IL PARCO REALE DI RE RUGGERO
E
I SOTTERRANEI DI MONREALE SCOPERTI NEL 1887
di Gaetano Millunzi
Così si esprime Romualdo da Salerno nella sua Cronica all'anno 1153. fece Ruggiero circuire con muro di pietre taluni monti e boschi, che sono attorno a Palermo ed ordinò che si costruisse un parco assai delizioso ed ameno, folto e piantato di alberi diversi e volle che ivi si chiudessero le damme, i cavrioli ed i porci selvatici. Fece ancora in questo parco un palagio, al quale per sotterranei condotti ordinò che si portasse un'acqua, che scaturiva da fonte lucidissimo. - Quest'ultima particolarità rammentata dallo storico ci mette alla portata di riconoscere senza dubbio il locale vero e unico ove Ruggiero Re fece il suo palazzo; dappoichè questa parte della costruzione del siculo Monarca fu sì grandiosa e così bene eseguita che i secoli non valsero sin'oggi ad abolirla e neppure a deturparla: essa esiste in tutta la sua integrità. L'acqua che scaturisce da fonte lucidissimo vedesi dentro il chiostro annesso al duomo: essa vi entra per sotterranei condotti, riempie un immenso serbatoio sostenuto da archi in tutti i sensi, e ne esce parimenti per sotterranei condotti, senza che si conosca nè la sua provenienza, nè dove vada essa a risortire. Tale opera parve ai contemporanei così colossale che il cronista Romualdo non potè non tramandarlo alla posterità. Ed è meraviglia che i posteri non abbiano cercato di questa fonte, onde avere il locale ove Ruggiero, trovandosi cavata nel mezzo del nostro chiostro, non è più dubbio che ivi il re facesse il suo palazzo, e il chiostro medesimo non dovesse allora fare parte dello stesso. Ma qui ci si presenta una gravissima difficoltà. Il taglio del chiostro, la sua conformazione, la smisurata ampiezza, in una parola tutta intiera la sua fisionomia esclude l'idea che mai esso abbia potuto essere costruito per servire da cortile ad un regio palazzo: esso è assolutamente, e tale fu sin dalla sua origine, il chiostro di un monastero. A sciogliere tale difficoltà è da dire che il monastero esistesse già anteriormente a Ruggiero tra i boschi. Questi convertì tale locale, allora abbandonato per la recente e diuturna invasione dei Mori, in regio palazzo cavò la cisterna nel mezzo del chiostro e vi introdusse l'acqua per sotterranei condotti. Essendo stato tale locale destinato al profano uso della caccia, il tempio che formava parte del fabbricato, rimase abbandonato e negletto.
Sin qui l'abate Gravina.
Ora ci piace riportare in seguito una relazione dei sotterranei di Monreale scoperti nel 1877, importante per sè, ma più importante ancora in relazione ai criterii dall'abate Gravina instituiti per giudicare delle fabbriche del monastero e del Duomo.
E' il prof. G. B. F. Basile che manda questa relazione al Precursore, Giornale Politico quotidiano di Palermo.
Egregio signor Direttore,
Gli scavi praticatasi nella piazza di Monreale ad occasione dei lavori che ivi dirigo, fecero discoprire lunghe sotterraneee caverne ramificatasi in varie direzioni e delle quali le naturali gallerie succedentisi ricche più o meno di concrezioni calcaree sono invero meravigliose.
Mi pregio accludere alla S.V. Illma con preghiera di pubblicarla la relazione cortesemente fattamene dai distinti Ufficiali del I° Reggimento Bersaglieri Sig. Giacinto Tua e Sig. Cesare Ferrari, i quali arditamente vollero penetrarvi accompagnati dai Signori Bernardo Caruso, Ing. Agronomo Sig. Zerbo, Capomaestro Pitti ed altri.
Ringraziandola mi dichiaro
Obbligatissimo servo
G. B. F. BASILE
Dall'apertura praticata sulla piazza si scende in un primo ambiente, specie di antro, che misura dieci metri in lunghezza e che termina in un buco contornato da incrostazioni calcaree. Esso è di tal dimensione che una persona può, stando zitta, internarvisi e si svolge quasi a scala a chiocciola, mettendo in comunicazione la camera superiore con un altra perfettamente sottostante molto più vasta e di forma quasi triangolare.
Ai tre vertici si aprono altrettante gallerie di cui una in direzione sud-ovest, e la maggiore s'indirizza a levante. Il suolo di questa specie di peristilio è quasi orizzontale e spianato, e sottostà di circa otto metri al livello della piazza; il suo cielo ha forma irregolare di volta ed è ornato di stalattili di piccola mole.
La prima galleria è quella di minor importanza: e' difficile ad essere percorsa perchè grandi ammassi rocciosi ne coprono il suolo e la sua altezza è poca. Povera di incrostazioni, s'avanza nella indicata direzione per circa quaranta metri, descrivendo un arco di cerchio di gran raggio, la cui convessità è rivolta ad oriente. Termina in un buco quasi tondo, di mezzo metro di luce ed oltre il quale esistono forse più vaste ed interessanti cavità. In tutta la sua lunghezza si mantiene quasi a livello della camera triangolare anzidetta.
La seconda galleria, quella di nord-ovest, è una serie di camere che s'internano verso il monte elevando gradatamente il livello del loro suolo sino a quattro metri su quella di distribuzione. Tre sono i principali allargamenti, e nel passare dal primo al secondo si ammira una parete riccamente decorata d'incrostazioni e di stalattiti, di cui alquante già si sono riunite alle sottostanti stalammiti formando vere colonne di considerevole grossezza, le quali, in parte cementate pur anche allo smalto delle pareti, appaiono quasi lesene di mirabile lavoro. La luce, riflessa da tante levigatissime superficie, raddoppia d'intensità ed aggiunge effetto alla bellezza d'una cascatella d'acqua fresca assai e sgorgante da un orifizio posto all'alto della volta ed abbellito dalle petrificazioni del calcare. Se non che l'acqua contenendo materie in soluzione ed essendo forse riuscita a praticarsi quel passaggio quando le solidificazioni eransi già abbondantemente formate, le compenetrò colorandole d' un bel nero che spicca sul bianco latteo di tutta la zona che lo circonda e dà piacevole varietà a quel quadro per se stesso capace di destare l'ammirazione dell'osservatore. La pura acqua della cascata scende poscia per breve rapida in una galleria sottostante di piccole dimensioni, che ha l'entrata comune colla superiore ed in fondo della quale scorre per breve tratto scoperto un ruscello che riceve l'acqua sgorgante da piccole aperture del cielo della buca ed il cui letto scavato nelle stalammiti, a foggia di elegante cunetta, presenta gli stessi caratteri di compenetrazione già osservati. Inoltre esso è ricco di ciottoli arrotondati che dinotano la preesistente d' una più forte corrente o di temporanei rigonfiamenti dell'attuale. Anche i ciottoli sono d'un bel nero lucente comunicato loro dalle materie nell'acque disciolte. Rotti essi manifestano l'origine della loro colorazione poichè dal nero superficiale questa passa al rosso gialliccia dell'ossido di ferro e quindi al bigio chiaro proprio dei calcarei di cui si compongono. L'ultima camera della galleria è quasi perfettamente rotonda; il suo cielo ed il suolo stesso sono parte di superficie sferiche di raggio molto differente che s'incontrano, e nella loro intersezione, che è assai più bassa delle altre parti del suolo, scorre acqua, forse la stessa che raccolta in ruscello abbellisce la grotta sottostante alla prima camera.
La lunghezza totale della galleria può essere di cinquanta metri e le frequenti goccie che dal soffitto cadono, dinotano la presenza di numerosi corsi d'acqua interposti fra di esso ed il suolo della città.
Più comodo è l'ingresso alla terza galleria che s'apre come già dissi verso oriente. E' un corridoio il cui suolo è leggermente declive e meno accidentato dei già percorsi. Ciò però non impedisce di dover talvolta procedere carponi imbrattandosi le mani colla viscida fanghiglia che ricopre la roccia. Per circa cento metri vi si avanza sempre ammirando le incrostazioni e le colonnette calcaree che ornano il cielo e le pareti e fasciano talvolta per intero l'antro, formandone anche il pavimento. Ad un tratto però tutto questo cessa ed un nuovo sentimento di vaga inquietudine invade la mente del sotterraneo visitatore scoprendo circa venti metri ove non comparisce traccia di roccia compatta, nè rivestimento di sorta, ma solo roccia disaggregata in cui subito si constata la mancanza della coesione fra le parti minutissime. Tanto più poi si rafforza questo sentimento osservando tracce non dubbie della recente caduta d'una quantità di terra che sarebbe sufficiente a schiacciare l'infelice che ne fosse colto, ed anche a separarlo per sempre dal consorzio umano, che a circa venti metri sopra il suo capo s'agita pieno di vita, ma che non sarebbe forse capace di porgergli in tempo valido aiuto.
Pur la curiosità, la gran madre del sapere, stimola a proseguire, ed appena oltrepassato il passo pericoloso un indistinto rombo che si lascia alle spalle per correre al suono e chiarirne l'origine. Trenta metri appena ed eccoci sull'orlo di un pozzo profondo, ed il rombo fatto più forte e più distinto è prodotto da acqua abbondante che scroscia rotta fra i sassi. Oltre il pozzo s'apre una enorme caverna della forma di grande imbuto, rovesciato sul fianco e chiuso in fondo. A destra in alto quasi adiacente all'entrata sta l'unica uscita dell'antro e solo dopo aver guadagnato l'opposta sponda del pozzo ed essersi aggrappato per le rocce fin sul limitare della nuova grotta si capisce l'imprudenza dell'essersi avventurati sull'orlo d'un abisso attorno al quale il terreno fangoso cede al peso dell'uomo. Le fiaccole e le torcie gettano una luce che par sinistra in quell'antro e lo spettacolo ricorda le stupende illustrazioni di cui la fervida immaginazione di Gustavo Dorè seppe ornare la magnifica edizione della Divina Commedia.
L'ultimo abbraccio della galleria si svolge ancora per circa cento metri più che mai lussureggiante di cristalizzazioni e specialmente di stalattiti e stalammiti che raggiungono tutte le varietà, giacchè le prime variano dalla forma più semplice di guguglia rovesciata alla più complessa che par drappo svolazzante di cui le innumerevoli pieghe rammentano l'opera d'immortali scultori; le seconde vanno dal tronco di cono con base superiore arrotondata fino al più minuto granulare.
A sinistra a metà lunghezza si scorge una vera meraviglia del genere che è una tavola di circa ottanta centimetri di lato, fissata in un angolo, quasi lastra sottile di marmo. Per ultimo le pareti inferiore e superiore s'avvicinano fino a sessanta centimetri e lasciano appena uno stretto andito per cui penetrando a carponi si giunge in un ultimo e più maraviglioso ambiente dove natura profuse le sue meraviglie e donde si è tosto obbligati ad uscire, giacchè la fatica grande del giungere fin là crea il bisogno di copiosa respirazione che mal si compie in un'atmosfera pesante ed in cui, sebben non si avvertano sgradevoli emanazioni, non abbondano al certo gli elementi della respirazione.
Reca però meraviglia che l'aria possa esser ancor tanto respirabile da non presentare ostacoli alla combustione delle candele alla profondità di circa quaranta metri, mentre l'unica bocca d'onde apparentemente si possa stabilire una corrente. A maggior conferma di tale ipotesi, ed anzi a provare la preesistenza di una comoda entrata, si trovarono nel grande antro e poco lungi dal pozzo due corna di cervo confitte verticalmente nel suolo. Esse sono intatte e presentano tre ramificazioni; la loro posizione, l'esistenza di tutta la corona e della loro radice dinotano che non furon colà trasportate dall'uomo.
Forse l'animale che faceva parte delle numerose mandre allevate nel parco esistente su questi monti fin prima dell'epoca normanna, internatosi per bere vi fu sepolto da una frana; nè recherebbe meraviglia se i resti delle sue ossa si trovassero seppelliti nella roccia disaggregata.
Lo stato attuale di questi avanzi del mondo organico accusa una lunghissima permanenza in queste sotterranee regioni, ove non esiste traccia d'opera artificiale e forse non mai prima d'ora investigate dall'uomo, che se vi fosse penetrato avrebbe certo rotte alquante delle stalattiti, le quali prolungatesi pel successivo gocciolare del calcare disciolto presenterebbero, ancora restringimenti che furono oggetto d'inutili ricerche.
Ai dotti intenditori di scienze naturali spetta lo stigmatizzare d'insussistenza queste congetture d'un curioso o dar loro il peso di verità scientifiche, ed annunziare le scoperte che più intelligenti e più minute ricognizioni non mancheranno di fruttare.
Da Monreale, 27 luglio 1877.
Tua GIACINTO - Relatore
FOTO ARCHIVIO STORICO COMUNALE "G. SCHIRO'"
Post di R.M.