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LE FESTE DI PASQUA
di Antonino Buttitta
I
TEMPI
di Antonino
BUTTITTA
da pag. 6
Il
nostro è un vivere nel tempo. Niente però più di questa immediata evidenza è
lontano alla nostra coscienza. Eppure, se vogliamo., la nostra vita si
identifica con il tempo, o meglio, la vita e la morte sono le prime e
fondamentali discrezioni che noi introduciamo nello scorrere indefinito del
continuum, temporale. Questa è la prima esperienza che noi abbiamo del tempo e
su questa organizziamo, attraverso la variabile dei nostri comportamenti
sociali e individuali, le successive articolazioni che ci portano come singoli
e come comunità a sovrapporre al tempo cronologico indefinito il tempo storico
finito. Questa nuova realtà, che è quella all’interno della quale operiamo, ci
vede attori consapevoli o inconsapevoli ed è da questo diverso modo di porci di
fronte a essa che si originano due ritmi temporali diversi: il tempo vissuto e
il tempo strutturato. L’individuo che si dispone passivamente di fronte al
tempo e che rinuncia al suo controllo restandone alla fine soggiogato, si muove
nella dimensione del vissuto. Chi al contrario organizza consapevolmente la
propria esperienza del mondo, si interroga su di esso e sul senso dei propri
atti, agisce a livello del tempo strutturato. Naturalmente è impossibile fare
divisioni nette. Non ci sono individui perennemente disposti nel senso del
vissuto e altri nel senso dello strutturato. Piuttosto nel corso della giornata
di ciascun individuo si ha il prevalere dell’uno o l’altro atteggiamento,
dunque del tempo vissuto o del tempo strutturato. Queste precisazioni sul
tempo, o meglio, sui diversi nostri modi di sperimentarlo, si rendono
necessarie per capire il diverso di una ulteriore distinzione del tempo che noi
siamo soliti fare e vivere, quella di tempo sacro e di tempo profano. Una prima
approssimazione al problema può portare alla erronea impressione che il tempo
sacro sia assimilabile al vissuto mentre il tempo profano allo strutturato. In
realtà tanto una visione consapevolmente laica quanto una concezione
intensamente religiosa della vita sono profondamente calate in una dimensione
fortemente strutturata del tempo. Il tempo sacro anzi è una marcatura ancora
più decisa del tempo cronologico. Il tempo profano è un tempo costretto in
unità di misura e un tempo fissato nello spazio.<Fissandosi nello spazio il
tempo diventa omogeneo. Noi contiamo le ore, i minuti,, i secondi: in altri
termini, li consideriamo cose uguali. In realtà non sono cose e non sono
eguali; diventano tali soltanto nello spazio. Il tempo omogeneo, misurato in
ore, giorni ed anni, è soltanto un simbolo del tempo propriamente detto, della
durata. Ora nella durata ogni istante ha un valore proprio. Sul quadrante tutti
i minuti si identificano l’uno con l’altro nella durata, ciascuno ha un
significato particolare, come ogni nota ha il suo valore in una melodia>
(Van der Leeuw). Il tempo profano è necessariamente omogeneo perché la concezione
profana del tempo è meramente quantitativa. Al
contrario il tempo sacro è eterogeneo perché si fonda su una discrezione qualitativa
del continuum temporale. <Ina altre parole, si scopre che il tempo ha un’altra
dimensione, che possiamo chiamare ierofanica, grazie alla quale la durata in sé
acquista non solo una cadenza particolare,, ma anche “vocazioni” diverse, “destini”
contraddittori (Eliade). <La durata è il grande fiume che senza posa scorre
sempre più lontano. Ma l’uomo che incontra la potenza si deve necessariamente
fermare; da allora un taglio segna un tempus, ed egli celebra un tempo sacro. Una
festa> (Van der Leeuw). Da qui due diversi calendari, quello profano:
successione di giorni sempre uguali; quello religioso, nel quale, in quanto
fatto per indicare quali punti del tempo abbiano un valore, possiedono potenza,
ogni giorno ha la sua individualità, la sua potenza(Hubert-Mauss). In ciò
risiede la contraddizione che impedisce di confondere tempo sacro e tempo
profano. Mentre quest’ultimo è spiraliforme in rapporto al succedersi dei cicli
annuali ma rettilineo in assoluto: susseguirsi di eventi all’interno di un
ciclo sempre uguale a se stesso. I fatti storici si possono celebrare, non
ripetere, quelli sacri non si celebrano, si ripetono: la ripetizione dell’evento
è la condizione sacrale del rituale religioso. <Nella religione, come nella
magia, periodicità significa anzitutto utilizzazione indefinita di un tempo
mitico, reso presente. Tutti i rituali hanno la capacità di svolgersi adesso,
in quell’istante. Il tempo che vide l’evento commemorato o ripetuto dal rituale
è reso presente. “ripresentato”, potremmo dire, per quanto sia immaginato
remoto nel tempo > (Eliade).
Tempo
profano e tempo sacro sono rappresentazioni simboliche dei ritmi temporali
della natura. Per il razionalismo di chi ive immerso nel tempo profano, la
successione delle stagioni è un fatto che nessuna forza può impedire. Le stagioni
si succederanno l’una all’altra e nessun evento potrà mutarne il corso. La
percezione sacra del tempo non è confortata da altrettanta sicurezza. I ritmi
temporali nella circolarità del loro moto consumano la loro potenza. Ogni anno
alla fine dell’inverno quando l’anello del tempo si chiude, c’è il rischio che
il cerchio dell’esistenza si concluda. Come ricaricare d’energia l’organismo spento
della natura? Come passare dalla morte alla vita? L’esperienza magico-religiosa
nei vari tempi e presso i popoli più disparati ha risposto in diversi modi
questo interrogativo. Alcuni tratti comuni a tutti questi modi sono: la
rigenerazione periodica del tempo mediante la ripetizione simbolica della
cosmogonia, la rigenerazione della natura accompagnata dalla purificazione dei
peccati, la rigenerazione attraverso la morte. Presso diversi popoli l’esigenza
di rigenerazione della natura ha avuto proiezioni antropomorfiche. La credenza nel dio salvatore ha la sua
matrice nel bisogno periodico di <salvazione della primavera. La vita si
rinnova in aspetto di giovane dio, e l’epifania di questo dio: il giorno del
suo arrivo, è la vita che rinasce. Il dio salvatore non possiede quella eterna
fissità che appartiene al dio del cielo e ad altre divinità: la sua potenza
sempre si alterna, scende e sale. Il ciclo della natura è insieme la cosa più
triste che conosciamo e la più letificante. Non soltanto la malinconia dell’autunno,
ma la carestia dell’inverno; non solo la poesia della primavera, ma anche la
sovrabbondanza dell’estate, concorrono a formare la potente figura del
salvatore che muore e risuscita, dorme e si desta, è assente e ricompare>
(Van der Leeuw). Due ragioni profonde stanno alla base della natura umana e
divina del dio salvatore: la identità della sua vicenda personale con la
struttura ciclica del corso della natura, la dimostrazione attraverso la
resurrezione di sapere vincere la morte. In questo modo egli si pone come punto
d’incontro e di risoluzione di due opposizioni di per sé inconciliabili:
spirito e materia, vita e morte. La vicenda del dio salvatore è caratterizzata
dai seguenti momenti: A) Epifania. Il salvatore appare in modo miracoloso; B)
Prove qualificanti. Il salvatore compie miracoli. Trionfa sulle forze ostili
alla vita; C) Morte. A somiglianza della vegetazione il salvatore soccombe alla
morte; D) Resurrezione. La morte annienta la morte. E’ attraverso la morte che
si conquista la vita. La Settimana santa assicura la rigenerazione periodica
dell’anno attraverso la rappresentazione simbolica delle fasi conclusive del
mito del dio salvatore.
Palermo. Palme artisticamente intrecciate. (foto di M. Minnella) a pag. 25
Palermo. Agnello pasquale di pasta reale (foto di M. Minnella)a pag. 14
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