ANTONINO LETO

Arte


Conosciamo il pittore monrealese della seconda metà dell'ottocento:


A N T O N I N O   L E T O
Riportiamo qui di seguito notizie su Antonino Leto, tramandatoci da Nicola Giordano  nel suo  famoso libro "Monrealesi Illustri", nella cui Presentazione l'autore scrive


Oggi che il vorticoso correre dell'umana società fremente di passioni e di odi, il malcostume, l'invidia, l'intrigo, la corruzione, l'incessante moltiplicarsi del pensiero umano irrequieto e sfrenato spingono disordinatamente uomini e cose ed un sovvertimento di valori morali di ambizioni illimitate ed avidità di danaro minacciano di travolgere, se non hanno addirittura travolto, ogni nostro ideale, fermiamoci a guardare il passato ed a ricordare i nostri Grandi.


Tra i grandi Monrealesi che col loro ingegno e la loro opera hanno onorato la loro città natìa, un posto d'onore nel campo delle belle arti, spetta indubbiamente ad Antonino Leto.
E' pertanto doveroso riordinare nel miglior modo possibile tutte le notizie che si hanno intorno alla vita ed alle opere di questo grande artista, il quale visse gran parte della sua vita lontano dalla sua Sicilia, quasi appartato dal mondo, lavorando sempre con entusiasmo giovanile e vera fede di apostolo per la ricerca ed il raggiungimento di quel bello artistico che fu sempre il suo sogno e che assunse nelle sue meravigliose tele le forme più divine.
tracciarne però, sia pure in una breve sintesi tutta la sua vita artistica, non è compito facile poichè Egli nel periodo di maggiore attività non ebbe una dimora fissa ma girovagò per parecchi anni in Italia ed all'Estero fermandosi più a lungo a Palermo, Napoli, Roma, Firenze, Parigi, Capri. Di molti suoi quadri, perciò, poco o nulla sappiamo: specie di quelli che furono dipinti all'estero o che acquistati dai più grndi intenditori e negozianti d'arte, quali il Goupil di Parigi, lo Schulhtz di Berlino, l'Abeles di Vienna, il Neumann di Monaco, il Pisani di Firenze etc. raggiunsero i più lontani centri del mondo.
A queste difficoltà sono da aggiungersi poi quelle dovute alla sua eccessiva modestia.
Antonino Leto, anima squisitamente sensibile, incoercibilmente espansiva, spesso fantastica, irrequieta ed indisciplinata, fu un vero artista nato. Fu in arte non uno dei soliti mestieranti di professione ma uno studioso; non un pedante seguace di una scuola, ma uno dei più geniali e vivaci innovatori; mai cercò di porsi in evidenza e pure fu gran parte della gloriosa scuola di Portici, dei macchiaiuoli di Firenze e degli impressionisti di Parigi.
A Capri fu, senza che Egli se ne accorgesse, maestro di una numerosa schiera di artisti di ogni paese; ivi ancor oggi si dipinge alla sua maniera; nello studio di quella spiaggia nessuno però ha raggiunto quella perfezione che non a torto lo fece giudicare uno dei più forti marinisti del sec. XIX.








PALAZZO MUNICIPALE, Sala rossa del Sindaco della Città -  


dipinto di ANTONINO LETO "Fiume Anapo di Siracusa







Antonino Leto nacque in Monreale il 14 giugno 1844 da Pietro e Caterina Puleo. Quivi passò i primi anni rivelando sin dalla tenera età la sua tendenza artistica e la sua viva passione per la pittura con disegni di caprette, di tacchini ed altri oggetti colti dal vero nell'agro Monrealese e specialmente nelle campagne di Aquino.
A nove anni procuratisi tavolozza, pennelli e colori cominciò ad imitare i vari pittori che allora si recavano a Monreale per ritrarre l'interno della Cattedrale, copiando lui le figure che più colpivano la sua piccola mente e man mano che andava acquistando dimistichezza con la sua tavolozza si provava a dipingere dal vero facendo i ritratti dei suoi compagni di scuola, dei suoi maestri, dei suoi amici e parenti. erano tutti questi studi, fatti senza alcuna guida ed attraverso le difficoltà tecniche che egli incontrava e si sforzava di superare, che maggiormente gli accrescevano l'amore per l'arte ed il desiderio di conoscere le sue molteplici manifestazioni, ma come poteva egli seguire l'impulso dell'animo suo, le ispirazioni del suo genio, costretto a vivere entro gli angusti confini del suo paese natio ed a continuare negli studi classici a cui la famiglia le aveva indirizzato?
Spesso all'insaputa dei suoi genitori si recava a piedi a Palermo, dove passava delle lunghe ore davanti le vetrine dei negozi per osservare le stampe, le fotografie, i ritratti ed i quadri che vi si trovavano esposti. Era questo un meschino conforto alle sublimi smanie del suo genio pittorico, erano dei sacrifici che imponeva alla sua grande persona senza raccoglierne poi tutti i benefici che se ne riprometteva. La costanza però nel perseguire per lunghi anni il suo puro ideale ebbe finalmente ragione di tutte le difficoltà che per tanto tempo gli avevano torturato l'anima. Alcuni amici ed ammiratori indussero i suoi congiunti a fargli abbandonare gli studi classici ed assecondarlo invece in quelli della pittura. Contemporaneamente tal Di Gesù Girolamo, allora Consigliere Comunale, innamorato di questo ragazzo geniale, a titolo d'incoraggiamento e per venire in aiuto alle sue scarse risorse finanziarie, gli fece accordare dalla Amministrazione del Comune un modesto assegno mensile. Fu così che a diciassette anni, cioè nel 1861, Egli iniziò ufficialmente la sua carriera artistica. Suo zio, il sac. Antonino Leto, lo raccomandò all'abate Gravina, il quale gli procurò una stanzetta nel Convento dei Benedettini alla Fieravecchia e lo presentò al figurista Luigi Lo Iacono, che lo condusse dal Prof. Luigi Barba, anche lui figurista, dal quale ebbe i primi istradamenti al disegno. Dopo pochi mesi però, impressionato fortemente di un quadro di paesaggio del Lo Iacono, esposto al Municipio di Palermo, decise darsi a quel genere di pittura. Ne parlò infatti al Prof. Lo Iacono che volle provarlo facendogli copiare uno studio dal vero, eseguito dl figlio Francesco.
E con quei sette colori che il maestro gli aveva fatto comprare e senza alcuna guida e preparazione, copiò così fedelmente da rendere impossibile la conoscenza dell'originale. Ma la prova migliore fu invece quella che egli stesso tentò, riprendendo i suoi studi in campagna e dipingendo dal vero soggetti e scene campestri con tanta precisione di linee, di colori e di luce da farlo subito gareggiare con gli artisti più provetti dell'epoca. E' di questo periodo un quadro di paesaggio con due figurine, che regalò in segno di riconoscenza al Municipio di Monreale e da questo donato al Circolo dei Civili Umberto I, dove trovasi tuttora.


E' questa una primizia che per la sua intonazione generale faceva bene auspicare i futuri successi.
L'Amministrazione Comunale però ritenendo erroneamente che il Leto avesse raggiunta la maturità necessaria per proseguire nella sua carriera, gli tolse l'assegno. Tale inatteso provvedimento non lo sgomentò affatto poichè Egli trasformando i suoi studi in vedutine artistiche piene di novità e di verità, che per mezzo dei suoi amici Can.co Montalbano ed Avv. Antonino Morvillo, vendeva agli amatori, ricavava quanto potevagli abbisognare. E' di quest'epoca (anno 1863) il piccolo quadro "Case al sole" di proprietà di casa Titone che rivela una osservazione ed una interpretazione naturalista profondamente diversa dal vedutismo dei paesaggisti locali.
Ed erano appunto tutti questi lavoretti che lo rendevano sempre più noto ed apprezzato.
Ma a tutte le lodi che gli venivano prodigate dava un significato di puro incoraggiamento: Egli desiderava dei giudizi spassionati e sereni e ciò ottenne esponendo in una vetrina dell'ottico Garofalo a Palermo un quadro (guasch a tempera) firmato A. Puleo che per opera del Prof. Lo Forte, valente figurista, che ne fu grande ammiratore, fu venduto al Conte Tasca, il quale ne acquistò in seguito parecchi altri lavori. Siamo già al 1864 ed i grandi maestri della scuola napoletana, rappresentata dai gloriosi nomi di Mancinelli, Altamura, Palizzi, Morelli, etc. avvincevano la mente ed il cuore di quanti sentivano nella forma più pura e nobile il culto per l'arte. Tra questi il nostro Leto, appena ventenne, il quale superando con la sua attività ogni difficoltà finanziaria, andò a stabilirsi a Napoli ed accanto a queste illustrazioni della pittura italiana, continuò i suoi studi. 
Era proprio l'anno in cui si formava la scuola di Resina sotto l'impegno costruttivo di Adriano Cecioni che, come scrive l'Accascina, trasportava a Portici, affidandoli ad anime pronte ad accoglierli, i precetti della scuola di Pergentina, attuati da Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Vincenzo Cabianca, Giusepe Abbati ed altri, ossia il ritorno alla natura col mezzo della macchia.
Dopo circa sei mesi però, ammalatosi di bronchite dovette fare ritorno a Palermo. Un anno dopo fu dall'Avv. Antonino Morvillo presentato al Senatore Ignazio Florio, che l'incaricò di riprodurre in un quadro lo stabilimento enologico di Marsala, ch'Egli ritrasse con una originalità tale da dare a quel dipinto un'impronta del tutto personale. Fu esposto al Municipio di Palermo dove fu un accorrere di ammiratori, di artisti e di giornalisti che entusiasti ne fecero i migliori elogi. Da tutti si ammirava il rapido ascendere del giovane pittore e veniva incoraggiato ad esporre nella Mostra artistica di palermo (1870) dove presentò alcuni quadri fra cui: "Il ritorno dal pascolo" che gli procurarono un grande successo e vi fu premiato con medaglia d'argento.
L'anno appresso (1871) riportò altro successo all'Esposizione Regionale di Siracusa, dove presentò "La Bufera" che fu premiato con medaglia d'oro ed acquistato dal Marchese di Castelluccio. Dal successivo anno 1872 è il quadro "L'Anapo ed i suoi papiri" da lui donato al Municipio di Monreale, dove trovasi tuttora e dello stesso anno il quadro "Una giornata d'inverno in Sicilia" mandato da Palermo all'Esposizione di Brera del 1872. 
Dell'anno seguente 1873 è il quadro "Il vesuvio" oggi appartenete a casa Varvaro (Palermo).
Intanto il Florio, con cui era già venuto in grande intimità, entusiasta di questi trionfi, con aiuti ed incoraggiamenti lo mise in condizione di stabilirsi a roma, dove desiderava continuare i suoi studi. Ma ben presto (1874) banditosi il concorso per il pensionato artistico, fece ritorno a Palermo per prepararsi e vincerlo con il quadro "La raccolta delle ulive"di diretta ispirazione a Filippo Palizzi, che ora trovasi alla Galleria d'Arte Moderna di Palermo.
Stabilitosi quindi definitivamente a Roma, la città eterna che Egli, per la sua storia, per i suoi monumenti e per tutte le sue bellezze artistiche da tanto tempo agognava come sede dei suoi studi prediletti, respirò un aere più libero, più tranquillo e perciò più confacente alla sua indole mite, schiva da quelle meschine lotte personali che qualche volta gli avevano amareggiata la vita. 
Egli si sentì rimpicciolito di fronte alle opere dei grandi maestri della pittura, ma la sua passione si ingigantì, il suo ingegno, più liberamente potè spaziare nel campo dell'arte, il suo programma ebbe orizzonti più vasti e più geniali ed Egli potè seguire il suo puro ideale artistico con una dignità e sincerità tale da cattivarsi ben presto la stima e la simpatia di quanti ebbero l'occasione di ammirarne la robustezza dell'ingegno e la bontà del cuore.
Primo fra tutti Francesco Paolo Michetti che l'onorò della sua alta e sincera amicizia. Non più stretto dai bisogni della vita anche per i continui aiuti del Senatore Florio, che ne fu vero e grande mecenate, continua a studiare con amore e vera fede di apostolo.
Non tralascia di lavorare pure ad acquarello e sempre con successo. Al periodo di questo suo soggiorno romano vanno attribuiti i due quadri: "Una via fangosa percorsa da due butteri a cavallo" e "Campagna romana".
All'esposizione Brera a Milano del 1875, manda da Portici, dove risiedette in tale anno, due dipinti "Villa Borghese" e Bosco di Portici"che furono acquistati dall'Accademia di Belle Arti di quella Città. Ma una maligna stella dovunque lo perseguita: si ammala nuovamente ed è costretto per curarsi ritornare ancora una volta a Palermo, donde fa domanda al Ministero per avere accordato, per motivi di salute, il passaggio del pensionato artistico da Roma a Firenze,che gli venne concesso.
Guarito, infatti, eccolo a Firenze (1876).
Ivi, preceduto da una fama di forte paesista, viene accolto in modo assai lusinghiero da una eletta e numerosa schiera di artisti. Subito si dà al lavoro con un fare sempre più geniale, più simpatico, con concetti più arditi e più belli. La parte più intellettuale di Firenze non tarda ad innamorarsi della pittura del giovane siciliano che vi trasfonde tutta la bontà dell'animo suo, tutto il calore ed il profumo della sua terra natìa. Egli accontenta lo spirito di tutti i critici dipingendo dal vero soggetti e scene del tutto originali che per la naturalezza delle tinte piacquero tanto agli amatori che li acquistavano non appena venivano tracciati sulla tela. Vi produsse molte opere tra cui rinomate: Ponte S. Trinità La passeggiata alle Cascine in giorno di pioggia Lung'Arno Lungo il mugnone Le Cascine di Firenze in giorno d'inverno che furono riprodotte in parecchie riviste ed acquistate per la Galleria Pisani di Firenze. Indi, cessato il periodo del pensionato (1878) si recò a Parigi, chiamatovi da quel fine intenditore d'arte che fu il Goupil. Ivi trascorse il periodo più felice della sua vita. Vi aprì un magnifico studio, che divenne presto il ritrovo più gradito di molti uomini di genio, artisti e letterati fra cui Giuseppe De Nittis, G. L. Filippo Meissonier, Domenico Morelli, Vincenzo Gemito, Alfredo de Neuville ed E. Manet, capo della scuola impressionista, i quali in lui ammiravano non solamente la grande attività, ma particolarmente le nuove ed ardite concezioni artistiche che lo fecero subito primeggiare fra la numerosa ed eletta schiera degli impressionisti francesi.  
Quasi tutti i lavori furono aquiostati dal Goupil per la sua Galleria d'arte, la più grande ed importante esposizione permanente dell'epoca. Perciò ben poco c'è rimasto della sua produzione durante questo periodo parigino.
Sono di quell'epoca la sua meravigliosa tela Dopo una tempesta che trionfò alla Mostra Internazionale di quadri moderni di Firenze (1880) e lo rivelò un'insuperabile marinista ed il quadro Vecchia Parigi che oggi trovasi a Milano nella sede della Società Edison. 
Ma un'incresciosa malattia lo costringe a ritornare nel 1880 in Italia ed a roma, dove si ferma alcuni giorni, viene molto festeggiato dai pittori  di avanguardia.
Stabilitosi a Portici e rimessosi in salute viene a passare qualche mese a Palermo, alloggiando in casa del Senatore Ignazio Florio, che viene in quell'occasione gli fa dipingere una stanza del suo palazzo di Piazza Olivuzza, oggi appartenente alle suore di S. Giuseppe. 
Per tale lavoro così scrisse il giornale Il Capitan fracassa del 9 febbraio 1881:
La stanza conduce dal salone da ballo alla sala del buffet e quindi Egli vi ha profuso delle tinte allegre e vi si è sbizzarrito a suo talento, senza curarsi di ciò che sogliono comunemente fare i pittori di ornato. Ha voluto provarsi in qualche cosa di nuovo e vi è riuscito.
Dalle pareti al cielo nessuna di quelle solite fasce piene di ghirigori, di scanalature  e di fronde, ma piatti e vasi d'argento e uccelli e puttini e tutta questa roba senza essere allineata o incassayta come in una cornice, ma leggiadramente confusa e bizzarramente leggiadra. Sul cielo poi un velo candidissimo confonde nelle sue pieghe rosei puttini che sembra si dileguino in un'onda di luce e vanno, infatti, impallidendo ed assottigliandosi quasi che si smarrissero in quella bianchezza luminosa.
Alla parete di faccia dei piccoli campagnoli cantano e ridono a piè di un melograno, a destra ed a sinistra delle figure ignude nella ebbrezza voluttuosa del suono e del canto; infine, tra un dipinto e l'altro, fiori, uccelli, puttini, pesci, vasellame e farfalle, tutto quanto insomma la mente di una artista può immaginare d'allegro e concepire di bizzarro in una stanza che conduca alla voluttà delle danze all'allegria del convito
Purtroppo questo magnifico affresco oggi più non esiste, perchè distrutto in seguito al passaggio del palazzo all'Istituto delle Figlie di S. Giuseppe.
Indi ritorna a Napoli e dopo poco tempo (1882) manda all'Esposizione di Torino le due bellissime tele Bosco di Portici e Centodieci anni ad Ischia. Nel primo un fanciullo dura fatica a tirare a forza delle pecore ribelli in un bosco, nell'altro è una vecchia centenaria che curva sullo sterno sta annaspando mentre i gallinacci la circondano ruzzolando per l'aia. 
Contemporaneamente ottiene un gran successo alla Promotrice di Napoli con la famosa tela Il Triduo che viene acquistato dal Re Umberto I° per la Pinacoteca di Capodimonte. 
L'anno dopo (1883) trionfa all'Esposizione nazionale di Belle Arti a Roma con I Funari di Torre del Greco che alzano al gran sole i fiocchi di lino che si accendono in una viva bianchezza nell'azzurro, come alberi strani in una novità abbagliante di terreno e con i due ventagli a tempra, su cui grappoli di amorini sorridono tra le conchiglie ai cefali accorrenti fra gli smeraldi delle onde marine: il primo quadro venne acquistato dal Ministero della p: I. per la Galleria d'Arte Moderna, ed ora trovasi alla Camera dei Deputati.
Subito dopo all'Esposizione Internazionale di Nizza (1883-84) viene premiato con medaglia d'argento per i quadri Centodieci anni ad Ischia Bosco di Portici  e per i due ventagli a tempra, che furono acquistati dal Duca d'Aosta.
Ed alla distanza di pochi mesi trionfa ancora una volta alla Promotrice di Napoli (1884) con un dettaglio de  La pesca del tonno in Sicilia che viene acquistato dal Re Umberto I° per la Pinacoteca di Capodimonte, alla Esposizione di Torino (1884) con il quadro: Ve ne darò oggi di proprietà di casa Carnelli, nel quale una fanciulletta scendendo dal monte porge con infantile grazia un pugno d'erba ad un gruppo di capre felicemente riprodotte ed illuminate da un puro e caldo sole di montagna.
L'anno dopo (1885) il suo nome figura anche con onore all'Esposizione della Società d'incoraggiamento a Firenze. Indi finisce l'opera sua più grande: La pesca del tonno in Sicilia è una tela la quale misura due metri e mezzo e rappresenta la tonnara che è nell'isola di Favignana. la scena è assai viva ed assai bene riprodotta e colta dal vero con studio minuto ed accurato e la vastità della tela è rispondente alla vastità del soggetto ed ai molti particolari che l'arricchiscono niuno dei quali può dirsi affatto trascurato.
Il Leto è artista valoroso e coscenzioso. Egli studia dal vero e la sua riproduzione non è affatto fredda o manierata perchè Egli vi porta tutto l'entusiasmo suo giovanile; Egli vi trasporta tanta parte del suo cervello e della sua anima d'artista.
E tutto è corretto ed artistico in quella tela... Il fare è largo ed audace, il calore potente, il disegno fresco senza essere accademico o freddo. Ed al senatore Florio che ha saputo meritatamente incoraggiare questa valida e salda fibra d'artista che è chiamata ad uno splendido avvenire, al Senatore Florio che ha sauto incoraggiare il Leto affidandogli l'esecuzione di una tela così difficile, i nostri sinceri complimenti e felicitazioni: complimenti ampi e generali dopo che artisti come il Moelli, il Palizzi, il Marinelli, il Miola, l'Altamura ed il Mancinelli l'hanno meritatamente lodata sia per i particolari sia per la esecuzione che hanno riconosciuta geniale ed inappuntabile, sebbene di tale difficoltà da scoraggiare ogni artista.
E' di quest'epoca il famoso suo quadro La Sciavica nel quale dei pescatori, arsi di sole, si sforzano inclinando i loro corpi alla fatica a tirare una rete.
Subito dopo si fa onore all'Esposizione italiana di Londra (1888) dove manda due pastelli di pescatore napoletano un acquarello melloni ed un quadro ad olio di un altro dettaglio della pesca del tonno. Frattanto le sue sofferenze si vanno facendo sempre più noiose e lo tengono più frequente a letto e più lontano dalla campagna e dal mare, che, se per ragione dei suoi studi gli avevano compromessa la salute, pure avevano procurato all'anima sua di artista, le migliori soddisfazioni ed i più grandi onori.
Gli fu perciò consigliato il clima mite di Capri, anche per sottrarlo un pò alla sua grande attività e dare riposo al suo cervello già saturo di nobili idealità artistiche. 
Siamo nel 1889. Le bellezze di quest'isola non concedettero però al suo spirito alcuna requie, poichè non si rimise più in salute: passava delle lunghe giornate in continua contemplazione di quelle rocce e di quel mare che furono poi soggetto preferito dei suoi ultimi e numerosi studi. L'originalità di quelle rocce contro cui si frangono le onde di un mare assai più originale non potevano non commuovere l'animo dell'illustre marinista, che seppe ben presto trarne dei paesaggi così ricchi di sentimento e di verità ed in così perfetta armonia di luce e di colore da riscuotere il plauso dei più forti pittori esteri e nazionali. 
In Capri il Leto trovò il suo centro definitivo di ispirazione.
Quest'isola col suo mare ebbe sull'anima e sull'arte del Nostro un'influenza decisiva e del mare di Capri Egli fu un'assoluto dominatore. Per il felice impasto e per la originalissima colorazione dell'acqua, come, in ispecie, nelle Scoglie delle Sirene(oggi di proprietà di casa Morra) le marine di Leto sono inconfondibili.
In quelle spiagge ed in quel mare Egli non coglie e riprende soltanto la vita di quei semplici pescatori ma tutte le bellezze di quella natura assai varia in cui meglio di ogni altro ha saputo leggere, rendendola più viva e parlante.
Egli sa che la natura è muta se l'Uomo non la fa parlare; Egli sa che le bellezze naturali esercitano il loro fascino solo quando si sappia apprenderle con l'animo stesso onde le ha apprese e se le ha appropriate l'artista che le ha messe in valore ed ha indicato il punto di vista da cui bisogna guardarle collegandole così da una sua particolare intuizione.
E così Egli ha voluto e saputo ritrarre la natura, ed è stato perciò detto verista, depurandola da tutto ciò che non piace senza lasciarla fredda e muta ma dandole una vita che parla ad ognuno in quella maniera che meglio la sente e l'ammira. 
Le sue opere, infatti, hanno un fascino speciale per un pubblico intellettualmente aristocratico, ma, come il dotto ed il tecnico, affascinano anche l'indotto ed il profano, sollecitando la loro psiche in diversa natura, con diversi elementi, con diversa suggestione.
Le sue ispirazioni, dolcissimamente umane, si applicano nelle grandi commozioni del suo spirito con una nota così originale e tenera, con una grazia così elegante ed aristocratica da renderlo ovunque caro, da farlo sempre più apprezzare.
Egli però sempre più modesto non si fa delle reclame anzi la fugge compiacendosi della solitudine in cui la malferma salute lo pose per circa ventitrè anni. Ma gli amici, gli artisti e gli amatori non dimenticarono mai il caro amico, il valente collega, il forte pittore addimostrandogli sempre affetto e deferenza.
Ed erano momenti felici soltanto quelli che i più rinomati artisti esteri e nostrani gli procurarono ricordandolo da lontano e visitandolo nel suo studio, che Egli teneva sempre con molta cura ed eleganza speciale.
Egli, infatti, fu grandemente ammirato e stimato da Francesco Paolo Michetti, da Domenico Morelli, da Vincenzo Volpe, da F. Saverio Altamura, da Giuseppe De Nittis, da Stefano Ussi, Da Filippo Palizzi, da Vincenzo Gemito, da Ettore Ximenes, da Francesco Loiacono, da Edoardo Dalbono, da Antonio Mancini, da Giuseppe Casciaro, da Giulio Monteverde, da Telemaco Signorini e poi ancora  dal Caprale, dal De Maria, dal Cortegiani, dal Rossi, dal De Corsi e da molti altri celebri artisti italiani e , tra gli stranieri, dal Meissonier, dal Neuville, dal Manet, dall'Almatadema.
E la numerosa Colonia di forestieri residente e rinnovantesi in quell'incantevole isola di Capri, lo tenne sempre in grande considerazione e molti lavori acquistò da lui. Più di tutti il ricco industriale tedesco Krupp e l'inglese Andreas che, a preferenza degli altri ne conobbero e ne ammirarono per molti anni il forte ingegno, il senso dell'arte, la sincerità e la bontà dell'animo. Entrambi acquistarono molti suoi dipinti, specialmente il Krupp, che nel suo palazzo di Francoforte formò una delle migliori collezioni delle opere del Leto. E pur essendo per tanto tempo lontano dal movimento artistico ufficiale, il suo nome si attaccava sempre più a quell'arte che lo rese noto e stimato in tutto il mondo civile, non fiaccandogli la malattia nè la tempra di lavoratore nè la forza del suo ingegno.
E di ciò si ebbe prova quando, sollecitato dagli amici, mandò alla Esposizione di Monaco di Baviera del 1894 Le palme dell'Hotel Pagano a Capri che venne riprodotta in parecchie riviste artistiche e che oggi si appartiene a casa Morra, e quando, ai suoi amici carissimi Dalbono, Casciano ed Irolli, che lo forzavano ad esporre nella Mostra Internazionale d'Arte di Venezia del 1910, rispose, schermandosi, di non avere alcuna opera da mandare.
Quegl'illustri artisti che avevano avuto occasione di ammirare i numerosi suoi lavori degni tutti di essere esposti con sicurezza di successo; desiderosi di vedere trionfare l'arte italiana dinanzi a tutto il mondo artistico, anche col nome dell'amico Leto, insistettero sino a strappargli due soli dipinti: Marina di Catiello e Dietro la piccola marina che loro stessi curano di fare pervenire a Venezia.
I loro giusti e sinceri prognostici non tardarono ad avverarsi: difatti quelle due opere, sebbene piccole di dimensione, si affermarono fra le moltissime altre per le molteplici qualità pittoriche che amatori ed artisti indiscussi vi riscontrarono: qualità che non sfuggirono alla attenzione del Re d'Italia Vittorio Emanuele III°, che acquistò il secondo. Fu questo l'ultimo serto che strappò alla gloria e che gli confermò uno dei primissimi posti nell'Arte italiana. E dico gli confermò perchè da molti anni la teneva, nonostante che la sua lunga e penosa malattia lo avesse relegato nell'Isola di Capri.
Lo stesso anno 1910 desideroso di rivedere dopo circa trent'anni i suoi parenti ed i suoi concittadini venne a Monreale, dove gli furono tributate festose accoglienze da tutta la cittadinanza, che in lui vedeva continuata quella gloria artistica con cui il Novelli aveva onorato il suo paese natìo.
Intanto la sua malattia andava a poco a poco aggravandosi costringendolo ad una inattività che, più del male, tormentava il suo spirito.
Lo sorreggeva tuttavia la speranza di potersi ancora una volta rimettere in salute e riprendere il lavoro. Ma questa speranza che gli aveva fatto sopportare per molto tempo le lunghe sofferenze, si spense il 31 maggio del 1913, quando, assistito dal suo amico pittore nella sua casetta di Capri, nella via Tragara.
Capri, che lo volle suo cittadino onorario, fu così orbata dall'illustre Maestro che l'aveva illustrata ed onorata colle opere che, a mezzo dei visitatori forestieri, raggiunsero i centri più lontani facendo ivi ammirare le affascinanti bellezze dell'isola ed il valore della pittura italiana.
Lasciò un ricco patrimonio artistico di cui buona parte, per desiderio dell'estinto, venne dai suoi parenti regalato al Museo Nazionale di Palermo per crearvi una sala intitolata al nome dell'artista. 
Egli scese silenziosamente nella tomba con grande dolore dei suoi ammiratori e colleghi, i quali videro scomparire con Antonino Leto l'illustre artista che la città di Napoli amò quale suo figlio prediletto ed annoverò sempre tra i più forti rappresentanti della rinomata sua scuola, costituita da una eletta schiera di pittori, che colle loro opere scrissero nella storia della pittura la pagina più gloriosa.
Nel 1924 alla XIV^ Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia nella sala 42 venne fatta, su iniziativa di alcuni giornalisti siciliani, amanti delle glorie della propria regione, che vollero trarre dall'ombra questa gloria siciliana, un amostera individuale retrospettiva del Leto, composta di venti quadri, appartenenti al Museo Nazionale di Palermo, alla Galleria d'Arte Moderna di Palermo ed a privati tra cui: Strada polverosa. Piazza della Signoria a Firenze, Contadina nel bosco, Casa dei portici, Terrazza sul mare Posillipo, opere che segnano una tappa nella storia dell'arte dell'800.
Ne fuirono Commissari ordinari Ettore De Maria Bergler e Nino Sofia, il quale nel Catalogo guida della detta mostra, edito dalle officine grafiche Ferrari di Venezia scrisse brevi cenni biografici del Leto. Anche recentemente nella mostra del pittore De Nittis e dei pittori della scuola di Resina che ebbe luogo a Napoli (8 giugno - 11 agosto 1963) il nostro Leto fu degnamente rappresentato con i due quadri Grotta azzurra e La raccolta delle olive inviativi dalla nostra Galleria d'arte moderna.
L'accascina, nel suo pregevole studio sui pittori siciliani dell'800 dedica alcune pagine al Nostro Monrealese sulla cui arte così conclude: Il Leto fu precocemente soggettivo quando la pittura del paesaggio siciliano era ancora legata al vedutismo; fu concorde alla pittura del De Nittis quando concorde fu il sentimento di tristezza che lo legò a lui ed al Rossano, si svagò seguendo gli insegnamenti ormai maturi del Cecioni, si impigliò nell'impressionismo francese, soltanto dinanzi alla natura superò le imitazioni ed ebbe voce alta e nobile nel canto della pittura meridionale.
Monreale ha eretto in onore di questo suo figlio illustre un ricordo marmoreo, posto nella villa Belvedere, mentre Palermo ha intitolato al suo nome una delle sue vie.




Opera d'arte di Antonino Leto esposta presso il Circolo Italia - piazza V. Emanuele II Monreale.
      
r.m.