STORIA DELLA CITTA' NORMANNA di G. Schiro'


GIUSEPPE SCHIRO’
E LA SUA STORIA DELLA CITTA’ NORMANNA
di Giuseppe Schirò





(dal giornalino “Il Guglielmo” di Onofrio Sanicola – Periodico di Monreale e dintorni, Maggio 2000)


Avevo appena finito le elementari che cominciai a frequentare la Biblioteca comunale. Volevo leggere il libro della storia del mio paese. Era bibliotecario il famoso padre Gullo, un vero pozzo di scienza, che noi ragazzi guardavamo con venerazione. Era un uomo pieno di premure e di incoraggiamento verso quei ragazzi che volevano studiare e persino i professori più bravi andavano da lui a chiedere spiegazioni su brani di latino o di greco. Egli mi mise sotto gli occhi, uno dopo l’altro, alcuni volumetti scritti dal Millunzi che trattavano di argomenti monrealesi particolari, come Antonio Veneziano, Pietro Novelli, il Collegio di Maria. Ma io cercavo un libro che parlasse della storia di Monreale nel suo insieme. Arrivò al punto da permettermi di tuffarmi nella monumentale opera del Gravina, un libro che quando aperto occupa tutto il piano di una scrivania, ma che parla solo del Duomo di Monreale. Insoddisfatto, decisi di scrivere io la storia di Monreale e, per cominciare, comprai sei quaderni da sedici fogli ad una riga, come si diceva allora (era da poco passato il 1940), per raccogliere le notizie che andavo prendendo dai libri, inserendole nei quaderni secondo vari argomenti. Naturalmente il primo quaderno lo dedicai al Duomo, che è stato sempre l’elemento che salta subito agli occhi non appena si pensa a Monreale. Il secondo all’arcivescovado, fattore che appare subito determinante nella vita del paese. Ancora conservo qualcuno di quei quaderni.
Ovviamente, al maggior parte delle notizie erano quelle che riguardavano il Duomo, ma, a poco a poco, anche gli altri quaderni videro completarsi alcune pagine. Ma più andavo avanti più aumentava la mia curiosità e la mia insoddisfazione. Questo paese come era nato? Dove trovare notizie sulle altre chiese, oltre che sul Duomo? E notizie sullo sviluppo del paese, sulle quattro porte, sulla porta Verghe all’uscita del paese verso Pioppo, sulla porta Venero sulla strada che percorrevo spesso per andare in campagna, sulla porta cappuccini, della quale ancora si vedeva un’arcata sulla discesa sottostante il palazzo arcivescovile ed oltre la quale noi ragazzi delle elementari alloggiate allora nel palazzo Cutò andavamo a soddisfare elementari bisogni fisiologici negli intervalli concessici dai maestri.
Ai miei occhi si stagliava la figura di quel personaggio che aveva pubblicato diversi libri su argomenti monrealesi e specialmente la guida ai monumenti di Monreale, quel canonico Millunzi, del quale pure mia nonna parlava raccontando che era stato assassinato dalla mafia alcuni anni prima che io nascessi.
In realtà feci più piena conoscenza di questo straordinario personaggio molti anni dopo e ne compresi l’animo a fondo. Quando egli venne ucciso, nel 1922, aveva 63 anni, essendo nato nel 1859. Aveva studiato nel seminario di Monreale , ed era divenuto sacerdote nel periodo in cui il clero di alcune nazioni europee, come la Francia e la Germania, era preda del modernismo, una dottrina nata nella mente di un sacerdote francese, Alfredo Loisy, il quale sosteneva che la verità della fede cattolica, i cosiddetti dommi, non potevano essere considerati come l’interpretazione che la fede aveva dato a quelle verità nel corso dei secoli, perché tutto si evolve in relazione all’evolversi stesso della società: era perciò necessario “modernizzare” le verità della fede, donde il nome di modernismo. In realtà quella teoria era molto più complessa perché il modernismo sfuggiva ad una organica sistemazione teorica e dottrinale, ma certamente esso finiva con lo svuotare i contenuti delle verità della fede. Del gravissimo pericolo ebbe la chiara sensazione il papa Leone XIII, Gioacchino Pecci, ma soprattutto Pio X, Giuseppe Sarto, poi proclamato santo, il quale, nel 1907, pubblicò l’Enciclica “Pascendi”, che conteneva una lucidissima sintesi della dottrina modernistica ed adottava energici provvedimenti per arginare i danni nel campo cattolico. Gaetano Millunzi fu un sostenitore dell’ortodossia ardente e acuto. Egli infatti si dedicò a profondi studi sulla dottrina di San Tommaso, arrivando anche ad esperia in un corposo poema in versi esametri latini, perché, come la pensava papa Leone XIII, suo amico personale, vedeva nel diffuso abbandono di quegli insegnamenti la causa più profonda dello sbandamento dottrinale (e non solo di quello) di buona parte del clero. La sua profonda preparazione teologica, filosofica e letteraria, la sua attività nel campo sociale e politico le resero un punto di riferimento, assai qualificato nella cultura monrealese e palermitana e nella difesa dei diritti della Chiesa di Monreale, al punto che in fine pagò con la vita. La figura del Millunzi è stata oggetto anche di una recente pubblicazione di un appassionato cultore delle memorie monrealesi, ma credo che questo non sia stato sufficiente a mettere in evidenza lo spirito da cui era mosso nella sua attività, che non esiterei a definire vulcanica. Era certamente uno che amava la sua terra, la sua Monreale, la sua proprietà di Realcelsi, sulle alture della Conca d’Oro, e per questo suo amore intraprese ricerche, che lo portarono a pubblicare tanti libri su cose di Monreale. Ai miei occhi appariva un gigante. Forse anche lui avrebbe voluto scrivere una storia di Monreale, ma non ci arrivò, e chi sa come l’avrebbe scritta, dato che non sapeva liberarsi da una certa mentalità clericale che gli impediva di scorgere, nella giusta dimensione, i valori della società civile.Certo che la sua personalità meriterebbe altri approfondimenti. In questo momento ricordo solo quanto mi ha interessato la sua “Guida ai monumenti di Monreale”, pubblicata senza il suo nome nel 1899, a Palermo, e ristampata a Roam nel 1986. Le notizie contenute erano pienamente degne di fede, ma mi fece impressione soprattutto una relazione del 1877 sull’esplorazione delle grotte sotterranee della piazza di Monreale.  
Nel 1877, in occasione dei lavori di sistemazione della piazza, si scopersero lunghe gallerie sotterranee, che attrassero subito la curiosità dell’architetto Giambattista Filippo basile, che dirigeva i lavori. Ne aveva fatto un fuggevole cenno il Gravina nella sua monumentale opera sul Duomo, pubblicata nel 1859. Il Basile organizzò subito una esplorazione, incaricando i due ufficiali del I Reggimento dei Bersaglieri, Giacinto Tua e Cesare Ferrari. Accompagnati da un ingegnere agronomo e dal capomastro, i due ufficiali perlustrarono le grotte compilarono una relazione che il Basile inviò al giornale palermitano “IL Precursore” che la pubblicò nel suo numewro 214 del 5 agosto 1877. Sull’esploraione delle grotte è stata pubblicata un’altra interessante relazione dallo speleologo Giovanni Mannino, il 7 settembre 1958, sul periodico del Club Alpino Italiano “Montagne di Sicilia”. Un’altra accurata esplorazione è stata eseguita  nel 1976, sotto la guida dell’architetto Lucio trizzino, accompagnato da alcuni speleologi del gruppo “Stela d’Artoi” ed alle grotte ha rivolto la sua attenzione, nel 1986, il circolo Arci di Monreale, che ha coinvolto la stampa, le soprintendenze e perfino il Museo di Paleontologia “Gaetano Giorgio Gemellaro” dell’Università di Palermo.

Giuseppe Schirò