Dinamiche
storico - evolutive dei rioni Pozzillo e Carrubella
di Natale Sabella
Tratto
da: Anno 1626 - Edizione 2017
A CURA
DELLA CONFRATERNITA DEL SS. CROCIFISSO DI MONREALE (*)
Trattare circa
l’aspetto storico - urbano dei rioni Carrubella e Pozzillo di Monreale, è
compito arduo da percorrere, ma non impossibile se chiamati a scrivere un
articolo in cui la sintesi è la necessaria tecnica da applicare per consentire
al lettore di ricevere informazioni riguardo gli abitati. Ancor più, se chi
scrive si rivolge ad un pubblico eterogeneo. Fatta questa breve premessa, è
doveroso sapere che lunghi silenzi si alternano a periodi d’intenso risveglio,
affinchè il cuore antico di questo insediamento umano, si avvii a divenire il
centro della vita sociale, civile, culturale di un urbano in divenire: la
futura Città di Monreale. Un contesto articolato, conseguenza di
stratificazioni sedimentate. E se è pur vero che non c’è monrealese che non conosca
i luoghi di cui si tratta, molto spesso sconosce la sua storia. Sarà pertanto
utile cogliere con occhi diversi realtà trascorse di un urbano che ha avuto
come punti cardine le chiese San Vito e SS. Salvatore, la fontana del Pozzillo,
Casa Veneziano. Un contesto di edilizia civile e religiosa, non particolarmente
esteso, e pur tuttavia rilevante, importante sotto l’aspetto storico,
antropologico, chiamato a relazionarsi con le vicine Contrade Arancio e San
Sebastiano. Alla luce di questi presupposti risulta più agevole cogliere il
delinearsi di un sito omogeneo già nella metà del ‘500, conseguenza delle
trasformazioni avvenute in epoca precedente, insomma il luogo più antico della
città. Un compendio abitato, sottoposto a mutamenti ripetuti e trasformazioni
consistenti. Ritengo quindi ogni volta se ne presenti l’occasione o sia utile
ai fini di una maggiore immedesimazione del lettore, operare dei fermo
immagine, dei flash descrittivi che agevolino la comprensione della genesi
“evolutiva” dei rioni Pozzillo e Carrubella, le dinamiche maturate, il rapporto
che l’abitato ha avuto con le emergenze monumentali, la Cattedrale abbaziale e
il territorio vallivo e montano. Idem
per i tragitti, i percorsi di un urbano chiuso su stesso, successivamente
aperto alle contrade, al territorio, per mezzo delle nuove arterie viarie
terminanti nelle porte cittadine. Aperto verso un esterno, tutto da scoprire,
che consente agli abitanti cambiamenti importanti, come il passaggio da una
economia di tipo “domestico”, ad una economia mercantile. Aver intrapreso lo
scambio economico, commerciale, consente il miglioramento delle condizioni
stesse
Charles Claude Bachelier,
Monreale (sic.) – Veduta generale, Parigi 1848, litografia
di vita che, in virtù
di una economia non più di sussistenza ha generato mutamenti esteriori, e che
prende a prestito colori, tinte nuove, tali da rivisitare “l’estetica”
dell’abitato. Non per nulla intorno a questo antico luogo simbolico si crea una
particolare e suggestiva atmosfera. Non è un caso se vi dimori la famiglia
Veneziano. Pensiamo per un momento ai culti, ai rituali religiosi che in essa
si svolgono, i rapporti sommersi, sottaciuti, che gli abitanti hanno con il
mondo della magia e dell’occulto, l’importanza sociale, culturale, che i luoghi
della partecipazione, le Confraternite, offrono. Lo svolgersi periodico delle
processioni quaresimali, anticipatrici della processione annuale del 3 maggio,
(nata dall’atto della Deputazione della Sanità del 30 Aprile 1625), il passare
tra le strette vie statue di Santi, condurre in processione il legno della
Croce, il lento, faticoso peregrinare dell’effige del Crocifisso condotto a
spalla. Indicativo a tal proposito è l’atto del notaio Baldassare Mili dell’11
gennaio 1626, dove si legge: il Crocifisso uscito dalla Collegiata «tiri affaccio le case d’Antonino Fragapane,
et venga dritto et entri nella vanella delle case di Pietro Lo Seggio, tirando
per la strata publica del Pozzillo esca nella strada di San Francesco per
insino a San Castro, e poi cali per la via grandi e per la piazza publica e si
riduchi alla propria Chiesa [Collegiata], et ita fieri et observari debeat anno
quolibet omni futuro tempore in perpetuum [e così si faccia ogni anno in
perpetuo]». Un fatto è certo, tutto questo non si sarebbe mai potuto
realizzare senza la volontà dell’arcivescovado e la costruzione di un palazzo
arcivescovile. Data la particolare circostanza, non si può fare a meno del
riferimento ad un’epoca storica controversa e complessa che ha visto la terra
di Sicilia sottoposta all’egemonia Spagnola. Sarà quindi obbligo citare un
illustre personaggio religioso, l’arcivescovo Venero (1620-1628). Tenendo
presente che il religioso, cavaliere, letterato e poeta Antonio Veneziano è defunto
da ventisette anni quando si insedia Venero a Monreale e Pietro Novelli è un
giovane attivo pittore venticinquenne nel 1628. Venero è un attivo, operoso
investitore ed “urbanista”, un prelato che mostra grande riguardo per il popolo
monrealese e la chiesa Collegiata Farnesiana, amata creatura e sua sposa, verso
cui pone grande attenzione ed impegno. Pastore, Signore ecclesiastico,
amministratore illuminato che ha a cuore le sorti della comunità monrealese
afflitta e straziata dal male della peste che porta con sé: premurandosi
affinché il flagello della peste non tocchi la Città. Una epidemia insinuatasi
a causa della negligenza e dell’agire di uno sconsiderato incosciente,
nonostante la civile e religiosa città di Monreale sia stata appositamente recinta
con mura. Un vescovo-principe spagnolo che utilizza risorse rilevanti e
realizza il cappellone del Crocifisso (1625-1628), che riconferma il suo
personale impegno verso la Chiesa Collegiata e attua la costituzione del
Capitolo dei Canonici, che fa il possibile affinché Monreale sia sempre più
“civile, religiosa e produttiva”. Un centro che ha ragione di esistere solo
quando tra il 1418 ed il 1449 si edifica il palazzo arcivescovile, che ha
consentito il sorgere di un abitato che mai era esistito prima e che si
relazionerà con le contrade. Insomma, comincia la trasformazione di quel che
era un borgo rurale in un centro cittadino, che segna il divenire del luogo in
cui sorge la fontana del “Pozzillo” nel centro dell’abitato. Una Signoria
ecclesiastica che ai fini produttivi promuove l’incremento demografico,
consente all’urbe in nuce, in
divenire, di accogliere contadini, artigiani, maestranze, “produttori di
reddito” e all’arcivescovado, di introitare i primi diritti esigibili. Un
avvenimento che prova come l’abbazia, sino a metà del Quattrocento, rimane
immersa nel suo originario silenzio e priva di un intorno urbano. A questo
punto, vediamo un po’ cosa era successo poco più di due secoli addietro, quando
Papa Gregorio IX elegge nuovo abate, un monaco di Montecassino, avocando a se
la nomina. Un gesto di grande significato politico, con cui il Pontefice pone
sotto il suo diretto controllo l’Arcivescovado di Monreale. La premessa di un
contrasto che vide contrapporre benedettini e arcivescovo, protrattosi nel
tempo con risvolti negativi riguardo la comunità monrealese. Un grande silenzio
sovrasta Monreale tra Trecento e Duecento, nessun ordine mendicante è presente
poiché non esiste ancora una comunità “civile”. Sappiamo solo che fuori
dell’abbazia vivevano dei “borgesi”, presenza che Federico II attesta in un
documento del febbraio 1212, indicandone la posizione e la etnia: ad occidente
arabe “saracene” ad oriente cristiane. Riguardo la genesi delle contrade si
rinviene dalle fonti storiche che l’utilizzo di questo nome non avviene certo
per caso: contrada è sinonimo di rione, ossia “abitato di più case”. Quel che
sappiamo è che la contrada del “Pozzillo” è partecipe di una spazialità che si
confronterà con il rilievo del Pianoro, prima e dopo, avanti la Chiesa di
Guglielmo, il “Palazzetto reale” e lo spazio antistante le mura fortificate
dell’abbazia. Cosa diversa per il quartiere Carrubella, abitato che s’erge sul
lato di tramontana, posto a scrutare la valle dell’Oreto, i monti del versante
opposto ed il minuto contesto edilizio della Ciambra. Che l’abitato del
Pozzillo preesista alla fondazione della Cattedrale è fatto risaputo, ma non
provato. In esso si presume che insista in epoca antecedente alla fondazione
dell’abbazia, un impianto tipicamente rurale, case tra spazi interposti,
situati a differenti quote, superiormente alla sorgente del Pozzillo:
abitazioni sparse tra percorsi scoscesi. Un costruito “poco, quasi invisibile”
che anziché relazionarsi con il Pianoro, resta chiuso nel suo ambiente. La Platea
o Pianoro, il cui andamento è scosceso, non è facilmente raggiungibile da altri
luoghi, se non dall’interno del complesso monumentale abbaziale, un esterno
parte di un “interno”, uno spazio che nonostante sia lì “immutato” da secoli
anche dopo la fondazione abbaziale, si configura come area “invalicabile”. E
questo nonostante sul lato settentrionale della Chiesa apra la seconda porta
della Basilica. Un rurale che non ha nulla a che vedere con “l’urbano” che
ancora deve sorgere, la cui morfologia del costruito ha subito crescite e
decrescite, modifiche anche rispetto all’attuale configurazione, posto più in
basso rispetto alla sistemazione odierna. Area marginale al Pianoro, ricoperta
e rialzata più volte, nel cui basso del costruito si sono rinvenuti resti di
presistenti costruzioni. Un’area protetta dalla stessa condizione naturale dei
luoghi, dalla rupe, circondata dal perimetro come il resto della città nel ‘600
dalle mura del Venero. Comunicante con l’esterno attraverso porta Carrubella a
tramontana e porta San Michele. Tanta ricchezza, insieme a tanta povertà.
Catoi, casupole con rari balconi, strette aperture d’aria, poche finestre. Un
urbano aggregato intorno la fontana del “Pozzillo”, nella cui bassa pozza si
raccoglie l’acqua di una sorgente che scaturisce dalla roccia. Area limite e
marginale, di un pendio con rocce affioranti, che incontra la formazione di
calcarenite della Platea. Spazio di demarcazione naturale di un fossato
ampliato, ridotto, ricolmo nel tempo, convogliante le acque piovane torrentizie
provenienti dal Caputo, condotte a scorrere al lato del maggiore perimetro
delle mura fortificate dell’abbazia, oltre la torre d’angolo ovvero “la fossa
carcere” della torre “belvedere”. Forse aver ricondotto in età araba la
fondazione del Pozzillo è stato anche il fatto che i muri di alcune case
fossero di tapia ovvero un modo di fabbricare tipico delle popolazioni berbere
musulmane di Spagna, che usavano realizzare muri con impasto di cemento, di
calcina e sabbia entro casseri di legno. Il Pozzillo, ad ogni modo, è il luogo
dal quale ha inizio l’evoluzione diacronica avvenuta sul monte Caputo, un sito,
la cui portata, la valenza storico – culturale e antropologica, è il naturale
teatro dello svolgersi della vita urbana monrealese la cui “Realtà locale”, di
volta in volta ha mutato immagine e consistenza.
(*)
Ideato da Valentino Mirto – Coordinamento generale di Don Giuseppe Salamone.
Con
la collaborazione di Don Giovanni Vitale e Anna Manno, Archivio Storico Diocesano
di Monreale
di Natale
Sabella architetto - all rights riserved
Complimenti e grazie.
RispondiEliminaMarcello Pupella