B I B L I O T E C A C O M U N A L E
"Santa Caterina"
7 Dicembre 2021
< SALVATORE GIULIANO
banditismo e politica >
a cura di
Giuseppe Misseri
Interventi di:
Claudio Burgio e Biagio Cigno
PORTELLA DELLA GINESTRA:
NESSI E COMPROMESSI
BREVI RIFLESSIONI
SUL GIUDIZIO STORICO DELLA STRAGE
di Fedele Maria Rita
Docente di Storia e Filosofia al Liceo scientifico di Monreale
Dottore di Ricerca UNIPA
Lo spunto per riprendere la narrazione dei fatti sulla strage di Portella lo offre il testo inedito di Ignazio Buttitta intitolato “Portella della Ginestra”. Si tratta di un’opera conservata per più di mezzo secolo nell’Archivio storico delle Edizioni Avanti presso l’Istituto Ernesto De Martino. L’Atto IV di questo dramma porta sulla scena la complessità sia della strage di Portella della Ginestra che della figura di Salvatore Giuliano, uno dei più noti banditi del secondo dopoguerra in Sicilia, cui il processo di Viterbo attribuì la strage. La figura dello zio Calogero, in particolare, mette in evidenza che, dopo la morte di Salvatore Giuliano, nessuno era disposto a credere che fosse stato proprio lui a sparare sulla folla dei contadini, che si erano riuniti, il 1 maggio del
Su Portella della Ginestra abbiamo due giudizi: uno giudiziario e l’altro storico.
Il primo ci consente di delineare con estrema chiarezza quanto già sappiamo su questa strage: una sparatoria contro la folla che avvenne ad opera di Salvatore Giuliano e della sua banda. Il secondo, il giudizio storico, evidenzia su Portella altre verità, per certi aspetti anche inquietanti: Giuliano e gli uomini della sua banda sarebbero solo gli esecutori, ma la strage ebbe dei mandanti politici che purtroppo non sono stati mai individuati. Il giudizio storico consegna così l’eccidio di Portella della Ginestra ad una storia senza verità, ma permette di delineare alcune linee interpretative della strage che per certi aspetti fanno giustizia da sole.
Sul piano storiografico, infatti, è possibile confrontare interpretazioni che sono espressione di diverse linee prospettiche nella lettura dei fatti accaduti a Portella. La verità su Portella non è stata ancora fatta e rimangono ancora oggi nell’oscurità quanti quella strage hanno contribuito a pianificarla ma non ad eseguirla.
Lo storico Francesco Renda nella Prefazione alla seconda edizione dell’opera intitolata Storia della mafia, afferma: “[…] la ferita è ancora aperta perché giustizia non è stata ancora fatta” (p. III). Dalla desecretazione di alcuni documenti oggi in possesso, è possibile individuare sul piano storiografico tre ipotesi interpretative che ricostruiscono quella drammatica strage.
I^ INTERPRETAZIONE
La prima, sostenuta dal Ministro degli Interni di allora, il democristiano Mario Scelba, nel dibattito alla Costituente del 2 Maggio 1947, dalle forze politiche moderate, dal partito della Democrazia Cristiana, dalle forze dell’ordine, secondo cui il massacro di Portella della Ginestra era un episodio circoscritto che non aveva finalità politiche. Si trattava cioè di una strage senza mandanti politici in cui l’unico colpevole era solo Salvatore Giuliano e i suoi banditi
In una intervista al quotidiano democristiano “Sicilia del popolo”, del 9 maggio 1947, minimizza: «Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto, maturato in una zona fortunatamente ristretta le cui condizioni sono assolutamente singolari»
(Cfr. Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Riuniti, Roma, 2000, p.160 e N. Tranfaglia, Mafia, politica, e affari nell’Italia repubblicana 1943-1991, Roma Bari, Laterza)
A queste conclusioni tra l’altro giunse anche il processo di Viterbo (1951-1952) che condannò all’ergastolo Gaspare Pisciotta e altri componenti della banda di Giuliano. Questi era morto nel 1950 ucciso, secondo la versione ufficiale, dal capitano dei carabinieri Antonio Perenze; anche Salvatore Ferreri detto Fra Diavolo, era morto prima dell’apertura del processo di Viterbo, ucciso nel 1947 dal capitano dei carabinieri Roberto Giallombardo. Nonostante le denunce di Pisciotta, nel corso del processo di Viterbo, sui presunti mandanti politici della strage, la pista che riconduceva ai mandanti e alle coperture politiche venne esclusa.
II^ INTERPRETAZIONE
La seconda, sostenuta dal deputato comunista Girolamo Li Causi all’Assemblea Costituente (2 Maggio 1947), dalle forze politiche di sinistra e dalla maggioranza della CGIL: Portella fu il primo episodio di strage terroristica di Stato, aveva mandanti e coperture a livello politico e nelle istituzioni. Salvatore Giuliano era stato solo l’esecutore materiale della strage, ma venne utilizzato strumentalmente da altre componenti. I veri mandanti della strage erano gli agrari e i mafiosi che utilizzavano i banditi contro le forze politiche della sinistra che, tra l’altro, alle elezioni regionali del 20 aprile 1947 erano usciti vittoriose (si pensi la vittoria del Blocco del Popolo: socialisti e comunisti). Questa linea di lettura trovò molti riscontri nel processo di Viterbo quando Gaspare Pisciotta ebbe a dire che settori della polizia, dei carabinieri, con le dovute coperture politiche, mantennero rapporti molto compromettenti con la mafia e il banditismo per esercitare il controllo del territorio. Gaspare Pisciotta con queste parole definì “Santissima Trinità” il connubio che si presentava nella Sicilia del secondo dopoguerra: “Siamo un corpo solo banditi, polizia e mafia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”
(Cfr. Salvo Di Matteo, Anni Roventi.
Questa seconda ipotesi che presenta pesanti responsabilità di organi dello Stato, di rappresentanti politici e di intrecci con la politica nazionale e internazionale è stata l’ipotesi prevalente anche in ambito storiografico. Lo storico F. Renda sostiene questa linea interpretativa che riconduce la strage anche alla politica internazionale della guerra fredda, ma ne aggiunge una motivazione sociale: la strage è un atto terroristico che logicamente e cronologicamente si colloca all’interno delle lotte contadine e bracciantili combattute in Sicilia fra il 1945-1955, per la concessione delle terre incolte alle cooperative agricole e per la conquista della riforma agraria.
(Cfr. F. Renda , Storia della mafia, p. XXII, cit.)
III^ INTERPRETAZIONE
La terza ipotesi è quella più recente e più diffusa dalla stampa e dalla cinematografia (basti pensare il film di Paolo Benvenuti “Segreti di Stato”) ed è in linea con le posizioni espresse dallo storico Casarrubea negli ultimi lavori su Portella della Ginestra: la strage sarebbe il frutto di un patto segreto tra le forze più potenti di quel momento storico, i servizi segreti americani, la mafia, il Vaticano e il partito della Democrazia Cristiana in funzione anticomunista; una strategia che segue la logica della guerra fredda. Sul ruolo della mafia, di alcuni esponenti del partito della Democrazia Cristiana, delle forze dell’ordine, Casarrubea non aggiunge cose nuove rispetto ad alcuni elementi che già erano emersi dal processo di Viterbo in cui Gaspare Pisciotta aveva denunciato precisi nomi. La tesi di Casarrubea poggia su quanto la ricerca storica sta raccogliendo dalla desecretazione di alcuni documenti degli archivi americani dell’OSS (Office Strategic Services, Servizio segreto americano prima della nascita della CIA)
(Cfr. N. Tranfaglia, Anatomia di una strage con molti colpevoli, in G. Casarrubea, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, Milano, 2006, 5-11)
Poste queste premesse di carattere storiografico, ciò che ci interessa in sede di giudizio storico non è l’accertamento e l’individuazione delle responsabilità materiali di questo o di quel rappresentante politico; a questo compito sono preposte altre istituzioni, in particolare
Allora, oggi, 25 febbraio 2012, gli studenti e le studentesse, rappresentando l’Atto IV del dramma inedito di Ignazio Buttitta e recitando alcune poesie sulla strage, accolgono l’insegnamento più importante che lo scrittore ci ha lasciato: la poesia come strumento per interpretare la realtà, per proporre una visione del mondo, ma anche come strumento per agire e trasformare la realtà quando essa si presenta sotto la veste della illegalità. Il dramma “Portella della Ginestra” è la testimonianza non solo del grande talento poetico di Ignazio Buttitta, ma soprattutto dell’impegno civile e politico e del profondo rispetto della dignità dell’uomo. Quella di Buttitta è un’arte che si esprime nell’impegno e per questo mi piace concludere queste brevi riflessioni con una citazione riportata sulla facciata del Teatro Massimo di Palermo, sopra le sei colonne d’ingresso, in cui sta scritto:
“L’Arte
rinnova i popoli
e
ne rivela la vita.
Vano delle scene il diletto ove
non miri
a preparar l’avvenire”.
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