SILVIO GUARDI'

Arte

S I L V I O    GUARDì
Artista monrealese





MOMENTI DI RICERCA 1976



Questi momenti di ricerca su di una tela, su qualsiasi altro materiale vogliono essere l'inizio di un discorso molto ampio che, partendo da un fattore estetico, vuole estendersi al mondo naturale in tutto il suo manifestarsi. I rapporti di equilibrio delle parti, la razionalità della composizione vogliono ricondursi al rapporto dell'uomo con l'uomo, alla creazione razionale di una società basata sulla eguaglianza, sulla giustizia, sul diritto.
Questi momenti di ricerca sono delle composizioni, delle creazioni di un mondo interno che non ha corrispondenza con il mondo naturale delle cose.
Esse vogliono essere dapprima dei momenti di ricerca del proprio io quindi dei momenti di riflessione, di maturazione che conducano progressivamente a delle fasi successive di vera libertà.
Libertà intesa come liberazione da qualsiasi condizionamento interiore ed esteriore postoci dalla natura e dall'ambiente. 
Partire da questa posizione per dare inizio ad una nuova società. Nella composizione ci si vuole attenere ad un libero equilibrio delle parti, ad una certa spazialità delle forme, alla essenzialità del suo essere. Il tutto viene creato a poco a poco per una funzione finale, per un intimo bisogno di fare, di agire, di intervenire libero in questo libero spazio. Il colore viene disteso puro, in campiture variabili secondo la composizione.
Si fa uso di tutti i colori, primari e secondari, ma ognuno ha una propria esistenza nel contesto con gli altri:
il grigio come ultima parete  tra il caos dei valori che cercano l'ordine e l'armonia di essi; il bianco taglia il grigio lasciando come una fessura da cui si intravede una immensa spazialità pulita e poi tutti gli altri colori nella loro purezza ad indicare le contraddizioni, gli stati d'animo, come piani statici posti lì ad impedire la penetrazione nel vero, nel giusto. Ed è proprio qui che il momento di ricerca si fa più drammatico più intenso, più sentito.
Il desiderio vivo di questo processo di chiarificazione, di immergersi in questa nuova dimensione di spazio e di tempo, preme con tutte le proprie energie per spostare questi ostacoli. Ed è in questi momenti che comincia la vita con la volontà di fare, di partecipare, di calarsi nel vero.    
                    Marzo 1976
Silvio Guardì




1976    Labirinto cromatico    acrilici su tela, cm 50x70




Dal Catalogo "Data MCCCCL" 
a cura di Francesco Gallo

...Più che una strumentazione critica, serve una maschera poetica che sappia mimare la sua essenziale enigmaticità. Mi viene in mente Ungaretti quando scrive del mare, il suo essere tutto e il contrario di tutto. Gioia e dolore. Apatia e disperazione. A seconda del suo stato di moto e di quiete. 
"Più non ruggisce, non sussurra/senza sogni, è campo incolore". Eppure basta un nonnulla per trasformarlo in impeto e tempesta. Muovono nuvole irriflesse, il mare/che cede il letto a fiumi tristi".
Tratti dalla Terra promessa questi versi spingono la fantasia verso distese che non si possono conoscere nella loro intima essenza, e vanno presi per quello che sono, giochi di mobilità relativa, filtrazioni preziose di liquidi magici che possono fare uno, dalle tante, colorate superfici, dove erano angosciati bianchi e neri. Versi utili per Silvio Guardì, ripetitore della trasgressione e dell'omologazione, esploratore della incognita totale e della rassicurante identità. Leggendo un passo dell'Anadiomènon di Savinio, sovviene l'avvertimento che non è fatale il permanere in vitalità dionisiaca, in erotica sottolineatura delle forme, perchè ogni inquietudine è volta inevitabilmente, per quanto tortuosa, che porta ogni barbarismo al classicismo. E' innanzi tutto pittoricità, come estrinsecazione della forza di un'identità, colta in un momento del suo sviluppo, della sua esistenza materiale e spirituale. Una forte tensione, ora alla manipolazione, ora alla sintesi, è celata dalle vesti larghe di una calma apparente, ma che è un'inquieta calma, dove una realtà magmatica muove dal sottosuolo e preme per emergere in superficie. L'assetto delle forme, che si concretizza di volta in volta, non è gioia spensierata di mostrarsi alla vista, piuttosto l'esigenza di legare una vis non domabile, generata dalla passione, alla contemplazione che viene dal complemento dell'oggetto.
Silvio Guardì, indomito esploratore di meandri e navigatore di enigmi, non cade mai preda di una espressione emotiva, infatuata dall'ultimo traguardo e ad essa legata, come ad un dramma eterno, perchè lo soccorre l'ironia, sublimazione delle forme, assestamento concettuale di una gestualità astratta, e di una concreta straniazione delle cose della storia.
Sono le fattezze di una interiore favola, vissuta nel fuoco generante di una voglia d'identificazione della stranezza, come se il fremito d'una cancellazione, d'una modificazione o di una invenzione totale, possa considerarsi evocazione magica della visibilità.
In Guardì, c'è l'esigenza di una nominazione complessiva del pensato e del pensabile, del visto e del visibile, dell'invisibile, dell'intuibile.
 Quasi un'esigenza di comprensione dell'universalizzante che comprende inesorabilmente nel suo automatismo, tutta una progettualità possibile, riferita all'arte, come intervento attivo, inventivo. Guardì legge la storia della scrittura, le volute grafiche del segno e le integra nell'esperienza del presente, in una linea artistica che fa della tecnica il supporto di una trama poetica, affidata alla ragione non meno che al flusso spontaneo dei sentimenti. Il tutto fatto passare attraverso un'attenta analisi che lascia fuori dall'opera tutto ciò che l'ingombrerebbe, appesantendola, facendola diventare rifugio archeologico di contenuto piuttosto che apoteosi estetica di forma. Le tematiche che si sono date luogo nella ritmata cadenza dei tempi non sono solo metafore di una realtà altra, sono estratti delle stesse metafore, schegge di una anatomia del narcisismo, ma voglia matta di comunicazione. 
Guardì comunica, innanzi tutto, se stesso, con le immagini che gli vengono suggerite dal contesto bibliofilo del mondo, visualizzazioni della sua officina passionale, della sua passione interiore per il segno complesso della scrittura, per il disegno della decorazione. In lui c'è sempre un gesto di scrittura, di segno che sottolinea la verifica analitica della pittura come sistema e come funzione nell'ambito di una finzione, per frammenti di una grammatica e di una sintassi che deve trovarsi spazio in terreni concettuali dove già esistono segni e segnali, indicanti nomi e direzioni. E' dunque una querelle del nome e del volto, per l'affermarsi di una volontà semiotica dell'arte, dove il caos dei segni impedisce, al pari della rarefazione, la concentrazione del significato, come potenza del fare, in contrapposta omologazione con l'altra potenza, quella del pensare. Ciò riesce bene a Guardì, perchè in lui non c'è una preoccupazione ideologica o di messaggio, ma solo l'intento di preservare la possibilità del racconto, la cui finalità si esercita solo sul piano autonomo dell'arte che coniuga il tempo finito dell'esistenza con il suo tempo infinito nel pensiero.


 Passaggio, acrilici su cartoncino


Ombra luce, 1978 acrilico su cartoncino, 50x61cm
Ombra luce 01, 978 acrilico su cartoncino, 50x61cm
Vortice, 1982 pastello su carta, 34x48cm



Il primo antagonismo, che penetra nella spirale della sua opera, è quello di ombra e luce, di una opposizione capace di fondare l' umore plastico di un'immaginazione esaltata dello schermo proiettivo. Tutto sembra graffiato dalla possibilità di essere messo in rilevo, oppure relegato all'ombra di se stesso esibendo una doppia identità dell'immaginario. L'ambito è quello della pittura informale, dell'astrazione articolata del desiderio, dietro cui si nasconde l'insieme delle esperienze coscienti e incoscienti dell'attualità e della memoria.
Sorge da quest'alba, da questa articolazione di forme, che forme non sono, l'alfabeto immaginario.
acrilico su tela cm 80x120
acrilico su tela cm 80x120

Alfabeto immaginario A 3,1982 olio su tela, 120x80cm 

acrilico su tela cm 80x120

olio su tela cm 80x120

Alfabeto immaginario A 5,1982 olio su tela 120x80cm



Alfabeto immaginario A 1, 1982 olio su tela cm 80x120


Alfabeto immaginario A 5 1983 olio su tela cm 80x120

Una costruzione parallela a quella storica, fatta di attualità sconcertante d'esperimento, di messa in posa delle pietre leggere di un edificio mobile della conoscenza, della penetrazione negli spazi della scrittura che si misura con la pittura, sconvolgendo riti e ritmi della reciproca consistenza. Si tratta di operazioni concettuali a tutto tondo, comprensibili nell'ambito delle prove a cui l'artificio pittorico s'è sottoposto per dare nuova linfa al suo statuto. 
Tutta una problematica definibile in senso nuovo, ma percepibile come verifica dei poteri del segno, della macchia, del caos criptico del sogno, dell'isolamento mistico del particolare. E' una variante problematica dell'opera aperta e della versione assoluta del saggio, della prova. In versione pittorica, questo aspetto sperimentale, si tramuta in una cartografia assurda, in una scomoda iconografia personale. In sostanza, un taccuino illeggibile per gli altri, e anche per se stesso, però non privo di significati reconditi, nascosti, causali o casuali. Perchè mai nulla dei segni umani, dei più ludici, dei più automatici è privo di contenuti, da essere purezza e metafisica, forma e flatus. Domina comunque l'idea del libro, l'idea estetica della cosa, la sublimazione essenziale dell'itinerario che va dalla mente alla mano. E viceversa, che dalla mano risale alla mente per continuare il ritmo e la dialettica. 
Carta Gloria- collage su cornice antica

E' la scaturigine dell' ars illuminandi, una parodia della tradizione, della decorazione. Una diabolica appropriazione del gusto di rendere bello lo scritto, di illustrarlo, di dargli "chiarezza". Tutto è capovolto.



METAMORFOSI DELLA SCRITTURA
di Maria Antonietta Spadaro

I Collage di Silvio Guardì

Il collage, le composizioni polimateriche nascono con le avanguardie dei primi del nostro secolo: Braque e Picasso, i surrealisti, i dadaisti, i futuristi ed altri ancora. La Pop Art, il New Dada e gli sperimentalismi degli ultimi decenni hanno riproposto questa tecnica dalle potenzialità espressive inesauribili.
Raffinatissima e apparentemente nostalgica di preziosismi grafici medievali è la proposta che ne fa Silvio Guardì in opere recenti che lo hanno posto all'attenzione della critica più attenta. Di innegabile fascino, le sue composizioni sollecitano l'immaginazione conducendo l'osservatore al limite dell'individuazione del linguaggio della pagina miniata; subito dopo, scoperto il gioco della metamorfosi, invitano ad un altro tipo di percezione più analitica che provoca, nella verità e nell'inganno, la memoria. Vi si ritrovano vecchi fogli tratti da registri contabili uniti a pagine di quotidiani, arricchiti da francobolli e antichi fogli manoscritti, il tutto impreziosito da grafismi personali, misteriose sovrapposizioni e cancellature. E' probabile che l'operazione di Guardì, sottilmente ironica, debba leggersi come giudizio sulla visualità dell'informazione che ci giunge oggi dalla carta stampata. Se, come dice Argan, la cultura dell'informazione tende oggi a sostituire la cultura storica, nei collages di Guardì l'informazione vuole attraverso forme arcaiche sublimarsi in storia. Per quelle strane associazioni mentali dell'opposizione e dell'assurdo, le opere di Guardì mi hanno fatto pensare ai collages di Rotella. Anche se nelle opere di Mimmo Rotella si individua la significazione opposta: il linguaggio iconico che vive la propria obsolescenza senza possibilità di riscatto. E', in questo caso, l'agghiacciante messaggio della Pop art, spacciato spesso per ludico divertissement consumistico. Opere di Guardì quali "Ars illuminandi", "Annales Panormitani", "Muni Mirabilis" rivelano oltre all'amore per l'oggetto-libro, per la scrittura-grafia, per l'impaginazione-composizione, la possibilità di un ready-made che al contrario di quello dadaista finalizzato a provocare cortocircuiti associativi traumatizzanti, sembra cercare nella memoria mimeticamente armonie eterne, fuori dal tempo.
Le informazioni sovrapposte e  illeggibili dileguano verso ipotesi di forme del comunicare, estranee all'idea di consumo dell'immagine e della notizia. Gli equilibri di quegli impossibili menabò mutuano il linguaggio estetico di cui si è vestita la cultura dell'occidente, reinventando una immagine della scrittura. Guardì cerca di esorcizzare la distruzione fisica dell'immagine nella cultura di oggi prodotta e trasmessa dai mass media.
Davanti alla possibile prossima scomparsa del libro, sostituito dalla biblioteca telematica, i collages di Guardì, ci ripropongono l'affascinante manualità dei codici miniati, quella lontana preistoria del libro.
(M. A. Spadaro)



Annales Panormitani- cm 49x 67
Depromtos eventus, experimenta,..- cm 31x45


Doctrina societas I - cm 31x46,5


Leopoldus cm 31x45

Litteraecm 43x58



Santy cap. in hoc... - cm 43x56

Scrutinium-cm 42x56

Il testo di provenienza, la più disparata, è preso in mano e plasmato alla maniera duchampiana, nominato in senso attuale, come tempio del senno perduto, dove niente è recuperabile allo stato primitivo. Il testo è un foglio di carta per l'esercitazione del genio inventivo. Tutto può diventare bello, in paradosso crociano opposto a quello marxiano. Nel primo bisogna dare un senso strutturale anche alle attività della fantasia. Guardì incrocia i due paradossi con il capovolgimento della tradizione. E' come se dicesse e facesse vedere la specularità che colpisce ogni cosa. Basta guardare da un verso piuttosto che da un altro. Un'anamorfosi della mente, irrisolvibile con una mera tecnica del punto di osservazione.
Il seguito spetta al cogito
Cogito II, 1986 tecnica mista s tela, 120x70cm

Cogito III, 1986 tecnica mista su tela, 132 x 69 cm

supremo concettualismo della teoria, trasformazione del massimo sistema della comunicazione in massimo sistema dell'enigma. Sempre consentendo alla strumentazione pittorica di mostrare la sua invisibile anima sibillina. Una scia cartesiana, adottata come metafora di totale antropologia immaginaria. Continua la svalutazione dei costumi e dei consolidati nessi del pensiero. Viene rifiutata, come imperfetta, ogni trama arrivata attraverso il tempo e la cancellazione di fatto dei significati.
S'introducono così le isole,
 Isole H, 1987 tecnica mista su tela, 120x100 cm

Isole I, 1987, tecnica mista su tela, 120x100cm

espulsioni formali di una cartografia dalle conclamate somiglianze. Si può trattare della silhouette di una Pantelleria raggrumata o del profilo di un'isola del caso, ma sempre di una manifestazione di trasgressione dell'ordinario, di una rottura dell'ordine pulsionale dei viaggi. Come se i diari fossero impazziti e avessero voluto prendere il posto delle cose, drammatizzando in modo teatrale le consistenze assurde delle terre lontane. Un gioco di sostituzioni tanto consolidato quanto offerto alla metamorfosi del gusto, alle variazioni capricciose del gioco, la cui regola è quella di portare a unità la molteplicità di vedere ogni cosa dall'angolo uniformante della forma che somiglia alla lettera. Sotto questo aspetto non si tratta affatto di un lavoro facile, anche dal punto di vista della costruzione materiale. resta il primato dell'immagine, il prius accordato alla manualità sconcertante, come è tipico di tutti i pi coerenti concettualismi, da quello di Emilio Isgrò, figlio di Man Ray, a quello di William Xerra , figlio di Picasso e di Braque.
Avviene così la cifrazione del catechisme en images,
Catechisme en images - Ultima cena, 1988 tecnica mista su carta a mano, 50x69cm


Catechisme en images - San Antonio, 1988 tecnica mista su carta a man, 70x50cm

un'ulteriore commistione tra lo spirito della parola e quello delle cose citate, perchè tali diventano le manifestazioni artistiche del contesto originario, sottoposto a una progressiva rifondazione dei significati. Guardì con la sua irresistibile virtù di trasformatore, riempie tutti gli spazi della possibile memorizzazione cronologica delle immagini, le sospende a una quota intermedia tra la fisica e la metafisica, ingannando i precetti d'ogni possibile catechismo. Si tratta della plasticità di immagini e nulla più, anche se può continuare ad apparire un supplemento di senso comune, ingannevole quanto imprevisto, eppure concorrente a compiere la totalità di questa nuova literatura laicorum. Quale è in fondo tutta la sua opera, venata da una cultura che ha per il passato e per la storia un'attenzione non minore di quanta non ne abbia per il presente. 
Si pone ora il problema della data, in uno svolgimento che è anche modificazione dei supporti. Mentre fino a questo momento la tensione è stata innanzi tutto pittorica, ora diventa plastica, evidenza del bisogno d'investire lo spazio reale, oltre che di crearne uno artificiale sulla superficie di una carta o di una tela. Nascono delle installazioni che sono libri, dediche, intestazioni di una probabile architettura del sogno, articolazioni di una modifica progressiva del desiderio.      


Data MCCCCL è una ricorrenza immaginaria, che non deve richiamare nulla alla mente, se non se stessa come fatto compiuto, totale. 
Dorso 5 A, S G, 1989 olio su ego, 130x3cm 

Rilegatura in marocchino rosso, 1989 olio su legno, 2 pezzi, 40x29x3cm ciascuno

PAGINA CINQUE E PAGINA SEI 1901 cm111x2,5 olio su legno

PAGINE GIALLE 1991 cm 50x111x2,5 olio su legno

Biografia - Pes, 1989 olio su legno, 40x29x3cm


 Dorso del vocabolario della crusca, tomo I, 1989 olio su carta e legno, 95x23x2,5cm




Bronzo, argento, oro 1989 olio su legno, 3 pezzi, 60x19x4 cm ciascuno

Vengono proposti dei dorsi che non tolgono nulla alla tautologia, la consegnano pienamente alla propria integrità formale, quella del dare, che sembra quasi una formula magica per dichiarare la moderna forma dell'alchimia, della trasformazione dei materiali, sotto la pressione dell'illusione indotta, messa in scena, dall'installazione combinatoria degli elementi. 
Omaggio a Gutemberg, 1989 installazione nella chiesa dei SS. Giacomo e Filippo, Andora

La si può considerare una sintesi provvisoria di quanto Guardì ha fatto in questi anni, come una liberazione di energie che si erano mostrate, ma erano rimaste nel contenitore dell'utopia, mentre ora vengono allo scoperto di una contaminazione che è oltre il tono, che è oltre la suggestione della lettura individuale. Appunto perchè si tratta di un coinvolgimento dello spazio, di una alterazione dell'ambiente che si ricostituisce a partire dalla loro presenza. Un percorrimento analitico di tutta l'attività di Silvio Guardì, suppone una capacità di lettura differenziata del suo lavoro, del progressivo mutarsi delle forme per conseguenza del loro stesso essere. Si parte da un dato essenzialmente pittorico e si giunge a uno essenzailmente scultoreo, nel mezzo vi sono una serie di esperienze importanti, dei veri test di conferma della qualità di un rapporto con la materia, della capacità di trasformare qualche cosa di già consolidato per una sua destinazione precisa, in un evento d'arte, somigliante ad altre operazioni analoghe fatte da altri artisti, ma con una peculiare originalità, che lo fa comprendere senza il bisogno di riferimenti analogici. Non si scopre nulla di speciale nell'affermare l'esigenza di un fondamento culturale preciso, di una consapevolezza che preservi dalla caduta nella banalità del fatto scontato, puramente ripetitivo. A maggior ragione se l'opera in questione è basata su un sottile gioco di rimandi, sullo spettacolo semplice di una enunciazione minimale, molto in sintonia, in quest'ultima fase del suo lavoro, con la lunghezza creativa di Gerard Merz e di Nunzio, artefici di sprezzante semplicità.
Silvio Guardì riassume in tutto l'arco del suo lavoro e della sua mutevole morfologia una magica invenzione della memoria speculare e della messa in oggetto che gli viene dalla sua altra vita di uomo delle stampe, di raffinato accumulatore di emozioni contemplate nel filo sottile di un segno e nella tela concertata di un labirinto tirato a parete, a sfondo, oppure a soggetto vivace di un genere grafico. Il paradosso lo si può prelevare da Pollock e Kline, tirati di qua e di là, per quanta estensione possono coprire con la loro decantazione dell'immaginario. A questi, alla loro magica alternanza di segno e gesto, si attacca l'ispirazione di Guardì, definendo i campi d'interesse, le culture di attraversamento, gli scandali della violazione. E' come se fatto forte da una grande cultura del commento, si fosse messo a scrivere criticamente tutti i testi letti, confrontandoli tra loro nelle ambiguità e nelle multivalenze dell'indefinito.
Alla sua sintesi, alla sua definizione ha contribuito la forte scrittura della ricca letteratura critica che l'ha accompagnato, scandendo il tempo del suo apparire. 
Filiberto Menna in un acuto testo sul suo alfabeto immaginario, scrive che , nella sua opera, "il soggetto fa valere le proprie ragioni e le proprie determinazioni pulsionali, ma nello stesso tempo le distanzia in qualche modo, riconoscendosi solidale con le esperienze segniche e gestuali nel momento stesso in cui ne misura la lontananza storica e si pone dal punto di vista di una riscrittura critica". Quello che è rimasto costante, nel mare del cambiamento è il lato del privilegio materico e della declinazione aniconica, guardando ora alla valenza informale, ora a quella dello squadramento geometrico. 
Eva Di Stefano, a proposito dell'ars illuminandi, parla di finzione del codice miniato, dell'inganno di una scritta che non si lascia leggere, e in questo caso la protagonista è la valenza figurativa della scrittura, anche quella sottratta al caso e alla distruzione. "E' allora questione di ritmi, le stratificazioni di vecchia e nuova scrittura costruiscono la mappa di un diverso ordine mnemonico, e testimoniano infine il sortilegio di un'altra biblioteca di Babele". 
A questa biblioteca si collega Marisa Vescovo, nel suo testo per Paraxo 89, occupandosi degli strani libri di Guardì, fatti di copertine, di dorsi e di intestazioni, di dediche addirittura, di un costeggiare un mondo non scritto, che si finge pieno di scrittura. Si tratta dell'accumulo di tutto il lavoro precedente, messo in custodie che non si faranno mai violare.
Ecco, allora, una fitta biblioteca, di libri dipinti, in legno, cose che si presentano come un involucro che contiene un tesoro stupefacente e al tempo stesso inquietante. "L'armoniosa geometria intellettuale che caratterizza i libri di Guardì, nel suo riprodursi secondo variazioni concettuali, più che formali, sfiora l'ossessione dell'artista, la vertigine dell'innumerabile, del continuo che tendono a combinare quello spazio mentale, dove la storia non continua, dove lo spazio tempo è alterato, dove la perentorietà del reale cede alle sue possibilità, dove si coniuga anima e angoscia, in un meccanismo di contagio". Da queste tre opinioni, espresse in momenti diversi dell'itinerario compositivo di Guardì, si può trarre una conclusione, circa la sua ricca capacità inventiva, la sua silenziosa attraversata di poetiche e forme dell'apparire, sottolineando il contrasto fra vera limpida coscienza della storia e una sua strumentazione nel magma dell'attualità. Là dove si dovrebbe pensare la cosa del passato, la poetica del vissuto, come un al di là della perturbazione, lo si vede invece, coinvolto in una dialettica combinazione di vita, in uno sconfinamento che è linguistico più di quanto non appaia reperto materiale, ed è mentale più di quanto non appaia  materiale e corposo. 
E' la virtù dell'artista, che trasforma tutto quello che cade sotto la sua osservazione e sotto la sua sfera d'azione. Niente, di tutto questo, riesce a sottrarsi alla strategia e alla prassi della nominazione, non fosse altro che per la dannazione sublime che ha colpito tutta l'arte del nostro tempo, quella di non volersi negare la libidine di nessun materiale, di nessuna esperienza, capace d'inebriarsi nell'invenzione.

...LE FILIGRANE. (...)












TESTI CRITICI

Alfabeto immaginario
a cura di FILIBERTO MENNA

Le diverse angolazioni critiche da cui sono stati e sono studiati i fatti artistici di questi ultimi anni hanno posto in evidenza, al di là delle differenze anche sensibili tra i rispettivi punti di osservazione, un fenomeno generale, una sorta di denominazione comune che tiene insieme le esperienze dell'arte, oggi. Si tratta di una forte rivalutazione del soggetto e della espressività individuale rispetto alle dominanti riflessive e analitiche degli anni precedenti. Questo rilancio della soggettività trova modi espressivi diversi, e tra questi alcune declinazioni pittoriche che trovano nel precedente storico dell'informale un sostegno non irrilevante, sia nelle declinazioni segniche e gestuali che in quelle materiche. Si tratta generalmente di declinazioni aniconiche della pittura che guardano all'arte informale come a un repertorio di segni ancora oggi utilizzabili e concretamente utilizzati ma, per così dire, alla seconda potenza, ossia con la necessaria consapevolezza della distanza che ci separa da quella fondamentale esperienza pittorica.
Credo che Silvio Guardì si possa riconoscere in questa prima e assai approssimativa definizione di campo.
La sua opera si situa infatti sul versante aniconico della pittura odierna e appare chiaramente orientata verso il recupero di una gestualità che trasforma la superficie del quadro in un campo di azione, dove agiscono forze in continuo movimento: segni e colori si organizzano lungo linee andamentali sinuose, e si distendono quietamente sulla superficie o subiscono, a volte, improvvise accelerazioni creando intrighi e vortici inestricabili. 
Altrove, la superficie accoglie stesure cromatiche continue che però non fanno da semplice supporto ma entrano in una relazione dialettica con la serie dei segni disposti come unità singole di un alfabeto immaginario. Nell'opera di Guardì il soggetto fa valere quindi nuovamente le proprie ragioni e proprie surdeterminazioni pulsionali ma nello stesso tempo le distanzia in qualche modo, riconoscendosi solidale con le esperienze informali segniche e gestuali nel momento stesso in cui ne misura la lontananza storica e si pone dal punto di vista di una riscrittura critica.       





Testo critico a cura di Giuseppe Frazzetto

Nel 1986 Silvio Guardì presentò al "Voltaire" di Catania un gruppo di opere della sua serie Ars Illuminandi: simulazione della miniatura, assemblagi di reperti cartacei "moderni", per giungere a singolari Libri d'ora. A quella fase, Guardì ha sostituito poi altre ricerche. Nella serie intitolata Cogito, ad esempio, al gusto del travisamento si è sovrapposta una più fredda riflessione sulle possibili modalità del farsi immagine del pensiero: ampie tele scandite da campiture piatte di bianco e di nero, popolate da grandi lettere alfabetiche dipinte in diversi colori, in accostamenti liberi, ma organizzate a suggerire un movimento discensionale.
Il ripensamento sul nullificarsi del linguaggio sembra giunto all'individuazione dell'unità minima della comunicazione scritta, l'"appropriazione" del reale da parte del Soggetto pare doversi ridurre al sillabare, senza possibilità di comporre nuove parole nè di ricomporre le vecchie. Ma la stessa dichiarazione d'essere prossimi al nulla ha un suo spessore allusivo. Cogito, dunque sono, nonostante tutto. Il pensiero è un movimento, appunto una "discesa" verso una realtà che non "sale" più ad incontrarci; un movimento che può rappresentarsi, ancora una volta, solo in allegoria, come nella "melanconica" scansione di bianchi e neri che rinvia allo spazio ed al tempo in cui il pensiero sorge e si dispiega. Nè, d'altra parte, Guardì rinuncia a smontare i meccanismi delle associazioni pertinenti alla cultura: le maiuscole e le minuscole alludono al basilare strutturarsi del linguaggio, ma al loro apparire non è estraneo un implicito riferimento ad esperienze concettuali (ma anche al sinestesismo rimbaudiano di Voyelles).
Rispetto all'Ars Illuminandi il gioco dell'immaginazione si fa meno espansivo e conturbato, e la concentrazione si sostituisce al gusto barocco dell'impaginazione simulatrice. "Presentazione", più che rappresentazione, ma sostanzialmente immmutata resta la volontà di costruire un'immagine in cui il Soggetto, cifratamente, ricomponga le coordinate del proprio giudicare e desiderare. Tensione esplicita nella recentissima serie delle Isole, in cui in certo senso Guardì vuole sintetizzare momenti caratterizzanti gli altri due cicli. Su tele astrattamente bianche, scandite da una razionalizzante quadratura, s'accompagnano reperti cartacei analoghi a quelli usati nell'Ars Illuminandi: isole di significato in un atono mare di bianchezza, a volte riunite in geometriche figurazioni d'arcipelaghi, altre solitarie ed in sè concluse. Il referente visivo è stavolta la carta geografica, quasi Guardì volesse restituire, allo sguardo preoccupato ed amoroso, la topografia dell'inestricabile "foresta di segni". 



I LIBRI D'ORA di SILVIO GUARDì

Testo critico a cura di Giuseppe Frazzetto

L'anonimo autore del trecentesco trattato De Arte Illuminandi sarebbe senza dubbio rimasto sorpreso, se gli fosse stato dato di vedere i fogli della serie Ars Illuminandi di Silvio Guardì, miniature del secolo ventesimo.
Sorpreso in primo luogo per il ribaltamento delle prescrizioni: non lunghi processi parascientifici d'elaborazione delle tinte, non ricette d'amalgami contenenti ad esempio <urina d'uomo  aduso a bere vino, non precetti concernenti le stesure, ma un differente ordine di  alchimie associative, metaforiche e metonimiche, dove il reperto cartaceo d'ogni natura (presente o passata: la pagina del quotidiano e la lettera vergata a penna d'oca strappata all'antiquario, il francobollo e il brogliaccio del dare e dell'avere) si decanta perdendo il proprio bruto esser cosa d'ogni giorno, alla ricerca d'una quintessenzialità comunicativa che ironizzi, restituendone un apparente correlato, lo schiamazzo entropico degli attuali mezzi d'informazione.
Ma l'anonimo trecentista rimarrebbe sorpreso soprattutto per la sottile comunanza d'intenti: di là dal divergere delle metodiche, c'è nei fogli di Guardì l'intenzione antica di far ridere le carte, di illuminarle. Non mediante la scorciatoia del sovrapporre la sostanza nobile al materiale vile (cioè la foglietta aurea sul supporto cartaceo, facendolo splendere, illuminandolo; da cui, tra l'altro, derivano il francese enluminer e l'inglese to illuminate), ma attraverso la più complessa via dell'accostamento del reperto non ricco e al limite di scarto ad altra sostanza povera, in un reciproco impreziosimento visivo ed emotivo.
Si tratta, beninteso, d'una povertà sui generis, considerato che il reperto cartaceo adoperato da Guardì mantiene pur sempre la duplice natura d'essere materia (questa sì povera, anche se sovente già fascinosa per la propria origine antiquaria) ed insieme supporto di comunicazione, per scrittura o per immagine, e dunque intimamente imbevuta, per così dire intrisa e pregna di significazione, anche se frammentata od ormai irreversibilmente conclusa, dispersa o nullificata.
Per chi sappia intendere i suoi caratteri desueti e il suo sbiadito inchiostro, ad esempio, la lettera parla di piccoli fatti veri di già irreparabilmente perduti nell'abisso della distanza temporale; ma anche la pagina del quotidiano, a ben vedere, pur con la sua apparente oggettività testimoniale e la chiarezza e simmetria del suo volersi dare uguale per tutti, in ogni luogo e in ogni tempo, già il giorno appresso si distanzia, e il suo messaggio si fa evanescente, evaporato dalle brucianti esigenze dell'attualità.
I fogli della Ars Illuminandi di Silvio Guardì si pongono dunque al crocevia d'una molteplicità d'esigenze e stimolazioni, in primo luogo originate dalla bibliofilia dell'autore (e credo che ciascuno che sia felicemente afflitto, come del resto chi scrive, dalla m a n i a per il libro abbia almeno una volta sognato di compiere operazioni analoghe a quelle di Guardì), ma coerentemente orientate verso l'assemblamento d'una immagine . Non concettualismo, non collage Dada, non poesia visiva, anche se di queste esperienze Guardì inevitabilmente tiene conto; ma un'inarrestabile volontà di cangiare tutto il regno del cartaceo, ready-made per sua natura corregibile, in immagine simbolica o allegorica, all'interno della complessiva metafora della pagina miniata.
Si spiega allora il permanere dell'ordine e della simmetria della carta stampata (con le sue implicazioni con la <chiarezza del pensiero occidentale, come ipotizzato da Marshall McLuhan), dialettizzati però dall'apparentemente caotico intervento manuale, che dà ai fogli un qualcosa di sottilmente soffice ed orientale. Guardì, del resto, sembra voler ripercorrere nella sua Ars Illuminandi ciascuno dei momenti legati al farsi del libro, inventandosi di volta in volta amanuense col tracciare sinuosi calligrammi nella lingua di non-so- dove, correttore di bozze già corrette dal tempo impedendo con pazienti ghirigori la lettura delle colonne dei quotidiani, illustratore, e poi impaginatore, titolista, stampatore.
E' chiaro che questo accavallarsi di operazioni e <travestimenti> cela l'interesse fondamentale di Guardì: darsi egli stesso, per tramite del collage, del ritaglio, della scrittura e della cancellazione, come notizia del proprio ipotetico non-mai-scritto codice miniato. il foglio diviene allora l'incunabolo d'una produzione libraria impossibile ed utopica, in cui magmaticamente convergano passato e presente, individuale e collettivo, privato e storico, trovato ed inventato, casuale e progettato. I fogli della Ars Illuminandi di Guardì ci restituiscono in questo senso l'immagine criptica dell'autore medesimo,lo specchio in cui Guardì si osserva per ri-conoscersi e com-prendersi; ma anche l'acrostico d'una interpretazione dell'oggi, nel suo turbinìo informativo sotto la costante minaccia dell'entropia.
Manualetti di devozioni domestiche, i libri d'ore miniati insegnavano la via d'un collegamento fra i piccoli gesti della vita quotidiana e la sacralità della preghiera; senza nulla voler insegnare (tranne forse proprio il nullificarsi) le miniature di Silvio Guardì compongono le pagine utopiche di impossibili libri d'ora.



"Biografia" - Olio su carta e legno - cm 26,5x35x2,5 - 1988

"Particolarmente centrato, in questo particolare momento, è l'obiettivo di Silvio Guardì. Infatti egli lavora ora su degli oggetti che visti nel loro insieme tracciano il paradigma della sua inquieta "biografia" di uomo e di artista. Coltissimo bibliofilo Guardì è ben consapevole che la totalità della vita non è contenibile nel linguaggio , nella scrittura. Il grande problema è il non scritto, ciò che resta "fuori", dunque raccontare significa costeggiare il limite ultimo del "mondo non scritto", del mondo più intimo e segreto, esporsi ad un'interminabile battaglia con la parola, che raramente aderisce alla superficie delle cose. Ecco allora una fitta biblioteca, fatta di libri amati, accarezzati, scelti, o solo pensati che stanno sul muro ad indicare il segreto, di sè e delle cose stesse, e il segreto è qualcosa da custodire, ma anche da scoprire e produce un senso di voluttà, il piacere tipico del "nascondiglio". I libri di legno dipinto di Guardì sono pertanto "cose" che si presentano come un involucro che contiene un tesoro stupefacente e al tempo stesso inquietante.
L'armoniosa geometria intellettuale che caratterizza i "libri" di Guardì, nel suo riprodursi secondo variazioni concettuali, più che formali, sfiora l'ossessione dell'artista, la vertigine dell'innumerabile, del continuo che tendono a combinare quello spazio mentale dove la storia non continua dove lo spaziotempo è alterato, dove la perentorietà del reale cede alle sue possibilità, dove si coniuga anima e angoscia, in un meccanismo di contagio".
MARISA VESCOVO  
        


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Calorosi Saluti e Ringraziamenti alla moglie dell'Artista, Elda Nembrini, ai figli Sebastiano e Sergio Guardì, al nipote Giorgio Guardì, per la disponibilità resa.


Informazioni sulle opere d'arte: 
gguardi@libero.it    




r.m.