"LE FESTE DELLA SICILIA PER FERMARE HALLOWEEN"
di Amelia Crisantino
Di fronte alla marcia trionfale di halloween, pastrocchio commercial-carnevalesco che arriva sull'onda di una prepotenza culturale e impone il suo plasticoso appeal consumista, viene da pensare alla ricchezza della siciliana festa dei orti. E pensarci ben sapendo che non è possibile fermare la semplicità delle mole globali, opporgli il secolare stratificarsi di identità che rischiano di dissolversi per collettiva smemoratezza. Così, ricordare la tradizione è solo un piccolo gesto di resistenza. Simbolico rifiuto a finire nell'omologante tritacarne postmoderno che restituisce poltiglie predigerite. In nome non delle piccole patrie, che rendono più angusto il mondo. Piuttosto, invocando la composita complessità del nostro divenire . Le radici della festa dei orti sono lontane., si confondono nel tempo. Tendono a contaminarsi, la celtica hallowen incontra la romana Pomonia in quello spazio anche allora globalizzato che era l'impero romano, e le sue feste si sommano. Entrambe celebrano la fine dell'estate e l'inizio dell'inverno, la fine del vecchio e l'inizio del nuovo anno. Nel folklore europeo alla data del 1° novembre troviamo molte usanze tipiche del Capodanno, come le strenne o i falò. Un motivo ricorrente delle antiche feste di inizio d'anno è la credenza che per un giorno i morti possano tornare sulla terra, in una sospensione spazio-temporale che consente la promiscuità, comportandosi verso i vivi col carattere ambivalente-benevolo o temendo - che assume il sacro presso i primitivi. Naturalmente la festa sicilaina è interna alla tradizione europea, che a sua volta risente di usanze greche ed egizie. Andando a ritroso, si tratta di credenze che hanno la loro origine in imprecisate età remote, nelle lucerne e nelle offerte votive di cibo e oggetti che da sempre accompagnano il defunto. Nel quarto volume del suo "Usi e costumi del popolo siciliano"l'etnologo Pitrè racconta che, per la credenza popolare, la notte dall'1 al 2 novembre i morti escono dal cimitero e vbanno nelle città in ordinata processione. In prima fila stanno i trpassati per morte naturale, poi i giustiziati, quelli morti a causa d'una disgrazia, i <morti di subito> e cosi via. Quasi ogni paese ha la sua tradizione, i defunti possono andare avvolti in bianco lenzuolo funebre ad Acireale, recitare il rosario a Catania, andare a piedi nudi a Prtinico. Nei paesi etnei hanno il collo sottile come un filo, per entrare nelle case si trasformano in minuscole formiche. A Erice si rifocillano non appena arrivano in una contrada chiamata Rocca Chiana, nei paesi vicino Messina si lascia un bicchiere d'acqua per dissetarli. Possono essere paurosi, a Milazzo si racconta come tengano in mano <una crocetta> con cui cavare gli occhiai fanciulli troppo curiosi, e che col loro pesante teschio <schiacciano la tenera cervice dei bambini>. Però quest'ultimo è un caso isolato, perchè nella tradizione isolana i orti sono benevoli coi bambini e anzi il 2 novembre era la loro festa. A Palermo e nel suo entroterra, il giorno dei morti i bambini frugavano per casa alla ricerca dei doni nascosti. Trovavano giocattoli, il pupo di zucchero, i frutti di martorana. In un raffinato libretto di Isidoro Fogazza ritroviamo la simbologia della festa siciliana, collegata alle sue lontane radici mediterranee. Il pupo di zucchero che sino a pochi decenni fa era l'elemento più scenografico fra i doni dei morti non sarebbe altro che una simbolica raffigurazione del morto di famiglia, un residuo di quei <Lares> a cui in età latina veniva riservato un costante culto privato. I frutti di pastareale sono un dono dei morti ai bambini ma, portando un ricco corredo di esempi tratti dalle più varie culture, Fogazza avanza l'ipotesi che si ripetano gesti antichi di riti dimenticati dove le offerte di cibo erano fatte <ai> morti. Si creava così uno spazio in cui vivi e morti partecipano dello stesso banchetto rinsaldando rapporti di parentela ed amicizia, cosa che diventa particolarmente evidente in quei casi in cui si andava a mangiare sulla tomba di famiglia. Cuioè, in uno spazio liminare fra il mondo dei vivi e quello dei morti, dove era possbile creare una confusione di per sè pericolosa e petanto consentita solo all'interno di una gestualità controllata e codificabile. Fra i frutti di martorana quelli di più antica tradizione sono simbolicamente collegati al regno dei morti, sin dall'antichità più remota. La melagrana era attributo della Grande Mdre dell'area mediterranea, il frutto che indicava swempre un <passaggio>. Adesempio, a Roama l'acconciatura delle spose era composta con rami di melograno e nei riti eleusini agli iniziati er aproibito mangiare chicchi di melagrane, per evitare che le anime dei defunti potessero reicarnarsi. Anche le fave hanno un forte significato simbolico: per gli egizi un <campo di fave> era il luogo dove le anime attendevano prima di reincarnarsi, a Roma le fave erano il tipico cibo offerto ai morti. La mandorla, con la sua precoce fioritura dopo la <morte> invernale, è un simbolo di resurrezione. In questo complesso universo simbolico di cui stiamo perdendo anche il ricordo, i bambini ricevono i doni dei morti per rafforzare un misterioso legame. Ogni nascita è un miracolo: i bambini sono i più vicini al passaggio fra il non-essere e l'esistere, oltre cui c'è quel mondo misterioso da cui loro sono appena arrivati e dove abitano i morti,
AMELIA CRISANTINO
tratto da "La Repubblica"dell' 11/02/2004