GIACOMO D'ANNA


CITTA' DI MONREALE


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di 
GIACOMO D'ANNA
L'E S S E R E   I N C O M P L E T O

ex Monastero dei Benedettini































L'ESSERE INCOMPLETO
di Giacomo D'Anna


Quel giorno, indefinito da numeri e parole, dal calore senza sapori e con quelle piccole scintille che solo la fortuna può raccogliere quando la fatica è impegnata con la serenità, mi soffermai a gurdare un prete dall'aspetto solenne, intrecciato come l'uva sul traliccio dell'umile passione celeste. Parlava amorevolmente con una ragazza poggiandole una mano sulla spalla. Forse quel calore indescrivibile, dipendeva dal fatto che se pur un uomo, poteva ascoltare le perversioni umane, senza ipocrisia e cattiveria, proprio perchè in lui si era manifestato il desiderio di DIO. Obblighi ecclesiastici a parte, ascoltava quel corpo affranto coinvolgendo anche l'anima più oscura a trovare serenità. dalle viscere di quella caverna tentacolare, prosciugava pensieri come la vendetta, la violenza repressa, gli effetti collaterali di un "rapporto d'amore", l'ansia, il conflitto che si cova quando il germe delle parole si aggroviglia vivacemente al sistema nervoso o semplicemente quella voglia naturale di prendere a calci qualcuno che ti ha ferito. Puliva le pareti dello spirito e la luce dell'alba affiorava pian piano sulla pelle rendendola coriacea e lucida. Quel prete, dall'aspetto saggio e invecchiato dall'età, presentava nel suo petto spirituale, il ricordo del suo giovane filo senza il peso della salvezza cristiana, percepiva quelle parole, come pietanze da offrire alla comunità. La sua missione sprofondava nell'infinito portale d'armonia e come tale non discuteva dei fatti, ma li riteneva utili per sconfinare nel ricercato perdono. Rimasi li fermo per venti minuti circa. Dovevo assolutamente conquistare quel quadro dai caldi colori, racchiudendolo senza fine nella botola segreta della mia mente. All'inizio, come primo approccio, toccai il mio orecchio. Non contento scesi sul collo ma non bastò a placare la nevrotica ricerca. Con mano decisa fermai l'esame tattile sulla conca della giugulare. La toccai ripetutamente con l'indice e il pollice per unire e invogliare quell'immagine a un frammento del mio corpo. Premevo leggermente le dita come un marchio da stampare fino a quando la matrice di quella esperienza sconfinò nelle mia ossa. Fissando quella foto in quel tenero incrocio di sangue e linfa, avrei potuto ordinare della gioia da qualsiasi punto della terra. Adesso l'impatto col dolore sarebbe stato più facile e meno caotico. 
DIO mi aveva donato un nuovo rifugio e un misterioso punto di contatto. Da quel tiepido teatro di umana comprensione si aprì di colpo uno squarcio nel cielo assonnato. Subito un fragore. La morte annunciata come le campane del Signore presero il sopravvento. Un gemito di dolore che solo il parto di una madre poteva eguagliare. Si formò in quella reale mutazione, come le stelle ricamano la loro presenza nel cielo, polvere, macerie e straziante verità. dalle rovine usciva, articolando aiuto, quella mano grande piena di luce, che un momento prima aveva confortato l'anima di quella fanciulla. Mi avvicinai sbalordito dal curioso epilogo perchè nessuno degli astanti si accorse dell'orrore. Più tardi, e intendo "scrivere" nella vita futura, capii il motivo e l'indifferenza, ingoiando la vivace cecità di quel sottile comportamento. Spostai velocemente le pietre e i ricordi ammassati. Nel cuore, il desiderio di un soffio di vita nascosto tra quei residui, si premeva contro la mia pelle spostando ogni cellula verso un coraggio sconosciuto. A stretto contatto con gli odori della sofferenza, mi accorsi che il corpo disteso in maniera scomposta, prendeva sembianze diverse. Ebbi paura ma continuai a spostare quelle rovine seguendo le curve della polvere accumulata sull'abito color bruno. Mi sentivo l'archeologo che dopo tanti anni di studi riusciva finalmente a scorgere una nuova pagina nella storia. Alla fine come se avessi avuto uno specchio sepolto nella neve apparve un' immagine stranamente familiare. Il respiro si fece più corto e il tremolio delle gambe piegò il mio corpo in due oscillando verso la pazzia più assoluta. Cadde ogni speranza e decisi in un momento di razionalità che quel corpo era il mio. Quella mano sepolta era la mia come scambio del giorno e della notte. ...