I
70 ANNI DELLA LIBERAZIONE
70 ANNI DELLA LIBERAZIONE
"EROI DIMENTICATI
STORIE DI SICILIANI CHE LOTTARONO PER LA RESISTENZA"
di AMELIA CRISANTINO
da La Repubblica di Palermo 25 aprile 2015
Venivano da Cefalù, da Militello, da Reagalbuto e si ritrovarono a combattere al Nord contro i nazifascisti. I settant'anni dalla Liberazione sono l'occasione per tornare a riflettere sul contributo dei siciliani impegnati nella Resistenza: lo facciamo con la guida di Rosario Mangiameli, docente di storia contemporanea a Catania e punto di riferimento per ogni discorso sugli anni cruciali che portano alla nascita della democrazia in Italia. Mangiameli apre la conversazione dicendo che " siciliani sono sempre la maggioranza fra i meridionali impegnati nella Resistenza. in Piemonte, l'unica regione per cui ci sono dati precisi, troviamo seimila meridionali e 2190 siciliani": la loro presenza si spiega con il rientro dalla Francia in Italia della 4^ armata, formata soprattutto da meridionali a cui la linea del fronte rendeva impossibile il ritorno a casa.
Spesso i soldati sono soltanto ragazzi abbandonati al loro destino dal re e dal governo, che dopo l'armistizio dell'8 settembre devono "scegliere se aderire alla repubblica costituita dai fascisti sotto la protezione nazista, o combattere per valori nuovi che stavano prendendo corpo anche agli occhi di molti giovani cresciuti sotto il regime".
L'elenco dei siciliani che al Nord partecipano alla Resistenza è molto lungo: il primo nome ricordato da Mangiameli è quello di Nunzio Di francesco da Linguaglossa, che nel settembre del '43 ha solo 19 anni, è recluta artigliere e avrebbe scritto un libro. Il costo della libertà, sulla sua esperienza, di partigiano e di deportato a Mauthausen. Nella ricostruzione di Di francesco i soldati abbandonano la caserma di Venaria Reale, a pochi chilometri da Torino, la sera del 10 settembre: quando i comandi militari non sanno che fare e loro rischiano di finire deportati in Germania. Nunzio è assieme al suo amico e compaesano Ciccio Emmi, e anche rimanere per strada è un pericolo per via del coprifuoco. vengono avvicinati da un anziano signore in bicicletta, un palermitano da anni residente a Venaria e per circa due mesi rimangono in una cascina, finchè non sono costretti a mettersi al sicuro in montagna: sono stati sfamati, curati e salvati da morte certa. Nel frattempo, nelle valli intorno a Pinerolo si stavano organizzando le brigate comuniste "Garibaldi", nel cui nucleo dirigente troviamo un buon numero di ufficiali meridionali e siciliani; il loro leader è Pompeo Colajanni da Caltanissetta, nome di battaglia comandante Barbato: nell'aprile del 1945 avrebbe coordinato le brigate partigiane che liberano Torino. Con lui troviamo l'ufficiale di cavalleria Vincenzo Modica da Mazara del Vallo, nome di battaglia Petralia.
Ci sono siciliani anche fra i partigiani della brigata Valdossola che nell'agosto del 1944 per quaranta giorni creano un vero e proprio Stato: una repubblica con un governo, un esercito e Domodossola per capitale. Una delle tre brigate che intimano la resa alle truppe tedesche e fasciste è comandata dal palermitano Alfredo di Dio, nome di battaglia Marco, che sarebbe morto in uno scontro con i tedeschi. Al suo fianco c'è Giuseppe Burtone da Militello Val di Catania, a cui la carnagione scura guadagna il nome di battaglia "capitano Morello".
I siciliani della Resistenza non provengono soltanto dall'esercito dissolto dopo l'armistizio. Salvatore Culotta da Cefalù, nome di battaglia Cefas, era marinaio a La Spezia, e in Toscana si aggrega ai gruppi partigiani della Garfagnana: quando si ammala di broncopolmonite viene curato da una famiglia di Tiglio, vicino Lucca, e si innamora di una ragazza che diventerà la compagna della sua vita.
Giuseppe Scagliosi da Palermo, medico,si era trasferito a Cuneo negli anni Trenta: allo scoppio della guerra era stato mobilitato come capitano medico di complemento, dopo l'armistizio si unisce ai partigiani della formazione Giustizia e Libertà - vicini al Partito d'Azione - è responsabile sanitario della brigata Carlo Rosselli e muore in uno scontro a fuoco nel settembre del '44.
Un altro nome fra i tanti è quello di Riccardo Lombardi da Regalbuto: si trasferisce a Milano nel 1919, nel 1922 si laurea in ingegneria industriale: continua la professione mentre collabora con l'organizzazione clandestina comunista, è tra i fondatori del Partito d'azione e all'indomani del 25 aprile assume la carica di prefetto di Milano . Legato a Lombardi è il trapanese Simone Gatto, anche lui azionista, che assieme a Parri e al comunista Giuseppe Berto promuove sin dal 1048 l'istituzione di una Commissione antimafia. Mangiameli ricorda la figura di una ragazza, Graziella Giuffrida: maestrina catanese di appena 21 anni, trasferita a Genova col fratello Salvatore e aggregata alle Squadre di azione partigiana operanti nel capoluogo ligure. E' arrestata su un tram trasformato in trappola: un gruppo di tedeschi pesantemente l'importuna, s'accorgono che ha una pistola, è trasferita al comando dove viene torturata e violentata. Era il marzo del '45, il suo corpo finisce in una fossa comune. Anche il fratello salvatore muore da partigiano. Fra i combattenti siciliani troviamo un nome noto per altri versi, quello del corleonese Placido Rizzotto che prima di morire per mafia era stato nelle Brigate Garibaldi. < La sua vicenda è emblematica>, riflette Mangiameli. Perchè mentre a Genova o a Reggio i partigiani controllano il territorio e sono sempre pronti a ricostituire una rete di solidarietà, in Sicilia questo non accade. I reduci partigiani sono sparpagliati, non ricoprono un ruolo riconosciuto. Basta pensare a come Nunzio Di Francesco viene accolto a Linguaglossa: è stato un valoroso combattente per la libertà, è stato deportato a Mauthausen. ma il parroco e i vecchi amici dell'Azione cattolica sono concordi nel rimproverarlo, visto che non ha saputo apprezzare la sicurezza e l'ordine garantiti del fascismo.
Spesso i soldati sono soltanto ragazzi abbandonati al loro destino dal re e dal governo, che dopo l'armistizio dell'8 settembre devono "scegliere se aderire alla repubblica costituita dai fascisti sotto la protezione nazista, o combattere per valori nuovi che stavano prendendo corpo anche agli occhi di molti giovani cresciuti sotto il regime".
L'elenco dei siciliani che al Nord partecipano alla Resistenza è molto lungo: il primo nome ricordato da Mangiameli è quello di Nunzio Di francesco da Linguaglossa, che nel settembre del '43 ha solo 19 anni, è recluta artigliere e avrebbe scritto un libro. Il costo della libertà, sulla sua esperienza, di partigiano e di deportato a Mauthausen. Nella ricostruzione di Di francesco i soldati abbandonano la caserma di Venaria Reale, a pochi chilometri da Torino, la sera del 10 settembre: quando i comandi militari non sanno che fare e loro rischiano di finire deportati in Germania. Nunzio è assieme al suo amico e compaesano Ciccio Emmi, e anche rimanere per strada è un pericolo per via del coprifuoco. vengono avvicinati da un anziano signore in bicicletta, un palermitano da anni residente a Venaria e per circa due mesi rimangono in una cascina, finchè non sono costretti a mettersi al sicuro in montagna: sono stati sfamati, curati e salvati da morte certa. Nel frattempo, nelle valli intorno a Pinerolo si stavano organizzando le brigate comuniste "Garibaldi", nel cui nucleo dirigente troviamo un buon numero di ufficiali meridionali e siciliani; il loro leader è Pompeo Colajanni da Caltanissetta, nome di battaglia comandante Barbato: nell'aprile del 1945 avrebbe coordinato le brigate partigiane che liberano Torino. Con lui troviamo l'ufficiale di cavalleria Vincenzo Modica da Mazara del Vallo, nome di battaglia Petralia.
Ci sono siciliani anche fra i partigiani della brigata Valdossola che nell'agosto del 1944 per quaranta giorni creano un vero e proprio Stato: una repubblica con un governo, un esercito e Domodossola per capitale. Una delle tre brigate che intimano la resa alle truppe tedesche e fasciste è comandata dal palermitano Alfredo di Dio, nome di battaglia Marco, che sarebbe morto in uno scontro con i tedeschi. Al suo fianco c'è Giuseppe Burtone da Militello Val di Catania, a cui la carnagione scura guadagna il nome di battaglia "capitano Morello".
I siciliani della Resistenza non provengono soltanto dall'esercito dissolto dopo l'armistizio. Salvatore Culotta da Cefalù, nome di battaglia Cefas, era marinaio a La Spezia, e in Toscana si aggrega ai gruppi partigiani della Garfagnana: quando si ammala di broncopolmonite viene curato da una famiglia di Tiglio, vicino Lucca, e si innamora di una ragazza che diventerà la compagna della sua vita.
Giuseppe Scagliosi da Palermo, medico,si era trasferito a Cuneo negli anni Trenta: allo scoppio della guerra era stato mobilitato come capitano medico di complemento, dopo l'armistizio si unisce ai partigiani della formazione Giustizia e Libertà - vicini al Partito d'Azione - è responsabile sanitario della brigata Carlo Rosselli e muore in uno scontro a fuoco nel settembre del '44.
Un altro nome fra i tanti è quello di Riccardo Lombardi da Regalbuto: si trasferisce a Milano nel 1919, nel 1922 si laurea in ingegneria industriale: continua la professione mentre collabora con l'organizzazione clandestina comunista, è tra i fondatori del Partito d'azione e all'indomani del 25 aprile assume la carica di prefetto di Milano . Legato a Lombardi è il trapanese Simone Gatto, anche lui azionista, che assieme a Parri e al comunista Giuseppe Berto promuove sin dal 1048 l'istituzione di una Commissione antimafia. Mangiameli ricorda la figura di una ragazza, Graziella Giuffrida: maestrina catanese di appena 21 anni, trasferita a Genova col fratello Salvatore e aggregata alle Squadre di azione partigiana operanti nel capoluogo ligure. E' arrestata su un tram trasformato in trappola: un gruppo di tedeschi pesantemente l'importuna, s'accorgono che ha una pistola, è trasferita al comando dove viene torturata e violentata. Era il marzo del '45, il suo corpo finisce in una fossa comune. Anche il fratello salvatore muore da partigiano. Fra i combattenti siciliani troviamo un nome noto per altri versi, quello del corleonese Placido Rizzotto che prima di morire per mafia era stato nelle Brigate Garibaldi. < La sua vicenda è emblematica>, riflette Mangiameli. Perchè mentre a Genova o a Reggio i partigiani controllano il territorio e sono sempre pronti a ricostituire una rete di solidarietà, in Sicilia questo non accade. I reduci partigiani sono sparpagliati, non ricoprono un ruolo riconosciuto. Basta pensare a come Nunzio Di Francesco viene accolto a Linguaglossa: è stato un valoroso combattente per la libertà, è stato deportato a Mauthausen. ma il parroco e i vecchi amici dell'Azione cattolica sono concordi nel rimproverarlo, visto che non ha saputo apprezzare la sicurezza e l'ordine garantiti del fascismo.
AMELIA CRISANTINO
(per gentile concessione)