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PUPI E MARIONETTE...
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"Storia di pupi e di pupazzi" 
di Monica Saito

(tratto dalla Rassegna "L'Italia che scrive" N. 3 pag. 23)


Nella collana <Problemi di storia dello spettacolo> curata da Nicola Mangini (ed. Mursia) Carmelo Alberti pubblica un interessante saggio si <Il teatro dei pupi e lo spettacolo popolare siciliano> utilizzando un materiale quasi sconosciuto ma che rientra in parte nei risultati raggiunti dal Pitrè, dal Gotti e dal Toschi nell'ambito degli studi svolti sulla drammaturgia popolare.
Nell'introdurre l'analisi del fenomeno dell'opera dei pupi, l'autore cerca di chiarire, nella prima parte del libro, le ragioni di una esplosione spettacolare a caratter tendenzialmente epico; prendendo poi in esame la concezione spettacolare tardo settecentesca, viene a delinere le fasi iniziali del pupo. I vari <pupi> a <a filo>, di pezza e di legno compaiono comunque per la prima volta nel 1774, anno di nascita dei <casotti>, costruzioni di legno, adibite a teatro, che occupavano per tutoo il periodo estivo quei luoghi, il piano della Marina per esempio, dove prima si svolgevano le manifestazioni in occasione delle feste popolari.
In quel periodo quasi contemporaneamente, inizaino le prime rappresentazioni delle <vastasate> che in un certo senso si avvicinano ai modelli scenici delle commedie dell'arte; molte novità subentrarono con questo nuovo tipo di spettacolo: da una parte si registra la tendenza a creare delle forme spwettacolari ancorate alla vecchia tradizione comica e nello stesso tempo c'è il tentativo di <tipizzare> i personaggi buffi; dall'altra ancora si nota la partecipazione delle corporazioni artigianali estesa fino al campo finanziario, la presenza di un capocomico e infine il tentativo di specializzazione nella professione dell'attore di farse popolari da parte di un gruppo di artigiani dilettantio.
Da questo momento in poi, le marionette a filo evolveranno e nel corso dell'Ottocento riceveranno un grosso impulso dall'incontro con la tradizione del <conctu> dei cantastorie. Come osserva l'Alberti, si tratta <di un innesto di una tradizione epica con una abitudine marionettistica evoluta e diffusa come spettacolo d'attrazione>; su questa via si viene a stabilire il nesso fra il conctu e l'opera dei pupi.
Vari tentativi vengono poi fatti dall'autore per stabilire l'epoca della nascita di queste <marionette armate con repertorio cavalleresco>: le uniche traccie sono quelle esistenti nell'800 a Roma, Napoli e in Sicilia; a Napoli in particolare pupi cavallereschi si esibivano al <teatro Sebeto> e al <teatro del Carmine>.
Nel libro viene messo soprattutto in risalto il ruolo fondamentale svolto dalla componente artigiana  nel corso dell'evoluzione del pupo.
<Il confluire nell'opera, aggiunge l'autore, della tradizione epico cavalleresca e la disponibilità degli artigiani, a collaborare per una diffusione del pupo costituiscono i poli di un rilancio in maniera più artificiosa del fenomeno>.
L'apporto professionale degli artigiani consiste non solo ne <contributo scultoreo>, ma si allarga al settore della pittura devota, delle immagini su vetro e degli ex voto fino alle decorazioni dei fondali dei teloni, deicarri e delle barche. Entriamo poi nel campo tecnico della preparazione dei pupi che svolgono ruoli di eroi e di principi: gli elementi stilistici presenti qui sono comuni a quasi tutta l'esperienza artigianale salvo che per tre zone, Palermo, Catania e la zona fra il polo messinese e il polo siracusano, dove cambia la dimensione del pupo, il movimento delle marionette e la sua articolazione a seconda se le ginocchia siano smontate o prive di giunture.
Infine emerge anche un diverso gusto per la decorazione delle armature. Già si possono avvertire nell'eoluzione del pupo delle novità: alla nova pomposità corrisponde un pubblico diverso quello fatto da borghesi e intellettuali. Inoltee, nota l'autore, <la linea di sviluppo marionettistico predilige i moduli del teatro ufficiale e presto al posto del puparo si vede il capocomico.
Nell'ultima parte del libro, l'Alberti cerca infine di studiare le ragioni del declino del tatro dei pupi che si avverte subito dopo la prima guerra mondiale, quando, trovandosi in situazioni economiche disastrose per la crescente disoccupazione, molti pupari decisero di emigrare. Ma la crisi comunque era cominciata molto prima, e cioè dall'immissione di nuovi strati sociali nei tatri. Questi nuovi spettatori infatti, appartenenti tutti al ceto medio borghese, cambiano la linea del tatro dei pupi e i suoi contenuti aviandoli verso sbocchi frenetici e sofisticati. 

CARMELO ALBERTI, Il teatro dei pupi e lo spettacolo popolare siciliano, Mursia ed., Varese 1978, p.170



























































































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