"DA ANTIGONE AD IPAZIA AD OGGI
UNA SCUOLA DI PARI OPPORTUNITA'
A
MONREALE
Progetto grafico Rocco Micale
COMUNICATO
STAMPA
Progetto Ipazia: seminario conclusivo sulla
rappresentanza politica declinata al femminile
Monreale 05
novembre 2012 – Si conclude il percorso del progetto da “Antigone ad Ipazia,
scuola di pari opportunità”, realizzato dal Comune e finanziato dal Ministero
delle Pari Opportunità. L’ultima tappa è
in programma, mercoledì 07 novembre, in Aula consiliare, alle 9,30. L’incontro
verte sull’impegno femminile nella politica, tema attuale e sempre controverso.
Relatrici del seminario
“Rappresentanza politica di genere” saranno Laura Lorello, docente dell’Università
degli Studi di Palermo e Antonella Monastra, componente del Consiglio comunale
di Palermo.
Come di consueto,
alla fase teorica seguirà quella laboratoriale in cui le scuole coinvolte, il
Liceo classico Emanuele Basile e l’istituto d’Arte “Mario D’Aleo”, elaboreranno
un progetto intorno ad un’idea forte che gli studenti saranno riusciti ad enucleare.
“Con questo
seminario – ha commentato l’assessore alle Pari opportunità Lia Giangreco – si
conclude un progetto che ci ha dato molte soddisfazioni. L’incontro sulla
politica è quello che in qualche modo ha generato l’intera iniziativa, nata
dall’esigenza di spiegare il perché della scarsa partecipazione femminile nella
politica. A Monreale, ad esempio, le donne sono assenti dal Consiglio comunale.
Speriamo che l’incontro, per il tema attuale che propone, coinvolga tutti i
cittadini e i giovani. Dopodiché c’è molto attesa per gli elaborati prodotti in
questi mesi, il migliore dei quali sarà premiato”.
Giorno 30
novembre, si svolgerà il seminario conclusivo con la presentazione di tutti i
lavori realizzati, e la premiazione del migliore.
La commissione
valutatrice è formata: dal sindaco Filippo Di Matteo, dall’assessore alle Pari
Opportunità Lia Giangreco, dal coordinatore del progetto Massimiliano Terzo, da
Rocco Micale, da Salvatore Autovino, direttore della Galleria civica.
Laura Lorello si è
laureata a Palermo con una tesi in diritto amministrativo. Ha conseguito
una borsa di studio post-dottorato in Diritto comunitario e comparato presso la
facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Palermo Dal 2009, è professore ordinario
di Diritto Costituzionale sempre all’Università di Palermo. Ha svolto attività
di ricerche a Bruxelles e in Lussemburgo.
Antonella Monastra
è consigliere comunale dal 2001. Ginecologa e madre di due figli, è
responsabile del Consultorio familiare Danisinni dell’Asl 6. Fin dall’inizio
del suo mandato è sempre stata al fianco degli indigenti e dei senza casa,
battendosi per la tutela della salute pubblica.
Schema
della relazione di Laura Lorello sulle pari opportunità
nell’accesso alle cariche elettive
nell’accesso alle cariche elettive
(Monreale 7 novembre 2012)
La
parità d’accesso alle cariche elettive sancita dall’art. 51.2 Cost. rappresenta
una delle declinazioni del principio di eguaglianza e del divieto di
discriminazione su base sessuale, espressi dall’art. 3.1 Cost.
Non
è un caso che il sesso sia la prima delle cause per le quali è fatto divieto al
legislatore di operare differenze di disciplina legislativa: si trattava di
mettere in evidenza la grande novità rispetto allo Stato liberale, costituita
dall’estensione del suffragio alle donne, avvenuta per la prima volta in
occasione del referendum istituzionale del 2 giungo 1946, nel quale si scelse
la forma repubblicana del nuovo stato italiano.
Il
principio di eguaglianza viene configurato nell’art. 3 della Costituzione in
due differenti sensi, complementari l’uno all’altro.
Nel
I comma si afferma l’eguaglianza formale tra tutti i cittadini (in realtà la
disposizione riguarda tutti gli uomini) e si introduce il divieto di
discriminazione in relazione alle condizioni descritte nella seconda parte del
I comma (c. d. nucleo duro del principio di eguaglianza).
Nel
II comma si ritrova la versione sostanziale del principio di eguaglianza che,
partendo dall’idea che nella realtà i singoli non si trovano nelle medesime
condizioni, impegna la Repubblica, ovvero tutti i soggetti dell’ordinamento, ad
adoperarsi per rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione di
una situazione di eguaglianza effettiva. Dunque l’eguaglianza in senso
sostanziale richiede che tutti gli individui si trovino nelle stesse condizioni
di partenza e in ciò il primo a doversi attivare è lo Stato. A questo scopo è
possibile per il legislatore prevedere trattamenti differenziati e di favore
per determinate categorie di soggetti che si trovano in condizioni di
svantaggio. In questo caso il “trattamento differenziato” non crea, ma mira ad
eliminare una situazione di diseguaglianza, ponendo tutti nelle stesse
condizioni di partenza. (questi interventi legislativi prendono il nome di azioni positive).
La
concreta realizzazione dell’eguaglianza proclamata dall’art. 3, ma poi ripresa
in numerose disposizioni costituzionali successive, è apparsa più semplice o
almeno così è sembrato, in alcuni settori come il diritto di famiglia o il
rapporto di lavoro, per i quali le sentenze della Corte costituzionale e nuove
discipline legislative hanno eliminato gradualmente, anche se talvolta non del
tutto, le discriminazioni originarie fondate sul sesso.
Per
l’accesso alle cariche elettive il percorso è apparso più complesso, perché in
questo ambito la realizzazione di un’eguaglianza piena passa innanzitutto per
un cambiamento culturale, che richiede tempo e fatica e che soprattutto non si
realizza attraverso nuove leggi.
Infatti
il modus dell’attività politica nel
corso degli anni è stato ritagliato e modellato sulla figura maschile, l’unica
che storicamente godeva di una proiezione esterna all’ambito familiare, nel
quale invece era stato per secoli confinato e definito il ruolo della donna.
Solo
con l’ affermarsi graduale e faticoso di una vita esterna alla famiglia, per la
donna ha cominciato a porsi anche il problema di una partecipazione
all’attività politica.
La
originaria previsione dell’art. 51.1 Cost. (modificato con la legge
costituzionale n. 1 del 2003), non ha garantito una vera parità di accesso alle
cariche elettive.
Ma
ciò è da attribuirsi in primo luogo ai partiti politici, incaricati dai
Costituenti, di formare il popolo della Repubblica, con un’attività che non era
si semplice raccolta dei bisogni, ma soprattutto di definizione di idee e di
programmi attorno ai quali costruire il consenso.
Il
loro ruolo, indicato nell’art. 49 Cost., dunque avrebbe dovuto esplicarsi anche
nella selezione dei candidati, che avrebbe dovuto tenere conto del sesso
femminile, includendo anche candidate all’interno delle liste elettorali.
Poiché, tuttavia, essi sono stati del tutto inerti a riguardo, allora si è resa
necessaria sia la riforma dell’art. 51 Cost., che riprendendo il II comma
dell’art. 3, impegna la Repubblica ad attivarsi per realizzare l’effettiva
parità di accesso tra i sessi alle cariche elettive; sia la previsione di
riserve di posti nelle liste predisposte dai partiti a favore delle donne, in
modo da consentire la presenza di candidate di sesso femminile almeno per un
terzo (talora per la metà) della lista stessa (c. d. Quote rosa).
E’
chiaro tuttavia che non basta inserire candidate nelle liste per soddisfare la
realizzazione delle pari opportunità: essere inserite nella lista non equivale
ad essere elette. Allora torna l’esigenza di un impegno dei partiti che, non
solo devono introdurre le candidate nelle liste, ma devono poi organizzare la
propaganda politica a sostegno delle stesse per dare loro reali possibilità di
successo. Dunque il compito è ancora dei partiti e nuovamente emerge l’aspetto
del cambiamento di cultura e delle difficoltà che questo comporta.
In
ogni caso i semi della cultura della parità di genere danno i loro frutti,
forse ancora rari e disordinati, ma concreti.
E’
il caso di una recente ordinanza del TAR del Lazio che ha censurato il
provvedimento del Sindaco di nomina di due assessori maschi della Giunta
municipale del Comune di Latina, motivando la scelta con il fatto che le due
donne, che erano state interpellate a riguardo,si erano dichiarate non
disponibili a ricoprire l’incarico di assessore. Per il giudice si tratta di
una motivazione insufficiente a determinare la conseguente scelta di due uomini
senza prima provare a coinvolgere altre donne.
Si
tratta solo di un piccolo frutto, ma la storia ci insegna che alle donne non
manca né la pazienza, né il coraggio, né la fiducia.