuando la tradizione musiva come accadde a Ravenna e a Venezia. Una istituzione rivolta a configurare quell'artigianato artistico di qualità, destinato al turismo internazionale; ma soprattutto capace di produrre operatori qualificati quanto i musivi del passato, abili ad intervenire nel restauro dei mosaici antichi. E nella produzione di altri più moderni che seguono i più attuali linguaggi espressivi. Benedetto Messina ha sempre avvertito la sua profonda necessità di trasmettere quanto egli stesso ha acquisito con naturale trasporto e l'ha attuata nel tempo attraverso le strutture codificate della scuola, per un breve periodo di tempo accolta perfino nella sua stessa casa; o nella realizzazione di corsi regionali, provinciali e comunali a lui affidati, diurni e talora serali, aperti ai piccoli quanto agli adulti. E comunque a quanti dimostravano curiosità e interesse per quel mondo che è stato la sua stessa ragione di essere e che ha segnato tutta la sua vita. La grande occasione si presenta nel '55 quando viene aperto in cattedrale un corso di restauro voluto da Mons. Di Giovanni con il seguente assetto: al professore Francesco Bosco che è già stato un punto di riferimento per l'artista negli anni di studio al magistero, vien affidato l'incarico di docenza di disegno professionale; al professore Romano, mosaicista, la conduzione del corso pratico; al giovane Benedetto Messina l'insegnamento di disegno geometrico. di siffatta impostazione nasce l'impianto primigenio della Scuola di mosaico alla quale ben presto si aggiungeranno i corsi per la ceramica promossi dal Sindaco La Commare. Con forte impegno campanilistico e non senza condivisione di un certo spirito da pioniere, dati i tempi. Il resto della storia è noto: la scuola nasce come sezione staccata dell'Istituto Statale d'Arte di Palermo. E qui molti di noi siamo stati chiamati a ricoprire incarichi di insegnamento, guardati con accondiscendente sufficienza dai colleghi più anziani dello Schiavuzzo. E perfino dal direttore M.M. Lazzaro, catanese, bella figura nella storia della scultura siciliana, ma certo distaccato dalle battaglie e talvolta dagli espedienti necessari a tenere in vita i corsi d'insegnamento a Monreale. La giovane generazione di artisti monrealesi in atto operante discende da questa situazione culturale e deve molto alla volontà di Benedetto Messina: un uomo capace di smuovere il mondo con la sua fede incrollabile, ora con un sorriso, ora con un detto evangelico. Talvolta con un atto di forza. Ed anche un maestro che al culmine della sua stessa maturità ha svolto compiti dialettici trasferiti ai più giovani attraverso incessanti stimoli. Oggi egli ricorda i suoi allievi: quelli che hanno frequentato la sua bottega e quelli divenuti talvolta collaboratori nella realizzazione delle opere più impegnative. Ritornano alcuni nomi alla sua memoria stanca e provata dal dolore per la morte di Antonella, la figlia che lo ha seguito più da vicino nello spazio dell'arte: Calogero Gambino, Giovanni Leto, Giovanni Randazzo, Angelo Cangemi, Antonino Pedone, Saverio Terruso, Sergio Mammina, Franco Nocera, Sebastiano Guercio, Guido Irosa, Pietro Villanti, Pino Anselmo, Enzo Mercurio, Salvo Arena, Enzo Aricò, Roberto Bruno, Rosario Madonia, Giampiero Virga, Toni Castellese e quanti altri è impossibile fare rientrare in questa citazione, altrettanto vicini alla sua affettuosa attenzione. Tutti educati nel rispetto dell'arte e nel suo segno dominante che è l'autenticità della ricerca e della espressione; e ancora volontà di affermazione.



GLI ANNI DELLA FORMAZIONE


Questi stessi valori hanno guidato la vicenda umana ed artistica di Benedetto Messina. Fin dagli anni della fanciullezza quando, ancora bambino, sprimacciava tra le dita un lumino di cera e man mano che la materia diventava duttile e morbida le dava forma di bambinello; un gioco che era già una vocazione. Anzi un destino. E questo proseguiva con quei due soldi di polvere di creta in cui si convertiva l'obolo che la madre gli affidava ogni domenica mattina per la chiesa. A dieci anni, da autodidatta, inizia anche il suo approccio con i colori: un inizio inquieto per la stessa difficoltà a manipolare gli impasti. Una tecnica, anzi un mestiere che nessuno era disposto ad insegnargli; nè basta guardare un vecchio pittore monrealese per andare oltre il fascino di una attrazione magica e capziosa. Fallisce anche  il tentativo di seguire la scuola serale di disegno tenuta senza troppa efficacia dal professore Di Piazza; e invece più praticamente matura la frequentazione della bottega di souvenirs del Signor Spinnato aperta nei locali a piano terra dell'accesso all'ex-convento dei Benedettini. Ancora di più serve guardare con occhio indagatore ai lavori di restauro dei mosaici che i fratelli Matranga stavano realizzando in quel tempo in cattedrale e nel chiostro. Con il maturare degli anni il ragazzo riesce a seguire sistematicamente le lezioni del Liceo Atistico di Palermo e a conseguire il diploma finale con il quale avrà accesso ai corsi di Magistero: un biennio di perfezionamento annesso all'Istituto Statale d'Arte.
Qui i suoi veri maestri e i primi incontri segnati: Alfonso Amorelli, Maria Grazia Di Giorgio e soprattutto Francesco Bosco.
Quest'ultimo in particolare gli permette di confrontarsi con la stessa disciplina del fare artistico che modera la esuberanza creativa: una lezione mai dimenticata di metodo, di contenuto pratico. E di scelte stilistiche. Nella continua curiosità che porta il giovane allievo a sperimentare nuove formule: quasi una sfida competitiva che si risolve intanto con l'accrescimento dell'esperienza. Ma ancor di più con la copiosa fertilità di quella produzione che si va configurando man mano in un gran numero di opere oggi disperse in molte collezioni pubbliche e private. Fin qui la preistoria dell'artista.



GLI ANNI QUARANTA


Il suo divenire documentato comincia a snodarsi negli anni Quaranta quando Benedetto Messina ha poco più di vent'anni.
In un contesto sociale e culturale caratterizzato dalle condizioni del dopoguerra; depauperamento delle strutture, fuga dei giovani, diaspora degli intellettuali. E ancora esaurimento delle istanze ideologiche di area idealistico-crociana, matrice del Novecento tradizionalista e rinascimentale nel suo spirito, celebrato già da Margherita Sarfatti. Cade l'illusione europeista; i giovani intellettuali, traditi nelle attese, si appartano per non vivere nel riflesso di una cultura di importazione che finisce per essere essa stessa colonizzazione culturale. Si rafforza la corrente realistica; nella letteratura come nell'arte e nel linguaggio figurato del cinema scorrono immagini di morfologia naturale. La scena della pittura palermitana in particolare, oltre che da Maria Grazia Di Giorgio e Alfonso Amorelli e Francesco Bosco che in qualche modo, come si è detto, hanno avuto più diretto rapporto con il giovane Messina, è popolata da altri artisti: Pippo Rizzo, Vittorio Corona e Giovanni Varvaro reduci dal dissolvimento dell'esperienza neo-futurista.
Eustachio Catalano, Michele Dixit, Nino Garajo, Lia Pasqualino Noto, Gianbecchina sono solo una parte; e naturalmente Renato Guttuso che presto sarebbe divenuto astro emergente di questa cultura artistica. Ma fuori dalla Sicilia.
Il 1947 è l'anno dell'eccidio di Portella delle Ginestre; il 1946 è l'anno delle leggi agrarie che rallentano la produzione del grano, vitale in Sicilia, e al contempo creano malcontento, difficoltà ai lavoratori della terra. E questi non riescono ad organizzare le cooperative nè a gestire il controllo delle acque. Nel vuoto della democrazia cresce il binomio mafia-potere politico. E con esso il prezzo del grano: è la crisi dell'economia. Più silenziosa ma altrettanto grave avanza la crisi delle ideologie.
Il nostro giovane artista si affaccia su questa realtà storica carico di speranza e di voglia di realizzazione. In una simile situazione sociale e morale un idealista, come lui è stato ed è, per l'arte può vivere ma in qualche modo con l'arte deve anche tentare di sopravvivere; nel rifiuto di più facili compromessi. Sicchè il panorama delle opere che di quegli anni rimangono è sparuto, quasi scarno: la maggior parte di esse disperse in investimenti quotidiani, maldestri e fortunosi. Oggi difficili da ricostruire. Alcune opere di pittura e di scultura che si sono conservate appaiono solide, già impostate sulle linee delle coordinate di linguaggio estetico che accompagneranno il lungo cammino dell'artista; e le sue stesse scelte di campo in ordine anche ai contenuti. L'uno e le altre vere e proprie promesse di sviluppi futuri che avverranno senza stravolgimenti: ancorate con saggezza istintiva alle forme della realtà. Visualizzate queste nella pianezza della essenza plastica anche quando si esprimono in condizione di stesura bidimensionale sul piano che accoglie il colore o del foglio sul quale vibra il disegno. E perfino nell'apparato prospettico dei piani che scompongono lo spazio figurativo  fino a scandirne le più recondite identificazioni. Fede nella materia, nella realtà, nella natura secondo la tradizione umanistica dell'arte italiana da Giotto in poi, rapportata ai due punti di fondamentale riferimento: spazio e tempo intesi come categorie aprioristiche. Dell'esistenza e della coscienza dell'infinito. Uno sguardo virtuale al grande Rinascimento, quanto basta per capirne il significato neoplatonico di etica, noetica, estetica. Tre momenti sublimati da quell'Idea che trapassa dal mondo pagano classico a quello cristiano: da Platone a Plotino. Nei contenuti figurali e nella loro esplicitazione formale affiora la stessa essenza del pensiero: la religio hominis, unico sentimento religioso oggi possibile. Quello che viene in soccorso all'uomo moderno ormai lontano dal misticismo irragionevole del Medioevo quanto dalla più arcana pietas; lo stesso che passa attraverso la metafora senza negarla, anzi con consapevole coinvolgimento della sua essenza. In noi e fuori di noi. La via che può portare alla sublimazione della intelligenza e dello spirito si snoda attraverso i territori del Logos e dell'Ethos. Fino a riconvertire il tracciato di questo percorso in un approdo estremo: la religio dei. Ieri conquistata con la mortificazione della carne e dei sensi; oggi intesa nella pienezza della sua intrinseca identità. Della materia fisica e dello spirito metafisico che la trascende. Resta remoto il rumore delle avanguardie rifiorenti nelle culture del disagio storico di quel tempo: prevale la tendenza a ripetere l'atto creativo, rivelatore a sua volta della divina creazione della natura. E l'artista la persegue con costanza e con coerenza mai cedendo alle lusinghe degli sperimentalismi a-figurativi nei quali riscontra il tratto di ideologie diverse dalla propria. Benedetto Messina fin da quegli anni opera nell'ambito di alcuni generi tematici: il sacro, la natura viva e morta, il ritratto, il paesaggio. Un mondo a immagine e somiglianza di Dio dove non mancano complementi di virtù e piacevolezza come nell'edenica visione di un paradiso terrestre. E la ricerca del decor, dell'ornamento è intesa come complemento dell'esistenza umana e pertanto come dono di Dio. Ogni atto, in questa logica, è concepito come valore etico: e perfino l'arte rientra nella visione del bene universale che è Dio stesso. All'interno di essa Benedetto Messina si muove con una naturale scioltezza e opera secondo un dettato che è naturale e soprannaturale al tempo stesso. Nella pittura così come nella scultura egli ama raccontare quando riferisce episodi che appartengono alla verità rivelata. E raccontando Benedetto Messina racconta se stesso, in una continua identificazione di oggetto e soggetto: non solo quando si rappresenta nell'autoritratto ad olio, tema ricorrente nella sua pittura. Anche quando raffigura il paesaggio di San Martino, ancora leggibile, la Conca d'oro tutta verde prima che il tempo più recente del benessere la riempisse di cemento; o trance de vie come nel cortile Barettiere scena della vita quotidiana del popolo. E ancora quando dipinge i due allievi intenti ad un serioso studio della geografia, o quando scolpisce una radice di cipresso raffigurando con sovrumana potenza il volto di Dio che scende per venire in seno ad Abramo. Fremente ed esagitato nell'espressione e nella chioma. Tanti particolari già connotano e definiscono questa produzione artistica che si svolgerà senza notevoli cambiamenti negli anni successivi. In una continua professione di fedeltà alle scelte; la stessa che allontana le tentazioni trasgressive e tende a recuperare il mito di ieri e di oggi nella natura. E attraverso la natura arriva a Dio. Una poetica riproposta di volta in volta mediante quella fenomenologia che si fa stile intessuto di linee, di colori, di volumi. Natura amata, ricercata, vegheggiata. Natura studiata nell'innesto delle sue coordinate di significati, di figurazioni e di forme che la fanno risaltare con ruolo di protagonista.


GLI ANNI CINQUANTA


Il decennio degli anni Cinquanta per Benedetto Messina si apre con la ferma convinzione di chi ha trovato le proprie certezze e vuole trasmetterle agli altri. Il legame tra la realtà e l'artista ora si fa ancora più penetrato con una ricerca tuttavia incessante. Egli lo persegue attraverso un gruppo di disegni tutti vicini nel tempo che si pongono con valore funzionale in questo momento del suo percorso.
Studio di mani a matita grassa, studio dal vero a matite colorate dello stesso periodo, uno studio per un apostolo, praticamente il ritratto del padre, con pastello e acquarello; un disegno a pennarello raffigurante un allievo nel laboratorio in varie pose e in vari particolari. Questi lavori insistono tutti sul tema dell'analisi della realtà più che sulla sua trasfigurazione; Ricorre in essi la tipologia  di studio ora in bianco e nero, ora a colori. Uno spaccato dal vero sperimentato e assunto come unica possibilità espressiva e reificato nel '58 in una maternità dipinta ad olio dove intervengono anche gestualità e sentimento a completare con note soggettive l'oggettività di un episodio. L'artista ora approfondisce lo studio del ritratto con l'intenzione certo di penetrare più a fondo entro le stratigrafie dell'animo umano. A cominciare da se stesso attraverso due momenti di riflessione resi in due autoritratti che si succedono a breve distanza: uno è del '50, l'altro del '54. Nel primo si avverte l'esigenza di ambientare la figura in un contesto rappresentato da quinte architettoniche che gradatamente rientrano verso il fondo lasciando emergere in questa cornice scenografica la mezza figura lievemente di scorcio. Quasi assorbita dai piani retrostanti e tuttavia immersa in un raccoglimento contempltivo: senza nessuna distrazione di elementi naturalistici: la auto-rappresentazione del '54 è già diversa: uno scorcio più vibrante sgancia la testa dal collo e dal busto, al movimento più risentito fa riscontro a sua volta una più risentita plasticità di colore, quasi modellato nella sua corposità materica che rende la figura vibrante di umori vitali. Interviene la componente psicologica, elemento irrinunciabile nella visione dell'artista; essa serve a rafforzare la profondità dell'espressione. Lo sguardo limpido lascia trasparire una serena interiorità in armonia di dialogo con la intensa e al contempo autentica misura del dipinto. Quanto rimane sotteso è affidato alla presenza allusiva di quei pennelli che compaiono discreti in basso a destra. La stessa concezione volumetrica si avverte in opere di diverso tema rese con uguale concrezione di colore: steso talvolta con la spatola nel paesaggio di Pizzo Calabro ricorrente in una molteplicità di visuali. Soprattutto in quello scorcio del paese dove le masse delle case rurali si giustappongono con un'articolata cubatura, sapientemente esaltate dalle ombre e dai fasci di luce che le lambiscono: ancora una qualificazione della materia ora resa nella sua struttura architettonica che si espande virtualmente in una dimensione stereometrica scomposta e ricomposta secondo la lezione cubista interpretata da Pierre Francastel come naissance et destruction d'un espace plastique.
Essa è presente in molte opere dell'artista: e non solo in quelle che appartengono a questo momento della sua produzione. La sorregge una organicità vitale che è in ogni espressione appartenente alla realtà figurativa; e parallelamente alla stessa natura. Nella realtà e nella finzione pittorica viva più che mai anche se è catalogata convenzionalmente sotto le sembianze di una ingiusta classificazione di genere: natura morta con pesci, pesce verde. 
E riduttiva perchè essa stessa è emanazione della condizione spirituale e psicologica dell'artista, del suo entusiasmo, della gioia di vivere incessante, di quella serenità della coscienza cristiana che imprimono  vita alla materia e permettono di ripetere, rinnovandolo, l'atto creativo. Così come l'adesione alla vita della natura è inno al Creatore. E la stessa esaltazione pantestica di ogni elemento che della stessa natura è parte diventa rivelazione che attinge a verità dogmatiche: nella sua essenza duale di teologia e di arte.


GLI ANNI SESSANTA


La produzione degli anni sessanta è per Benedetto Messina il raggiungimento della sua maturazione che trova riscontro nella qualità oltre che nello spessore qualitativo delle opere realizzate in quel decennio; e in quelli successivi: E' come se le precedenti ammissioni fossero pervenute ad una compiutezza totale che ha superato le attese ed ha conquistato la sua verità: un approdo che è l'aspirazione dell'uomo stesso. Ulisse, il mito, il ritorno alla piccola Itaca, a quella terra d'origine che è in ognuno di noi con le sue promesse e le sue rassicuranti verità. L'artista la raggiunge e la manifesta con una intrinseca volontà di approfondire il suo messaggio. E da qui si muove oltre. Le tematiche si intrecciano. A quelle già praticate e ricorrenti nella pittura si aggioungono ora gli oggetti ornamentali, i pannelli a mosaico, complementi dell'arredamento dell'habitat dell'uomo. Espressioni d'arte cosiddetta minore, che entrano nella ferialità della vita quotidiana. E perfino nel palazzo imperiale di GiaKarta; avventurosamente come il tavolo mosaicato, realizzato per Sukarno. O più dimessamente quei piccoli vasi con paladini, in ceramica dipinta o modellati a rilievo. Ancora un percorso che raccoglie la capacità dell'artista di dominare e trasformare la materia mediante la forza della sua inventiva; e con quella pratica della cultura dell'ornamentazione che è complemento estetico della esistenza umana. Tale metamorfosi si attua al di fuori dei parametri tecnologici che attraversano la società di oggi; e viene a compiersi attraverso un medium virtuale che è la forma e la congeniale possibilità dell'artista di modificarla. Nel panorama di una vita attraversata da idealità che produce oggetti estetici definiti in maniera cinica oggetti inutili dalle leggi del mercato contro gli oggetti funzionali e pertanto utili secondo la logica del potere economico. Ma siffatti ragionamenti possono interessare il campo della sociologia dell'arte, non certo quello della visione di Benedetto Messina che quando assembla vetri colorati e cemento per dare vita ad una inconsueta lampada non pensa alla possibilità di trasformare l'oggetto d'arte in oggetto d'uso e alla sua implicita possibilità di essere riprodotta in serie per obbedire al rapporto di offerta e consumo. La lampada rimane lì, vagamente costruttivista nella sua connessione di volumi, vagamente antropomorfa. Sicuramente unico esemplare a metà tra una scultura e un oggetto, destnata ad adornare: così come i piani mosaicati di gusto floreale, il piatto di ceramica che ha inglobato i chiodi nella fusione degli smalti, i vetri piombati e dipinti, i molti modellini che riproducono in gesso, in terracotta e in polistirolo la statua del Tritone di Rutelli. Divagazioni nate per curiosità e realizzate per divertimento.
Una breve esegesi delle opere indagate e lette nella loro essenza unitaria permette di rilevare alcuni dati comuni relativi al colore: pur rimanendo invariate sia la funzione che la espressione che esso riveste sembra evidenziarsi un movimento all'interno delle masse cromatiche e della loro stessa corporeità che risulta alleggerita e più levitante; senza tuttavia arrivare allo sfaldamento della materia pittorica o dell'immagine. E' come se nella pittura di questi anni si avviasse un processo interno al colore che perde la sua compatta concrezione per acquistare maggiore luminosità; e leggerezza nella pennellata. Le stesse nature morte si fanno più complesse: complicano la loro composizione includendo oggetti vari ed usuali. Per esempio una rivista. O un colombo imbalsamato che fa vibrare il dipinto con i colpi delle sue ali spiegate e con il colore latteo delle sue piume schiarisce i toni cupi del piano di fondo: una natura morta nella natura morta. ma la vita alita oltre; al di là di questa apparenza. Altrettanta luce modella la composizione di fichidindia e fichi nostrani adagiati in naturale disordine sui pampini desinenti in un drappo rosso: essa si sviluppa attorno ad una lucerna con vigorosa articolazione plastico-luministica che accentua l'artificio innaturale nonostante l'uso di elementi naturali. Questa, del resto, è l'essenza stessa della natura morta come genere storico e figurativo che discende dalla Naturalis Historia di Plinio, attraversa tutto il mondo occidentale passando per Caravaggio e per i fiamminghi maestri fin dal XVII secolo dell'Orbis Sensualium Pictus. Un genere pittorico che illustra il mondo sensibile  esplorato in orizzantale: "...delle cento membra e cento facce che ogni cosa ha, io prendo ora a lambirne una ..." (dagli Essais di Michel De Montaigne). E viene già attraverso l'attenta grazia femminile di Fede Galizia che infiora i suoi cesti di frutta con gusto tipicamente lombardo; o ancora attraverso Panfilo Nuvolone e Salvator Rosa. E De Chirico nel nostro tempo, anch'egli maestro nella barocca rappresentazione di una natura in posa: lussureggiante, ma immersa nel silenzio, senza azione. E a scena vuota, come impone ogni capitolo della cosiddetta forma vera. La ricerca di Benedetto Messina prosegue con note di diversa combinazione della realtà figurata: ora i fiori recisi e con essi uno scorcio di paesaggio in un angolo del quadro dipinti con più libera mescolanza di pennellate di verde e di azzurro; qua e là tracce di rosso sangue. A malapena l'orizzonte riesce a separare la terra dal cielo. Lo studio dell'ambiente naturale continua nel paesaggio di Monreale da via Regione Siciliana, nella veduta della Madonna delle Croci che scende a gradoni con le sue masse architettoniche lungo il pendio di Monte Caputo. Ritorna un paesaggio di Pizzo Calabro. Luoghi noti, vagheggiati e raccontati mediante un colore disteso a masse più larghe e più instabili, attraversato da fremiti di luce ora più vistosi e invadenti. Dal paesaggio alle figure di colombi, un olio reso a spatola premiato a Francavilla Mare per il suo vibrante luminismo che diventa plastico e per la naturalità della rappresentazione che ne esalta l'essenza vitale. O nelle immagini vicine per ispirazione e rappresentazione dello scout suonatore di flauto e dello scout chitarrista. Entrambe ambientate in un campo verde all'aria aperta piena di luce e di sole, abilmente articolata nei contrasti della luce e sulle ombre della figura stessa. E questa emerge da una invisibile griglia di piani prospettici; gli stessi che costituiscono lo spazio secondo quelle teorie razionali che nel diuturno insegnamento di disegno geometrico Benedetto Messina trasmette ai suoi allievi nei corsi dell'Istituto d'Arte. Cimentandosi egli stesso in una sperimentazione che applica questi metodi speculativi perfino alla materia da scolpire: la proiezione ortogonale applicata alla scultura. Il pastorello va ad aggiungersi alle due figure precedenti nello stesso spirito georgico e bucolico allietato da una dilatante visione solare en plein air. Secondo la migliore tradizione pittorica mediterranea: la stessa che discende dalla lezione di Cèzanne, sulla linea dell'Impressionismo storico. Alla maturità dell'Artista corrisponde ora la maturità dell'uomo, la sua affermazione professionale, l'insegnamento, la famiglia. Compaiono i ritratti dei figli, Ottavio ed Antonella due testine modellate al vero aprono una serie che si concluderà con Patrizia, Tiziana e Fausto. la materia duttile alla lavorazione è trattata con abilità e competenza tecnica pari alla freschezza di tocco. E con quella sensibilità tattile riflesso della stessa capacità di cogliere il sentimento. Su questi fattori riposa la ricerca del ritratto già avviata negli anni precedenti e ora ripresa con aperta attenzione alla psicologia e naturalmente alla connotazione fisionomica che cattura il carattere individuale e l'atteggiamento naturale come è tipico soprattutto nella rappresentazione infantile: talvolta aggraziato in Tiziana e Patrizia, pensieroso in Ottavio, più spensierato in Fausto. Assorta già nel suo mistero Antonella, in una situazione sospesa tra naturalismo e realismo. Ben diversa è l'interpretazione del volto di Cristo dipinto su maiolica nella versione sofferta della passione; e in quella più serafica del Dio-uomo. In mancanza del prototipo da ripetere nella cognizione della realtà l'artista spigola ora nel campo della trasfigurazione del volto dell'uomo e ripropone l'immagine consueta e rassicurante. Ricalca la iconografia tradizionale insistendo su di una visione intensa anche per l'apporto del suo personale sentimento: e dei significati che soggettivamente l'artista ama attribuire alla sacralità. L'effigie riposa su tonalità sommesse e fredde, talora cariche del livore della sofferenza. in entrambe le immagini domina una silente attesa che è contemplazione. Forse preghiera. In altre situazioni del sacro il tema sviluppa episodi biblici o evangelici: Giuditta ed Oloferne, il Battesimo di Gesù, il Buon Samaritano. In questi tre dipinti torna a riproporsi  la tendenza al racconto; ma senza compiacimento. L'elemento narrativo infatti è espresso attraverso l'annotazione pretestuale di alcuni particolari insoliti, che appartengono soltanto alla fantasia creativa di Messina. Così la rosa che Giuditta impugna con la stessa mano armata di spada è un gesto vago e gentile in una scena di morte e di violenza; quasi ad esorcizzare la truculenta crudezza. Il coro degli angeli volteggia tra cielo e terra come una girandola e compone armonie di colori e di suoni nel vuoto tra le rocce; e queste degradano come quinte sullo sfondo della scena del Battesimo di Gesù chiudendo il tema soprannaturale entro connotazioni fisiche e veritiere di quel paesaggio che è lo spazio dell'umanità...
Il paesaggio crestato di torri e di alberi collega territori diversi: il verde della campagna e il colore croco del cielo si configurano in un degradare di tonalità dal giallo al rosso; all'azzurro del tramonto. Queste linee compositive accompagnano quelle della scena del samaritano che si incurva sul pellegrino morente e ne solleva le membra con un ritmo di arsi e di tesi che conclude un giro di corpi in primo piano. In siffatta esemplare lezione di composizione del dipinto i due corpi assecondano i motivi curvilinei del contrapposto e chiudono l'assetto circolare della disposizione dei volumi reso ancora più leggibile e raforzato dalla presenza del cavallo disposto parallelamente alle linee direttrici della composizione. Il ritmo cadenzato e mesto richiama il compianto giottesco a Padova scandito dal ductus rotto della disposizione degli angeli tra il cielo e terra: con la sequenza di un singhiozzo. In un andamento lontanante che si intravvede fino alla linea d'orizzonte. Al raccoglimento della morte, dolente e malinconico, si contrappone il pulsare della vita nella gioiosa esplosione della predica agli uccelli: una piccola terracotta che si regge con un impianto a ritmo aperto. San Francesco allarga le braccia in un gesto simbolico di accoglienza di tutte le creature. E gli uccelli si raccolgono intorno a lui: si posano rapiti sulla base o svolazzano sui rami spogli di un albero; propongono l'armonia di un cantico antico e nuovo. In consonanza con la serena letizia francescana la ricerca di Benedetto Messina continua senza segni di stanchezza e senza le perplessità di quegli artisti che spesso incorrono in periodi di crisi, si interrogano inquieti, talvolta si smarriscono in sentieri alieni che percorrono territori indecifrabili. Egli avanza nel suo itinerario con coerente perseveranza di scelte. Appagato ripete il suo atto creativo e si abbandona sereno ad operare ancora sulle linee primigenie, in direzione monodica della natura mai messa in discussione.

GLI ANNI SETTANTA


Nel segno di questi raggiungimenti si apre il decennio degli anni Settanta che gli permette di rivisitare i temi ormai consueti della sua ispirazione; e di esprimerli con varie articolazioni di tecniche e di materiali: in un esercizio tecnico che include tutte le pratiche dell'arte come in una antica bottega del Medioevo. Non mancano le committenze pubbliche e gli interventi nelle chiese che si adeguano al dettato della nuova liturgia: raffigurazioni iconografiche e ornamentali distese su vaste superfici. A questi impegni che si aggiungono alla produzione destinata a soddisfare la committenza privata di dipinti, vetrate e pannelli musivi con temi prestabiliti fanno riscontro episodi di più libera fantasia. Come quella festa della frutta che celebra in maniera inconsueta il tema della natura morta ora composta in un bel cesto che naviga sulle onde del mare come una barca, coronata da un girotondo di fanciulle danzanti: una visione gioiosa quanto improbabile, libera da schemi di contenuto. E di significato. Altre nature morte in questi stessi anni, fiori e frutta dai vividi colori, decorativi paesaggi dal vero: scorci di mare, scogli, montagne che scendono a picco, case. La realtà immaginata e la realtà reale si confrontano in questi quadri e perdono i loro confini nei dipinti di contenuto religioso; piccoli e di implicita simbologia come l'agnello in cerca del pastore o Gesù e i fratelli; o più grandi come quelli che si accampano nella profondità degli spazi delle chiese: la Cena di Emmaus. Più emozionato lo scorcio del Crocifisso, dipinto ad olio, visto dal sotto in su con spericolata audacia prospettica e con coinvolgimento di sentimenti. Nel ricordo di quel Cristo morto di Brera del Mantegna, dove la coscienza conoscitiva e morale si incontra con le possibilità dell'immaginario e con il virtuosismo prospettico. Lo stesso potenziale immaginifico ricorre con accenti apertamente decorativi nella composizione di tre episodi del Vangelo allineati in una sequenza verticale; insolita nella successione e nella intonazione quasi fiabesca del racconto. Dal sacro al profano: la pittura di Benedetto messina registra ancora battute miliari. Le figure di suonatori calabresi appartengono ad una pittura di genere che ricalca le situazioni anche effimere nel quotidiano senza toccare significati che vanno al di là dell'episodio figurato.  Più astruse invece le allegorie che raffigurano il silenzio, il dio quattrino, la storia della musica: qui manca quella felicità cromatica ricorrente nelle immagini dov'è presente la natura o dove il tema più libero e non didattico come in questi casi coinvolge in prima persona l'artista e i suoi affetti. Un ulteriore autoritratto e mia madre sono più di un ritratto fisionomico: due figure tracciate ancora con una pennellata solida che fa i conti con la monumentalità della figura fisica e della figura morale. Al di là di ogni dimensione reale. E la concrezione della luce ne esalta i contenuti messi a nudo da una inesorabile volontà di introspezione. Nell'autoritratto l'artista scava per primo nella sua coscienza e si descrive nelle sue fattezze e nella sua stessa interiorità: come è o come vorrebbe essere. Nella rappresentazione della madre è traslato il significato che la figura stessa riveste nella solidità, nell'operoso atteggiamento, nel severo raccoglimento delle palpebre abbassate. Nella sua essenza e nei suoi complementi si identifica l'immagine della mater matuta, da sempre matrice della vita. Provvida e responsabile nell'immanenza stessa del ruolo e delle forme figurali.Ai limiti della sua sacralità umana e divina; pagana e cristiana. L'alba vista dal mio terrazzo e musica sacra a Monreale, sono due opere diverse da quelle finora considerate, accomunate dall'evanescenza dell'immagine sospesa tra  realtà e irrealtà. la figura perde i suoi confini definiti e si espande smaterializzata nel suo tessuto cromatico; fino ad una virtuale astrazione che non ne cancella tuttavia la identità leggibile. Come nella Cattedrale di Claude Monet la pittura si fa impressione che tende ad abbattere la realtà oggettiva per avvolgerla di velature: nel colore e nella stessa memoria soggettiva. Quasi una evocazione poetica carica di suggestioni ora sfumate  ed evanescenti, ora più intense. Questo fenomeno nella pittura di Benedetto Messina non è nuovo: riprende ed accentua un motivo che abbiamo riscontrato in taluni paesaggi attorno al '65. E contiene comunque possibili premesse di nuovi sviluppi negli anni futuri.

DAGLI ANNI OTTANTA...

Quanto avviene negli anni successivi nella produzione di Benedetto Messina è legato di più alla scultura praticata ora con continuità e convinzione: come agli inizi della sua attività. L'artista sviluppa gli stessi presupposti figurativi sempre presenti nel suo lungo cammino con la coerente fedeltà di chi vuole essere inattuale per scelta. Episodi plastici misurati nella dimensione fisica e nell'interpretazione del soggetto raffigurato: una trasposizione quasi naturale che va dalla pittura intesa nella sua essenza di materia -colore alla scultura vera e propria. Bronzi e terracotte riprendono i temi precedenti; e persino il polistirolo, una più recente e sorprendente scoperta dell'artista, anche negli anni più maturi curioso indagatore pronto a recepire novità tecniche e assimilarle al suo linguaggi espressivo. E la verità di natura è sentita e rappresentata anche qui con confidenziale semplicità; senza il peso della retorica monumentale. Nelle opere di più grande dimensione e ancora di più nelle piccole sculture. Il bronzo del nipotino  che legge così come il suonatore accovacciato sulla colonna adornata di foglie privilegiano i ritmi garbati che si concludono entro lo spazio della figura; e nonostante l'atteggiamento usuale anche quella sobrietà espressiva che non ne sminuisce le caratteristiche infantili. Come già nelle teste dei figli di alcuni anni precedenti. Altrettanto delicato è il modellato delle tre grazie raccolte in un gruppo di piccole teste infiorate sui capelli: una terracotta maiolicata che nella duttilità della materia cattura la sensibilità tattile dell'artista e la sua congenita visione pittorica che affiora nella tendenza a rendere sfumate quasi coloristicamente le superfici. Il motivo floreale che le adorna e completa ricorre  anche nella decorazione della cariatide di polistirolo; solida e compatta nella sua evidenza volumetrica, in contrasto con la consistenza della materia stessa. La maternità in bronzo vive nella stessa composizione del S. Giovanni Bosco: due gruppi scultorei diversi per dimensioni ma concepiti secondo un'analoga configurazione che raccoglie e chiude come in un abbraccio le figure piccole attorno a quella principale. Il giovane volto della Madonnina in terracotta si pone idelamente vicino alle testine precedenti: una misurata idea di bellezza che riposa sui segni modesti e aggraziati della virtù. I tratti fisionomici della testa in bronzo dell''800 riproducono il volto di Tonino Schiavo: un giovane allievo e collaboratore dell'artista, ora in America e perciò reso secondo l'immagine restituita dalla memoria. E tuttavia nel realismo della figura ancora una volta Messina coglie la somiglianza fisica del personaggio; e va oltrwe quando lascia leggere i particolari più spiccati della sua personalità. Come è caratteristica ricorrente negli altri ritratti. Anche i tre crocifissi costituiscono un trittico di virtuali ritratti anch'essi realizzati come tre teste in bronzo senza il supporto della iconografia tradizionale. Benedetto Messina li ha voluti modellare come li ha immaginati traendone le connotazioni morali dalla lettura evangelica e dando ad esse forma fisica: ancora una ipotesi di racconto che culmina nella sacrale testa di Cristo. Tra soferenza e rassegnazione. Più severo e imponente il busto del Cristo, un bronzo di più grandi dimensioni; composto nella sobria maestosità della sua immagine. Esso grandeggia immutabile e grave, nel ricordo del Pantocreatore che domina lo spazio della navata della cattedrale e al contempo le sorti dell'umanità: giudice e Padre. Ieri come oggi nella sua configurata immagine di eternità.


POST-FAZIONE


Un breve excursus in un lungo percorso di pensiero, di preghiera, di operosità fattiva per tracciare le linee essenziali della individualità di Benedetto Messina uomo e artista. E la organicità di un divenire nell'arte che scorre con cadenza costante di tempi e di modi. Diagrammi umani, diagrammi del paesaggio: volti segnati, terre ora arse, ora verdi. Lembi di mare azzurro, rocce grigie. E' il paesaggio siciliano, del territorio e della gente stessa; il paesaggio dove ogni cosa secondo Quasimodo, è più forte dell'uomo. Qui la dicotomia tra materia e spirito si risolve nell'abitare la stessa architettura della natura; in una sintesi che include l'uomo nelle sue implicazioni; e anche ciò che si configura come <altro dall'uomo>. Ieri come oggi in un contesto naturale. E di più rarefatta spiritualità. E' un destino di profonda umanità che evita parimenti l'artificio e l'allusione di ciò che può diventare mistificazione della realtà, della natura, del creato. Umanità che non sente le seduzioni di una altrove culturale. Creature appagate del loro dominio di mediterraneità; e ancora di più della pienezza di essere nella condizione che Sciascia amava definire "sicilitudine". Di quell'arcaismo greco monumentale e immanente che passa dall'architettura del tempio alla tettonica del paesaggio. E singolarmente nella figura del S. Sebastiano di Antonello da Messina: " nelle curve liminali del suo corpo... nell'astrattezza del volume che va  situandosi egualmente raggiato e trasfigura la vita stendendo le spire e gli avvallamenti della forma spianando le valli corporee o sgusciandole con tal nettezza che il vuoto rivalga il pieno... mentre all'intorno, i simboli di questa assolutezza formale, sfera del Cristo, rocchi di colonne consigliano all'umanità di ridursi a forma migliore" (Roberto Longhi). E attraversa molti altri episodi figurali e ideologici dell'umanesimo quattrocentesco e delle culture che ad esso fanno riferimento; anche nella storia più recente. Per arrivare compatto nella sua essenza fino alla trasfigurazione cubista dove spazio e oggetto interagiscono dialetticamente trasferendo il dualismo tradizionale della cultura artistica occidentale alla struttura logica della realtà stessa. Nella sintesi di valore idealistico e valore cognitivo; e in quel corrispettivo estetico che secondo Giulio Carlo Argan, identifica nella luce la sostanza spaziale che la rivela. La accompagna la capacità dell'homo faber aperto al nuovo, consapevole di tutte le tecniche, rivolto ad uno slancio costruttivo che mette in opera la progettualità ideale dell'homo ludens; e la attua concretamente. Ecco come spiegare  nell'arte di Benedetto Messina la molteplicità delle tecniche usate, la varietà dei canali dai quali discende una materia che impone di volta in volta diversi metodi di lavorazione. E ancora il colore corposo, materico, spatolato spesso: esso stesso medium virtuale tra scultura e pittura. Modellare per "via di mettere" e per "via di tòrre". Mosaicare in maniera diligente, con attenzione e pazienza; trasformare la terracotta in ceramica. E qua e là usare il disegno e le tecniche grafiche: disegno funzionale, disegno come studio, disegno come strumento di didattica. Disegno come progetto e ricerca nella sua duplice essenza di tracciato della mano, ma anche della coscienza e della memoria. Una lezione complessa che discende dalle antiche botteghe del passato e va verso le soluzioni filosofali e tecnologiche del futuro. su queste linee posa e ri-posa il pensiero e l'arte di Benedetto Messina. Nella sua casa della Carrubella, a ridosso del muro antico del Tiro a segno, l'artista vive e opera circondato da un disordine ragionato:che è il suo stesso modo di essere. Gli spazi dell'arte sconfinano con reciproca mutazione negli spazi della vita. i giardinetti pensili, le pareti i mobili si lasciano invadere da una suppellettile inconsueta. Qua e là occhieggia una delle almeno dieci copie del Tritone realizzate in una varietà di materiali e di dimensioni; cartoni, mosaici, cavalletti,; reperti raccolti nel tempo. Con immutato entusiasmo; con tensione e con slancio che dà senso allo scorrere della vita. E con quell'indomito ottimismo che è la sua forza anche nei momenti peggiori quando con serenità di spirito tralascia gli abbattimenti e si rivolge a Dio lodandolo. Qui tra le testimonianze delle tante opere già compiute abbiamo riscontrato quattro dipinti insolitamente incompiuti che rappresentano singolarmente le quattro stagioni con accenti di più elegiaca poeticità. Non ancora fissati nella ultima definizione figurale, ma quanto basta leggibili per cogliere le annotazioni particolari; e dell'insieme. Vi affiora la sintesi delle esperienze passate l'incertezza del non finito, la rivisitazione di alcuni luoghi del fare dell'artista che ritornano spontanei e insistenti e forse inconsapevolmente il dialogo che l'artista ricompone con la sua vita entro i confini umani del tempo. Con qualche accento autobiografico. Nella rappresentazione dell'estate   sembra di intravedere la vigorosa figura di Giuditta, come nelle macchie del cielo dell'autunno ritorna l'impressione sfumata e malinconica dell'alba dal terrazzo. La primavera affiora contro un cielo dove volteggiano gli uccelli ad ali spiegate come gli angeli del battesimo di Gesù; e nell'inverno si affaccia la solitudine smarrita di quelle allegorie dipinte senza la confortante e gioiosa presenza di elementi naturalistici. Dall'immagine raffigurata al simbolo significato: il volgere incessante del tempo nel susseguirsi delle stagioni. In una continuità senza principio e senza fine: come l'eternità. Benedetto Messina la rappresenta e la interpreta nella ricomposizione delle sue parti senza la dialettica degli opposti michelangioleschi dialogati nel Fedone platonico e poi ripetuti nel neoplatonismo rinascimentale. Piuttosto collegando i frammenti di ciò che è transeunte a ciò che è eterno, universale, cosmico. Come nelle tessere di un mosaico ideale; ripetendo il gesto familiare di una pratica quotidiana. Traccia un sentiero che ancora una volta si inerpica dall'umano al divino con quella cifra espressiva che è della sua anima e della mente: congiuntamente rivolte entrambe alla visione dell'assoluto. E approda al mitema primigenio della natura come immagine stessa di verità rivelata; ricomponendo il dissidio tra il mondo pagano e il mondo cristiano.


LE OPERE ARTISTICHE

1947, Monreale - Cortile Barettiere - olio su faisite


1965, Monreale - Paesaggio - olio su faisite


1965, Monreale - "Madonna delle Croci" - olio su faisite

1945, "San Martino delle Scale" - olio su faisite


1959, Paesaggio:Pizzo Calabro - olio su faisite


Colombi


1949, "Due miei allievi"- olio su tela


1958, "Maternità" olio su tela

1973, "I Calabresi suonatori" - olio su truciolato


1965, "Scout suonatore di flauto"- olio su faisite

1965, "Scout chitarrista" - olio su faisite

1970, "Storia della musica"- olio su truciolato

1965, "Il Pastorello"- olio su faisite

1973, "Autoritratto"- olio su tela

1974, "Mia Madre" - olio su tela

1974, "Alba vista dal mio terrazzo"- olio su tela

1953, "Studio per un apostolo (mio padre) - pastello ed acquarello

1950, "Studio dal vero" - tecnica mista su cartoncino


 1950, "Studio di mani" - matita grassa


1959, "Allievo nel laboratorio" - pennarello su carta



opere incompiute (olio su tela): 
"Primavera"

"Estate"



"Autunno" 



"Inverno"



1973, "Giuditta e Oloferne" - olio su tela


 1950, "Il pesce verde" - olio su tela


1975, "Festa della frutta" - olio su tela


1947, "In seno ad Abramo" - radice di cipresso


1965, "Volto di Gesù" - maiolica


1965, "Il battesimo di Gesù" - bozzetto - tempera su carta


1974, "Gesù e i fratelli -olio su faisite


1971, Il Crocifisso" - olio su faisite

1973, "Musica Sacra a Monreale"- olio su tela


1973, "L'agnello in cerca del pastore"- olio su tela

1962, "Il buon samaritano" - olio su faisite

1980, "Le tre Grazie" - terracotta
 1980, "Maternità" - bronzo

1963, "La predica agli uccelli" - maiolica

1970, "Figlia Antonella" - terracotta smaltata

1975, "Figlia Tiziana"- terracotta

1972, "Figlia Patrizia" - terracotta smaltata
1969, "Figlio Ottavio" - terracotta

1976, "Figlio Fausto" - terracotta smaltata

1980, "I tre Crocifissi - terracotta smaltata

1994-95, "Il nipotino" - bronzo

"Ut unum sint" - bassorilievo in cemento - cm 275x155

1973, "Il Silenzio"- olio su tela




Tratto dal libro BENEDETTO MESSINACittà di Monreale (Assessorato Cultura)- Antologica - a cura di Antonina Greco - 
presso la Chiesa del Sacro Cuore dic 1997/genn 1998
Progetto Grafico di Sergio Mammina- Monreale
Fotografie di Enzo Lo Verso -Monreale
Fotolito di G. Spedale -Palermo
Stampa Grafiche Renna -Palermo


 Benedetto Messina - "


(r.m.)