CULTURA MONREALESE NELL’OTTOCENTO
a cura di Giuseppe Schirò
Con la morte del Testa, il periodo di
splendore della cultura a Monreale declina. Gli uomini migliori come lo
Spedalieri, il Bianchi, il Sinesio, si allontanano; il convitto dei nobili si
chiude. Le scuole del palazzo arcivescovile scompaiono. Nel 1781 muore il
Miceli, lasciando un gran vuoto a malapena colmato dall’opera del Mureana, dal
Fleres e dai due Guardì, Saverio e Antonio. Ma l’antica disciplina viene meno.
In questo periodo a Monreale non
troviamo scuole pubbliche, malgrado le esortazioni del governo borbonico
rivolte alle case religiose affinchè aprissero scuole elementari gratuite. A
tale scopo anzi il governo, in seguito alla cacciata dei gesuiti istituisce la
Giunta di educazione, presto sostituita dalla Depurazione dei regi studi, sotto
la quale in diversi comuni della Sicilia, tra cui Monreale, vengono istituite
scuole pubbliche di grammatica, retorica, lettere umane, filosofia e geometria.
Ma queste scuole non hanno lunga durata.
Il vicerè Domenico Caracciolo, venuto
in Sicilia nel 1781, abolisce la cattedra comunale di filosofia di Monreale
perché ritiene sufficiente quella del seminario. Poco dopo, per lo stesso
motivo, abolisce la scuola comunale di umanità e retorica. Le uniche scuole a
Monreale rimangono quelle del seminario.
Nel 1788 il governo istituisce in
Sicilia le scuole normali, sotto al direzione di Agostino De Cosmi, il quale
era fautore di un indirizzo popolare nella scuola, e che considerava normale
l’insegnamento rivolto al popolo, avente per base la lettura, la scrittura, la
matematica ed il catechismo e distinto dagli studi superiori, tra cui quello
del latino e della filosofia.
A Monreale queste scuole normali
vengono aggregate al seminario.
Le cose si trascinano fino a che
diviene rettore del seminario Biagio Caruso (1801), da Bronte. Questi aveva
ricevuto la sua formazione ai tempi del Testa.
Con lui il micelianismo ritrova
vigore: nel seminario per opera Di Saverio Guardì, Giuseppe Bruno e Giuseppe
Zerbo; presso i benedettini per opera di Gabriele Gravina; a San Martino per
opera di Gaspare Rivarola. Per un momento sembrano tornati i vecchi tempi.
Il Caruso acquista per le scuole del
seminario l’edificio dirimpetto l’Arco degli Angeli, dove ancor oggi si trovano
le stesse scuole. Riordina ed arricchisce la biblioteca del seminario. In ciò
trova il pieno appoggio dell’arcivescovo Benedetto Balsamo il quale anzi,
volendo non essere da meno del Testa, adibisce i locali sovrastanti il palazzo
arcivescovile per aprire il convitto dei chierici rossi formato da giovani che
prestavano servizio nel culto del duomo, indossando proprio una talare rossa Il
convitto era diviso in due sezioni: quella dei più piccoli e dei più grandi. I
chierici rossi che si preparavano al sacerdozio erano 12, gli altri, poco più
di venti, erano convittori. Erano ammessi giovani da tutta la diocesi.
Il Caruso poi, allo scopo di
mantenere distinti i chierici dagli altri studenti, si adopera tanto che nel
1819 si aprono regolari scuole comunali.
Queste scuole erano divise in
primarie e secondarie. Nelle primarie si insegnava la lettura, la scrittura,
gli elementi di calcolo, dei pesi e delle misure. In quelle secondarie, si
studiavano belle lettere latine ed italiane, umanità, retorica, matematica e
filosofia. Alla base di ogni insegnamento stavano i doveri religiosi e sociali.
La vigilanza sulle scuole era affidata ai parroci, al sindaco e ad un
ispettore. Gli insegnanti dovevano essere in possesso di regolare titolo di
studio.
Ben presto il metodo normale viene
sostituito dal metodo di Lancaster, detto anche del simultaneo insegnamento.
Proibito il vecchio metodo dell’insegnamento individuale, proibite anche le
sferzate, ammessi i castighi umilianti o di disonore. L’esame era annuale.
L’insegnamento è affidato a sacerdoti forniti di regolare abilitazione
all’insegnamento. Le scuole comunali si pongono subito in posizione di
emulazione o addirittura di rivalità con quelle del seminario, quanto al
profitto.
I locali non sempre erano
confortevoli. Nel 1827 le scuole alloggiano finalmente in un’ampia casa di 15
vani nel quartiere della Ciambra, di proprietà della sig.ra Vittoria Seggio in
Caruso, adattata allo scopo dell’architetto Emanuele Marvuglia e data in
affitto al comune. Risale a questo periodo l’iscrizione nel bilancio comunale
di una voce passiva per le scuole.
Del resto anche il governo da
quest’epoca in poi comprenderà sempre più l’importanza della pubblica
istruzione e comincerà a stanziare nel bilancio delle somme per questo. Nel
1828, a Monreale, gli alunni delle scuole sono 136. Inutile dire quanto diverso
fosse l’orario delle lezioni ed il calendario scolastico: le lezioni andavano
dal 3 novembre al 19 settembre!
In quest’epoca abbiamo ben quattro
centri di studio: il seminario, il convitto dei chierici rossi, le scuole
comunali e quelle dei benedettini con una scuola tecnica moderna e fornita di
un laboratorio dotato di attrezzature scientifiche. Ma non si può parlare di una
cultura laica, né di molti laici colti.
Inoltre la cultura monrealese di
questa prima metà dell’800 è chiusa in se stessa, senza contatti con la cultura
italiana ed europea. I giovani studenti sono in realtà pochi, quasi assenti le
donne per le quali lo studio è ritenuto superfluo o addirittura fonte di
pericoli. I rami del sapere più coltivati sono la filosofia e le lettere. Ma la
filosofia era ferma al Miceli come attorno ad un idolo e lo studio delle
lettere mirava più ad impadronirsi della forma latina o greca classica, che
all’originalità.
Il Balsamo si adopera per introdurre
un certo rinnovamento e chiama ad insegnare nelle scuole del seminario Giuseppe
Saitta da Bronte e Diego Planeta da Sambuca. Il Saitta riabilita il tomismo
facendo declinare per sempre il micelianismo. Introduce lo studio dell’italiano
facendolo considerare alla stregua del latino e abbandona i vecchi metodi. Alla
sua scuola si formano Nicolò Di Carlo, Nicola Cirino, Giuseppe Vaglica, Andrea
Calafato e Antonino De Luca che diverrà cardinale. Il Planeta riforma gli studi
giuridici, ma non lascia grandi orme. Quando viene fatto vescovo di Brindisi
lascia Monreale. Anche il Saitta, fatto vescovo di Patti, lascia Monreale. Il
Balsamo si rivolge ai più insigni uomini di cultura, perfino a Giacomo
Leopardi, il quale sarebbe venuto se le condizioni politiche glielo avessero
permesso. A venire è invece un letterato padovano, Giambattista Svegliato, il
quale prosegue nella via del
rinnovamento iniziata dal Saitta fino a che il colera del 1837 non lo porta
alla tomba. Nel 1860 il Prodittatore Mordini emana un decreto con il quale
viene estesa alla Sicilia la legge Casati promulgata a Torino nel 1859 relativa
alla Pubblica Istruzione. Le scuole elementari dovevano essere in ogni comune
e, in quelli con popolazione superiore a
5000 abitanti, vi doveva essere una scuola per l’istruzione elementare
superiore. Queste scuole erano a carico dei comuni, obbligatorie per i due
sessi e gratuita. Pochi anni dopo, nel 1863, si aprono a Monreale le scuole
ginnasiali. Nel 1904 saranno istituite scuole tecniche. Per quanto riguarda le
donne esisteva fin dal 1647 la <badiella> dove le ragazze, sotto la guida
di suore, apprendevano oltre al catechismo alcune nozioni, insieme con
l’avviamento a lavori donneschi.
Nella seconda metà dell’ottocento le
tradizioni culturali del seminario vengono tenute alte soprattutto da due
insigni umanisti e letterati monrealesi: Giuseppe Vaglica e Maurizio Polizzi.
Giuseppe Vaglica (1813-1886) dirige
gli studi nel seminario, proseguendo nell’indirirzzo dello Svegliato. La sua
specialità è il tradurre in latino in cui aveva acquistato una straordinaria
facilità e prontezza: era capace di tradurre fino a otto modi diversi gli
stessi versi: Traduce gli Inni sacri del Manzoni, i Sepolcri del Foscolo e del
Pindemonte, la Basvilliana ed altre opere di autori vari e versi siciliani di
Giovanni Meli. Molte cose sono ancora inedite. La sua originalità, più che nei
contenuti, è nella forma, impareggiabile. Era un grande maestro ed un grande
educatore. Pur avendo riconoscimenti dagli ambienti culturali palermitani, non
usciva quasi mai dalla sua casa, che era sita nella piazzetta del Collegio di
Maria che prenderà nome da lui.
Un carattere diverso da Maurizio
Polizzi (1827-1905) il quale trascorre la sua vita nell’insegnamento. Molti tra
i migliori uomini siciliani si vantavano d’essere stati suoi alunni. La padronanza
del latino non è inferiore a quella del Vaglica, ma in campo letterario egli
preferisce le innovazioni nei metodi e nei temi. Per sua iniziativa nel 1877
sorge nei locali dell’ex monastero dei benedettini il <convitto
Guglielmo> per ospitare quei giovani studenti che, provenendo dai comuni
vicini, non avevano un idoneo alloggio a Monreale. In filosofia è però ancorato
al tomismo avanzante. Ma la figura che maggiormente eccelle in questo periodo è
quella del filosofo Benedetto D’Acquisto, arcivescovo di Monreale, che già
conosciamo, professore di filosofia all’università di Palermo e autore di numerose
opere, tra cui il <Sistema della scienza universale>; un <Corso di
filosofia morale>; un <Corso di diritto naturale>. Alcune opere sono
ancora inedite.
Il D’Acquisto si assume l’impegno di ripensare il
sistema del Miceli e di superarlo, evitando di cadere nel panteismo da cui il
Miceli non aveva saputo guardarsi. Ma, pur avendo delle intuizioni originali e
pur sforzandosi di uscire dalla identificazione tra ordine logico e ordine
reale, il D’Acquisto non esce dall’ontologismo monistico. E’ fuor di dubbio la
sua buona fede ed il suo intento di restare nell’ortodossia cattolica ed in
posizioni di difesa della sua fede religiosa.
Il D’Acquisto, pur conoscendo le
opere di Kant, non ne subisce l’influsso; si muove in un ordine di idee anteriore
alla speculazione Kantiana. Egli non forma una scuola di seguaci e la sua
filosofia viene ben presto dimenticata.
Allo scopo di restaurare l’ortodossia e per
combattere le idee modernistiche che si andavano diffondendo, il papa Leone
XIII lancia esortazioni allo studio del tomismo. Il modernismo, proveniente
dalla Francia, sorto dallo sforzo di adeguare ai tempi il messaggio cristiano,
portava però a concepire il domma cattolico come una verità in continua
evoluzione, non come qualcosa di perenne e di stabile: la fede veniva
vanificata e la chiesa veniva a perdere natura e funzioni. In quel clima di rinnovamento
che a Monreale si era creato, il modernismo comincia a infiltrarsi tra il
clero. Proprio per reagire a questo pericolo sorge, nel 1882, l’accademia
tomistica, che pubblica un periodico <La Favilla>. Varie personalità
della cultura monrealese aderiscono al tomismo. Tra queste emergono quella di
Giuseppe Fiorenza e di Gaetano Millunzi. Il Fiorenza (1842-1923) è considerato il più grande ellenista della scuola monrealese. Sulla scia dei
novatori, inneggia agli ideali di libertà in una cantica in onore di Baronio
Manfredi. Dopo un decennio di vescovato a Siracusa, si ritira a Monreale e
torna all’insegnamento ed anche agli studi storici. Ma in questo campo eccelle
maggiormente Gaetano Millunzi nato nel 1859. Egli si propone di illustrare le
vicende storiche di Monreale e pubblica una serie di monografie su vari
argomenti, servendosi dei documenti degli enti ecclesiastici. Era un uomo dai
molteplici interessi. Eccellente latinista, perfetto versificatore ,
insegnante, professa il tomismo e lo espone nel carme <de materia et
forma>, che gli vale il riconoscimento personale e l’amicizia di Leone XIII
che intendeva destinarlo ad alti incarichi. Il convitto dei chierici rossi,
sotto la sua direzione, raggiunge l’apogeo dello splendore. Nel 1897 vi sono
più di cinquanta alunni, provenienti da ogni parte della Sicilia. Sembrano
ritornati i tempi del Testa. Una folta schiera di dotti, promana da Monreale
portando nei vari campi di attività quella ricchezza morale e spirituale
attinta qui: Girolamo Daidone da Altofonte, benemerito di quel comune;
Gianbattista Leto poeta colto e delicato: Giuseppe Saitta, professore all’Università
di Bologna; Giorgio La Piana, apprezzato professore in una università
americana; Vito Lo Duca, latinista, poeta e storico; Giuseppe Sola, professore
nel Liceo di Acireale, Giuseppe Caronia, medico e illustre scienziato; Gaspare
Crociata, divenuto fra Antonio da Castellammare, cappuccino, scrittore e
storico; Pietro Stella, celebre oculista; Francesco Paolo Evola vicario
generale di Monreale per lunghissimi anni; Stefano Morello, letterato arguto di
versatile ingegno; Andrea Gullo, erudito poliglotta ed insigne latinista;
Giuseppe Fedele che con poesia tenera e delicata canta la sua città di Monreale
e le bellezze della Conca d’Oro. Insieme con queste figure e con tante alte qui
non ricordate, dovrei anche accennare agli altri illustri monrealesi,
distintisi pure in questo periodo, come i giuristi Domenico Caruso e Calcedonio
Inghilleri; Ludovico Di Liberti, magistrato e letterato; Giuseppe Epifanio
rdiologo e scenziato; il generale Francesco La Ferla, pluridecorato al valore
militare . Non solo le tradizioni letterarie e culturali ma anche quelle
artistiche si conservano con notevole altezza in questo periodo. Nella pittura
si distingue Antonino Leto (1844-1913) insigne pittore, vissuto a lungo fuori Monreale:
a Roma, Parigi e soprattutto a Napoli , ottenendo molti riconoscimenti. Il
teatro mantiene pure belle tradizioni: Domenico Scaduto, nella prima metà dell’800,
l’ho ricordato come famoso <puparo>. Un teatro comunale si trovava nella
via oggi Garibaldi prima del 1860 e mantenuto a spese del Comune anche molti
anni dopo quella data; vi soprintendeva una apposita commissione. Così pure il Comune
manteneva una banda musicale che vediamo allogata nei locali dell’ex convento
del Carmine fino al 1929, con uno statuto proprio.
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