BIOGRAFIA
Giuseppa D'Agostino nasce a Palermo nel 1958. Sposata, due figlie, vive ed opera a Monreale. Ancora bambina, dimostra una spiccata
tendenza per diverse forme artistiche, favorita da un ambiente familiare
particolarmente creativo e dagli insegnamenti ed incoraggiamenti paterni.
Frequenta l'Istituto d'Arte per il Mosaico di Monreale, dove si diploma
"maestro d'arte". Ma il più profondo interesse e la dimistichezza con
gli "strumenti" della pittura la spingono naturalmente verso questa
disciplina, di cui è sostanzialmente autodidatta. La scoperta della spatola e
della bellezza materica del colore fanno esplodere in lei ancora ventenne,
l'urgenza di esprimere, attraverso la produzione pittorica, l'incontenibile
carica d'emozioni, passioni, sentimenti di cui la sua anima trabocca.
L'irrequieta vitalità e la gioia di vivere
della D'Agostino si scontrano via via con la drammaticità degli episodi che
costellano nel dolore e nella sofferenza i momenti della sua vita operativa e
del suo ambiente di lavoro. Da qui un trasporto ed un'attenzione verso le
problematiche esistenziali, che fanno della vita, della morte e di tutti i
perchè del quotidiano il perno dell'agire e del vivere dell'uomo. Una prolifica
produzione (olii su tela, su faisite e carta) evidenzia - in circa vent'anni di
attività - queste tematiche, inframmezzate da squarci di serenità in cui
la luce prende il sopravvento nel suo linguaggio cromatico e formale
prevalentemente duro, amaro ed a tratti "oscuro": paesaggi urbani
spettrali, misteriosi "figure" vaganti o immerse in
"gironi" dalle atmosfere rabbrividenti, fiori materici, maternità
drammatiche ed improvvise esplosioni di colori e di luce in fiori giganteschi
di anelati paradisi...
Il "diario" spirituale della
D'Agostino - una vera e propria autoanalisi psichica - trova il punto di
contatto supremo nel rapporto estetico col fruitore, che fa propri i dilemmi
esistenziali della pittrice, di per sè universali, comunque.
Ed è la compartecipazione ed il
coinvolgimento dei visitatori delle sue mostre che determina ancor più il
successo del lavoro dell'artista palermitana, a giudicare dalle numerosissime
frasi che cittadini di varia estrazione e nazionalità lasciano volentieri sui
registri di sala: " Le nouveau monde est en Sicile, probablement: un grand
merci", oppure; "Una pittura sofferta, che colpisce profondamente il
cuore e la mente"...
Pina D'Agostino raggiunge così,
soprattutto in questi ultimi tre anni, un altissimo risultato espressivo,
attenzionato ed apprezzato dunque dal pubblico e dalla critica, e suggellato
dal conseguimento dei primi premi, dalle inequivocabili ed eloquenti
motivazioni, quale quella, ad es., del premio Liolà del luglio 2001:
"Capace di donare un senso aurorale a uno dei topoi più usati, ed abusati,
della pittura d'ogni tempo: la natura morta".
...Vasta e variegata, quanto possono
custodire, e tanto contenere ancora, le profonde e capienti "cantine
dell'anima" di questa sensibile e "sensitiva" artista.
Dal catalogo
SUSSURRI E GRIDA
Opere 1999-2001
(Città di Caltanissetta)
" LA VIOLENZA COSTRUTTIVA DEL TERRORE"
di Pino Schifano
"Verrà per tutti la luce...ma io sarò
sola nella mia notte?"
La sconcertante analogia - più rimarchevole
in quanto inconsapevolmente ed involontaria - tra la problematica (pittorica,
musicale, teatrale) espressionista e questa sorta di via crucis laica ch'è la
confessione per quadri di Giuseppa D'Agostino, acquista, di tappa in tappa,
maggiore spessore e più rilevante valore artistico.
Nè valgono a smorzare la forza
drammaturgica delle sue "visioni" il più frequente incidere verso le
aurorali (o vespertine?) luminescenze dei suoi più recenti paesaggi o
l'esplosione cromatica dei suoi fiori, restituiti ad una prorompente vitalità,
mal frenata dai centrimetrati limiti della tela o della carta.
Resta il dramma, dunque, nella narratio
d'una sempre latente crisi esistenziale della D'Agostino - che pur tutti
ci attanaglia, nel comune denominatore dell'insicurezza - per cui la spettrale
sequela dei suoi incubi pittorici, le zone d'ombra della sua anima (lacerata
dal presagio del possibile ancor più che dall'angoscia dell'imprevedibile),
paradigma della sua coscienza individuale, si fanno specchio d'una inconscia
Angst collettiva, mentre i suoi sentimenti, le paure, le speranze trovano nei
cupi colori della notte il senso della verità, che tristianamente vacilla
nell'ambiguità ingannevole del giorno.
E' un percorso ad ostacoli, quello che la
sensibile artista palermitana compie attraverso la sua ricerca espressiva, in
cui gl'impulsi interiori, le scelte cromatiche e l'ansia di Luce s'incanalano
in soluzioni formali tutte e singolarmente coinvolgenti; in cui armonia
visibile ed armonia invisibile combaciano, in forte connotazione
identificativa.
Un "dramma a stazioni", si
direbbe con Strindberg, la produzione pittorica di Pina D'Agostino: sovente dai
concetti oscuri e terribili, talora dai temi gioiosi e malinconici, tanti,
comunque, e diversi, quanti i suoi altalenanti stati d'animo. E come nella
struttura drammaturgica strindberghiana, un percorso che parte dall'Io, che si
sviluppa nella ricerca del "Cammino", verso città e paesaggi
finalmente fuor dalle brume, dove il nascere di una nuova creatura o lo sbocciare
di un fiore siano segni solari veri di rassicuranti orizzonti di vita.
EVOCAZIONE E LIRISMO
di Aldo Gerbino
EVOCAZIONE E LIRISMO
di Aldo Gerbino
I percorsi di Giuseppa D'Agostino, come
avemmo a rilevare per altre espressioni dell'arte figurativa siciliana,
conferiscono una loro peculiarità all'esistenza visiva, al cordolo ampio e
sinuoso della natura, appena costruito sul nodo solingo della percezione.
A
questa funzione dello spirito, essa assolve fin dagli inizi del suo controverso
percorso, imprimendo sempre più il collante della coerenza alla ascesi e
al ritorno nel tempo privilegiato della mediterraneità. Una condizione vissuta
dall'Autrice come categoria interiore, assunta quale necessità di esplorare se
stessa nel mondo e ricrearlo attraverso il piano d'intersecazione tra realtà e
fantasia.
Le sue percorrenze figurative, mosse su
quel diorama di città e nature morte, figure femminili, materne e sensuali, e
icone floreali, mostrano una sorta di esasperata angoscia, restituita ad una
disforica passionalità. Una tensiva dimensione nella quale emblema e realtà si
raccordano, si amalgamano e si depositano sul piano della ricognizione e della
analisi. L'essenza di una palpabile umanità che vive e agita il mondo non è
certo condizione pronta a limitare quel versante del discorso naturalistico
alimentato dalla emotività della D'Agostino; nè tantomeno pone limiti sulla
responsabilitàlirica che la pittrice impone al racconto della dissipazione
naturalistica, pur con qualche concessione alla retorica. Dimostra, comunque,
l'impossibilità di un sogno, mostrando, con semplicità, lo iato tra desiderio,
contesto naturale e realtà. Ma i temi cari alla D'Agostino, sempre
malinconicamente avvolti da una lieve tensione creativa, la coinvolgono nella
embrionaria enunciazione poetica per quel disporre le utopie col marchio della
natura, soffuso di contrastanti passionalità mosse tra meditazione e accensione
lirica, condotte lungo le tracce floreali, le aurore incipienti, lo scavo del
corpo. Una vocazione - questa - adatta a colpire l'oggetto di riflessione nel
suo stato interiore, per poi manipolarlo in virtù della sua maggiore densità.
Ciò particolarmente viene sostenuto dal lavoro operato sul paesaggio
dell'anima, variazioni di luce, asseramenti, alberi, giochi in controluce. Ogni
cosa sedimenta il suo spazio visivo in una sorta di lirico e contenuto
espressionismo. Nel suo perimentro vi affiorano fuggevoli sensazioni informali
tendenti ad un impercettibile chiarismo, il tutto sganciato da quella
"angustia" e da quelle " angosce della pittura
moderna" denunciate da Raffaele De Grada (per altri artisti isolani) tanto
da evidenziare, anche in questa pittrice, lo scrigno di una recuperabile
"serenità". Il tutto pervaso da un'altra vocazione: parlare con se
stessa, riaprire il dialogo con certi interni struggimenti, riappropriarsi del
senso della solitudine, dal quale ambito affiorano i più recenti lavori
pittorici. Nel tentativo di superare ogni conflitto le cifre della
"flora", della umanità femminile, della natura si sforzano di
diventare fremiti del pigmento, interrogazioni, in quanto vi è la spontanea
consapevolezza che la "forza evocativa", come suggerisce Salvo
Ferlito, possa essere capace, da sola, a suffragare qualunque forma d'anima e
la sua inestinguibile ansia.
Dal catalogo "VISIONI" Opere
2000 - 2004
Crepuscolo,
olio su carta, 2003 cm 50x70
I NUCLEI
OSCURI DELL'ANIMA di Pino Schifano
C'è una domanda, al cospetto del complesso
scenario-onirico, visionario, metaforico, poetico - della vasta produzione
artistica di Giuseppa D'Agostino, che mi torno a porre ogni volta che m'accade
di dire o di scrivere di lei: quanto, di ciò che dipinge, è il prodotto d'un
transfert medianico? Quanto è causale e quanto intenzionale?
La coerente linea evolutiva della sua
creatività, nella sostanziale costanza tematica e stilistica, mentre legittima
l'interrogativo, ne delegittima al contempo, di fatto, l'urgenza e la
necessità. Perchè questa artista, che torna sempre a colpire pubblico e critica
- nazionale e d'oltralpe - con la forza dirompente dei suoi raggelanti soggetti,
così come li seduce con le fantasmagorie dei suoi fiori o le sfumate atmosfere
di rarefatti paesaggi, t'imbriglia in un coacervo di emozioni e di sensazioni
dalle molteplici valenze estetiche, ma in primo luogo etiche. Giuseppa
D'Agostino, da circa un ventennio e soprattutto da un lustro, realizza insomma
quel che Franz Kafka riteneva fosse lo scopo - e l'effetto - del lavoro di un
artista (lo pensava per i libri, ma il concetto vale anche per la pittura come
per qualsiasi altra forma d'arte): "Un libro deve essere una piccozza, per
rompere il mare gelato che è dentro di noi. Se il libro che abbiamo per le mani
non ci sveglia, come un colpo di maglio sulla testa, allora non è degno di
essere letto". E' l'estetica fondamentale dell'Espressionismo, di cui Pina
D'Agostino sarebbe stata certamente rappresentante di spicco, allora, come lo è
oggi, incarnandone modernamente - in modo istintivo, originale e
personalissimo, e con tutte le più intense pulsioni tardo -romantiche- i
postulati, gli stilemi, tutta la forza "rivelatrice" dei suoi
messaggi.
Quelli, però, nel suo caso, che nel
conflitto tra reazioni esistenziali e psichiche tentano di risolvere la
fenomenologia del negativo per l'affermazione del "coraggio di
essere". Tutto nell'opera complessiva della D'Agostino trae forza
espressiva, formale e poetica da tale conflittualità, che trova aperto e
smisurato campo d'azione nella sua anima in perenne bilico fra luci e tenebre,
tra l'ardente e passionale desiderio di vita, il presagio dell'imprevedibile e
l'angoscia annientatrice della morte. Ed è qui che l'assunto kafkiano diviene
pregno di effetti. Perchè l'Einfuhlung che si determina tra la pittrice ed il
pubblico fa sì che il dilemma esistenziale personale, il dialogo con sè stessa
che l'artista compie sul lettino psicanalitico della sua tavolozza, la sua
coscienza individuale, si fa segno interpretativo dell'inconscio collettivo, di
un'angoscia e di un vuoto che è respiro affannoso del tempo in cui viviamo, di
quell'ombra minacciosa dei nuovi incubi che macchiano di sangue, di fuoco e di
fumo le pagine orrende della Storia che l'umanità sta scrivendo: pagine che
hanno per l'appunto i colori chiave delle opere della D'Agostino, i rossi, i
neri, i grigi - ma che sanno anche illuminarsi dell'intesa luce della speranza,
nelle calde tonalità del giallo e dell'arancio, nelle sfumate velature dei
violetti, azzurri, turchese fino alla radiosa rarefazione del bianco. Si diceva
di coerenza e di linea evolutiva. Non c'è contraddizione nei termini perchè
l'urgenza del messaggio - o, più propriamente, delle premonizioni - si
consolida, nella più recente produzione, nella formazione, anche quantitativa,
di veri e propri cicli, per cui le problematiche esistenziali della pittrice -
i fondamentali "perchè" - si esplicitano in "figurazioni"
che aprono un ampio squarcio visionario e metaforico sui temi eterni della
vita, della morte, della natura. Quattro opere della D'Agostino, in particolare
rappresentano la sua più drammatica "visione" della vita: la Maternità, connotate rispettivamente dai
predominanti nero, grigio e rosso. Molto di più di un colpo di
piccozza...Soprattutto la seconda, in cui l'artista scava più nel profondo
della sofferenza del parto che non nella gioia della nascita di una nuova
creatura. La morte suggerisce alla pittrice dolorosi interrogativi. In Lacerazione la luce d'intenso giallo di una
emblematica sagoma antopomorfa viene spezzata da oscure linee trasversali
(lance, frecce, spade...?), mentre vari Cammini sono percorsi da Cortei di misteriose, pietose figure
(anime, fantasmi, penitenti...?). Das Klagende Lied pittorico. Evocazioni di Parche rimandono a classici simbolismi
mentre lancinanti Crocifissioni squarciano orizzonti di luce e di
fede. E' tuttavia la realtà del quotidiano che si offre alla rappresentazione,
ed i suopi tragici echi (Vanitas, Thanatos) sfociano in Fosse comuni o nella recentissima Sala settoria (2004) che come per la Maternità, sembra scaturire dai più
iperattivi lobi cerebrali della D'Agostino: un'esplosione di rosso sangue prorompe
da un corpo (adulto, adolescente, uomo, donna...?) disteso sul tavolo
operatorio, la cui marmorea linea scompone in due piani separati la tela,
dalla stesura astratto-informale, attraversata nella parte superiore da
inquietanti sagome umane (medici, aguzzini, terroristi...?) Siamo oltre la
premonizione, stiamo dentro la cronaca... Anche la Natura è raramente madre
generosa e suggerisce alla pittrice visioni di allucinati paesaggi urbani,
intricate foreste, infiorescenze materiche quando non addirittura conturbanti (I
Fiori del male), indipendentemente dai casuali o coincidenti riferimenti
letterari... E' tuttavia sovente, ora, affiorano squarci di solarità dilagante;
incantati, evanescenti effetti coloristici in Paesaggi fantastici, riverbero di quell'anelito,
di quella ricerca d'una felicità perduta, ama ancora possibile, d'un paradiso
perduto, ma ancora rintracciabile e tutto, ancora, da vivere... Ecco: la
tecnica di Pina D'Agostino è conseguenza diretta del suo transfert, segue le
istintuali evocazioni con al forza e il dinamismo che lei ha sempre impresso
nell'applicazione della materia pittorica (sulla tela, sulla carta, su
faesite); una tecnica gestuale, ampia, che dà sfogo alla spatola e libera
energie cromatiche dense e cupe, come accese e trionfanti di luce. Tra
esaltazione ed abbandoni, la sua anima naviga con ondulate Vele verso Paesaggi di mezzo e Terre di confine, con incursioni sempre più
frequenti nei misteri dell'Altrove. Oskar
Kokoschka riteneva che Eduard Munch fosse stato il primo uomo ad entrare nell'
"Inferno moderno" e a ritornare per descriverlo. Con le debite
proporzioni, penso che Giuseppa D'Agostino sia la prima donna a tentare di fare
altrettanto.
Città, olio su tela 2001 cm70x100
Città, olio su tela 2001 cm70x100
Dal Catalogo "FRAMMENTI
D'ANIMA"
Comune di Capo d'Orlando-anno 2005
VIAGGIO SULLE VIE DELL'INFINITO di Pino Schifano
L' "imago della fatal quiete" si
popola di nuovi fantasmi, mentre l'alba della vita si carica di più cupi
presagi, di laceranti dilemmi. la galleria psichica di Giuseppa D'Agostino
espone i frammenti della sua anima, tenebre e bagliori, oscure premonizioni e
folgoranti speranze. la stessa titolazione di queste sue più recenti opere
sembra obbedire ad una esigenza d'ordine catalogico nel già ridondante archivio
della sua coscienza; una sorta di riflessione, partecipata e distaccata a un
tempo, su un arco produttivo in cui la spontanea germinazione dei suoi
"cicli" pittorici ha via assunto la dimensione del "poema";
e quindi foscolianamente definibile quale alta, lirica meditazione sul mistero
del grande "passaggio", sull'eterno processo della vita e della
morte, ma con un più pressante bisogno, fra contemplazione ed anelito, di
ormeggiare verso lidi in cui lievemente soffia il sospiro della malinconia più
che l'onda agitata del pessimismo. Perchè, alla fine, tanta effusione
epitimbica (Il giardino della memoria, Memorie, Inhumatio) della più drammatica
pittura della D'Agostino non è mai stata, nè tanto più lo è ora, un mero
"memento mori". L'espressionistica verità premonitrice di questa
ardente e visionaria pittrice ha saputo sì cogliere il senso dolente, se non
addirittura tragico, dell'esistenza umana, ma facendosi soprattutto interprete
di un'angoscia collettiva, oggi sempre più alimentata dal dramma
dell'insicurezza. Un grido d'angoscia sale nel nostro tempo, avvertiva Hermann
Bahr agli albori dell'Espressionismo storico. Anche l'arte urla nelle tenebre,
chiama al soccorso, invoca lo spirito. Ecco il senso della preveggenza per gli
artisti, ecco la loro capacità - che Giuseppa D'Agostino possiede in sommo
grado - di analizzare il "possibile assurdo". C'è chi ha immaginato
tale facoltà come un vero servizio, che l'artista è capace di offrire
all'umanità. Penetrare nei problemi del tempo e documentarli. Ma con l'occhio
dell'anima che sa farsi linguaggio artistico. Pina D'Agostino ha accentuato,
con le sue vigorose marcature cromatiche (sempre più intense le vibrazioni dei
grigi, dei neri, dei rossi) ed un uso discorsivo del polittico (Resurgerunt,
Omaggio a un bambino mai nato) pensosi momenti ideativi che assumono di per sè
anche una fortissima connotazione e valenza simbolista. E come per tutte le
opere simboliste, accade che "l'artista vede meglio di quanto egli stesso
non possa pensare" (Medea tra noi"). Pina D'Agostino affronta la tela
candida nella nudità della sua anima. Ed è come se la spatola fosse dominio d'una
forza sovrumana "altra", che via via imprime "quelle"
immagini del terrore (L'ombra, Lacerazione, Sala settoria). Nel mondo, intanto,
impera il dominio della paura, l'angoscia dell'imprevedibile. Nell'immenso
palcoscenico della nostra vita è in corso - senza intervalli - lo
"spettacolo della fine" (Ground Zero). Non nasce per caso, oggi, la
popolarità di artisti come Munch, o come Max Beckmann capaci di far intuire e
"prevedere", con la loro forza descrittiva, situazioni e sviluppi
della società e della storia. C'è il caso che le tele di Giuseppa D'Agostino si
portino..."cattive notizie" (Mietitura). Soccorre John Russell: Ma
cosa accade se i simboli che l'arte ci offre sono vitali per la comprensione
del mondo e non possono essere trovati altrove?
Di fronte a tanta pseudo arte
"consolatoria" e ripetitiva, quella di Pina D'Agostino sa farci
immergere nella realtà per meditarla e guardare al futuro con la consapevolezza
del nostro disagio. Ma nache offrendoci un messaggio di grande fiducia, di
irrinunciabile speranza (Il giorno dopo, Il primo giorno). Indicandoci la
strada, entrando nel suo luminoso paesaggio "globale" (Paesaggio, V'è
un angolo di luce). Al di là della semplificazione simbolica della titolazione,
i suoi paesaggi non hanno infatti identificazione alcuna. Sono luce universale.
Una inner light (luce interiore) che R. W. Emerson preconizzava quale forza
modellatrice delle leggi naturali. Una pittura senza confini concettuali, senza
limiti di comprensibilità ed empatia; che guarda ad una natura che sia finalmente
promessa di una nuova, sfolgorante primavera (Raccolto di primavera). I
"frammenti d'anima" di Pina D'Agostino non riflettono più, allora,
quelli di un mondo che va alla deriva. Non più fantasmi di morte o di
disgregazione, ma nostalgia di una unità perduta e luce che ne illumina la
ricomposizione (Teorie di luce). La storia vissuta come incubo (Cellule di
storia), grazia all'arte rivela la verità della condizione umana e ne traccia
il cammino salvifico.
Giuseppa D'Agostino vive con tutta se
stessa il Menscheidammerung (il crepuscolo dell'umanità) ma ne sa dipingere
l'alba in questo suo eloquente e contemplativo viaggio sulle vie della vita. E
dell'infinito.
GIUSEPPA D'AGOSTINO
Il felice tormento dei sensi
di Maria Antonietta Spadaro
I paesaggi, opere su carta, di Giuseppa
D'Agostino ci investono come un respiro d'aria: natura, nuvole, vento, vengono
proposti attraverso un'appassionata semplicità e una sicurezza quasi ingenua,
ma capace d'imbrigliare la luce con i ritmi a volte convulsi dell'informale.
Una gestualità filtrata dall'emozione, certo, che sconfina in dimensioni
profonde della coscienza, trovando sintesi acute, a volte lievi a volte
sofferte. La "Pittura Pittura" della D'Agostino, dalla tela alla
carta non muta registro espressivo, soltanto la perdita della consistente
matericità delle tele, nelle carte, lascia liquefarsi l'emozione, di forme
evocate, in velature la cui lucidità si carica di vibranti suggestioni. La
pittura, intesa come processo liberatorio di pulsioni interiori non reprimibili
(ora che l'arte della guerriglia" - quella che rifiutava la pittura
stessa, la figurazione, ecc. - costituisce un fenomeno storicizzato), ritorna a
farsi prepotentemente vitale, così l'opera riconquista la sua eloquente
presenza per aiutarci a comprendere meglio il mondo, la natura, noi stessi, e
ci permette di accedere alle regioni sconfinate dell'irrazionale. Della
Sicilia, della Monreale in cui vive, dei luoghi diversi visitati nei viaggi, ma
mai resi in maniera didascalica, ci parlano le composizioni quasi astratte - se
non fosse per la presenza costante dell'orizzonte - della D'Agostino, le cui
forme, determinate da segni e stesure cromatiche giocate con maestria,
scaturiscono da inquiete memorie, stratificate nel vissuto e mobili come un
vetro incandescente, che trova infine la sua forma. Così come il tema della
figura, ciclo anch'esso molto trattato dall'artista, ci mostra esseri
scarnificati ridotti ad ombre o addirittura a scheletri, anche i suoi paesaggi
si esprimono attraverso una marcata essenzialità di motivi: sia che la luce
accenda paesaggi naturali o alluda a luoghi urbanizzati, sempre svelati
da una modulata tavolozza, questi hanno talvolta il sapore acre dell'abbandono,
ma anche della speranza e della rinascita. E allora il destino, non più
ineluttabile, si fa progetto, attraverso l'esaltazione dei sensi, l'ebbrezza
del sogno e persino la vertigine della solitudine. Il percorso pittorico scelto
da Giuseppa D'Agostino è arduo, tuttavia non le mancano l'umiltà e la grinta
necessari per tradurre nel suo lavoro d'artista la propria visione del mondo,
in quel difficile equilibrio, che mi piace definire con un ossimoro: felice
tormento dei sensi, in cui ci conduce una pittura ricca di umori inquieti e
contrastanti.
Giuseppa D'Agostino
Scheda critica a cura di Maria Antonietta
Spadaro
E' inevitabile che il vissuto riaffiori
nelle nostre opere, nel nostro impegno: per vie insospettate e nei modi più
strani: Nel lavoro di un artista tutte le esperienze, persino quellE
apparentemente più lontane dall'arte, finiscono col fare parte di un bagaglio
di emozioni private, che nutrono e sostanziano il messaggio estetico.
Inevitabilmente l'urgenza di trovare un mezzo espressivo, comunicativo, rivela
e porta con sè esigenze profonde di valori da esplicitare.
Giuseppina D'Agostino, che ha scelto il mezzo
dell'arte come più consono al proprio essere, conosce, per lavoro, le
sofferenze fisiche dell'uomo e ne coglie il tragico, riconducendolo al dramma
dei miti classici e ri-attualizzandolo nella dimensione contemporanea che,
proprio in questi ultimi tempi ci pone davanti a fatti tragicamente
inquietanti sia nella dimensione del privato che in quella di intere
popolazioni straziate da assurdi conflitti.
Il dramma di Medea rinasce nei casi
irrisolti di uccisione di piccole creature appena nate, ma anche nella
problematica dell'aborto: così la tragedia sublimaat nel mito diventa
inquietante tematica d'attualità. Euripide ci ha posto enigmi di enorme
portata, le sue vicende continuano ad affascinarsi e angosciarci. Medea dice:
<Tutto è deciso. Ucciderò i miei figli, subito, e me ne andrò da questa
terra; non voglio abbandonarli in altre mani, ben più nemiche delle mie. E'
inevitabile che muoiano, e se così dev'essere, io li ucciderò, io che li ho
messi al mondo... ".
E Medea, nipote di Circe, una maga, non ricorre
in questo caso a opere di stregoneria ma, soffrendo atrocemente, si riprende la
vita che aveva dato ai figli.
Si rimane atterriti quando solo si pensa
alle profondità del nulla. Ecco, le opere della D'Agostino ci conducono a volte
a sfiorare certe soglie segrete dello spirito. Noi separiamo e spesso
chiudiamo, in modo precauzionale (per sopravvivere), in blindati compartimenti
i misteri della vita: l'incompiutezza dell'esistenza, il limite del vuoto,
l'angoscia del nulla, l'inconcepibile vastità dell'universo...
E' l'anima prigioniera del tempo fugace
dell'esistenza umana? Cosa troviamo al di fuori della vita? Solo sordi lamenti
mitigati da sconcertanti menzogne?
La nostra lotta per sconfiggere la
negatività è immane: il male in conflitto precario e perenne con il bene. E
allora si scava nelle dissonanze alla ricerca di verità nascoste o crudelmente
inesistenti, interrogandosi sul passato e sul futuro, perchè il presente
fluttua sempre tra l'origine e la fine di tutto.
L'origine di tutto e l'incognita del
nulla, mistero della vita e infinito dolore, sono temi ardui da affrontare, che
nelle tele della D'Agostino trovano una forte espressività, nel senso che le
angosce esistenziali, la sofferenza, la soglia della vita oltre la quale il
mistero, la lotta della razionalità sull'irrazionale, divengono forme che
lacerano con coraggio le reticenze. Si ritrovano accordi, echi lontani, formali
e tematici, con le opere del periodo più inquietante di Goya, quello della
serie dipinta nella Quinta del
Sordo (1819-1823), dove, tra
mitologia classica e miti popolari, si snoda una narrazione visionaria dai toni
cupi e sinistri. In particolare, in Saturno
che divora un figlio (Museo
del Prado), la disumana violenza distruttiva dell'uomo si esprime nei modi
forse più agghiaccianti della storia della pittura.
La tragedia sublime dei miti, come la
mititca follia di Medea, rivela l'incognita del nostro non comprendere del
tutto la realtà e le cose. L'inquieto disagio delle scelte, anche se obbligate,
rende l'esistenza prossima ad un baratro continuo.
Il ciclo dei dipinti su Medea elabora tematiche legate alla
maternità, tema del resto trattato autonomamente dalla D'Agostino in altre
opere, sempre inquietanti nel rendere il tema della nascita dell'individuo nel
mondo, come sofferenza ancestrale. privare l'uomo della sofferenza,
dell'ispirazione di colpe ataviche, provocherebbe forse un vuoto ancora più
tragico? Il cammino verso la fine è un continuo filtrare le esperienze,
avvolgendole con cura nei meandri misteriosi della memoria, poi scoppiano i
traumi e si genera il caos. Queste terribili angoscianti vicende danno
dell'uomo un'immagine che la D'Agostino riesce a rendere senza mai cadere nel
patetico. Entrare nel nucleo delle sofferenze è come rischiare di contaminarsi,
per questo si è spesso riluttanti e per questo si apprezza il coraggio di
un'artista, che non rifiutadi gettarsi a scavare nel torbido elemento fatto dai
dolori dell'umanità. E' un corpo a corpo vissuto con lucida determinazione che
raramente si trova in una donna, ma quando ciò avviene nulla può frenare quella
furia istintiva di sincera denuncia dei mali del mondo.
L'orrore infinito della guerra, il furore
distruttivo dell'uomo, esplodono in alcune tele dove la difficile scelta
di mostrare i drammi collettivi, effetti della crudele ferocia bellica,
trovano ancora una volta, con coraggio, esiti compiuti.
Quando l'immagine riesce a divenire vera,
assoluta, nell'opera, si è compiuto il miracolo dell'arte.
Le figure-ombra, scarnificate e dolenti,
sembrano prefigurare dimensioni inaccessibili eppure vicine. Esse, le figure,
non vogliono arrenderi al nulla: la loro fragile essenza, quasi di vetro, si
oppone nonostante tutto alla decomposizione delle forma in una eternità senza
sostanza. Attraverso il grido sordo di colori sbiaditi o neri e rossi violenti,
abissali silenzi ci opprimono e l'uomo trascolora nell'indistinto.
E' scomparso l'individuo, la follia ha
preso il sopravvento, ogni cosa inanimata espriem sconcertante angoscia:
scolora la gioia di essere nel mondo. Le figure sono visibili ma inafferrabili,
perchè istintive nebulose repulsioni frenano l'istinto di toccarle.
Alle piccole vittime innocenti...
è un'opera in cui l'orrore ci attanaglia e
vorremmo fuggire.
Le variazioni cromatiche del paesaggio
seguono armonie precise che condensano, nel rosso della figura, un grido
trattenuto di rabbia. La verità dell'opera è assoluta e ciò la rende compiuta
nell'espressione di una realtà,che in questo caso rivela esiti di crimine. Chi
ha avuto l'ardire di trasmettere con l'arte il tragico, spesso ha rischiato di
non trovare le giuste note per esprimere l'urlo più acuto e straziante: la
D'Agostino è riuscita a trovarle. Emozioni forti, rivissute spesso nel
sogno, rielaborate cioè dall'inconscio e tradotte infine nell'opera, sono
davanti a noi.
Ecco, riprodurre attravero un'immagine lo
strazio prodotto da un atto violento: non si tratta di una foto-documento della
polizia criminale. Si tratta di concepire trame sottili in cui si cattura
l'angoscia, l'infinita pena per un delitto avvenuto.
L'intrigo narrativo, superando lo sguardo
abituale, come un'ombra, offre una diversa percezione della realtà.
Non troviamo dei simboli, il discorso è
diretto: l'immagine è lì, senza altra ambiguità, che se stessa e il suo senso
profondo. Il transito terreno di noi uomini è un respiro: molte opere della
D'Agostino hanno titoli quali: Ombre ovvero Segreti o Vanitas o Memorie, Respiro: dieci secondi, in cui le figure
rappresentate hanno ben poco di normalmente umano. E ancora, più esplicitamente Cellule di storia, Caino, Il giardino della memoria, Pezzi di guerra, Striscia di Gaza 1 e 2, Lacerazioni, Thanatos in Thalassa, sono opere che
scavano nel cuore delle violenze perpetrate dall'uomo.
Un'oscura luce rivela corpi, ormai
scheletrici, la cui sostanza immateriale è l'estremo dell'essere, sublimazione
e rinunzia, demoniaca ambiguità del non essere.
le lievi sostanze dello spazio coagulare
nei paesaggi, privi dell'essenza del tragico dlle opere di cui si è detto,
nella modulazione di grigi, azzurri, ecc. trasfigurano le forme in inquiete
armonie.Rima la nebbia, quella che ci impedisce di comprendere le essenze più
nascoste della natura, ma nel contempo ci traduce tutto il fascino dell'ignoto
e del mistero delle forme. La natura è lo spazio su cui il tempo deposita le
azioni dell'uomo, ma anche le metamorfosi provocate dai suoi stessi
incontrollabili processi.
Vogliamo lasciarci stupire dai fenomeni
della natura, con quella romantica ingenuità che ci sorprende ogni volta
davanti a certi scenari che essa ci offre? Senza ricorrere a banali effetti
luministici, così la D'Agostino ci conduce verso esiti formali e cromatici che
suggestionano e rimandano a luoghi remoti e sconosciuti, ma pur sempre
possibili.
Il dissidio è in noi? Le armonie sono
effimere come le gioie.
"Vivere vorrei
d'altre cose
il cuore colmo
di piombo
ha reso
pesante il fardello
l'anima
tace
riprende il
viaggio a ritroso
nasconde
il sospiro
silenziosa
aspetta
che
giunga il confine."
Giuseppa D'Agostino
R.M.