CANTO DI NATALE di Charles Dickens

 

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Charles Dickens

CANTO DI NATALE

                                     







     
                             

                                                 
     

L'UOMO CHE HA DETTO PER PRIMO: <BUON NATALE>

di Alessio Altichieri

Questo libro fu <miracoloso>, scrisse molti anni fa il grande critico inglese Charles Percy Snow a proposito di Canto di Natale. Miracoloso, secondo lui, perchè <solo un scrittore di enorme talento poteva scriverlo>: un talento che Charles Dickens, <probabilmente il più straordinario scrittore di lingua inglese dopo Shakespeare>, possedeva in dosi portentose. Ma miracoloso, potremmo aggiungere noi, anche perchè tutta la vita di Dickens fu straordinaria e Canto di Natale vi sbocciò come il prodotto di una folgorazione, l'intuizione geniale che scavalcò il mero fatto letterario: nel mondo anglosassone Dickens viene infatti ricordato, per questo libro, come <l'uomo che inventò il Natale>. Istituì, cioè, la tradizione del Natale che ancora conosciamo e celebriamo. E quindi questo Canto, se ci ha cambiato il modo di vivere, può essere considerato l'attimo magico di un'esistenza che, di per sè, valeva quanto un romanzo. Infatti nell'autunno del 1843, quando scrisse A. Christmas Carol, Dickens era già celebre. Non era mai successo, in alcun posto al mondo, che un autore di soli trentadue anni, che non aveva mai pubblicato un libro intero godesse di fama nazionale. Ma i tempi in Inghilterra erano cambiati velocemente. Vittoria era sul trono e la rivoluzione industriale produceva  orrori e e glorie, che Dickens avrebbe conosciuto in pari misura. Il bambino costretto a dodici anni a lavorare in una fabbrica accanto al Ponte dei Frati Neri, a Londra, perché il padre era stato arrestato per debiti, s’era presto emancipato dalla miseria e aveva scritto, a puntate, Il Circolo Pitckwick, acclamato come un capolavoro dell’umorismo. E poi aveva pubblicato Oliver Twist e Nicholas Nickleby, ereditando così la tradizione picaresca di Fielding e Defoe. Eppure, adorato dal pubblico e da poco rientrato dall’America dove aveva sedotto folle estasiate, Dickens si sentiva bruciare: : gli premeva, dentro, una passione che doveva  buttar fuori.

Ora noi moderni magari sorridiamo di tali passioni. Il pregiudizio ci ha fatto gettar via, assieme all’acqua sporca vittoriana, anche il bimbo che sarebbe uscito pulito dal bagnetto. Diciamo di Dickens, con tono saccente, che scriveva romanzi <dickensiani>, come il possente David Copperfield, una sorta di autobiografia di cui Canto di Natale anticipa i temi, quando invece a essere dickensiani furono i tempi che raccontò, eroici e spietati. Melodrammatico e sentimentale, diciamo, e pure maniche. E’ vero: nelle poche pagine di Canto di Natale c’è un contrasto continuo di caldo e freddo, di intimi interni domestici e di strade  chiassose, di ricchezza avida e povertà generosa, di salute e malattia, egoismo e miseria. Anzi, Miseria con la maiuscola, al pari dell’ignoranza, Per personificare le piaghe dell’epoca , come simboli del male. Certo, Dickens peccò di mancanza della misura, di errori di gusto, di eccessi patetici e moralistici. Ma Dickens è l’Ottocento, Come Balzazc e Hugo, e se non fosse stato tale non avrebbe influenzato Tolstoj e Dostoevskij, come fece, e poi tanti altri fino a Henry James o, per restare nel nostro piccolo, a Edmondo De Amicis: Dickens quindi, quale autore d’un interminabile Cuore vittoriano.

Miracolosa era poi la capacità di Dickens di creare personaggi, Ebenezer Scrooge, il gretto protagonista di Canto di Natale, esce prepotente dalla folla dei duemila caratteri che compongono la sterminata galleria dickensiana. Certo, è una caricatura dell’avaro  (ma anche Riccardo III era un tiranno caricaturale, Coriolano era inverosimilmente sanguinario, Giulietta e Romeo s’amavano d’amore impossibile, senza che Shekespeare fosse però accusato di esagerare), eppure Scrooge è vivo perché è Dickens stesso: il quale nel 1843 non aveva solo urgente bisogno di soldi, sicchè scrisse questa storia natalizia come un investimento a breve  ( aspettava dalla moglie il quinto figlio e voleva trasferirsi in Italia dove la vita, allora come oggi, costava meno), ma pativa ancora il ricordo dell’umiliante adolescenza, del lavoro in fabbrica, dell’arresto del padre. Scrooge riflette Dickens nell’angoscia che possa tornare il disonore:<Tu hai troppa paura dell’opinione del mondo>, gli dice, in un’apparizione, l’antica fidanzata: <Tutte le tue speranze sono state sacrificate alla speranza di tener lontane le sue sordide critiche>. E anche Cratchit, l’umile scrivano che Scrooge sfrutta, è il disgraziato fanciullo che fu Dickens, così come Tiny Tim, il malatino di casa Cratchit, è il fratellino malato dello scrittore, che in famiglia chiamavano Tiny Fred. Ma naturalmente è miracoloso il fatto che questo libriccino, facile come una fiaba eppure profondo come una parabola evangelica, abbia<inventato> il Natale. Chiariamo: non c’era bisogno d’uno scrittore inglese per dare un senso cristiano al 25 dicembre, Ma c’era forse bisogno di uno scrittore dell’Inghilterra vittoriana, il paese che dominava e forgiava il mondo, per creare il Natale dei tempi moderni. Perchè i puritani di Oliver Cromwell avevano ridotto il Natale , che sposava la celebrazione della nascita di cristo con la festa pagana dei Saturnalia romani, a un rito minore. Come lamenta Cratchit con il padrone Scrooge, nella prima <Strofa> de libro, il Natale non era che un giorno di vacanza, uno solo, in tutto l’anno: appena il tempo per un regalino ai bambini, e poi di ritorno a fabbriche rugginose, uffici freddi, salari da fame. Dickens invece, con sentimentalismo impenitente, vide nel Natale qualcos’altro: <un giorno di allegria, di bontà, di gentilezza, di indulgenza, di carità, l’unico momento nel lungo corso dell’anno, nel quale uomini e donne sembrano disposti ad aprire  liberamente il proprio cuore, disposti a pensare ai loro inferiori non come a compagni di viaggio, del medesimo viaggio verso la morte>

Allora immaginiamo quelle sei settimane, tra ottobre e dicembre del 1843. Stretto tra il bisogno e l’ansia di scrivere finalmente un libro vero, non una serie di puntate. Dickens è in preda a un fervore febbrile: <Piangevo e ridevo, e piangevo ancora,  e mi eccitavo in modo straordinario durante la scrittura. E poi, ripensando, camminavo per le strade buie di Londra per quindici o venti miglia ogni notte, quando tutta la gente assennata è andata a letto>. Quando esce, il libro è un best seller che vende seimila copie entro il Natale : certo, come scrive la biografia Jane Smiley, è <la macchina dell’editoria capitalista, che porta un singolo uomo, una singola  voce, in un rapporto personale con un numero  enorme di persone>,  a permettere tale successo. Ma il libro, stesso è cosi forte, come ammette il contemporaneo  Fraser’s Magazine, <che nessuno scettico si può permettere una critica negativa… Chi darebbe orecchio a obiezioni su un libro del genere?>. Diventa subito, come ammette il rivale William Thackeray, <un’istituzione nazionale>. Un industriale concede immediatamente ai suoi dipendenti un secondo giorno  di vacanza, e si dice che pure Thomas Carlyle, lo storico, ordini un tacchino  per il pranzo  di Natale, come il libro prescrive. Con un risvolto: a fine anno sono già in vendita le copie pirata, sicchè l'invewstimento  di Dickens non darà i frutti sperati. Ma il romanzo sarà un trionfo. Nasce così il Natale moderno, della società industriale; se quello dei tempi antichi coinvolgeva interi villagi, questo nostro Natale è a misura familiare, come mostrano nel libro il nipote di Scrooge, Fred, e anche la <famiglia nucleare> di Cratchit,riunita attorno al'oca fumante che esce dal forno. La lezione di quest'allegoria cristiana (in cui Cristo però non viene nominato) è che non c'è condizione umana, per quanto misera, che impedisca di essere buoni. Perchè questo libriccino, che fonde il romanzo sociale, al racconto di fantasmi, non è altro che la storia di una conversione, quella di Scrooge. Eppure grazie alla capacità dickensiana di unire misticismo religiosoe superstizione popolare, non si limita all'esortazione morale, ma incide sui nostri comportamenti. Questo ci ha lasciato in erdità Charles Dickens, l'uomo che ha inventato perfino l'augurio <Buon natale> (mai prima di lui in inglese s'erano sposati un aggettivo e un sostantivo per dire <Merry Christmas>), Quando Dickens morì, nel 1870, e la notizia corse funerea per Londra, una piccola venditrice del Coven Garden scoppiò in lacrime; Morirà allora anch Babbo Natale?>. No, non sarebbe morto in tutto l'Occidente cristiano, sempre più secolare e consumista, e pure Scrooge sarebbe passato ai posteri: fu il suo nome infatti che Walt Dusney  in cerca di antenati nobili diede al ricchissimo avaro  che popola le strisce di Donald Duck: e, come sappiamo, zio Paperone si converte alla bontà per un Natale che dura tutto l'anno, a ogni fumetto.   

                                         ALESSIO ALTICHIERI              























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