a cura di Giuseppe Schirò
La tradizione culturale (iniziata nel secolo precedente con la produzione poetica di Antonio Veneziano, l’istituzione, da parte del Torres, del Seminario come centro di studi e di formazione tra i primi in Sicilia e l’ ulteriore impulso ricevuto dal Venero) continuerà ad affermarsi nel ‘600 per arrivare all’apogeo nel secolo seguente.
Gli arcivescovi incoraggiano efficacemente le scuole. Le materie fondamentali dell’insegnamento erano la grammatica, la retorica, le lettere e la filosofia. Saltuariamente vi erano cattedre di teologia e di diritto ecclesiastico e civile. L’istruzione era piuttosto diffusa poiché forniti di qualche istruzione dovevano essere i consiglieri municipali, i dirigenti delle numerose associazioni, i commercianti, oltre, s’intende, i professionisti. Anche le autorità comunali incoraggiano gli studi: nel 1644 il pretore e i giurati “per animare li cittadini di andari alli studi” decretano una trionfale accoglienza al giovane Francesco Sanchez che tornava con la laurea in diritto ecclesiastico e civile dall’università di Catania. Prendere la laurea a Catania è tuttavia un’eccezione. Di solito, i giovani che avevano ultimato i corsi, si presentavano al Collegio Massimo dei Gesuiti di Palermo per ricevervi la laurea in filosofia, che valeva pure per le lettere, o in teologia. Presso qualcuna delle famiglie più distinte troviamo anche una piccola biblioteca. Antonio Novelli, morendo nella peste del 1625, lascia cento volumi per testamento. Il centro di studi più notevole continua ad essere il seminario. Il numero degli alunni raggiunge i quaranta. Fioriscono gli studi teologici. Si inizia la consuetudine di tenere dispute pubbliche, svolte alla presenza di tutti gli studenti, delle autorità e del pubblico. Il sistema era in uso anche nei circoli culturali palermitani. Si distinguono: Pietro Rincione, Giuseppe Dunzo, Giuseppe Lombardo, Giacinto Gaudesi, e i greco-albanesi Giuseppe Stassi, che morirà martire missionario, e il servo di Dio Gaspare Guzzetta, di cui parlerò in seguito. Monreale manteneva rapporti culturali intensi con la capitale ed era partecipe attivamente di tutto il movimento culturale siciliano. In emulazione col seminario, è in quest’epoca il monastero dei benedettini. Nel 1609 i benedettini Vincenzo Barralis e Vincenzo Lucerame costituiscono la biblioteca che diverrà poi la biblioteca comunale. I benedettini di Monreale avevano stretti legami con quello di S. Martino delle Scale e con quello di S. Giovanni degli Erermiti di Palermo. Tutto l’ordine erano sotto la pressione di istanze riformatrici. Prevale una produzione letteraria a sfondo didattico e moralistico in cui abbonda una serie di “teatri”, “stelle” “soli” “trionfi” spesso privi di originalità. A Monreale si distinguono Mauro Marchesi e Paolo Catania. Con Paolo Catania, i benedettini si inseriscono brillantemente nella corrente letteraria siciliana. La sua opera “Canzoni morali sopra motti siciliani” in 7 volumi lo colloca tra i letterati più in vista della città di Palermo, dove era assai apprezzato. Ma l’opera letteraria nella quale esprime il meglio di sé è il “Teatro, ove si rappresentano le miserie umane … in canzoni siciliane in sesta rima”. Il suo scopo è di cantare il mondo fallace ed i suoi inganni, sollecitando insistentemente l’uomo a riflettere su quello che fu, che è e qual è il suo fine. Una sottile e profonda vena di pessimismo permea l ‘opera del Catania, pessimismo che giustifica i suoi insegnamenti morali e l’etica cristiana. Ma egli è incapace di elevarsi allo stimolo di virtù sociali, incapace di vedere al di là dell’angusto confine politico in cui egli con tutto il suo mondo letterario viveva. I pregi migliori sono quelli letterari, come la finezza nell’uso della metafora e dei simboli del teatralismo barocco dell’epoca, la capacità di rappresentare tipi e personaggi umani e soprattutto la padronanza dell’uso del siciliano, per cui si pone tra i classici della lingua siciliana. Oltre tutto dovette essere forte l’esempio ed il richiamo dello zio Antonio Veneziano, che però supera di molto il Catania per la sua bollente ispirazione poetica. Il Catania è anche autore di una “Cronaca” inedita del monastero di Monreale che sarà proseguita da Giacomo Squiglio e poi con più elevato impegno e migliore fortuna dall’abbate Del Giudice, dal Tarallo e dal Gravina. Anche i cappuccini nel convento fondato a Monreale da Ludovico I Torres nel 1580, non trascurano gli studi. In questo secolo si rendono celebri il p. Basilio e il p. Urbano, ambedue da Monreale.
Il p. Basilio fa restaurare ed ampliare il convento includendovi un noviziato con le relative scuole. P.Urbano fa costruire un locale per la biblioteca che si arricchisce di molti volumi, la maggior parte dei quali di argomento sacro. Il fervore degli studi a Monreale in quet’epoca è attestato anche da altri sempi come Vincenzo Torre (+1694) che Vito Amico dice dottissimo, medico, filosofo, astronomo, e Francesco Baronio Manfredi (1593-1654). Questi studia nel seminario. Assunto dal Senato palermitano come segretario, diversamente che dal Catania, il Baronio, era convinto che <lo scrittore è ministro della vita civile>, si inserisce con la sua attività di scrittore e di storico nella litigiosa vita politica sicilaina di allora. Perciò scrive la <Vindicata veritas panormitana> per difendere Plaermo contro la pretesa superiorità di Messina, e poi ancora <Della cronaca di Palermo>, <Palermo glorioso> e i quattro libri del <De maiestate panormitana> che illustra Palermo dal punto di vista naturale, storico e giuridico. Allargando poi il suo orizzonte su tutta la Sicilia, scrive il <Siculae nobilitatis amphitheatrum> in versi e prosa, poi ancora altri versi, epigrammi, la traduzione in versi latini della Celia del Veneziano, composizioni in prosa.
Francesco Baronio Manfredi, arrestato per le vicende della rivolta del maggio 1647, perché pare abbia preso parte alla congiura ordita da Francesco Vairo che lo avrebbe voluto porre a capo della Sicilia come repubblica indipendente, vien rinchiuso nella fortezza di Gaeta, dove muore.
L’arte barocca a Monreale ha esempi assai importanti e significativi. Quasi tutte le chiese esistenti vengono rinnovate secondo il nuovo gusto, come quella di S. Francesco, di S. Castrenze, dell’Odigitria,, della Madonna dell’Orto, di S. Giuseppe, il cui prospetto è tra gli esempi più interessanti del barocco a Monreale.Sopra tutti però emerge, come testimonianza tra le più importanti del barocco siciliano, la cappella del Crocifisso nel Duomo, costruita su progetto di fra Giovanni da Monreale, cappuccino. La decorazione è diretta da fra Angelo Italia gesuita, cui appartiene la decorazione di Casa professa a Palermo. Vi lavorano anche vari scultori, come Giambattista Firrera, Baldassare Pampillonia, Luzio Tudisco, Nicolò Musca, Giambattista Marino e Carlo Rutè.
Su un fondo lucido di smalto di Venezia, il Crocifisso con la sua genealogia, nella stessa cappella del Crocifisso. Si ripete il tema biblico della decorazione musiva del duomo
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