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Dalle pagine de L'ORA


    

Lucido e preciso, irresistibile nell’attacco, avanzava proprio come in un torneo, riportava immancabilmente la vittoria da trionfatore>: ed è ciò che si può ripetere dei vigorosi articoli  scritti agli inizi del secolo per L'Ora, il giornale da lui fondato e diretto tra il 1900 e il 1902 in difesa degli interessi siciliani. 

Libero pensatore  del giornalismo, Morello  è stato il commentatore forse più autorevole di quel tempo, e comunque il più popolare, circondato da una straordinaria notorietà: al punto che alcuni dei suoi famosi <fondi> venivano <gridati> dagli strilloni non solo a Roma e Milano, ma anche per le strade di Parigi.

       

Ai racconti di Capuana, Verga e Pirandello apparsi sulle pagine lungo il primo triennio di questo secolo, L'Ora si prefigge di far seguire  tutta una serie di <grandi ritorni> intitolati a firme tra le più prestigiose della cultura e della politica (Gobetti, Borgese, Savarese, Napoleone Colajanni) che hanno contribuito a fare de L'Ora uno dei giornali più moderni e autorevoli.





L'Alba del XX secolo è anche l'alba di una nuva era politica: l'Italia da monarchia autoritaria si trasforma in monarchioa liberale. Non è ancora la democrazia, ma il passo è gigantesco. L'Ora nasce proprio in questo momento cruciale di passaggio, ed ha in Napoleone Colajanni un collaboratore di grande autorevolezza, particolarmente attento agli eventi e ai processi in atto. Napoleone Colajanni (Enna 1847-1921) medico, professore di statistica, sociologo, fondatore e direttore di giornali, tra cui <Il Siciliano> e la celebre <Rivista popolare>. Garibaldino, è stato poi deputato repubblicano al Parlamento, ove tra l'altro denunciò lo scandalo della Banca romana, affermandosi come uno dei maggiori protagonisti dell'intensa stagione post unitaria a cavallo del secolo.



Intellettuale inquieto, giornalista, scrittore e critico, Luigi Capuana se ne torna definitivamente in Sicilia, a Catania, nell'ultima parte della sua vita, dopo essersi mosso tra Firenze, Roma e Milano. E' allora che comimcia a collaborare intensamente al quotidiano <L'Ora>, appena nato. Tra il 1900 e il 1901 vi pubblica a puntate <Il marchese di Roccaverdina> il più celebre dei suoi romanzi e quattro anni dopo >La Sfinge>, un romanzo breve oggi pressocchè sconosciuto. Alla forte narrazione del <Marchese> destinato a consacrare 
Capuana come uno dei caposcuola del verismo, si contrappone nella <Singe> - una storia di alcova e di morte  ambientata nella Roma piccolo-borghese degli inizi del secolo - una scrittura aperta alle influenze anche del d'annunzianesimo dominante. Opera, si direbbe, di un Capuana <minore> ma comunque vitale e significativa: sia in quanto documento di un'epoca, sia come espressione appunto di quell''inquietudine intellettuale che portò lo scrittore catanese a incuriosirsi per tutte le mode e le novità del suo tempo.
 




Una esistenza assai breve quella di Piero Gobetti ma straordinariamente intensa e crativa al punto da collocarlo già quando era ancora vivo tra i maggiori protagonisti della cultura democratica e della lotta politica di quegli anni tumultuosi segnati dall' avvento del fascismo. La collaborazione tra il 1923 e il 25 al giornale L?Ora e l'intenso rapporto con la Sicilia costitiscono una significativa tappa della folgorante esperienza di Gobetti tra attivismo culturale e attivismo antifascista, l'uno e l'altro strettamente intrecciati e vissuti come una febbre interiore.L'ultimo articolo di Gobetti apparso su L'Ora porta la data del 23 gennaio 1925. IN quelle stesse ore Mussolini pronunciava quello che è tristemente palesato alla storia come <il discorso del 3 gennaio>, con l'annuncio delle leggi speciali e l'instaurazione della dittatura.  <Che ho a chew fare io con gli schiavi?, è ormai il motto di Gobetti. Non gli resta che l'esilio. Nato il 19 giugno 1901 a Torino da una modesta famiglia di negozianti, quando muore a Parigi non ha ancora compiuto 25 anni.




<Possibile che in questa inflazione di carta stampata, fra tanto scialo di opera omnia, non ci sia modo  di raccogliere se non tutto, il meglio di uno scrittore come <Savarse?> Se lo chiedeva già trenta e più anni fa un critico come Arnaldo Bocelli, lo proponeva  più di recente  il nostro indimenticato e prestigioso collaboratore Felice Chilanti al quale era stato attribuito un premio letterario  intitolato a Savarese e ancora oggi lo auspica Vincenzo Consolo che introduce con un suo scritto il manipolo di racconti qui riproposti. Si tratta di novelle pubblicate su L'Ora a partire dl 1911 e fino al 1926 e che precludono alla tematica delle successive opere di questo schivo e appartato artista che pure ha dato pagine tra le più belle al nostro Noveccento: dalle prose liriche. moralistiche, autobiografiche di <La goccia sulla pietra> ai romanzi  >gatteia>, <Malagigig>, <Rossomanno>, <I fatti di Petra> il<Capopolo>, alle ultime >Cronachette siciliane> scritte  sotto l'infuriare dei bombardamenti a Enna e pubblicare nel '45 pochi mesi prima della sua morte.  




L'Ora del 20 febbraio 1908 pubblicava con molto risalto un vistoso annuncio. Vi era scritto: <E' un vero dono, preziosissimo, che facciamo ai nostri lettori, e in specie alle nostre lettrici. Il grande nome  di Matilde Serao, tutta la sua produzione affascinante e suggestiva, lo sfolgorio d'ogni suo scritto - sia esso un romanzo., un dramma, una novella, un articolo, una conferenza, un croquis mondano o una breve nots sentimentale - dono quantov'è di più bello e di più ricercato nel Libro, nel Giornale, a Teatro, in un Salone. Noi. cominceremo col pubblicare una serie di magnifici articoli -che sono profondi e abbaglianti brani di vita, di colore, d'osservazione, di sentimento, d'arte squisita che Matilde Serao va ora raccogliendo come in un fascio di fiori fragranti>. Una buona parte di quegli articoli riappare ora in questa racolta. Sono gli itinerari di un percorso compiuto tra l'Italia, l'Europa e la Turchia dei primi del secolo in un viaggio  che, come osserva Domenico Rea, segna una congiunzione impeccabile anche fra le due anime della Serao: la donna attenta all'incanto della lussureggiante fioritura di Piazza di Spagna, ma anche sgomenta per la speculazione edilizia che già allora dilaniava a Roma; meravigliata per la sontuosità del Casino di Montecarlo, ma anche sbigottita che l'unico suono umano avvertibile tra quelle mura fosse il tintinnio cristallino e metallico del denaro. 





Giuseppe Antonio Borgese (Poizzi Generosa 1882 - Fiesole 1952) resta - anche fra contrasti, dimenticanze e revival - una delle pietre miliari del nostro novecento letterario e politico. Il suo <Rubè>, pubblicato per la prima volta nel 1921 è, con gli <Indifferenti> di Moravia, <La coscienza di Zeno> di Italo Svevo e le opere di Tozzi pure di quel periodo, tra i primi romanzi di alta qualità apparsi in Italia dopo la grande guerra. Ma tutta la sua opera, pur spaziando nei campi più diversi, dalla critica  al saggio, dal teatro alla poesia, si può considerare  - come afferma Sciascia nella presentazione di questo quaderno de L'ora - di grande giornalismo. I suoi articoli, di cui qui si dà una silloge, sono giusto esempio dei primordi della sua attività iniziata appunto nella redazione de L'Ora - direttore Scarfoglio -e  proseguita poi sui maggiori quotidiani nazionali.




Una pietra nello stagno del conformismo fascista e del quietismo borghese questi articoli che Renato Guttuso andò pubblicando su <L'Ora> agli inizi  degli anni Trenta. Un Guttuso quindi giovanissimo, alla vigilia del suo definitivo esodo in continente (a Milano e poi Roma), quando  la sua febbre creativa è un tutt'uno con l'appassionata ricerca culturale, con i fuochi delle sue prime battaglie per il rinnovamento dell'arte. Tra riflessioni e contraddizioni già sul punto di esplodere (come quella del suo rapporto col fascismo) gli articoli - polemici, irruenti, a volte aggressivi, - preannunciano per grandi linee quelle che sarebbero state le scelte culturali e politiche del maestro siciliano e, insieme, di tutta una generazione di artisti e intellettuali, destinata a segnare da lì a pochi anni la cultura nazionale di questo secolo.





Lampade velate di rosa che diffondono una luce estenuante sui romanzetti leggeri( amori, confidenze, tresche, tradimenti) di una borghesia ormai avviata al suo crepuscolo. Pleniluni d'argento, occhi di donne languidi e vellutai, seduzioni. Questi gli ingredienti dei racconti di Amalia Guglielminetti  scelti e qui riproposti tra i tanti che pubblicò su L'Ora negli anni Venti e Trenta. Ricordata-seppur lo è- più che per i suoi libri (le Vergini folli. L'insonne, I serpenti della Medusa etc)  per la sua travagliata relazione con <Guido Gozzano, il poeta delle buone cose di pessimo gusto>. La Guglielminetti che pure ebbe il suo quarto d'ora di notorietà nei prmi decenni del secolo, coglie in queste pagine un aspetto -il più effimero- di un piccolo mondo che, anche se appare tanto remoto, è appena di ieri. E, per dirlo con il suo poeta, con tutto il suo <odore d'ombra, odore di passato>.


POST SCRIPTUM: Altro post sul giornale L'Ora  vedi nel blog la data  28 agosto 2018






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