Antonino Nacci


A N T O N I N O   NACCI

Artista monrealese



dal catalogo di Nicolò D'Alessandro
"ANTOLOGICA DI OPERE DAL 1962 AL 1989"


Antonino Nacci, pittore e scultore, nasce a Monreale nel 1938.
Giovanissimo si trasferisce a Sciacca per insegnare presso l'Istituto Statale d'Arte e per un breve periodo, negli anni settanta, vive a Biella dove frequenta i circoli culturali del luogo. Importante il rapporto con il critico Albano Rossi che lo accompagnerà per tutta la sua vita artistica e con Fiamma Vigo, una delle più importanti galleriste italiane che abbiano promosso nel mondo l'arte astratta italiana dagli anni trenta agli anni settanta, che espone le opere del Maestro, nelle sue gallerie di Firenze, Venezia, Roma e Milano.
Antonino Nacci può essere considerato uno dei pionieri dell'arte materica-segnica in Sicilia. Grande sperimentatore, trae spunto e aderisce a diverse correnti pittoriche: astrattismo, informalismo, arte povera. La sua produzione artistica raggiungerà la piena maturità negli anni ottanta. Negli anni cinquanta e sessanta protagonisti della sua ricerca sono i materiali poveri: sacchi di tela, juta, ceramica, fil di ferro, carta, filo e colore che l'artista impagina in composizioni plastiche. La sperimentazione prosegue e con essa la ricerca di un linguaggio che sia "altro". Aderisce alla corrente delle astrazioni "geometriche", ancora ritagli di juta, ma questa volta la materia viene lavorata in "collages".
La sua pittura si fa ideologica nel periodo storico che vede i movimenti studenteschi del '68, la grande rivoluzione culturale, la guerra nel Vietnam e la sua arte diventa "grido di protesta" nei confronti delle ingiustizie del mondo. Ancora "collages", ma questa volta realizzati con ritagli di giornali che raccontano del mondo che sta cambiando e del mondo che non vuole cambiare.
Gli anni settanta si aprono con una nuova produzione artistica/concettuale: la "sabbia" diventa arte. Quella sabbia che Nacci raccoglie, amalgama con colla vinilica e poi stende sulla tela con decise spatolate ed infine incide, dando vita al suo mondo onirico. L'effetto è straordinario. La materia sporge dalla tela, disorientando l'osservatore che non può non toccare, la comprensione passa attraverso l'esperienza sensoriale del tatto.
Dapprima le incisioni sono segni rupestri su un manto di sabbia monocromo, poi il racconto si fa più emozionante; la "sabbia" si anima di ambientazioni e figure fiabesche coloratissime, frutto di un cambio netto della sua tavolozza. Un mondo a noi sconosciuto, un mondo ermetico ma che tuttavia trasmette serenità e pace, un mondo ideale cui tendere ed aspirare.
Infine, nella produzione dell'ultimo periodo, la pace sembra persa. I colori della tavolozza diventano il nero e il rosso intenso e il mondo stagione geometrica più sofferta, ma non meno intensa ed affascinante.
Il racconto, ahimè, volge al termine. Ci rimane da porci una domanda che putroppo non troverà risposta: cosa sarebbe stato dopo? Antonino Nacci muore a Sciacca nel luglio del 1989. Aveva cinquant'anni. Le sue opere sono presenti in molte collezioni pubbliche e private.


ANDREA NACCI   

Gli anni della contestazione  e l'impegno ideologico

di Nicolò D'Alessandro


Gli anni della contestazione (1968) sono un'irripetibile stagione di passioni civili e sociali che lo coinvolgono. Comunista convinto, respira il "clima di lotta" del periodo. E quasi a indicare le sue scelte  politiche, strane le coincidenze della vita, abita in Via Carlo Marx per moltissimi anni. Ideologizza il suo lavoro, la sua "protesta", nei confronti dell "grandi ingiustizie del mondo", affronta con decisione il travaglio ideologico della nostra generazione. I "collages", di questa stagione d'impegno artistico, anche ideologico e politico (svecchiamento della cultura e modernizzazione del "sistema"), si arricchiscono di ritagli di giornali con i ritratti dei personaggi chiave dell'epoca (Mao, Ho Chi Min, Che Guevara), ma anche di fotografie o ritagli di riviste dalle quali estrapola elementi legati alle problematiche di questi anni (la lotta di classe, il nazismo, la Cina, il Vietnam, l'atomica). La casa di Via Carlo Marx, che gli permetteva di ospitare gli amici pittori che andavano a trovarlo a Sciacca, era un grande appartamento nella cui terrazza di trecento metri quadrati, organizzava addirittura delle estemporanee di pittura. Molti artisti partecipavano e usufruivano della sua generosa, disinteressata ospitalità. Salvatore Bonura, il pittore naif, realizza in una di queste occasioni un disegno a biro sgraffiato su una carta di giornale. Altre piccole opere fanno parte della preziosa collezione conservata religiosamente dalla moglie Enza. Questi anni vissuti all'insegna della politica e dell'arte sono una importante utopica stagione e costituiscono il credo di un'intera generazione, riferimenti   e valori che Antonino mantiene per tutta la vita, e lo diceva. Prima viene la famiglia e poi il lavoro. E a questi due riferimenti, fondamentali dell'esistenza di ogni uomo, si attenne per tutta la vita. Testimoniano i figli e la moglie che a tavola, momento cardine d'incontro, si parlava di tutto, di problemi, di politica, della rivoluzione culturale in atto, si dissertava d'arte. Affermando così la solidarietà, la forza dell'unità familiare tra i fratelli.Particolarmente significativa, nel 1968, la mostra "Giovani pittori a Sciacca", alla quale partecipa Nacci, presentata da Leonardo Sciascia che ben identifica la passione civile, l'impegno politico del momento, la presa di coscienza della questione meridionale: "una rassegna non competitiva dei giovani pittori saccensi più o meno dotati, più o meno ricchi di esperienza, ma certamente tutti di buona fede nel loro lavoro, carichi di fervore e di passione. E anche di rabbia: che si veda o no nelle loro tele. Perchè non bisogna dimenticare che siamo in una delle zone più depresse d'Italia, delle più "difficili" socialmente politicamente umanamente; e quasi dentro quella Valle del Belice in cui migliaia di persone vivono, ormai da un anno, in condizioni indegne di un popolo che si dice civile, di uno Stato che si dice democratico.


Ricordando mio marito
di Enza Sciortino

...L'ho conosciuto da ragazzo. 
Estroverso, talentuoso, amorevole, ma dai suoi occhi emergeva la sofferenza vissuta per la separazione dei suoi genitori. Erano gli anni sessanta. In quel periodo il senso di "vergogna"e l'esclusione sociale lo tormentavano. Gli sono stata particolarmente vicina, l'ho compreso, stimato ed amato.La sua situazione familiare conflittuale lo ha portato a sognare prima e realizzare dopo una famiglia basata sull'amore e la fiducia. Abbiamo avuto quattro figli: Laurenzia, Albano, Patrizia e Andrea. Li ha amati e protetti, ha sempre vigilato su di loro e su di me, con immenso amore, con grande rispetto e riconoscenza.
Ha trasmesso ai suoi figli i profondi valori dell'amore per il prossimo   e della legalità. Politicamente e culturalmente uomo di sinistra ma, spirito libero, non è stato mai iscritto ad un partito politico. Amava, però, parlare con i figli di politica, dei cambiamenti culturali e del movimento del '68, aiutandoli a riflettere e a sviluppare un pensiero critico. Mi piace ricordare un significativo episodio. Durante un esame universitario il professore chiese a mia figlia Laurenzia di parlare del movimento del '68. Il tema era sconosciuto agli altri studenti del corso, poichè fuori programma. Laurenzia parlò dell'argomento in modo così approfondito che il professore rimase stupito e le chiese come mai sapesse tutto ciò. Mia figlia rispose che il suo papà gliene aveva parlato tanto. Il professore le diede il voto di 30 e lode con l'impegno di portare la lode al padre.
Nino amava cucinare, vivere all'aria aperta e coltivare la terra, come i famosi "scarafaggi". Altra passione di Antonio era la pesca, amava il mare in tutti i suoi aspetti: il rumore, la sabbia, la brezza marina.
Ricordo un giorno quando, seduti sulla sabbia ad osservare il mare, ebbe un sussulto. Alzandosi di scatto mi disse che avrebbe donato al mare l'intero pannello che aveva da poco realizzato. Preoccupata, rintracciai un suo caro amico, il dott. Cucchiara, e riuscimmo a dissuaderlo dal compiere questo gesto bizzarro. Spesso lui mi parlava dei suoi quadri, delle emozioni che viveva nel dipingere. Quando dipinse il pannello, dedicato a nostra figlia Patrizia, mi disse che voleva raccontarle una favola che fosse all'infinito, senza fine. Molto stimato sia dai colleghi che dagli alunni ha insegnato disegno geometrico presso l'Istituto d'Arte di Sciacca. Ha sempre coniugato nel rapporto con gli alunni, il rigore scolastico con la prossimità affettiva, aiutandoli nei momenti più difficili della loro crescita. Si faceva chiamare "Nino" solo da alcuni alunni, i più meritevoli e rispettosi, non da tutti.
I primi anni ottanta sono stati molto importanti per la sua carriera artistica. In questo periodo non si limitò a dipingere quadri, ma diffuse l'arte dentro le case attraverso i murales. 
Realizzò addirittura controsoffitti, porte, tende, scale. Creò un grande pannello di otto metri che, serpeggiando, attraversava le varie stanze del Club Koala sport di palermo. Ma proprio alla fine di questo radioso e fruttuoso decennio arrivò la notizia della malattia. Un colpo duro e difficile da incassare, ma che non lo fermò nella sua creazione artistica. Ogni giorno si recava allo studio per dipingere, ed io, spesso lo accompagnavo per sostenerlo e aiutarlo ad asciugare la sabbia nei quadri.
Durante il periodo della malattia aggiunse altri colori alla sua tavolozza: il nero, il verde e il rosso per significare la tristezza, la speranza e la vita. Variava la tonalità del rosso a seconda dello stato d'animo e della sofferenza. L'ultimo quadro che ha dipinto lo ha dedicato a me e i colori narrano il nostro amore, la vita di coppia e l'amore per i figli. Nel dipingere questa sua ultima opera ha cercato di soffocare il dolore, l'ansia del momento per tornare al passato e ricordare la nostra vita insieme. Quel quadro racconta la vita vissuta in famiglia, i colori, radiosi, parlano d'amore.
Gli ultimi giorni li trascorse a letto, affrontando la malattia con dignità e fede. Volle ricevere l'ultimo sacramento coscientemente. Convocò gli amici per l'ultimo saluto. Ringraziò Dio per tutti i doni ricevuti nella sua vita ma soprattutto per il dono della pittura. E ripensando a questi ultimi momenti comprendo che, pur non essendo praticante, credeva in Dio e aveva fede soprattutto in una forza soprannaturale, quella divina.    


Senza titolo, tecnica mista cm 50x70 1956

Figura n. 1, Gesso patinato altezza cm50, 1961

Composizione gesso patinato altezza cm 50  1961

Movimento, collage, cm 50x40, 1962

Senza titolo collage cm 55x45 1963


Movimento, collage, cm 100x80, 1963


Senza titolo, collage cm 80x80 1964

Movimento n. 2 collage cm 80x80 1964


Senza titolo, collage cm 80x100 1965


Senza titolo, Nacci e Scimè olio e collage su tela  cm 100x120 1965


Senza titolo collage cm 80x100 1965


Composizione olio e collage su tela cm 65x50 1965


Composizione olio e collage su tela cm 100x80 1966


Composizione olio e collage su tela cm 100x80 1966


Senza titolo tecnica mista su sabbia cm 80x100 1967 

Senza titolo  olio e collage su tela cm 75x 85 1967

Lacerazioni, cm 110x140 olio su tela 1967

Composizione collage cm120x100 1967


Composizione, olio e collage su tela, cm 100x87, 1968


Concerto nell'universo tecnica mista cm 120x127 1968


Senza titolo olio su tela cm 110x140 1968 

Senza titolo olio e collage cm 58x80  1968
    
Senza titolo tecnica mista su sabbia cm 60x 70 1969

Senza titolo tecnica mista cm 80x100 1969


Senza titolo tecnica mista cm 60x40 1970


Senza titolo tecnica mista su sabbia cm 94x107 1971

Senza titolo tecnica mista su sabbia cm 90x90 1972

 Struttura di un paesaggio n. 1 tecnica mista su sabbia, cm 80x100, 1973


Struttura di un paesaggio n.2 tecnica mista su sabbia, cm 110x140, 1974

 Senza titolo, tecnica mista su sabbia, cm 80x80, 1975

Favola, tecnica mista su sabbia cm 260x196, 1976

Racconto, tecnica mista su sabbia, cm 80x80 1982

Senza titolo, tecnica mista su sabbia, cm 70x70, 1983


Farfalla, tecnica mista su sabbia, cm 336x232, 1983

Sogno, tecnica mista su  sabbia cm 86x97 1983


Senza titolo tecnica mista su sabbia cm 76.5 x100 1984

Senza titolo, tecnica mista su sabbia, cm 100x100, 1984

Senza titolo, tecnica mista su sabbia, cm 80x100, 1985


Racconto 1 Racconto 2 Racconto 4 Racconto 3 tecnica mista su sabbia cm 80x225 1986


Senza titolo, tecnica mista su sabbia, cm 63x62. 1987

Senza titolo, tecnica mista su sabbia 1988
  
Composizione, tecnica mista su sabbia cm 800 ca.,1988
  

 Senza titolo, tecnica mista su sabbia cm108x94 1989




L'ESTETICA DEL FRAMMENTO  in Antonino Nacci
di  NICOLO' D'ALESSANDRO



"Costruisco combinazioni di linee e colori su una superficie piatta, per esprimere una bellezza generale con una somma coscienza". Così il maestro dell'astrazione Piet Mondrian (1872-1944) descrive la finalità della sua rigorosa pittura, raggiungendo una compiuta sintesi tra spazio, luce e colore. Una ricerca che lo conduce, attraverso significati simbolici, verso l'apparente semplificazione comunicativa.
Come sappiamo, nell'ambito dell'Arte informale, che intende una pittura fondamentalmente astratta, quell'esperienza pittorica che si realizza in una specie di scrittura inventata, viene definita segnica, tendono a costruire nuovi alfabeti visivi, in cui è evidente la componente calligrafica.
Molte volte, la pittura segnica coincide con la "pittura di gesto", in quanto immediata trascrizione di impulsi gestuali in segni (George Mathieu 1921), Hans Hartung (1904-1989); altre volte è invece esito di un'operazione meno istintiva ed automatica ma lucidamente controllata. Ed è il caso di Antonino Nacci.
Su questi assunti accennati, il suo rifiuto della forma identificabile lo colloca nel territorio della "pittura segnica", dove la forma, non del tutto assente, tende a trasformarsi soprattutto in "segno", ed è riconoscibile formalmente come elemento grafico, ma non nel suo contenuto. la creazione di un nuovo alfabeto, di uina scrittura inventata, di una nuova arte che rifiuta il valore di ogni precedente conoscenza, da vita alla "negazione del mondo", ad una "iconografia del No", come ben teorizza Giulio Carlo Argan.
E' su questo tessuto formativo che prende sempre più spessore la sua identità artistica. E' da questa molteplicità di esperienze che Antonino Nacci raggiunge la propria e inconfondibile identità in una produzione artistica, razionale, colta, che prende soprattutto le mosse dalla conoscenza della geometria piana.
L'apocalisse dei segni e dei segnali rende la nostra vita spesso impraticabile, nel senso che i linguaggi visivi sono carichi di elementi comunicativi decisamente eccedenti. Riflettevo su queste cose osservando le opere del maestro Nacci, durante le fasi di lettura e di studio, preparatori a questa nota e nel contempo sull'intasamento oggettivo della "comunicazione umana" che si è sempre più esasperata, inflazionata.
Nella realtà contemporanea della civiltà globale si è ingigantito il segnale comunicativo in una sovrapposizione eccessiva di segni, di idee, di problemi, di soluzioni e di costante e ininterrotta ricerca.. Non c'è più spazio per il silenzio, per la riflessione e la concentrazione. Nacci nei suoi inventati ideogrammi e nelle sue scritture in tale ottica, ci conduce al valore fondante del silenzio.
Mi sono anche chiesto se affidandosi a pochi segni esemplificati non ci si possa riappropriare del senso della chiarezza comunicativa nella sua essenzialità e che ciò possa essere una possibile soluzione.
Una telefonata mi ha ricordato, guardando il tastierino del cellulare e riportandomi alla realtà, che nei linguaggi moderni ideogrammatici ciò avviene normalmente. L'artista monrealese ne faceva uno strumento uguale.
Credo che la semplificazione significa identificata da Antonino Nacci, affrontata e sviluppata nel corso della intensa vicenda artistica, raggiunga l'assetto più alto della sua visione compositiva.
L'intero lavoro compiuto nel corso della sua lunga ricerca diviene anche metafora umana di desideri irrisolti, di sogni non raggiunti, la motivazione profonda del suo fare arte. L'universo di Nacci è debordante di simboli inventati che, intrecciandosi in mutue relazioni, determinano un tessuto di elementi scritturali, alfabetici  che si influenzano tra loro. Le sue composizioni, dal meticoloso assetto modulare e iterativo, diventano un compendio di tracce incisive e di segnali i cui elementi si trasformano in mappature, contengono misteriosi linguaggi appartenuti al sistema dei segni della comunicazione umana, come se fossero resoconti di linguaggi ormai perduti. Il carattere essenziale, semplificativamente povero di una scrittura, sollecita una specie di resoconto narrativo. Nacci ha reinterpretato, nel processo ideogrammtico della scrittura, inventando rudimentali forme di "alfabeti inesistenti" e, nei continui rimandi al passato, i segni, i simboli, le immagini, i colori e gli spazi delle composizioni che si pongono quali argomenti sostanziali, nel rapporto dialettico tra scrittura e falsificazione della scrittura, memoria iconica e rappresentazione. Siamo di fronte ad un'imagerie di disposizione magicototemica, in una specie di indagine fantastica, alla ricerca di archetipi, a volte figurali (animali, insetti e costruzioni fantastiche), come nelle emblematiche opere del 1985 e del 1987 e a volte con motivi segnici (scritture inventate) anch'essi di quegli anni. Emerge un senso di diffusa sacralità che offre la sensazione di trovarsi davanti ad uno spazio, inestricabile, inaccessibile, definito da recinti e confini.
Sciacca, Circolo di Cultura - Mostra Sciamè/Nacci. da sinistra: Nacci, E. Paladini, sindaco di Sciacca, Sciamè 
  
A. Nacci con gli allievi all'Ist. d'Arte - Sciacca 1963 

A. Nacci agli inizi della sua  ricerca compositiva informale. Sciacca 1963

A. Nacci nel suo studio. Sciacca 1985





NINU PICCHì T'INNISTI
Nun ti bastava cchiù/l'amuri di li piscatura Sciacchitani,/ nun ti bastava cchiù/l'incantari la genti cu la to arti misteriusa/un ti bastava cchiù/inchiri lu cori di li genti scunsulati/ cu lu surrisu di frati addisiatu./ Ricordu na' nuttata nsemmula a piscari/tra li  scogghi  e la rina caura/ di la notti bianca d'Eraclea Minoa,/quannu lu to cori s'apria/pi li figghi chi criscianu,/ pi Enza amurusa,/pi li picciotti di la scola/chi la sira t'abbrazzavanu a lu/chianu. Ricordu tutti li matini 'na pitrata/pi ghiapiri la fionestra di lu cori/a nova jurnata d'amuri./Ah Ninuzzu / Picchì t'innisti e mi lassasti sulu! Ah! S'iu putissi tirari ancora nà pitrata.

Mario Giammona, Isola incantata, Poesie, Firenze, Luglio 1991