E' morta INGE FELTRINELLI 
la regina dell'editoria


<….E’ lei che si occupa di risollevare le sorti della casa editrice Feltrinelli, facendo leva sul proprio impeto entusiasta e seduttivo nella gestione e nel rapporto con i suoi autori. Confidando anche sulla solidità degli affetti: il primo è quello del designer e filosofo argentino Tomàs Maldonado, a cui Inge resterà legata e che sarà una «colonna morale» per la famiglia e per la casa editrice. Ma anche contando sulla propria lungimiranza visionaria: per esempio nel puntare sulla distribuzione capillare delle librerie Feltrinelli (un centinaio), create da Giangiacomo come autentica impresa civile nell’Italia del dopoguerra. I primi anni Ottanta sono i peggiori, con la condanna per diffamazione per il libro di Camilla Cederna sul presidente Leone, ma Inge sa circondarsi di collaboratori e dirigenti di primissimo piano: Franco Occhetto, Sandro D’Alessandro, Gabriella D’Ina, Alberto Rollo, Giulia Maldifassi, Francesco Cataluccio. E c’è sempre Romano Montroni che dirige le librerie. Nella fase più difficile, verranno fuori, dopo il filone sudamericano, i romanzi di Saramago, Pennac, Yoshimoto, Amos Oz, Tondelli, Benni, Tabucchi, Celati, Starnone, De Luca, Maggiani e tanti altri autori. Con la pronuncia tedesca che non aveva mai stemperato, con i suoi accenti spesso sbagliati, Inge Feltrinelli era una straordinaria narratrice orale: raccontava con entusiasmo l’incontro a Cuba con Hemingway in preda all’alcol, le feste a Francoforte con Wagenbach e Fischer, le scorribande con Vázquez Montalbán al mercato del pesce di Barcellona, la conquista ardua di Marguerite Duras con i suoi capricci (L’amante nel 1985 servì a dare respiro alla casa editrice), la prossimità sororale con Nadine Gordimer e Doris Lessing, la severità di Max Frisch, l’angoscia di Isabel Allende dopo la morte della figlia. E l’amicizia quasi cameratesca con Antonio Tabucchi, la visita al vecchio «sporcaccione» Charles Bukowski nella casa di San Pedro, i selvaggi moustaches di Günther Grass e le sue famose zuppe di pesce, l’allure di Gabo da divo di Hollywood dopo il Nobel. Mai un filo di nostalgia, in quei racconti, solo il puro piacere intellettuale e umano ripetuto al presente. Inge era diventata la regina dell’editoria, più che una sorta di ministro degli Esteri del libro, una mina vangante di risate ed entusiasmo in giro per il mondo. Presidente della casa editrice, diventata «holding», a fianco del figlio Carlo, amministratore delegato: «Lui la mente, io l’anima» diceva, ma spesso si scambiavano i ruoli. Neanche le cariche e i riconoscimenti e gli onori internazionali, i successi, la ripresa, le acquisizioni, né tanto meno la vecchiaia, erano riusciti a domarla. >

  

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