GUY DE MAUPASSANT: ricordo monrealese



Ricordo monrealese
di 
GUY DE MAUPASSANT 


(da "VIAGGIO IN SICILIA" - 1890) 

veduta dal Palazzo Cutò



Così i briganti sono scomparsi e tuttavia rimangono le sentinelle sulla via di Monreale. 
La strada aggira la montagna ed arriva finalmente nella città, originalissima, molto colorita e tremendamente sporca. 
Le strade a scalini sembrano pavimentate con denti aguzzi. 
Gli uomini si avvolgono la testa in fazzoletti rossi, alla maniera spagnola. 
Ecco la cattedrale, insigne monumento, lungo più di cento metri a forma di croce latina, con tre absidi e tre navate, separate da diciotto colonne di granito orientali poggianti su un basamento di marmo bianco e uno zoccolo quadrato di amrmo grigio. Il portale, veramente stupendo, fa da cornice a magnifiche porte di bronzo, eseguite da Bonannus civis Pisanus. 
L'interno dell'edificio mostra ciò che si può vedere di più completo, di più ricco e di più impressionante per quanto concerne la decorazione a mosaico su sfondo dorato. Tali mosaici, i maggiori di Sicilia, ricoprono interamente le pareti, con una superficie di seimilaquattrocento metri quadrati. Figuratevi queste immense e superbe decorazioni che illustrano, in tutta la chiesa, la favolosa storia dell'Antico Testamento, del Messia e degli Apostoli. Sul cielo d'oro che apre tutt'attorno alle navate, un orizzonte fantastico si vedono stagliarsi più grandi del naturale, i profeti che annunciano Dio Cristo venuto sulla Terra e quelli che vissero con lui. In fondo al coro una fugura immensa di Gesù somigliante a Francesco I, domina l'intera chiesa, sembra riempirla e schiacciarla, talmente possente ed enorme e la strana immagine. Dispiace che il soffitto, distrutto da un incendio, sia stato rifatto nel modo più maldestro. la tonalità chiassosa delle dorature, con i colori troppo vivaci,  e tra le più sgradevoli per l'occhio. 
Si entra poi nell'antico chiostro dei benedettini vicinissimo alla cattedrale. Chi predilige i chiostri vada a passeggiare in questo: dimenticherà quasi tutti gli altri visti in precedenza. Come si può non adorare i chiostri, i luoghi tranquilli, chiusi e freschi, inventati, a quanto sembra, per far nascere il pensiero, che sgorga dalle labbra profondo e chiaro, mentre si procede a passi lenti sotto le lunghe arcate malinconiche? Appaiono proprio creati per generare la meditazione questi viali di esili colonne, atorno ad un giardinetto che riposa lo sguardo senza smarrirlo, senza trascinarlo via, senza distrarlo. 
Tuttavia i chiostri delle nostre regioni hanno spesso una severità un pò troppo monacale, un pò troppo triste, persino i più leggiadri, come quello di Saint Wandrille, in Normandia. Stringono il cuore e rabbuiano l'anima. Si vada a visitare il chiostro desolato della certosa della Verne, nelle selvagge montagne delle Maures. Fa venire il freddo fino al midollo. 
Il meraviglioso chiostro di Monreale suggerisce invece, alla mente una tale sensazione di grazia che ci si vorrebbe rimanere quasi all'infinito. E' immenso, perfettamente quadrato, di una eleganza graziosa e delicata, chi non lo ha visto non può intuire cosa  sia l'armonia di un colonnato. Le squisite proporzioni, l'incredibile snellezza di tutte le colonne leggere, accoppiate, affiancate, tutte diverse, alcune rivestite di mosaici. E altre spoglie, talune ricoperte di sculture di incomparabile finezza, talatre ornate da un semplice disegno di pietra che vi sale attorno, avviluppandosi come una pianta rampicante, meravigliano lo sguardo e quindi lo affascinano, lo incantano, vi generano quella gioia artistica che le cose di gusto assoluto fanno penetrare nell'anima tramite gli occhi (...)
Rimane ancora molto superiore a tutto ciò che conosco di paragonabile, sebbene sia meno notevole di quello di Monreale, il piccolo chiostro della chiesa di San Giovanni degli Eremiti, una delle più antiche chiese normanne a carattere orientale. 
Uscendo dal convento, si penetra nel giardino da dove si domina tutta la vallata, piena di aranci in fiore. Un alito continuo sale dalla foresta profumata, un alito che inebria la mente e turba i sensi.  Il desiderio indeciso e poetico che ossessiona perennemente l'animo umano, assillandolo, inebriante ed inafferrabile, appare prossimo a realizzarsi. Quell'odore che vi avvolge ad un tratto, che fonde la delicata sensazione dei profumi con la gioia artistica della mente, vi tuffa per alcuni secondi in un benessere del pensiero e del corpo che rasenta la felicità. 
Alzo gli occhi verso l'alta montagna che domina la città e sgorgo, in cima, la rovina che avevo vista il giorno precedente. Un amico che mi accompagna interroga gli abitanti, ci rispondono che quel vecchio castello fu in effetti, l'ultimo rifugio dei briganti siciliani. Ancor oggi, quasi nessuno sale più all'antica fortezza, chiamata il Castellaccio. Praticamente non se ne conosce nemmeno più il sentiero poichè è su una vetta poco accessibile. Vogliamo andarci. Un palermitano che ci fa gli onori del suo paese si ostina a procurarci una guida e, non potendo scoprirne una che gli sembri certa della strada, si rivolge senza avvertirci, al capo della polizia. Ben presto, un agente di cui ignoriamo la professione, incomincia a scalare con noi la montagna. Tuttavia egli stesso esita, e per strada gli si aggiunge un compagno, nuova guida che condurrà la prima. Quindi entrambi chiedono indicazioni ai contadini incontrati, alle donne  che passano spingendo un asinello davanti asè. Alla fine, un prete ci consiglia di proseguire sempre diritto: ci arrampichiamo, seguiti dalle nostre guide. Il sentiero diventa quasi impraticabile. Bisogna scalare delle rocce, sollevarsi con la forza dei polsi. Questo per un bel tratto mentre un sole ardente, un sole d'Oriente picchia sul nostro capo.
Raggiungiamo finalmente la cima, in mezzo ad un sorprendente e superbo caos di enormi pietre che spuntano dal suolo, grigie, nude, levigate o aguzze, e che imprigionano il castello selvaggio e fatiscente in uno strano esercito di rocce che si estendono in lontananza, da tutte le parti, attorno alle mura. 
Dalla vetta, la vista è una delle più impressionanti che si possano trovare: tutt'attorno al monte irto si aprono profonde vallate circondate da altre montagne, che allargano verso l'interno della Sicilia, un orizzonte infinito di vette e di cime. Di fronte a noi, il mare; ai nostri piedi Palermo. La città è circondata dall'immenso aranceto chiamato la Conca d'Oro: questo bosco di un verde cupo si estende, come una macchia scura, ai piedi delle montagne grigie, delle rossicce, che paiono bruciate, corrose e dorate dal sole, tanto sono brulle e colorate.        
                                                                         Guy de Maupassant