AMELIA CRISANTINO



2.4. LA CIVILTA' DELLO SPETTACOLO. GLI ALBORI  
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Il culto della bellezza era la natura stessa a suggerirlo, con la varietà dei paesaggi che si prestavano a fare da scenario. In età greca l'isola inseriva templi e teatri nel grande palcoscenico del Mediterraneo, in un'alternanza di micro e macrocosmo che per i teatri utilizza riferimenti cosmologici come la stella zodiacale a dodici punte. Anche le città possono presentarsi come apparati scenici: i galleggianti dispositivi urbani di Siracusa diventano un fondale, le macchine da guerra di Archimede hanno un impatto bellico ma anche teatrale.
A distanza di secoli gli Arabi sono dominatori che esaltano l'incanto dell'isola, in nome di una bellezza capace di avvicinarli alla perfezione divina. Trasformano le campagne in impianti scenici fatti di terra, piante e fiumi, spazi coltivati a cui sovrintendono esperti paesaggisti chiamati dal Nord Africa. Gli architetti utilizzano la pietra, l'acqua e la vegetazione per creare geometrie destinate a elevare la mente: le due figure predilette, il cubo e la sfera, simbolicamente rimandano alla terra e alla volta celeste.
I Normanni hanno esigenze diverse. Sono un popolo giovane, le manifestazioni spettacolari risentono del bisogno di mostrare la legittima potenza della dinastia. Mantengono molti usi arabi ma riprendono il cerimoniale della corte bizantina, i loro riti sono edificanti e didascalici. La riconsacrazione della Cattedrale di Palermo avviene in un tripudio fastoso, sottolineato dai cronisti che scrivono come i cavalli siano decorati con gualdrappe ricamate d'oro e d'argento, e di quanto siano preziosi i finimenti. L'obiettivo esplicito è di suscitare sentimenti di meraviglia, persuasione, venerazione, gli avvenimenti più importanti con cavalcate e luminarie, che ogni volta meravigliano gli ospiti e per cui Palermo diventerà famosa.
Per l'arrivo di Giovanna, figlia del re d'Inghilterra e futura sposa di Guglielmo II, lo spettacolo è notturno: la sposa è attesa da un corteo preceduto dai musicisti mentre - narra Ruggero di Hoveden nella sua Chronica - le luci erano tante che la città sembrava andare in fiamme ed ecclissarsi al confronto il raggio delle stelle nel cielo. Sono spettacoli che alimentano il mito di una Sicilia favolosa, tanto carica di esotismo da non temere di gareggiare con l'Oriente.
Per la morte dello stesso Guglielmo II, nel 1189, i cronisti raccontano come il pubblico lutto venga accuratamente programmato e diventi anch'esso spettacolo: scarmigliate e coperte di sacchi penitenziali le donne girano in processione per la città, precedute da uno stuolo di fanciulle che al ritmo martellante dei timpani riempiono le vie di tristi cantilene. Siamo lontani dallo spettacolo come passiva fruizione di una festa confezionata altrove: a Palermo, è un potere assoluto la cui sommità si avvicina al Cielo a mostrare la propria forza attraverso la ritualità delle feste.
Nell'isola, dalle monete ai palazzi la mescolanza delle culture produce un autonomo stile di vita. I Normanni ereditano dagli Arabi due paesaggi, destinati a essere tramandati nei secoli come il volto paesaggistico della Sicilia: nell'interno le aride colline destinate al grano, nelle pianure costiere un'agricoltura irrigua e fondi molto frazionati. Vi aggiungono parchi ornamentali ispirati all'ideale del paradiso islamico, e adottano il culto della bellezza come segno del potere anche nella costruzione di quei luoghi di delizie che sono i palazzi reali. Il cronista Romualdo Salernitano è il primo a scrivere del più celebrato, la Zisa, come di un palazzo alto e costruito con arte meravigliosa da Guglielmo I.
Nelle pagine di una altro cronista, Ugo Falcando, Guglielmo è immerso in un voluttuoso ozio quando gli sorride l'idea di arricchire il patrimonio architettonico di una città da tutti amata, dai conquistatori normanni che ne sono ammaliati e dai vinti saraceni che la piangono come la più amara delle perdite. Il re decide di far costruire un palazzo che superi ogni altra opera, e subito il locale melting pot comuincia i lavori: architetti e costruttori musulmani, indigeni e nord-africani in meno di due anni realizzano un capolavoro pensato per meravigliare. Il palazzo è circondato da giardini costellati di specchi d'acqua e attraversati da canali, "torri del vento" creano un effetto refrigerante nelle sale decorate; il giardino-paradiso è riprodotto nella sala della fontana, dove l'acqua scorre sino a congiungersi con le acque esterne: la Zisa è un luogo dal forte valore evocativo, una suggestiva rappresentazione dell'eden promesso ai fedeli islamici dove le componenti estetiche, sommate a quelle religiose, conducono all'elevazione mistica.
Nella dinastia regnante la fascinazione per la spiritualità esoterica convive con il gusto del potere, ma il regno normanno è già in crisi. I rinnovati progetti di espansione mediterranea di Guglielmo II - che attacca l'Egitto e le musulmane Baleari e poi, alla guida di una flotta di duecento navi, riesce a strappare Tessalonica ai bizantini - hanno il fiato corto: la Sicilia non regge una competizione economica che trova i suoi protagonisti nei mercanti delle repubbliche marinare, l'isola ha un ruolo coloniale. E rischia di fare la stessa fine degli Stati crociati in Terrasanta, presto divisi tra le colonie mercantili italiane e i cadetti della nobiltà europea alla ricerca di terre.
Guglielmo ottiene l'appoggio dell'impero romano-germanico, in un'alleanza suggellata dal matrimonio fra Costanza d'Altavilla - figlia di Ruggero II - ed Enrico, figlio dell'imperatore DFederico Barbarossa. L'unione è un riconoscimento della legittimità della dinastia normanna, sino ad allora contestata dalla corona germanica, e sulla carta realizza la temuta unione fra il Meridione d'italia e l'Impero. Preoccupazioni che forse sembrano eccessive: Guglielmo non ha figli ma è ancora giovane, pare improbabile che alla sua morte il trono possa passare a Costanza ed Enrico.
Ma nel 1189 il re muore senza eredi, lasciando grandi nostalgie per il suo regno subito rimpianto come una mitica età dell'oro. La nuova monarchia in cui la Sicilia si ritrova inglobata schiaccia i possedimenti della Chiesa, suscitando molte preoccupazioni nel papa e nelle città lombarde. Ma anche nei baroni di Sicilia.

AMELIA CRISANTINO