Arte
Piero Costa Artista Monrealese
"Ci parli del proprio se stesso, a Monreale, il 15 marzo 2005.
Benchè contrassegnato dall'etichetta Teme l'umidità (e, per uno della mia età, sono dolori) potrei conoscere i 55 anni entrando nel prossimo Acquario. Abito a Monreale e da lì ordisco. Ho dovuto pensare, e fare, sempre, troppo sempre, da autodidatta. (In corso d'opera qualcuno punzecchia dandomi dell'autarchico. Mi va bene, tanto non ho rispetto di me. Ma stima, sì: mi ritengo altamente dotato di ricettività). Musicista, compositore pianista. Autore, interprete di teatro. Ebanista, restauratore.
Appassionato di ornitologia, etologia e natura integrale (quella dell'aria pregna di mentastro, con rovi onnipresenti, popolati da mille tremoli, squittiti e guizzi sospetti).
La mia musica è contemporanea, simultanea, il suo contrario, la voce che si testimonia come suono intimo dell'esistere, metafora solo e perfino di sè. Si esprime e si dipana su un terreno di variazioni tematiche, sovrapposizioni ritmiche, improvvisazioni in sentieri interpretativi del concetto che sostanzia il brano. Sono stato presente in rassegne e meeting nazionali e internazionali e in programmi radiofonici di Rai2/3 nazionali e regionali. Ultima esperienza con Rai3 radio: quattro puntate di Invenzioni a due voci.
Ho usato la finzione per rappresentare, e viceversa; dal teatro al non-teatro; dal falso radiofonico al vero burocratese; piece sul palcoscenico e in campo da tennis. Con scena, e scrittura, (popolata da satiri, vanagloriosi, vincitori del nulla, ignavi) vorrei aprire crisi sull'uso della falsa e asettica comunicazione (oggi dissociata dal bisogno da cui dovrebbe scaturire), muovere attacco a indolenza e sicumera, suggerire che l'antropocentrismo vorticante si rivela sintomo di latitanza dell'identità.
Ultimamente mi ha appassionato proporre letture di miei testi avvicendate a improvvisazioni con fisarmonica e dialogazioni col pubblico.
Attualmente tengo un laboratorio di improvvisazione teatrale per E.R.S.U. (Ente Regionale per il diritto alla Studio Universitario, già Opera Universitaria) di Palermo.
Non ho saputo, non so essere attore o suonatore da uff. di coll..
Mosso da propensione alla sperimentazione, all'esplorazione, ma non meno rapito dall'ancestrale, dal saputo, ho finito col lasciar convivere (finalmente in pace!) la spontaneità dell'emozionale con quel razionale che pure mi appartiene e che in modo ideologico mi sono tanto negato (ma servendomene per farlo).
Dai primi anni '70, con certa intermittenza - c'è quando non mi propongo, ma c'è pure quando mi trovano difficile da collocare o non leggero quanto serve - calco le scene in varie vesti. Alternandomi, anche provando ad agire una loro frammistione, tra la sfera musicale e quella teatrale (più estesamente scenica), per giungere negli ultimi tempi ad una loro organica e necessaria sintesi, forse oggi metafora con gambe proprie, ciascuna del suono e del gesto, e di entrambi, e, chissà se, di altro a me ignoto, completamente sfuggitami di mano, decentrata.
Volto all'interazione con la platea, mi sono sempre servito dei miei modi complicitari, ludici, raramente programmati, per ridurre ogni senso di distanza (sono avvezzo a comunicare agli animali), in cerca di incremento di rispondenze dove lo spettatore/visitatore non possa sottrarsi a modi attivi e partecipativi (pertinenze oggi quasi estinte nelle varietà umane affette da post-civiltà).
Il rapporto con i legni si è sempre trovato incastrato fra queste dimensioni. E non si può certo dire che gli sia toccato un ruolo minore. Sicuramente non è assurto al palcoscenico, non è stato esaltato dai riflettori. Ma ha costituito una funzione di contatto biologicamente essenziale per riconoscermi e vivermi come appartenente alla parte terrena-umana del pianeta; foriero di accattivante verifica del percepire e visualizzare la collocabilità della materia nello spazio, quasi la scansione fisica del trascorrere; non da ultimo, esempio esemplare della duttilità. Credo sia stato di nutrimento, linfa, il carburante per volare. Solo: non sceglievo di utilizzarlo su una via concettuale. Lasciavo che rimanesse in tanica. L'ho sempre considerato di stretta attinenza al sostentamento, la copertura economica che mi permetteva di non soggiacere a ciò che mi sono sembrati condizionamenti annichilenti del mondo della musica e del teatro.
Mio padre faceva l'ebanista. Come avrei potuto non essere attratto in tenera età (coi miei fratelli) da quel luogo di intervento, a misura d'uomo, sulla fibra vegetale (fai-da-te primordiale), e non campeggiare in un laboratorio, da cimento con la trasformazione lignea in forma creativa, per poi lasciare evolvere quell'innocente approccio verso una attività professionale. Una ventina d'anni fà, su un biglietto senape, associato con spago a ciascuno di quella infinita serie di camioncini da me pensati e prodotti con la collaborazione di mio fratello Peppo (ne scrisse Ida Ricci C. su Brava casa), accoratamente condensavo: <Il legno, antico amico dell'uomo, è in grado di suscitare evocazioni, emozioni tra le più intense. Quest'oggetto, realizzato in castagno e trattato con cera naturale, nasce nel sogno di ritrovare il giocattolo dell'infanzia lontana, così come l'immaginazione può permettere oggi di ricomporlo, grazie alla preziosa materia trasformabile vivente>.
Ad oggi queste parole rimangono indicative della ragione del mio rapporto con i legni. La dipendenza olfattiva ne avrà pervaso e suggellato ogni parte.
Resterebbe da chiarire qualcosa su: compatibilità legno/musica.
Sull'argomento sono state fatte parecchie interviste. Intorno agli anni '70/'80 su un quotidiano di Palermo a firma G. Razete si leggeva di mia indecisione fra la vocazione musicale e quella di artista del legno, che mi definivo semplicemente falegname, e che [forse per questo]non finivo di stupire. Appresso l'esplicazione dello stupore:...di giorno nella sua piccola bottega a ridosso della cattedrale di Monreale si dedica con umiltà e passione a lavori di falegnameria, esponendo continuamente le sue mani a pratiche pesantissime. La sera, con le stesse mani spesso gonfie e martoriate, Costa riesce a trarre dalla tastiera con grande vigore, ma anche con straordinaria delicatezza, incredibili suggestioni sonore...
Dubbio di scelta fra legno e musica: una scelta mai pensata. E la sua omissione, per me, mai di sofferenza(se non per qualche sfortunata falangetta).
Non sono ancora così maturo da saper scegliere di scegliere e poter rinunciare a non rinunciare. Questo, preferisco lasciarlo fare ai grandi, con il loro senno pure nel sonno sanno scegliere come meglio far carriera, produrre per consumare, quale conflitto individuale e collettivo di turno e di epoca. Mi sono care due righe di presentazione di un circolo culturale palermitano dell''88 che all'epoca mi parvero cogliermi:...Sempre pronto a dissacrare con sottile ironia ogni impalcatura di modello, ogni concetto di schema, ogni pregiudizio perbenista....
Tanto per intendersi, alla domanda - che musica ascolti -, esclusi schiamazzi di ciarlatani e contraffazioni sonore di provincia (che le orecchie talvolta devono patire) rispondo che amo ascoltare con frenesia: crepitio di fogliame segnato dai passi; uccelli tutti; carezze e schiaffi del vento; acqua allegra e volubile; cose imprendibili come le nuvole; fragranza delle zolle richiamate in vita dall'acqua di cielo; silenzio d'incubazione, complessità operosa.
Alla domanda- come fai -, ecco come: pigio i tasti del piano per scrollare le dita di quelle note ad esse appese come nottole ai capelli; dilanio la fisarmonica per farla schiantare; tengo la scema perchè non scemi; infliggo fendenti e martellate nell'ambito legnistico solo per agevolare la cosiddetta energia a guadagnare la libertà, indipendentemente dallo stato di coscienza del titolare.
C'è dell'autarchia? Non dovrebbe essere la ricettività dell'autodidatta a fare la differenza tra questi e l'autarchico? Nondimeno, punzecchiato, il ricettivo incassa.
Che stress. Basta così.
P.S. Le cornici dovevano essere 18; non 12. Ma, nel costruire la 13^, la piallatrice ha approfittato di una mia distrazione per assaporare qualcosa di una falangetta.
Mi sono dovuto fermare e, perciò, ho dovuto fermarmi.
Piero Costa
Legni in cornice
a cura di Silvana Montera
Galleria San Saverio
via G. Di Cristina 39
Ente Regionale Studi Universitari Palermo
Antonio Bono Presidente
Aldo de Franchis Direttore
Michele Catanzaro, Vincenzo David, Salvatore Mirabile, Paria Pia Paternostro, Antonio Sala, Salvatore Vernuccio.
Legni in cornice
Coordinatrice del progetto: Silvana Montera
Il Progetto e la grafica di questo volume sono di Rodolfo Loffredo che ne ha diretto l'esecuzione in tipografia.
Fotografia: Silvio Governali e Ettore Magno, ideazione Silvio Governali.
In redazione: Giovanni Greco, Vito Stassi.
Allestimento: Michele Lacagnina
Ufficio Stampa: Dario Matranga
Stampa Grafiche Renna
Coyright 2004 by ERSU Palermo
Ufficio Attività culturali - Galleria della Residenza Universitaria San Saverio
PSICOLOGIA DELL'ASTIGMATICO
Psicologia dell'astigmatico. Nel maggio del '96 il mio amico oculista Carlo Bruno riscontra un difettuccio nel mio occhio, e proprio ad esso attribuisce la causa del mio disagio (o intolleranza) di sempre, sin da fanciullo, di fronte a qualsiasi rappresentazione simmetrica.
Nel '97 affronto casualmente l'argomento col mio amico, pittore, Giovannino Valenza. Questi afferma di soffrire dello stesso problema: è portato a ricusare la simmetria o, al meglio, a doverla deformare (interpretarla liberandone la forma dell'impianto matematico). A darle, cioè, proporzioni gradite o accette per la propria facoltà visiva, in pratica personalizzando uno sbilanciamento della dimensionalità duale. La cosa mi indusse a una riflessione non poco preoccupante. Avevo sempre pensato che il mio rifiuto critico per la figura costituita da due sezioni speculari divise da una bisettrice derivasse da un campo di concezioni della mente alto e complesso (!).
Il ritenere che l'uso dei sensi (e del Gusto) dipenda dall'orientamento del presidio culturale, dal pensiero-regia, è sempre stato un caposaldo della mia esistenza psicologica, quasi la giustificazione del respiro. E' pur vero - d'altra parte, come ben si sa - che la relazione (e l'esperienza ad essa relativa) è costituita e poggia completamente sulle facoltà di percezione. Tuttavia acquisire a 45 anni che pregi o difetti dei sensi, anche (clinicamente) irrisori, abbiano la responsabilità di influenzare l'indirizzo dell'emozione, del pensiero e delle concezioni mi spaesa, mi espugna, mi priva.
Che l'inclinazione (parola che indulge all'a-simmetria) sentimentale, l'evoluzione culturale che porta ad una visione personalizzata delle cose del mondo, dipenda dalla anomalia di un occhio, è cosa che spinge a sofferenza più del difettuccio stesso.
In sostanza - quale semplicioneria - ho attribuito un'anima alla forma, identificando il suo aspetto col leale manifestarsi (rendersi visibile) del contenuto.
Allora: l'a-simmetria come sinonimo di negazione dell'esistenza di un centro nello smistamento dei volumi e delle proporzioni; il contrapposto dell'ostentazione di un asse di demarcazione che avoca a sè ciò che ha reso periferie divise, rivolte al centro, due metà in convergenza condizionata (non dal tendere al vertice attestato dalla bisettrice, che gratuitamente lì è incuneata, ma dalla necessità naturale di riunificarsi).
D'improvviso mi è chiara la ragione - quale tenerezza sono disposto a farmi - che ha fatto del triangolo scaleno l'idea geometrica da me prediletta, il visibile per la mia stabilità.
Solida figura piana (capace, per l'irregolarità che la denota, di ispirare l'immaginazione di un volume espresso dalla dinamica sobrietà della forma). Nella sua elementare austerità e impraticabilità, nella sua varietà, rigorosa offerta di libera interpretazione, autentico contraltare del triangolo isoscele (quale logora sintesi visiva, facilitazione prospettica della piramide, con la sua retorica e surrettizia simbologia). Sopravvissuto allo choc, accetto la condizione e maturo la mia reazione: decido che la sagoma dello specchio, rinfacciatore privato che mi vede guardarmi, dev'essere modificata. Dovrà subire acconciature perimetrali tali da renderlo elastico come un sornione alterego e guardabile come qualsiasi interlocuore vivente.
Trovo allora che la assolutezza simmetrica, questo perfetto spaccato in due facce gemelle, altro non sia che una estrema forzatura della matematica artificiale, una accanita manipolazione che imbocca la via più facile per sottrarsi alla responsabilità dinamica: l'affidamento al calcolo duale, alla doppiezza, all'autarchia binaria. E che la stessa si renda ostica (a me) per il fatto non secondario di detenere l'assegnazione di una cifra di immobilità, di staticità improba, che rimanda all'assenza di respiro, di vita.
Titolo PIANO CHE FUGGE
Essenza - Castagno
Dimensioni 80x45
Posizionamento - Orizzontale
Orizzontalità profili - Parte spessa dx
Verticalità profili - Esterni
Titolo - TABU' IN FRANTUMI
Essenza - Noce ital.
Dimensioni 65x65
Posizionamento - Parte scura in basso a dx
Titolo - CANONE SOSPESO
Essenza - Mogano
Dimensioni - 150x85
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Esterno alto
Verticalità profili - Esterno dx
Titolo - L'ANGOLO DI RIFRAZIONE SI LUSSA
Essenza - Frassino
Dimensioni - 75x65
Orizzontalità profili - Esterno/int. basso
Titolo PERDITA DI SOSTANZA
Essenza - Pinop Cembro
Dimensioni - 120x60
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Interni
Verticalità profili - Interni
Titolo SVISTA SULLO SCEMARIO
Essenza - Douglas
Dimensioni 85x45
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Esterno alto
Verticalità profili - Esterno dx
Titolo - BILICO
Dimensioni - 75x 50
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Esterno basso
Verticalità profili Esterni
Titolo - E IO MI DEFILO
Dimensioni - 155x 85
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Esterni alto/basso
Titolo - ORTOGONI ALLA MITE RICOTTA
Essenza - Obece
Dimensioni - 120x60
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Interni
Titolo - RIPIEGO
Essenza - Castagno
Dimensioni - 85x65
Posizionamento -Verticale
Orizzontalità profili Esterni
Verticalità profili - Esterni
Titolo - UN RESPIRO AL QUADRATO
Essenza - Frassino
Dimensioni - 60x60
Posizionamento - ........................
Orizzontalità profili - Esterni
Verticalità profili - Esterni
LE MACCHINE
Quello di costruire ingenui ed innocui macchinari da guerra, lavorando ed elaborando a partire da un legno, un ramo, un ciocco così come li ha trovati, è un altro campo esplorato dall'autore.
r.m.
Ultimamente mi ha appassionato proporre letture di miei testi avvicendate a improvvisazioni con fisarmonica e dialogazioni col pubblico.
Attualmente tengo un laboratorio di improvvisazione teatrale per E.R.S.U. (Ente Regionale per il diritto alla Studio Universitario, già Opera Universitaria) di Palermo.
Non ho saputo, non so essere attore o suonatore da uff. di coll..
Mosso da propensione alla sperimentazione, all'esplorazione, ma non meno rapito dall'ancestrale, dal saputo, ho finito col lasciar convivere (finalmente in pace!) la spontaneità dell'emozionale con quel razionale che pure mi appartiene e che in modo ideologico mi sono tanto negato (ma servendomene per farlo).
Dai primi anni '70, con certa intermittenza - c'è quando non mi propongo, ma c'è pure quando mi trovano difficile da collocare o non leggero quanto serve - calco le scene in varie vesti. Alternandomi, anche provando ad agire una loro frammistione, tra la sfera musicale e quella teatrale (più estesamente scenica), per giungere negli ultimi tempi ad una loro organica e necessaria sintesi, forse oggi metafora con gambe proprie, ciascuna del suono e del gesto, e di entrambi, e, chissà se, di altro a me ignoto, completamente sfuggitami di mano, decentrata.
Volto all'interazione con la platea, mi sono sempre servito dei miei modi complicitari, ludici, raramente programmati, per ridurre ogni senso di distanza (sono avvezzo a comunicare agli animali), in cerca di incremento di rispondenze dove lo spettatore/visitatore non possa sottrarsi a modi attivi e partecipativi (pertinenze oggi quasi estinte nelle varietà umane affette da post-civiltà).
Il rapporto con i legni si è sempre trovato incastrato fra queste dimensioni. E non si può certo dire che gli sia toccato un ruolo minore. Sicuramente non è assurto al palcoscenico, non è stato esaltato dai riflettori. Ma ha costituito una funzione di contatto biologicamente essenziale per riconoscermi e vivermi come appartenente alla parte terrena-umana del pianeta; foriero di accattivante verifica del percepire e visualizzare la collocabilità della materia nello spazio, quasi la scansione fisica del trascorrere; non da ultimo, esempio esemplare della duttilità. Credo sia stato di nutrimento, linfa, il carburante per volare. Solo: non sceglievo di utilizzarlo su una via concettuale. Lasciavo che rimanesse in tanica. L'ho sempre considerato di stretta attinenza al sostentamento, la copertura economica che mi permetteva di non soggiacere a ciò che mi sono sembrati condizionamenti annichilenti del mondo della musica e del teatro.
Mio padre faceva l'ebanista. Come avrei potuto non essere attratto in tenera età (coi miei fratelli) da quel luogo di intervento, a misura d'uomo, sulla fibra vegetale (fai-da-te primordiale), e non campeggiare in un laboratorio, da cimento con la trasformazione lignea in forma creativa, per poi lasciare evolvere quell'innocente approccio verso una attività professionale. Una ventina d'anni fà, su un biglietto senape, associato con spago a ciascuno di quella infinita serie di camioncini da me pensati e prodotti con la collaborazione di mio fratello Peppo (ne scrisse Ida Ricci C. su Brava casa), accoratamente condensavo: <Il legno, antico amico dell'uomo, è in grado di suscitare evocazioni, emozioni tra le più intense. Quest'oggetto, realizzato in castagno e trattato con cera naturale, nasce nel sogno di ritrovare il giocattolo dell'infanzia lontana, così come l'immaginazione può permettere oggi di ricomporlo, grazie alla preziosa materia trasformabile vivente>.
Ad oggi queste parole rimangono indicative della ragione del mio rapporto con i legni. La dipendenza olfattiva ne avrà pervaso e suggellato ogni parte.
Resterebbe da chiarire qualcosa su: compatibilità legno/musica.
Sull'argomento sono state fatte parecchie interviste. Intorno agli anni '70/'80 su un quotidiano di Palermo a firma G. Razete si leggeva di mia indecisione fra la vocazione musicale e quella di artista del legno, che mi definivo semplicemente falegname, e che [forse per questo]non finivo di stupire. Appresso l'esplicazione dello stupore:...di giorno nella sua piccola bottega a ridosso della cattedrale di Monreale si dedica con umiltà e passione a lavori di falegnameria, esponendo continuamente le sue mani a pratiche pesantissime. La sera, con le stesse mani spesso gonfie e martoriate, Costa riesce a trarre dalla tastiera con grande vigore, ma anche con straordinaria delicatezza, incredibili suggestioni sonore...
Dubbio di scelta fra legno e musica: una scelta mai pensata. E la sua omissione, per me, mai di sofferenza(se non per qualche sfortunata falangetta).
Non sono ancora così maturo da saper scegliere di scegliere e poter rinunciare a non rinunciare. Questo, preferisco lasciarlo fare ai grandi, con il loro senno pure nel sonno sanno scegliere come meglio far carriera, produrre per consumare, quale conflitto individuale e collettivo di turno e di epoca. Mi sono care due righe di presentazione di un circolo culturale palermitano dell''88 che all'epoca mi parvero cogliermi:...Sempre pronto a dissacrare con sottile ironia ogni impalcatura di modello, ogni concetto di schema, ogni pregiudizio perbenista....
Tanto per intendersi, alla domanda - che musica ascolti -, esclusi schiamazzi di ciarlatani e contraffazioni sonore di provincia (che le orecchie talvolta devono patire) rispondo che amo ascoltare con frenesia: crepitio di fogliame segnato dai passi; uccelli tutti; carezze e schiaffi del vento; acqua allegra e volubile; cose imprendibili come le nuvole; fragranza delle zolle richiamate in vita dall'acqua di cielo; silenzio d'incubazione, complessità operosa.
Alla domanda- come fai -, ecco come: pigio i tasti del piano per scrollare le dita di quelle note ad esse appese come nottole ai capelli; dilanio la fisarmonica per farla schiantare; tengo la scema perchè non scemi; infliggo fendenti e martellate nell'ambito legnistico solo per agevolare la cosiddetta energia a guadagnare la libertà, indipendentemente dallo stato di coscienza del titolare.
C'è dell'autarchia? Non dovrebbe essere la ricettività dell'autodidatta a fare la differenza tra questi e l'autarchico? Nondimeno, punzecchiato, il ricettivo incassa.
Che stress. Basta così.
P.S. Le cornici dovevano essere 18; non 12. Ma, nel costruire la 13^, la piallatrice ha approfittato di una mia distrazione per assaporare qualcosa di una falangetta.
Mi sono dovuto fermare e, perciò, ho dovuto fermarmi.
Piero Costa
Legni in cornice
a cura di Silvana Montera
Galleria San Saverio
via G. Di Cristina 39
Ente Regionale Studi Universitari Palermo
Antonio Bono Presidente
Aldo de Franchis Direttore
Michele Catanzaro, Vincenzo David, Salvatore Mirabile, Paria Pia Paternostro, Antonio Sala, Salvatore Vernuccio.
Legni in cornice
Coordinatrice del progetto: Silvana Montera
Il Progetto e la grafica di questo volume sono di Rodolfo Loffredo che ne ha diretto l'esecuzione in tipografia.
Fotografia: Silvio Governali e Ettore Magno, ideazione Silvio Governali.
In redazione: Giovanni Greco, Vito Stassi.
Allestimento: Michele Lacagnina
Ufficio Stampa: Dario Matranga
Stampa Grafiche Renna
Coyright 2004 by ERSU Palermo
Ufficio Attività culturali - Galleria della Residenza Universitaria San Saverio
A ciascuno la sua cornice.
La parola cornice in Diplomatica
di Silvana Montera
A ciascuno la sua cornice. La parola cornice in Diplomatica è sinonimo di protocollo. La Diplomatica è una disciplina che studia, insieme alla Paleografia, il documento medievale. Ha lo scopo di accertare la veridicità, l'autenticità del diploma e la sua efficacia giuridica. In questo ambito dunque protocollo è la cornice in cui si inscrive un testo. La cornice, o protocollo, di un testo la si indaga attraverso una serie di formule dai nomi arcaici quali intitulatio (quello che oggi è costituito dall'intestazione del documento, ossia dell'ufficio che l'ha emesso), inscriptio (nome del destinatario); nell'escatocollo o protocollo finale, si trova la datatio cronica e topica (semplicemente la data e il luogo) e la subscriptio (la firma) o signum tabellionis o rota nel caso del documento notarile o della cancelleria pontificia,i cui eredi sono oggi timbri. La dispositio, che esprime il contenuto giuridico vero e proprio dell'atto, fa parte del testo, ma potrebbe non avere alcuna efficacia se la cornice del protocollo mostrasse smagliature o incongruenze. In nessun altro ambito la parola e il concetto di cornice prendono tanta ricchezza di significato. Per gli artisti la cornice sembra esistere a mala pena, qualcosa che sta al quadro come il piatto di portata alla pietanza di uno chef, appartiene al dominio della forma in opposizione al contenuto costituito dai colori della tela, è inerte rispetto alla fragranza e al gusto di una preparazione culinaria. Può guastare la percezione di un'opera se inappropriata, ma non potrebbe aggiungervi niente qualora fosse quella giusta.
Ma non per Piero Costa. Per lui le cose stanno in altro modo. Sin dai tempi del Bureau, un ufficio da lui creato, il protocollo era la parte più funambulesca degli atti amministrativi prodotti. Le Bureau nasceva per l'esigenza di svolgere un'indagine sul drammatico incidente occorso al lampadario di casa ad opera di un gruppo di ragazzi che trascorreva il sabato sera a Monreale in assenza dei genitori Costa. La richiesta di chiarimenti da parte dei familiari forniva l'occasione per dare origine ad un vero e proprio ufficio che conducesse un'inchiesta. Ovviamente il tutto prendeva le forme corrette a condizione che si producessero documenti e atti conseguenti, la cui veridicità, autenticità ed efficacia fossero comprovate dai giusti requisiti di protocollo. Ed ecco prodursi carte intestate e timbri di ogni genere. Il primo timbro sembra un pò improvvisato.
ORAMA si legge sui primi documenti perchè tale era l'impronta del tappo dell'amaro Averna inchiostrato, con un bel cerchio regolare intorno che ne faceva comunque un signor timbro. Ma le Bureau e le sue competenze crescevano. E un bel giorno ebbe inizio la produzione di moduli prestampati. Servivano ad emettere autenticazioni. Al di là di ogni considerazione di valore, le Bureau si impegnava al rilascio di veri e propri certificati di autenticità. Infine nacque il prestampato più impegnativo: la recenzione del critico d'arte. Bastava cambiare il nome e il genere artistico praticato, ed ecco pronta la recensione polivalente, si sarebbe risparmiata la fatica e soprattutto la fantasia necessarie alla presentazione di ogni possibile artista.
Ed eccoci vicino al detto: chi non produce cornici scagli la prima pietra. A ben vedere che cosa fa un gallerista quando espone l'opera di un artista? La propone in una delle possibili cornici.
La estrae dal suo privato laboratorio, l'opera non è più solo nata, adesso è registrata all'anagrafe , la puoi datare almeno con il terminus ante quam, è dato anche il luogo di origine, ne deriva una certificazione ed una autentica. Si capisce con questo che la cornice in questione , come quella diplomatica e burocratica, serve a dare connotati di realtà al prodotto. Le coordinate spazio temporali sono quelle che per prime certificano la realtà, al di là della sua esistenza, di qualsiasi cosa. Resta da chiedersi di che cosa amerebbe attestare l'esistenza le sghembe cornici di Piero Costa. Ancora però non è stata detta una cosa fondamentale: Piero è un musicista. Di un genere che fai fatica a definire: jazz, musica contemporanea o simultanea, come lui qualche volta ha dichiarato. A me piace pensare che le cornici non sono vuote, contengono musica, per questo non si vede. Cercano di definire i contorni, e con questo l'esistenza, di qualcosa di cui non si conosce la forma, forse di qualcosa che deve ancora nascere, forse di qualcosa che sfugge alla foram, e non per questo non esiste. ma loro sono pronte ad accoglierlo.
Ma non per Piero Costa. Per lui le cose stanno in altro modo. Sin dai tempi del Bureau, un ufficio da lui creato, il protocollo era la parte più funambulesca degli atti amministrativi prodotti. Le Bureau nasceva per l'esigenza di svolgere un'indagine sul drammatico incidente occorso al lampadario di casa ad opera di un gruppo di ragazzi che trascorreva il sabato sera a Monreale in assenza dei genitori Costa. La richiesta di chiarimenti da parte dei familiari forniva l'occasione per dare origine ad un vero e proprio ufficio che conducesse un'inchiesta. Ovviamente il tutto prendeva le forme corrette a condizione che si producessero documenti e atti conseguenti, la cui veridicità, autenticità ed efficacia fossero comprovate dai giusti requisiti di protocollo. Ed ecco prodursi carte intestate e timbri di ogni genere. Il primo timbro sembra un pò improvvisato.
ORAMA si legge sui primi documenti perchè tale era l'impronta del tappo dell'amaro Averna inchiostrato, con un bel cerchio regolare intorno che ne faceva comunque un signor timbro. Ma le Bureau e le sue competenze crescevano. E un bel giorno ebbe inizio la produzione di moduli prestampati. Servivano ad emettere autenticazioni. Al di là di ogni considerazione di valore, le Bureau si impegnava al rilascio di veri e propri certificati di autenticità. Infine nacque il prestampato più impegnativo: la recenzione del critico d'arte. Bastava cambiare il nome e il genere artistico praticato, ed ecco pronta la recensione polivalente, si sarebbe risparmiata la fatica e soprattutto la fantasia necessarie alla presentazione di ogni possibile artista.
Ed eccoci vicino al detto: chi non produce cornici scagli la prima pietra. A ben vedere che cosa fa un gallerista quando espone l'opera di un artista? La propone in una delle possibili cornici.
La estrae dal suo privato laboratorio, l'opera non è più solo nata, adesso è registrata all'anagrafe , la puoi datare almeno con il terminus ante quam, è dato anche il luogo di origine, ne deriva una certificazione ed una autentica. Si capisce con questo che la cornice in questione , come quella diplomatica e burocratica, serve a dare connotati di realtà al prodotto. Le coordinate spazio temporali sono quelle che per prime certificano la realtà, al di là della sua esistenza, di qualsiasi cosa. Resta da chiedersi di che cosa amerebbe attestare l'esistenza le sghembe cornici di Piero Costa. Ancora però non è stata detta una cosa fondamentale: Piero è un musicista. Di un genere che fai fatica a definire: jazz, musica contemporanea o simultanea, come lui qualche volta ha dichiarato. A me piace pensare che le cornici non sono vuote, contengono musica, per questo non si vede. Cercano di definire i contorni, e con questo l'esistenza, di qualcosa di cui non si conosce la forma, forse di qualcosa che deve ancora nascere, forse di qualcosa che sfugge alla foram, e non per questo non esiste. ma loro sono pronte ad accoglierlo.
PSICOLOGIA DELL'ASTIGMATICO
Psicologia dell'astigmatico. Nel maggio del '96 il mio amico oculista Carlo Bruno riscontra un difettuccio nel mio occhio, e proprio ad esso attribuisce la causa del mio disagio (o intolleranza) di sempre, sin da fanciullo, di fronte a qualsiasi rappresentazione simmetrica.
Nel '97 affronto casualmente l'argomento col mio amico, pittore, Giovannino Valenza. Questi afferma di soffrire dello stesso problema: è portato a ricusare la simmetria o, al meglio, a doverla deformare (interpretarla liberandone la forma dell'impianto matematico). A darle, cioè, proporzioni gradite o accette per la propria facoltà visiva, in pratica personalizzando uno sbilanciamento della dimensionalità duale. La cosa mi indusse a una riflessione non poco preoccupante. Avevo sempre pensato che il mio rifiuto critico per la figura costituita da due sezioni speculari divise da una bisettrice derivasse da un campo di concezioni della mente alto e complesso (!).
Il ritenere che l'uso dei sensi (e del Gusto) dipenda dall'orientamento del presidio culturale, dal pensiero-regia, è sempre stato un caposaldo della mia esistenza psicologica, quasi la giustificazione del respiro. E' pur vero - d'altra parte, come ben si sa - che la relazione (e l'esperienza ad essa relativa) è costituita e poggia completamente sulle facoltà di percezione. Tuttavia acquisire a 45 anni che pregi o difetti dei sensi, anche (clinicamente) irrisori, abbiano la responsabilità di influenzare l'indirizzo dell'emozione, del pensiero e delle concezioni mi spaesa, mi espugna, mi priva.
Che l'inclinazione (parola che indulge all'a-simmetria) sentimentale, l'evoluzione culturale che porta ad una visione personalizzata delle cose del mondo, dipenda dalla anomalia di un occhio, è cosa che spinge a sofferenza più del difettuccio stesso.
In sostanza - quale semplicioneria - ho attribuito un'anima alla forma, identificando il suo aspetto col leale manifestarsi (rendersi visibile) del contenuto.
Allora: l'a-simmetria come sinonimo di negazione dell'esistenza di un centro nello smistamento dei volumi e delle proporzioni; il contrapposto dell'ostentazione di un asse di demarcazione che avoca a sè ciò che ha reso periferie divise, rivolte al centro, due metà in convergenza condizionata (non dal tendere al vertice attestato dalla bisettrice, che gratuitamente lì è incuneata, ma dalla necessità naturale di riunificarsi).
D'improvviso mi è chiara la ragione - quale tenerezza sono disposto a farmi - che ha fatto del triangolo scaleno l'idea geometrica da me prediletta, il visibile per la mia stabilità.
Solida figura piana (capace, per l'irregolarità che la denota, di ispirare l'immaginazione di un volume espresso dalla dinamica sobrietà della forma). Nella sua elementare austerità e impraticabilità, nella sua varietà, rigorosa offerta di libera interpretazione, autentico contraltare del triangolo isoscele (quale logora sintesi visiva, facilitazione prospettica della piramide, con la sua retorica e surrettizia simbologia). Sopravvissuto allo choc, accetto la condizione e maturo la mia reazione: decido che la sagoma dello specchio, rinfacciatore privato che mi vede guardarmi, dev'essere modificata. Dovrà subire acconciature perimetrali tali da renderlo elastico come un sornione alterego e guardabile come qualsiasi interlocuore vivente.
Trovo allora che la assolutezza simmetrica, questo perfetto spaccato in due facce gemelle, altro non sia che una estrema forzatura della matematica artificiale, una accanita manipolazione che imbocca la via più facile per sottrarsi alla responsabilità dinamica: l'affidamento al calcolo duale, alla doppiezza, all'autarchia binaria. E che la stessa si renda ostica (a me) per il fatto non secondario di detenere l'assegnazione di una cifra di immobilità, di staticità improba, che rimanda all'assenza di respiro, di vita.
P. C.
Nota tecnica
Per dovizia di resa e per risparmiare stress al mastro vetraio - cui riconosco liceità di non riconoscersi astigmatico, nè, tanto meno, dall'argomento molestato - faccio presente che, in tutti quegli oggetti il cui dato proporzionale/costruttivo ne ha consentito fattibilità, gli angoli della battuta da tergo per alloggiamento di eventuale contenuto (consigliabilmente: specchio, e null'altro) sono retti, dunque danno luogo a quadrilateri regolari.
Titolo - FALSOPIANO
Essenza - Cipresso
Dimensioni - 65x55
Verticalità profili - Angolo più spesso basso dx
Titolo PIANO CHE FUGGE
Essenza - Castagno
Dimensioni 80x45
Posizionamento - Orizzontale
Orizzontalità profili - Parte spessa dx
Verticalità profili - Esterni
Titolo - TABU' IN FRANTUMI
Essenza - Noce ital.
Dimensioni 65x65
Posizionamento - Parte scura in basso a dx
Titolo - CANONE SOSPESO
Essenza - Mogano
Dimensioni - 150x85
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Esterno alto
Verticalità profili - Esterno dx
Titolo - L'ANGOLO DI RIFRAZIONE SI LUSSA
Essenza - Frassino
Dimensioni - 75x65
Orizzontalità profili - Esterno/int. basso
Titolo PERDITA DI SOSTANZA
Essenza - Pinop Cembro
Dimensioni - 120x60
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Interni
Verticalità profili - Interni
Titolo SVISTA SULLO SCEMARIO
Essenza - Douglas
Dimensioni 85x45
Posizionamento - Verticale
Orizzontalità profili - Esterno alto
Verticalità profili - Esterno dx
Titolo - BILICO
Dimensioni - 75x 50
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Esterno basso
Verticalità profili Esterni
Titolo - E IO MI DEFILO
Dimensioni - 155x 85
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Esterni alto/basso
Titolo - ORTOGONI ALLA MITE RICOTTA
Essenza - Obece
Dimensioni - 120x60
Posizionamento Verticale
Orizzontalità profili - Interni
Titolo - RIPIEGO
Essenza - Castagno
Dimensioni - 85x65
Posizionamento -Verticale
Orizzontalità profili Esterni
Verticalità profili - Esterni
Titolo - UN RESPIRO AL QUADRATO
Essenza - Frassino
Dimensioni - 60x60
Posizionamento - ........................
Orizzontalità profili - Esterni
Verticalità profili - Esterni
LE MACCHINE
Quello di costruire ingenui ed innocui macchinari da guerra, lavorando ed elaborando a partire da un legno, un ramo, un ciocco così come li ha trovati, è un altro campo esplorato dall'autore.