GIOVANNI LETO



GIOVANNI LETO, Artista monrealese


All'indomani della II^ Guerra Mondiale, pittori, filosofi, poeti, letterati iniziano già ad offrire il ritratto dell'uomo contemporaneo. 
Il rifiuto della rappresentazione naturalistica accomuna quanti scelsero la libera interpretazione dell'apparenza, obbedendo alla volontà di far conoscere le proprie emozioni, i tanti perchè, al di là della loro esistenza fisica.
La Sicilia partecipa attivamente agli interscambi filosofici ed estetici e ciò, fa sì che artisti siciliani mostrino molta attenzione sui molteplici aspetti dell'arte che è universale.




... La mia "anima", all'età di dieci anni circa, è segnata da una foto voluta da mia madre che mi ritrae in calzoni corti e bretelle a bordo di una Vespa, che non mi appartiene, e fingere di guidarla.
E' una foto che nell'immaginario di mia madre doveva servire a nascondere la realtà di stenti che la mia famiglia viveva ed è proprio nel posare per questa che passo da un'età candida e spensierata ad una condizione in cui, anch'io come mia madre, avverto un senso di vergogna della povertà, e in più, un senso di pudore, quasi una colpa, per la passione che ho per la pittura, una passione sempre più costosa.
Sono sentimenti iniziali che mi fanno sentire gli ori musivi tardo-bizantini dell'imponente Duomo di Monreale, a ridosso del quale sono nato (nel quartiere Ciambra), come eccessiva, impietosa, ostentazione di sfarzo, posto lì a sottolineare, per contrasto, la miseria circostante.
accanto a questo sentire, fondamentale è, nella mia infanzia, l'anima che ho ricevuto da mio padre: uno "compagno" che poneva innanzi tutto il Partito, ovvero il bene comune anche quando questo era, sempre più spesso, a scapito del bene della famiglia.
Nei momenti in cui mia madre si lamentava per la vita di stenti che era costretta a vivere a causa delle sue idee, lui coglieva l'occasione per insegnarmi che, per difendere i valori in cui uno crede, diventa necessario, qualche volta, fare delle rinunce.
...La storia dell'Unità a casa mia è lunga:
una volta letto, era ripiegato in quattro ed usato a mò di paletta per ammazzare mosche e fastidiose zanzare; mia madre poi, il cui odio crescente per quel giornale era infinito, quando non lo gettava direttamente nell'immondizia, ne riduceva, spesso rabbiosamente, i fogli in torce (quasi come oggi faccio io)per accendere i fornelli: Per me che con quel giornale ero stato allevato, diveniva invece, dagli anni Sessanta, lo strumento che, con i suoi contenuti, mi permetteva di tramutare il mio senso di vergogna della povertà in passione per le lotte civili, e poi, dall'ottantacinque, materiale quasi esclusivo con cui realizzare le mie opere...i fogli di giornale selezionati per tipi di carattere tipografico che vi sono impressi, per tipo d'immagini, di colore e digrana, sono proprio i miei umori tattili oltre che visivi a guidarmi.
Inizio attorcigliando uno per volta i fogli di giornale, riducendo in pieghe le notizie e i caratteri di scrittura che questi contengono, sino a caricarli di altri significati. Poi li dispongo sulla superficie dell'opera, stretti tra loro per lo più orizzontalmente, a formare quasi una muraglia e/o, assecondando le forme che pian piano scaturiscono dai loro accostamenti. La manualità connessa a queste operazioni mi conduce oltre lo "specchio di Narciso", a sentire anche fisicamente la materia. la fase successiva consiste nel lacerare, strappare, rendere penzolanti qui e là, quei cordoni di carta ravvolti che, nel loro insieme, mi appaiono ancora rigidi o poco manipolati e sofferti. E' un lavoro che coinvolge quasi tutti i sensi, a tratti lucido, misurato, "da vero architetto di discariche", a tratti istintivo.
In alcuni momenti mi ritrovo ad avere in mano più cordoni di carta, pronti come frecce di Cupido ad essere incollati simultaneamente sulla superficie, o come astrali della mitologia, diretti a squarciare il cielo. Più cresce l'opera e più i gesti diventano rapidi, convulsi, indirizzati a ricavare sentieri che s'inerpicano, scrimoli, orli penzolanti. Non si tratta di un procederre per accumulo (l'accumulo sa di operazione disordinata e distratta), semmai d'accostamenti suggeriti, dalla "logica del cuore".
Appena l'ultimo cartoccio e gli altri materiali trovano posto e la materia nel suo insieme si presenta corposa, eppure silenziosa, svuotata quasi dei suoi significati iniziali, immersa in una luce "atea", come alla fonte d'ogni possibile citazione, è il segnale che l'opera è conclusa.


(da un'intervista di Anna D'Elia)




GEOLOGIA DELL'ALTROVE di Liana Masi

Del pittore Giovanni Leto si è già parlato altrove e tanto ed è chiaro che l'articolo non intende sostituirsi a quelli di chi, con ben più grande competenza ed esperienza hanno guardato all'artista monrealese, collocandolo in quell'area che dalle esperienze di assemlaggioo materico si snoda fin da Picasso, ma vuole rappresentare soltanto una tappa, un momento di conoscenza, di approfondimento di un uomo che è nato a Monreale, che ha vissuto nel quartiere della Ciambra, e che ha imparato a vivere dove fiorivano i muri sgretolati, le pietre corrose dal tempo, le tessere d'oro - confusione di razze, stratificazioni di stili - e per cui le prime immagini sono state le stesse di quei ragazzi o di quegli adulti che un giorno furono ragazzi, ai quali è rivolto quest'itinerario.
Immagini assunte coscientemente o spesso relegate nella mente, ma che ritornano improvvise ad un barbaglio di sole e che compongono la struttura della mente: una strada in salita, un campanile scoperchiato, un fabbro che fa risuonare il suo martello, e poi non vista, non sentita, non coscienza, la realtà più cruda, miseria soffocata... non... un grido... l'aria non filtra... i dati si accartocciano... carta, notizie, clamore senza rumore, impegno, un nome di coloro che lottano, che hanno lottato, come può, come sa: Giovanni Leto. 
La presa di coscienza, la ribellione, la cogli là senza neanche soffermarti a pensare, tanto è evidente, nel colore che non è più colore puro, nella tela che è soltanto la base per una stratificazione ossessiva di carta, di notizie  di crepe che fanno assumere la dimensione senza spazio, senza tempo, della crosta terrestre di una "Geologia dell'altrove" come suggerisce, sottintende il titolo della mostra del catalogo curato da Giorgio Di Genova.
La carta diviene il segno, assume la stessa valenza emblematica della pagina bianca, si dispiega in tutte le sue possibili realtà, si ammassa, si confonde, si sfalda, innalza muri, impedisce al colore di stendersi senza contrasti sulla tela, corrode lo strato dopo averlo formato. Diventa tensione, è ricerca, è ripetitività monocorde, ricorrente, ossessiva che ricopre fino a sommergere, è l'ganno del messaggio, che ti promette Orizzonti, [...Orizzonti nero ... orizzonte...] evasioni e che poi beffardamente, drammaticamente ti offre solo una striscia minima, perchè il resto è oppressioen, è terra, è fango pietrificato, è desrto, ma solo nel senso della solitudine. Carta, stracci, materiali primitivi trattati istintivamente, manipolati perchè c'è un momento in cui si sente il bisogno d'immergere la mano nei colori e il pennello diventa un limite, la tela stessa è un limite perchè t'impedisce di uscir fuori di essa, senti il bisogno di renderla materia, cerchi nuovi mezzi espressivi perchè tutto oppone resistenza, e ogni tela non è altro che il tewntativo di esprimere quell'angoscia inesprimibile che ti soffoca e riprovi. Ricercare punti di riferimento(insistente il riferimento a Burri) è un'operazione fallita in partenza. 
"L'arte vive in contrasto con le Muse" vive negli artisti con la sua primordialità smemorat, lascia segni che non sono più riconducibili alla loro matrice e così ogni artista è contemporaneamente tutto ciò che è stato prima di lui e tutto ciò che il futuro sarà prima che il pennello suo o di un altro si materializzi sulla tela. 
Raccontare Leto, far rivivere un percorso pittorico - non immediatamente fruibile - rievocare con le parole i segni di un percorso comunicativo che ha il fascino di aver annullato l'immagine, il disegno, il colore è un oximoron perchè la parola è mistificatrice è ingannevole, ma è l'unico strumento che abbiamo "Non chiederci la parola che mondi possa aprirti".  ...

Dagli anni di formazione al Collagismo planare
















Da Elementi in superficie a Corda


METAMORFOSI DELLA SCRITTURA
I Deserti di carta di Giovanni Leto
di Maria Antonietta Spadaro

Ritroviamo ancora nelle opere di un altro monrealese, Giovanni Leto, la carta stampata, il giornale. Ma se Guardì tende ad impreziosire tale materia prima, Leto ce la restituisce ormai diventata rifiuto in stratificazioni materiche di grande effetto. Il quadro non è più superficie bidimensionale, tende ad ispessirsi per diventare contenitore ideale di rifiuti di carte, stoffe, plastiche, oggetti inservibili (operazione inversa rispetto allo spazialismo di L. Fontana). Tutto ciò compresso con un tempo o ritmo di sedimentazione stratigrafica  costante. La tela non è tuttavia interamente "riempita" poichè rimane in alto uno spazio vuoto (colorato in bianco o nero). Ciò, rispettando l'ordine della comune accumulazione di materiali, rende il senso dell'inarrestabile processo di crescita dei rifiuti. Queste composizioni polimateriche, che tuttavia perdono alla fine ogni riferimento con la sostanza dei materiali utilizzati, sono state definite "paesaggi dell'assenza in un pianeta  sempre più avviato a divenire una gigantesca pattumiera" (G. di Genova), e poi ancora "le terre di nessuno" (M. Venturoli). Sono orizzonti sconfinati di un nulla che nasce come risultato del troppo. Anche qui possiamo trovare un giudizio sul destino del messaggio stampato e freneticamente consumato.
I giornali accartocciati e incollati ingialliranno ineorabilmente e ciò regalerà una patina realistica a quella sofferta ed agonizzante macerazione. Spietato messaggio esistenziale? Forse.
Il riscatto è l'immagine: la spazialità rivissuta attraverso la materia povera e opaca, a tratti resa vibrante da accenni o presenze cromatiche.
Le composizioni di Leto possono leggersi indifferentemente come distese desertiche di un'era seguente a quella del mito del consumo rapido dell'oggetto e della notizia, ovvero come sezioni di viscere di un organismo vivente mostruoso e terrestre.
Così come i sacchi o la plastica bruciata di Burri riescono a trasfigurarsi in carni lacerate, in febbrile sofferenza, la materia-carta usata da Leto diventa assolato paesaggio o riflesso dell'angosciante condizione dell'uomo.
Se Sartre ha messo a nudo (compiendo una delle operazioni culturali più significative della nostra epoca) la coscienza umana svelandone anche le miserie e partecipando quindi come artista alla " tragedia del proprio tempo", Leto con le sue opere, come Sartre, crede che la nausea, l'angoscia siano le sole in grado di provocare la crisi, quella crisi che permette all'uomo di riscattare la propria libertà.
(M. A. Spadaro)




Orizzonti e dintorni



















Il corpo a corpo con lo spazio della pittura reificata




Installazioni




(Alcune delle )Opere recenti




www.giovannileto.it


R.M.